Finiamo l’anno prendendo una piccola grande lezione di evangelizzazione personale dal Signore Gesù, nel suo colloquio con una donna samaritana. È un episodio ben conosciuto e non mi soffermerò su tutti i particolari. Ci sarebbe da scriverci su molto.
Gesù è stanco e si ferma vicino a un pozzo, mentre i suoi discepoli vanno in un villaggio a comprare del cibo. Sono in Samaria, una zona in cui i Giudei non erano apprezzati.
Arriva una donna accaldata. Porta una brocca per attingere acqua. È una donna poco benvista nel suo villaggio, perché ha una vita immorale. Ha avuto cinque mariti e ora convive. Se vivesse oggi, probabilmente troverebbe un posto di spicco in una rivista di gossip e sarebbe assolutamente à la page. Ma allora le opinioni erano diverse, anche se il gossip probabilmente non mancava nei suoi riguardi.
Il Signore Gesù inizia una conversazione chiedendole da bere e le parla di un’acqua meravigliosa che le toglierebbe ogni sete spirituale. Lei si meraviglia e gliene chiede.
Gesù le dice di punto in bianco: “Va a chiamare tuo marito”.
Lei confessa il suo stato e, quando si rende conto che il discorso va sul religioso e si fa profondo e serio, cerca di deviare la conversazione.
In questo, le cose non sono cambiate. Quando oggi noi testimoniamo della nostra fede nella Parola di Dio e in Gesù come unico Salvatore, la domanda classica che ci viene rivolta è: “Che differenze ci sono fra voi e noi?”. Se si butta in religione, si va su un terreno neutrale. Le tue idee vangono quanto le mie!
Preciso: la Samaritana chiede: “Ma si deve adorare a Gerusalemme o qui sul nostro monte?”. Quali sono le differenze?
Gesù le spiega molto gentilmente che le cose stavano cambiando: non ci sarebbe più stato bisogno di adorare in un tempio in muratura, ma i veri adoratori avrebbero adorato in Spirito (cioè per mezzo della potenza dello Spirito Santo) e secondo la verità della Parola di Dio e della nuova realtà che il Messia, avrebbe instaurata. Poi le dice molto chiaramente che il Messia era Lui.
La Samaritana, a quel punto, molla tutto, secchia, pozzo, conversazione e corre al villaggio per raccontare che aveva incontrato il Messia. Era una donna trasformata!
Allora: dove sta la lezione di evangelizzazione personale di Gesù?
In due punti principali. Gesù ha parlato chiaramente alla donna, anche se molto gentilmente, del suo peccato. Se non abbiamo il coraggio di dire alle persone che sono peccatori senza speranza, non vale la pena parlare loro della salvezza. Se non si rendono conto che sono perduti e sulla via dell’inferno, da che cosa dovrebbero desiderare di essere salvati?
Poi, secondo punto, Gesù non si è impantanato in discussioni sui vari templi, i sacrifici, le tradizioni ebraiche e quelle samaritane (oggi non vale molto parlare di Papa, santi e Madonne, a cui pochissimi danno importanza), ma ha presentato se stesso come Messia, liberatore e Salvatore.
Parliamo di Lui e mettiamo in risalto quello che ha detto e fatto. Diciamo che era ed è Dio, che si è incarnato, è nato a Betlemme, che non ha commesso peccato, che è morto per i nostri peccati e è risuscitato. Se lo facciamo con amore e con compassione, il Signore ci userà per il bene di parenti e amici.
A proposito, sta per uscire la nuova edizione di “MA DIMMI UN PO’... esistono ancora differenze fra cattolici e protestanti?”. È un libretto, che ho scritto anni fa, semplice e pratico. Spiega le differenze di fondo fra la Bibbia e la religione ufficiale del nostro paese e qualsiasi altra religione. Chiedetemelo. Costa poco: solo € 3,50.
Finalmente poteva guardare in su
Tempo fa, in una strada vicina al nostro ufficio, ho visto una donna, curva fino all’incredibile, che stava attraversando sulle strisce.
“Signora, la posso aiutare?” le ho chiesto.
“Grazie, ci sono abituata” mi ha risposto. E ha continuato, incapace di vedere attorno a sé e incurante dei pericoli del traffico.
Mi ha fatto venire alla mente una donna nominata nel Vangelo di Luca (13:10-17), malata da diciotto anni, curva e incapace di raddrizzarsi.
Entra, un sabato, nella sinagoga dove Gesù stava insegnando. Sapeva che Dio voleva che gli Ebrei ascoltassero la legge di Dio e lei era fedele nel frequentare quel luogo consacrato. Era faticoso andarci, ma lei voleva fare la cosa giusta. Poteva vedere solo il pavimento, ma poteva ascoltare la Parola di Dio. (Un buon esempio per chi, se solo ha un piccolo bubù evita di andare a ascoltare la Parola di Dio e a adorare, la domenica! Troppa fatica muoversi. Tanto, si può pregare anche a casa!).
Gesù la vede fra tutta la gente, la chiama, mette le sue mani su di lei e le dice: “Donna, tu sei liberata dalla tua infermità”.
Lei Immediatamente si rizza e esplode in una lode a Dio. Da diciotto anni era storpia; ora le sue ossa prendono il loro giusto posto, le giunture si sciolgono. Che meraviglia!
C’era da aspettarsi un’esplosione generale di lodi da parte di tutti. Invece solo una parte dei presenti si rallegra.
I religiosi trovarono da ridire: guarire una persona è un lavoro e Dio non vuole che si lavori di sabato. Il sabato è sacro! Il capo della sinagoga è furioso: “Ci sono sei giorni per lavorare: venite a farvi guarire in quelli, e non di sabato!”. Certa gente è maestra nell’usare la Bibbia secondo i suoi comodi. Quei religiosi odiavano e invidiavano Gesù e cercavano di colpirlo con le armi della Legge, citando la Bibbia per ferirlo.
Ma Gesù taglia corto: “Ipocriti! Non portate a bere il vostro bue di sabato, come permette la legge? Legarlo e condurlo all’abbeveratoio non è forse un lavoro? E questa donna, figlia di Abramo, cioè ebrea, fedele e credente, che è stata legata per diciotto anni da Satana con una malattia deformante, non poteva essere slegata di sabato?”.
Nessuna replica dai religiosi, solo vergogna.
Ciò che colpisce è che, in una sinagoga affollata, Gesù abbia individuato proprio quella donna bisognosa, l’abbia chiamata personalmente e, forse, abbia perfino interrotto il suo insegnamento importante per occuparsi di lei. Sapeva da quanto tempo era in quella condizione, vedeva nel suo cuore, sapeva tutto.
Fa lo stesso con me, con te e con tutti gli esseri umani. Legge dentro di noi, vede le nostre debolezze, i difetti e i peccati. Ci chiama individualmente, ci offre la sua grazia e interviene secondo il bisogno. “Venite a me, voi tutti che siete affaticati e oppressi, e io vi darò riposo” dice.
Se tutti gli esseri umani si mettessero a pregare tutti insieme, ascolterebbe ogni individuo e risponderebbe a ognuno. Hai permesso a Gesù di “raddrizzarti”? Sai che ti conosce a fondo?
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“Signora, la posso aiutare?” le ho chiesto.
“Grazie, ci sono abituata” mi ha risposto. E ha continuato, incapace di vedere attorno a sé e incurante dei pericoli del traffico.
Mi ha fatto venire alla mente una donna nominata nel Vangelo di Luca (13:10-17), malata da diciotto anni, curva e incapace di raddrizzarsi.
Entra, un sabato, nella sinagoga dove Gesù stava insegnando. Sapeva che Dio voleva che gli Ebrei ascoltassero la legge di Dio e lei era fedele nel frequentare quel luogo consacrato. Era faticoso andarci, ma lei voleva fare la cosa giusta. Poteva vedere solo il pavimento, ma poteva ascoltare la Parola di Dio. (Un buon esempio per chi, se solo ha un piccolo bubù evita di andare a ascoltare la Parola di Dio e a adorare, la domenica! Troppa fatica muoversi. Tanto, si può pregare anche a casa!).
Gesù la vede fra tutta la gente, la chiama, mette le sue mani su di lei e le dice: “Donna, tu sei liberata dalla tua infermità”.
Lei Immediatamente si rizza e esplode in una lode a Dio. Da diciotto anni era storpia; ora le sue ossa prendono il loro giusto posto, le giunture si sciolgono. Che meraviglia!
C’era da aspettarsi un’esplosione generale di lodi da parte di tutti. Invece solo una parte dei presenti si rallegra.
I religiosi trovarono da ridire: guarire una persona è un lavoro e Dio non vuole che si lavori di sabato. Il sabato è sacro! Il capo della sinagoga è furioso: “Ci sono sei giorni per lavorare: venite a farvi guarire in quelli, e non di sabato!”. Certa gente è maestra nell’usare la Bibbia secondo i suoi comodi. Quei religiosi odiavano e invidiavano Gesù e cercavano di colpirlo con le armi della Legge, citando la Bibbia per ferirlo.
Ma Gesù taglia corto: “Ipocriti! Non portate a bere il vostro bue di sabato, come permette la legge? Legarlo e condurlo all’abbeveratoio non è forse un lavoro? E questa donna, figlia di Abramo, cioè ebrea, fedele e credente, che è stata legata per diciotto anni da Satana con una malattia deformante, non poteva essere slegata di sabato?”.
Nessuna replica dai religiosi, solo vergogna.
Ciò che colpisce è che, in una sinagoga affollata, Gesù abbia individuato proprio quella donna bisognosa, l’abbia chiamata personalmente e, forse, abbia perfino interrotto il suo insegnamento importante per occuparsi di lei. Sapeva da quanto tempo era in quella condizione, vedeva nel suo cuore, sapeva tutto.
Fa lo stesso con me, con te e con tutti gli esseri umani. Legge dentro di noi, vede le nostre debolezze, i difetti e i peccati. Ci chiama individualmente, ci offre la sua grazia e interviene secondo il bisogno. “Venite a me, voi tutti che siete affaticati e oppressi, e io vi darò riposo” dice.
Se tutti gli esseri umani si mettessero a pregare tutti insieme, ascolterebbe ogni individuo e risponderebbe a ognuno. Hai permesso a Gesù di “raddrizzarti”? Sai che ti conosce a fondo?
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Umile e insistente
Nella sua umanità, Gesù si stancava. La gente lo pressava da tutte le parti di giorno e Lui spesso passava la notte pregando e parlando con suo Padre nel cielo. Ogni tanto, voleva ritirarsi e starsene in pace coi discepoli.
Già una volta aveva cercato di farlo e si era invece trovato davanti una folla di più di diecimila persone, che lo voleva ascoltare ed era pronta a farlo re.
Lui aveva dato da mangiare a tutti. Un bel tipo di riposo!
Nell’episodio di oggi, è in Siria, nel territorio di Tiro e Sidone. Si chiude in una casa con i discepoli e vorrebbe restare in incognito. Impossibile!
Una donna pagana lo viene a sapere. La sua bambina è tormentata da un demonio e lei corre da Gesù per chiedere aiuto. Glielo grida a perdifiato. I discepoli la vogliono scacciare, forti del fatto che Gesù aveva detto loro di essere venuto solo per le pecore perdute di Israele, ma lei non se ne va.
Chiedono al Signore di farla smettere. Ma quella insiste, si butta ai piedi del Maestro e continua la sua supplica.
Gesù non l’accontenta subito; evidentemente la vuole mettere alla prova (non è l’unica persona con cui l’ha fatto). Le rivolge delle parole che potevano sembrare dure: “Lascia che prima siano saziati i figli, perché non è bene prendere il pane dei figli per buttarlo ai cagnolini” (Marco 7:27). I figli erano gli Ebrei, i cani erano i pagani. La donna avrebbe potuto offendersi, ma il suo bisogno è troppo grande. Perciò non demorde.
È vero: non è Ebrea, è solo una pagana. Non può vantare diritti, come invece potevano accampare coloro che appartenevano al popolo di Dio. Perciò chiede solo di essere trattata come un cane e di godere almeno dei privilegi di un cane. I cani non mangiano a tavola col padrone, ma si accontentano delle briciole che cadono sul pavimento. Una briciola di grazia le bastava.
Gesù esclama: “Donna, grande è la tua fede: ti sia fatto come vuoi. Per questa parola, va’; il demonio è uscito da tua figlia”.
La donna torna a casa. La sua bambina è guarita e dorme tranquilla.
Noi le assomigliamo. Come peccatori non abbiamo nessun diritto da far valere davanti a Dio. Nessuna opera meritoria ci può rendere graditi a Lui. Se non fosse per la sua grazia, saremmo tutti senza speranza. Perduti e condannati all’inferno.
Ma la sua grazia è offerta a tutti. L’hai accettata?
Puoi leggere questa storia in Matteo 15:21-28 e Marco 7:24-30.
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Già una volta aveva cercato di farlo e si era invece trovato davanti una folla di più di diecimila persone, che lo voleva ascoltare ed era pronta a farlo re.
Lui aveva dato da mangiare a tutti. Un bel tipo di riposo!
Nell’episodio di oggi, è in Siria, nel territorio di Tiro e Sidone. Si chiude in una casa con i discepoli e vorrebbe restare in incognito. Impossibile!
Una donna pagana lo viene a sapere. La sua bambina è tormentata da un demonio e lei corre da Gesù per chiedere aiuto. Glielo grida a perdifiato. I discepoli la vogliono scacciare, forti del fatto che Gesù aveva detto loro di essere venuto solo per le pecore perdute di Israele, ma lei non se ne va.
Chiedono al Signore di farla smettere. Ma quella insiste, si butta ai piedi del Maestro e continua la sua supplica.
Gesù non l’accontenta subito; evidentemente la vuole mettere alla prova (non è l’unica persona con cui l’ha fatto). Le rivolge delle parole che potevano sembrare dure: “Lascia che prima siano saziati i figli, perché non è bene prendere il pane dei figli per buttarlo ai cagnolini” (Marco 7:27). I figli erano gli Ebrei, i cani erano i pagani. La donna avrebbe potuto offendersi, ma il suo bisogno è troppo grande. Perciò non demorde.
È vero: non è Ebrea, è solo una pagana. Non può vantare diritti, come invece potevano accampare coloro che appartenevano al popolo di Dio. Perciò chiede solo di essere trattata come un cane e di godere almeno dei privilegi di un cane. I cani non mangiano a tavola col padrone, ma si accontentano delle briciole che cadono sul pavimento. Una briciola di grazia le bastava.
Gesù esclama: “Donna, grande è la tua fede: ti sia fatto come vuoi. Per questa parola, va’; il demonio è uscito da tua figlia”.
La donna torna a casa. La sua bambina è guarita e dorme tranquilla.
Noi le assomigliamo. Come peccatori non abbiamo nessun diritto da far valere davanti a Dio. Nessuna opera meritoria ci può rendere graditi a Lui. Se non fosse per la sua grazia, saremmo tutti senza speranza. Perduti e condannati all’inferno.
Ma la sua grazia è offerta a tutti. L’hai accettata?
Puoi leggere questa storia in Matteo 15:21-28 e Marco 7:24-30.
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Guarita e rassicurata
Gesù è a Capernaum e una folla gli si accalca attorno. È appena tornato da Gerasa, all’altro lato del Mar di Galilea, dove aveva guarito un indemoniato indomabile.
Gli si avvicina uno dei capi della sinagoga e lo supplica di andare a casa sua. La sua bambina è malata e sta per morire. Gesù si avvia con lui e con alcuni discepoli. La folla lo segue. La strada è stretta e la calca è incredibile.Non si sa quasi dove mettere i piedi per camminare.
Ad un tratto, Gesù si ferma.
“Chi mi ha toccato?” chiede.
“Maestro, qui ti spingono da tutte le parti... Come si fa a chiedere chi ti ha toccato...”
“No, ho sentito che una potenza è uscita da me!”
Silenzio. Nessuno fiata.
Finalmente una donna, tremando, gli si avvicina e confessa ogni cosa.
Era malata da dodici anni di un male che la rendeva impura. Si trattava di una perdita di sangue, che nessun medico era riuscito a curare. Lei aveva speso tutto ciò che aveva per curarsi, ma stava peggio che mai.
Allora si era detta: “Se solo tocco il lembo della veste di quel rabbino di Nazaret, sarò guarita”. Aveva preso coraggio, si era confusa nella folla e, appena toccato il Signore, aveva sentito immediatamente che il suo male era sparito.
Gesù le disse una parola rassicurante: “Figliola, la tua fede ti ha salvata. Vattene in pace”.
Non solo il suo corpo era stato guarito, ma anche la sua anima era salva.
Perché Gesù l’ha obbligata a una confessione pubblica? Non ha rischiato di svergognarla davanti a tutti?
Certamente no. Non lo ha mai fatto con chi si è avvicinato a Lui con umiltà e fede.
Sono convinta piuttosto che ha voluto rassicurarla anche spiritualmente. Il suo corpo era guarito, ma avrebbe potuto ammalarsi di nuovo. Era importante che sapesse che la sua anima era al sicuro per sempre.
La salute del corpo è un gran bene, ma quella dello spirito lo è molto di più. Perciò mi domando perché nelle nostre riunioni di preghiera in chiesa si parla tanto di malattie fisiche e si chiedono tante guarigioni e non si parla mai di guarigioni spirituali. Perché non si prega che smettano i pettegolezzi e le maldicenze, le invidie e gli scoraggiamenti? E che si concedano dei perdoni dovuti da anni e finiscano tanti sospetti?
Siete d’accordo? Fatemi sapere.
Questa storia si trova in Matteo 9:20-22; Luca 8:43-48.
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Gli si avvicina uno dei capi della sinagoga e lo supplica di andare a casa sua. La sua bambina è malata e sta per morire. Gesù si avvia con lui e con alcuni discepoli. La folla lo segue. La strada è stretta e la calca è incredibile.Non si sa quasi dove mettere i piedi per camminare.
Ad un tratto, Gesù si ferma.
“Chi mi ha toccato?” chiede.
“Maestro, qui ti spingono da tutte le parti... Come si fa a chiedere chi ti ha toccato...”
“No, ho sentito che una potenza è uscita da me!”
Silenzio. Nessuno fiata.
Finalmente una donna, tremando, gli si avvicina e confessa ogni cosa.
Era malata da dodici anni di un male che la rendeva impura. Si trattava di una perdita di sangue, che nessun medico era riuscito a curare. Lei aveva speso tutto ciò che aveva per curarsi, ma stava peggio che mai.
Allora si era detta: “Se solo tocco il lembo della veste di quel rabbino di Nazaret, sarò guarita”. Aveva preso coraggio, si era confusa nella folla e, appena toccato il Signore, aveva sentito immediatamente che il suo male era sparito.
Gesù le disse una parola rassicurante: “Figliola, la tua fede ti ha salvata. Vattene in pace”.
Non solo il suo corpo era stato guarito, ma anche la sua anima era salva.
Perché Gesù l’ha obbligata a una confessione pubblica? Non ha rischiato di svergognarla davanti a tutti?
Certamente no. Non lo ha mai fatto con chi si è avvicinato a Lui con umiltà e fede.
Sono convinta piuttosto che ha voluto rassicurarla anche spiritualmente. Il suo corpo era guarito, ma avrebbe potuto ammalarsi di nuovo. Era importante che sapesse che la sua anima era al sicuro per sempre.
La salute del corpo è un gran bene, ma quella dello spirito lo è molto di più. Perciò mi domando perché nelle nostre riunioni di preghiera in chiesa si parla tanto di malattie fisiche e si chiedono tante guarigioni e non si parla mai di guarigioni spirituali. Perché non si prega che smettano i pettegolezzi e le maldicenze, le invidie e gli scoraggiamenti? E che si concedano dei perdoni dovuti da anni e finiscano tanti sospetti?
Siete d’accordo? Fatemi sapere.
Questa storia si trova in Matteo 9:20-22; Luca 8:43-48.
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Guarita per servire
Era successo un fatto inaudito: Gesù era entrato nella sinagoga con Pietro, Andrea, Giacomo e Giovanni e si era messo a insegnare. La gente lo aveva ascoltato meravigliata. Mai avevano sentito un altro rabbino parlare con tanta autorità. Altro che i soliti predicatori noiosi, monotoni e soporiferi! Questo parlava come Dio!
Per di più, proprio nella sinagoga, c’era un uomo posseduto da un demonio che gridava come un pazzo: “Che c’è fra noi e te, Gesù di Nazaret? Sei venuto a mandarci in perdizione? Sappiamo chi sei: Sei il Santo di Dio!” Un chiasso incredibile.
“Sta zitto!” comandò Gesù (mai Egli ha accettato la testimonianza di un demone, anche se veritiera). “Esci da quest’uomo!”
Il demone ubbidì e uscì da quell’uomo, straziandolo (forse con un attacco di convulsioni), fra lo stupore generale. Che emozione! Tutto il villaggio immediatamente lo venne a sapere e ne parlò. Gesù, con i quattro discepoli, uscì dalla sinagoga e andò a casa di Pietro.
Era una casa semplice, da operaio. Probabilmente era composta da una grande stanza, con un focolare e alcuni semplici mobili, come erano le case di allora. Forse nell’angolo più lontano c’erano dei letti.
“Gesù, la suocera di Pietro è molto malata, ha un febbrone terribile... devi scusare se c’è disordine e non c’è niente di pronto... devi avere pazienza...” dissero sottovoce al Signore.
Gesù immediatamente si avvicinò alla donna e la prese per mano. Scottava. Si chinò su lei e, come racconta l’evangelista Luca, “sgridò la febbre”. La febbre sparì immediatamente.
La donna aprì gli occhi, fresca come una rosa, si mise a sedere, saltò giù dal letto e si mise immediatamente a servire il Signore e i suoi accompagnatori. Avrebbe potuto fare una lunga tirata sui suoi mali, le sue sofferenze e raccontare per filo e per segno ogni suo disturbo (ai malati piace farlo), invece non disse nulla. Non una sua parola è ricordata. Solo è detto che si mise a servire.
Ci sono alcune cose importanti da notare: appena i parenti e gli amici parlarono di lei al Signore, Egli intervenne. La guarì.
Quando ci rivolgiamo al Signore, Lui ci ascolta sempre e interviene. Se gli chiediamo umilmente il perdono e la grazia della salvezza, riconoscendo che siamo dei peccatori immeritevoli, Lui ce li concede immediatamente. “Chi viene a me, io non lo caccerò fuori” promette. E non può mentire.
Per altre richieste, a volte, ci fa aspettare o ci esaudisce secondo quello che è per il nostro bene. Ma ci ascolta sempre.
Ma c’è di più. Se abbiamo creduto in Lui, se siamo stati guariti dal nostro peccato, se siamo stati perdonati, non abbiamo altra scelta, se non quella di servirlo, secondo le nostre capacità e possibilità, come fece la suocera di Pietro. Se non lo facciamo siamo dei perfetti ingrati. Quella donna avrà acceso il fuoco, arrostito dei pesci, preparato la tavola. Avrà lavato i piedi ai suoi visitatori e servito il pasto con gli occhi che le sprizzavano di gioia per la salute ritrovata e un grande sorriso riconoscente. Cose semplici che sapeva fare.
E da duemila anni, cioè da quando i Vangeli di Matteo, Marco e Luca sono stati scritti, la sua azione è ricordata e ci serve da esempio. Che gioia stare bene e servire! Bene nel profondo del cuore, soprattutto!
Questa storia si trova in Matteo 8:14-17; Marco 1:29-31; Luca 4:38,39.
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Per di più, proprio nella sinagoga, c’era un uomo posseduto da un demonio che gridava come un pazzo: “Che c’è fra noi e te, Gesù di Nazaret? Sei venuto a mandarci in perdizione? Sappiamo chi sei: Sei il Santo di Dio!” Un chiasso incredibile.
“Sta zitto!” comandò Gesù (mai Egli ha accettato la testimonianza di un demone, anche se veritiera). “Esci da quest’uomo!”
Il demone ubbidì e uscì da quell’uomo, straziandolo (forse con un attacco di convulsioni), fra lo stupore generale. Che emozione! Tutto il villaggio immediatamente lo venne a sapere e ne parlò. Gesù, con i quattro discepoli, uscì dalla sinagoga e andò a casa di Pietro.
Era una casa semplice, da operaio. Probabilmente era composta da una grande stanza, con un focolare e alcuni semplici mobili, come erano le case di allora. Forse nell’angolo più lontano c’erano dei letti.
“Gesù, la suocera di Pietro è molto malata, ha un febbrone terribile... devi scusare se c’è disordine e non c’è niente di pronto... devi avere pazienza...” dissero sottovoce al Signore.
Gesù immediatamente si avvicinò alla donna e la prese per mano. Scottava. Si chinò su lei e, come racconta l’evangelista Luca, “sgridò la febbre”. La febbre sparì immediatamente.
La donna aprì gli occhi, fresca come una rosa, si mise a sedere, saltò giù dal letto e si mise immediatamente a servire il Signore e i suoi accompagnatori. Avrebbe potuto fare una lunga tirata sui suoi mali, le sue sofferenze e raccontare per filo e per segno ogni suo disturbo (ai malati piace farlo), invece non disse nulla. Non una sua parola è ricordata. Solo è detto che si mise a servire.
Ci sono alcune cose importanti da notare: appena i parenti e gli amici parlarono di lei al Signore, Egli intervenne. La guarì.
Quando ci rivolgiamo al Signore, Lui ci ascolta sempre e interviene. Se gli chiediamo umilmente il perdono e la grazia della salvezza, riconoscendo che siamo dei peccatori immeritevoli, Lui ce li concede immediatamente. “Chi viene a me, io non lo caccerò fuori” promette. E non può mentire.
Per altre richieste, a volte, ci fa aspettare o ci esaudisce secondo quello che è per il nostro bene. Ma ci ascolta sempre.
Ma c’è di più. Se abbiamo creduto in Lui, se siamo stati guariti dal nostro peccato, se siamo stati perdonati, non abbiamo altra scelta, se non quella di servirlo, secondo le nostre capacità e possibilità, come fece la suocera di Pietro. Se non lo facciamo siamo dei perfetti ingrati. Quella donna avrà acceso il fuoco, arrostito dei pesci, preparato la tavola. Avrà lavato i piedi ai suoi visitatori e servito il pasto con gli occhi che le sprizzavano di gioia per la salute ritrovata e un grande sorriso riconoscente. Cose semplici che sapeva fare.
E da duemila anni, cioè da quando i Vangeli di Matteo, Marco e Luca sono stati scritti, la sua azione è ricordata e ci serve da esempio. Che gioia stare bene e servire! Bene nel profondo del cuore, soprattutto!
Questa storia si trova in Matteo 8:14-17; Marco 1:29-31; Luca 4:38,39.
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Una mamma come noi
Quando i miei figli erano in America all’Università, non c’era Skype, i telefoni non facevano tariffe speciali per l’estero. Si comunicava con le lettere. Noi ci scrivevamo una volta alla settimana. Io spesso mi preoccupavo: si copriranno abbastanza quando fa freddo? Mangeranno cose giuste o andranno avanti solo a patatine? E se Deborah incontrasse un tipo cattivo quando torna a casa la sera? E se... e se... e se?
Non era una bello. Finché non ho capito che non aiutavo nessuno preoccupandomi. Avrei fatto meglio a trasformare le mie preoccupazioni in preghiere.
Maria di Nazaret è stata un esempio di sottomissione e di ubbidienza (lo abbiamo detto la volta scorsa) nelle cose grandi. Ma in altri casi, si preoccupava, come una mamma qualsiasi, per suo Figlio. Anche nell’episodio di Gesù a 12 anni, nel tempio di Gerusalemme, la vediamo che rimprovera il ragazzo, che lei e Giuseppe avevano cercato per tre giorni, e gli dice: “Figlio, perché ci hai fatto così? Tuo padre ed io ti cercavamo, stando in gran pena!”
I Vangeli non dicono nulla sui circa 20 anni che seguirono. Evidentemente la famiglia di Giuseppe e Maria viveva normalmente a Nazaret, come una qualsiasi famiglia di artigiani. Forse Maria ha continuato a preoccuparsi per tutti i suoi figli, anche se Gesù non le dava pensiero (Giovanni 2:51).
Quando ebbe circa 30 anni, Gesù andò a farsi battezzare da Giovanni Battista e iniziò il suo ministero di insegnamento, di predicazione e di guarigioni miracolose. Le folle lo seguivano entusiaste.
A Cana, in Galilea, in occasione di un matrimonio a cui partecipavano Maria, Gesù e i suoi discepoli, Maria si accorge che il vino era finito. Bisognava provvedere!
Forse ha pensato: “Gesù è stato sempre bravo, servizievole e capace... Gli dico che faccia qualcosa!”. Forse pensava che si sarebbe precipitato in paese per provvedere dell’altro vino?
Ne parla a Gesù e Lui le fa capire che avrebbe preso ordini solo da suo Padre. Però essa dà, in ogni modo, ai servi un ordine: “Fate quello che vi dirà”.
Dopo poco, Gesù cambia dell’acqua in un vino di ottima qualità. È il suo primo miracolo.
Maria aveva dato un ordine giusto: “Fate quello che vi dirà”. Lo darebbe di nuovo, se oggi fosse viva. Direbbe: “Se Lui vi dice di credere, credete! Se afferma di essere l’unica via di salvezza e l’unico mediatore fra Dio e gli uomini, credetegli! Se dice che nessuno arriva al Padre se non per mezzo di Lui, credetegli! Se dice che chi non crede in Lui perirà nell’inferno, credetegli!”.
Ma torniamo al racconto dei Vangeli e alla tendenza di Maria a preoccuparsi.
Agli inizi del suo ministero pubblico, Gesù era assediato dalla folla. Gli portavano i malati e Lui li guariva. Cacciava demoni dagli indemoniati. Sanava i lebbrosi. La pressione era tanta che né Gesù né i discepoli avevano il tempo di mangiare. In più c’erano molti religiosi, lividi di invidia, che insinuavano che Gesù facesse tutti quei miracoli con l’aiuto di Satana. Un’accusa grave.
Maria e gli altri suoi figli, preoccupati e forse in agitazione, decidono di intervenire in favore di Gesù: “È fuori si sé” dicevano (Marco 3:21). “Bisogna fare qualcosa... si deve riposare... se va avanti così schiatterà... Quello che è troppo è troppo. Esagera... è diventato matto...”
Si avvicinano alla casa in cui era Gesù e lo fanno chiamare.
“Gesù, ci sono là fuori tua madre, i tuoi fratelli e le tue sorelle che ti cercano!” gli dicono alcuni. Di nuovo, Gesù prende le distanze: “Chi è mia madre? E chi sono i miei fratelli?... Chiunque avrà fatto la volontà di Dio mi è fratello, sorella e madre” (Marco 3:33,35).
È chiaro che né Maria né i fratelli di Gesù avevano capito la portata del ministero di Gesù e l’importanza della sua venuta. Giovanni l’evangelista, tre anni dopo questo episodio, dirà: “Neppure i suoi fratelli credevano in Lui” (7:5). Come era possibile una simile dimenticanza, dopo l’annuncio degli angeli, la nascita miracolosa, il coro angelico che inneggiava al Bambino? Forse, dopo trent’anni di vita normale, anche le esperienze più straordinarie possono diventare meno vivide... Non sembra che in famiglia capissero che Gesù era il Messia. D’altra parte, se il Messia doveva essere un trionfatore e Gesù era così poco apprezzato, qualche dubbio poteva venire. Perfino Giovanni Battista aveva dubitato....
Maria, è nominata solo altre due volte nei Vangeli. Una alla croce e un’altra dopo l’ascensione di Gesù. Nel frattempo, sarà tornata a Nazaret? Non si sa.
Alla croce, Maria vede suo Figlio torturato, appeso fra cielo e terra, e ne osserva l’agonia straziante. Gesù la vede, vicina a Giovanni, e trova la forza di affidarla a quel discepolo tanto amato. Giovanni, da quel momento la prende con sé, come un figlio. Non è ricordata nessuna parola di lei. Forse il dolore l’aveva resa muta.
Poi, nel Libro degli Atti degli Apostoli, Maria è nominata, mentre con i discepoli, altre donne e i fratelli di Gesù, circa centoventi persone, prega e aspetta la discesa dello Spirito Santo.
Viene la Festa della Pentecoste, Gerusalemme è piena di gente venuta per adorare nel Tempio. Lo Spirito Santo scende e riempie quei centoventi fedeli. Pietro predica e si convertono 3000 persone. È l‘inizio della chiesa cristiana e dell’espansione del Vangelo.
Così si chiude tutto quello che si sa su Maria. A noi resta l’esempio di una donna sottomessa a Dio, ubbidiente, normale nei suoi sentimenti e l’ascolto del suo unico ordine: “Fate tutto quello che Gesù vi dirà”. Lo fai?
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Non era una bello. Finché non ho capito che non aiutavo nessuno preoccupandomi. Avrei fatto meglio a trasformare le mie preoccupazioni in preghiere.
Maria di Nazaret è stata un esempio di sottomissione e di ubbidienza (lo abbiamo detto la volta scorsa) nelle cose grandi. Ma in altri casi, si preoccupava, come una mamma qualsiasi, per suo Figlio. Anche nell’episodio di Gesù a 12 anni, nel tempio di Gerusalemme, la vediamo che rimprovera il ragazzo, che lei e Giuseppe avevano cercato per tre giorni, e gli dice: “Figlio, perché ci hai fatto così? Tuo padre ed io ti cercavamo, stando in gran pena!”
I Vangeli non dicono nulla sui circa 20 anni che seguirono. Evidentemente la famiglia di Giuseppe e Maria viveva normalmente a Nazaret, come una qualsiasi famiglia di artigiani. Forse Maria ha continuato a preoccuparsi per tutti i suoi figli, anche se Gesù non le dava pensiero (Giovanni 2:51).
Quando ebbe circa 30 anni, Gesù andò a farsi battezzare da Giovanni Battista e iniziò il suo ministero di insegnamento, di predicazione e di guarigioni miracolose. Le folle lo seguivano entusiaste.
A Cana, in Galilea, in occasione di un matrimonio a cui partecipavano Maria, Gesù e i suoi discepoli, Maria si accorge che il vino era finito. Bisognava provvedere!
Forse ha pensato: “Gesù è stato sempre bravo, servizievole e capace... Gli dico che faccia qualcosa!”. Forse pensava che si sarebbe precipitato in paese per provvedere dell’altro vino?
Ne parla a Gesù e Lui le fa capire che avrebbe preso ordini solo da suo Padre. Però essa dà, in ogni modo, ai servi un ordine: “Fate quello che vi dirà”.
Dopo poco, Gesù cambia dell’acqua in un vino di ottima qualità. È il suo primo miracolo.
Maria aveva dato un ordine giusto: “Fate quello che vi dirà”. Lo darebbe di nuovo, se oggi fosse viva. Direbbe: “Se Lui vi dice di credere, credete! Se afferma di essere l’unica via di salvezza e l’unico mediatore fra Dio e gli uomini, credetegli! Se dice che nessuno arriva al Padre se non per mezzo di Lui, credetegli! Se dice che chi non crede in Lui perirà nell’inferno, credetegli!”.
Ma torniamo al racconto dei Vangeli e alla tendenza di Maria a preoccuparsi.
Agli inizi del suo ministero pubblico, Gesù era assediato dalla folla. Gli portavano i malati e Lui li guariva. Cacciava demoni dagli indemoniati. Sanava i lebbrosi. La pressione era tanta che né Gesù né i discepoli avevano il tempo di mangiare. In più c’erano molti religiosi, lividi di invidia, che insinuavano che Gesù facesse tutti quei miracoli con l’aiuto di Satana. Un’accusa grave.
Maria e gli altri suoi figli, preoccupati e forse in agitazione, decidono di intervenire in favore di Gesù: “È fuori si sé” dicevano (Marco 3:21). “Bisogna fare qualcosa... si deve riposare... se va avanti così schiatterà... Quello che è troppo è troppo. Esagera... è diventato matto...”
Si avvicinano alla casa in cui era Gesù e lo fanno chiamare.
“Gesù, ci sono là fuori tua madre, i tuoi fratelli e le tue sorelle che ti cercano!” gli dicono alcuni. Di nuovo, Gesù prende le distanze: “Chi è mia madre? E chi sono i miei fratelli?... Chiunque avrà fatto la volontà di Dio mi è fratello, sorella e madre” (Marco 3:33,35).
È chiaro che né Maria né i fratelli di Gesù avevano capito la portata del ministero di Gesù e l’importanza della sua venuta. Giovanni l’evangelista, tre anni dopo questo episodio, dirà: “Neppure i suoi fratelli credevano in Lui” (7:5). Come era possibile una simile dimenticanza, dopo l’annuncio degli angeli, la nascita miracolosa, il coro angelico che inneggiava al Bambino? Forse, dopo trent’anni di vita normale, anche le esperienze più straordinarie possono diventare meno vivide... Non sembra che in famiglia capissero che Gesù era il Messia. D’altra parte, se il Messia doveva essere un trionfatore e Gesù era così poco apprezzato, qualche dubbio poteva venire. Perfino Giovanni Battista aveva dubitato....
Maria, è nominata solo altre due volte nei Vangeli. Una alla croce e un’altra dopo l’ascensione di Gesù. Nel frattempo, sarà tornata a Nazaret? Non si sa.
Alla croce, Maria vede suo Figlio torturato, appeso fra cielo e terra, e ne osserva l’agonia straziante. Gesù la vede, vicina a Giovanni, e trova la forza di affidarla a quel discepolo tanto amato. Giovanni, da quel momento la prende con sé, come un figlio. Non è ricordata nessuna parola di lei. Forse il dolore l’aveva resa muta.
Poi, nel Libro degli Atti degli Apostoli, Maria è nominata, mentre con i discepoli, altre donne e i fratelli di Gesù, circa centoventi persone, prega e aspetta la discesa dello Spirito Santo.
Viene la Festa della Pentecoste, Gerusalemme è piena di gente venuta per adorare nel Tempio. Lo Spirito Santo scende e riempie quei centoventi fedeli. Pietro predica e si convertono 3000 persone. È l‘inizio della chiesa cristiana e dell’espansione del Vangelo.
Così si chiude tutto quello che si sa su Maria. A noi resta l’esempio di una donna sottomessa a Dio, ubbidiente, normale nei suoi sentimenti e l’ascolto del suo unico ordine: “Fate tutto quello che Gesù vi dirà”. Lo fai?
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“Fate tutto quello che vi dirà”
Quando ho cominciato a leggere la Bibbia per conto mio, sono rimasta colpita dalla gentilezza e il rispetto con cui Gesù, mentre era sulla terra, trattava le donne. Queste non contavano molto, a quei tempi, in Palestina. Tanto che gli uomini, al mattino, avevano l’abitudine di pregare così: “O Dio, ti ringrazio perché non sono donna!”. Mica male, eh?
Perciò penso che sarà interessante per tutti noi fare una carrellata degli incontri di Gesù con alcune donne, come sono descritti nei Vangeli.
Certamente fra loro la più importante è stata Maria di Nazaret, scelta da Dio per mandare ad effetto il grande miracolo dell’incarnazione del Figlio di Dio.
Però, se potesse vedere quello che oggi si fa in suo onore, ne sarebbe rattristata e indignata, perché, durante la sua vita, non ha mai cercato né onori né fama. Ha sempre lasciato a suo Figlio il primo posto. Ora chiedete perché dico “se potesse vedere”?
Ve lo dico subito. In nessun passo della Bibbia è detto che i morti vedano quello che succede sulla terra e che Maria sia impegnata in cielo a intercedere per i vivi presso suo Figlio, come insegna la chiesa di Roma. Non è la mediatrice di tutte le grazie, la regina gloriosa del paradiso. La sua anima è in cielo, come quella di qualsiasi altro credente che ha accettato il dono della salvezza acquistata da Cristo alla croce, e gode la presenza di suo Figlio che lei stessa ha chiamato “Dio, mio salvatore”!
Maria non è nata senza peccato, il suo corpo non è stato assunto in cielo, ma è ancora sepolto non si sa dove, e aspetta la resurrezione. Maria non ha nessuna posizione privilegiata.
Di lei, i Vangeli parlano poco. Viveva a Nazareth, era vergine, fidanzata di Giuseppe, un falegname. Era una discendente del Re Davide e un giorno un angelo le disse che lo Spirito Santo l’avrebbe avvolta e, miracolosamente, le avrebbe dato di concepire un bambino, il Messia atteso dagli Ebrei. Un onore immenso, per cui in tutte le età sarebbe stata ammirata.
Dopo un momento di timore e sorpresa, “Va bene” disse all’angelo, “io sono la serva del Signore. Mi sia fatto come Dio vuole”.
Fu un atto di sottomissione fiduciosa, ma piena di rischi. Giuseppe avrebbe potuto denunciarla come infedele alla sua promessa di fidanzata. I religiosi avrebbero potuto anche lapidarla. Lei, però, piena di riconoscenza per il grande onore che le era stato fatto, intonò un cantico magnifico, in cui esaltava la misericordia del Signore, che finalmente stava per mandare nel mondo un Messia, un potente Salvatore, adempiendo le promesse dei profeti (Luca 1:46-55). La sottomissione fu una caratteristica della sua vita.
Sposò Giuseppe, diede alla luce Gesù in un stalla, insieme con Giuseppe andò in Egitto per scampare alla persecuzione del re Erode.
Tornati a Nazaret, Giuseppe e Maria ebbero altri figli, Giacomo, Giuseppe, Simone, Giuda e alcune figlie (Matteo 13:55). Gesù crebbe con loro e imparò il mestiere di falegname. Visse come un ragazzo qualsiasi.
Ogni anno la famiglia saliva a Gerusalemme per adorare il Signore. Quando aveva 12 anni, in occasione di quella visita annuale, Gesù si allontanò dai genitori e rimase a discutere con i dottori della Legge nel tempio. Maria e Giuseppe lo cercarono preoccupati e lo rimproverarono perché li aveva fatti stare in pensiero.
Il ragazzo disse loro, con rispetto, ma anche con autorità: “Perché mi cercavate? Non sapevate che mi dovevo trovare nella casa del Padre mio?”.
Poi, di Maria, non si sa più nulla, fino al momento in cui Gesù iniziò il suo ministero all’età di 30 anni. Ne parleremo la prossima volta. Per oggi impariamo da lei la meravigliosa qualità della sottomissione e dell’umiltà. E non è poco!
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Di lei, i Vangeli parlano poco. Viveva a Nazareth, era vergine, fidanzata di Giuseppe, un falegname. Era una discendente del Re Davide e un giorno un angelo le disse che lo Spirito Santo l’avrebbe avvolta e, miracolosamente, le avrebbe dato di concepire un bambino, il Messia atteso dagli Ebrei. Un onore immenso, per cui in tutte le età sarebbe stata ammirata.
Dopo un momento di timore e sorpresa, “Va bene” disse all’angelo, “io sono la serva del Signore. Mi sia fatto come Dio vuole”.
Fu un atto di sottomissione fiduciosa, ma piena di rischi. Giuseppe avrebbe potuto denunciarla come infedele alla sua promessa di fidanzata. I religiosi avrebbero potuto anche lapidarla. Lei, però, piena di riconoscenza per il grande onore che le era stato fatto, intonò un cantico magnifico, in cui esaltava la misericordia del Signore, che finalmente stava per mandare nel mondo un Messia, un potente Salvatore, adempiendo le promesse dei profeti (Luca 1:46-55). La sottomissione fu una caratteristica della sua vita.
Sposò Giuseppe, diede alla luce Gesù in un stalla, insieme con Giuseppe andò in Egitto per scampare alla persecuzione del re Erode.
Tornati a Nazaret, Giuseppe e Maria ebbero altri figli, Giacomo, Giuseppe, Simone, Giuda e alcune figlie (Matteo 13:55). Gesù crebbe con loro e imparò il mestiere di falegname. Visse come un ragazzo qualsiasi.
Ogni anno la famiglia saliva a Gerusalemme per adorare il Signore. Quando aveva 12 anni, Gesù si allontanò dai genitori e rimase con i dottori nel tempio. Maria Giuseppe lo cercarono preoccupati e lo rimproverarono perché li aveva fatti stare in pensiero. Il ragazzo disse loro, con rispetto, ma autorità: “Perché mi cercavate? Non sapevate che mi dovevo trovare nella casa del Padre mio?”
Poi più nulla, fino al momento in cui Gesù iniziò il suo ministero all’età di 30 anni.
Ma di Lui e di Maria parleremo anche la prossima volta. Per oggi impariamo da lei la meravigliosa qualità della sottomissione e dell’umiltà. E non è poco!
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Perciò penso che sarà interessante per tutti noi fare una carrellata degli incontri di Gesù con alcune donne, come sono descritti nei Vangeli.
Certamente fra loro la più importante è stata Maria di Nazaret, scelta da Dio per mandare ad effetto il grande miracolo dell’incarnazione del Figlio di Dio.
Però, se potesse vedere quello che oggi si fa in suo onore, ne sarebbe rattristata e indignata, perché, durante la sua vita, non ha mai cercato né onori né fama. Ha sempre lasciato a suo Figlio il primo posto. Ora chiedete perché dico “se potesse vedere”?
Ve lo dico subito. In nessun passo della Bibbia è detto che i morti vedano quello che succede sulla terra e che Maria sia impegnata in cielo a intercedere per i vivi presso suo Figlio, come insegna la chiesa di Roma. Non è la mediatrice di tutte le grazie, la regina gloriosa del paradiso. La sua anima è in cielo, come quella di qualsiasi altro credente che ha accettato il dono della salvezza acquistata da Cristo alla croce, e gode la presenza di suo Figlio che lei stessa ha chiamato “Dio, mio salvatore”!
Maria non è nata senza peccato, il suo corpo non è stato assunto in cielo, ma è ancora sepolto non si sa dove, e aspetta la resurrezione. Maria non ha nessuna posizione privilegiata.
Di lei, i Vangeli parlano poco. Viveva a Nazareth, era vergine, fidanzata di Giuseppe, un falegname. Era una discendente del Re Davide e un giorno un angelo le disse che lo Spirito Santo l’avrebbe avvolta e, miracolosamente, le avrebbe dato di concepire un bambino, il Messia atteso dagli Ebrei. Un onore immenso, per cui in tutte le età sarebbe stata ammirata.
Dopo un momento di timore e sorpresa, “Va bene” disse all’angelo, “io sono la serva del Signore. Mi sia fatto come Dio vuole”.
Fu un atto di sottomissione fiduciosa, ma piena di rischi. Giuseppe avrebbe potuto denunciarla come infedele alla sua promessa di fidanzata. I religiosi avrebbero potuto anche lapidarla. Lei, però, piena di riconoscenza per il grande onore che le era stato fatto, intonò un cantico magnifico, in cui esaltava la misericordia del Signore, che finalmente stava per mandare nel mondo un Messia, un potente Salvatore, adempiendo le promesse dei profeti (Luca 1:46-55). La sottomissione fu una caratteristica della sua vita.
Sposò Giuseppe, diede alla luce Gesù in un stalla, insieme con Giuseppe andò in Egitto per scampare alla persecuzione del re Erode.
Tornati a Nazaret, Giuseppe e Maria ebbero altri figli, Giacomo, Giuseppe, Simone, Giuda e alcune figlie (Matteo 13:55). Gesù crebbe con loro e imparò il mestiere di falegname. Visse come un ragazzo qualsiasi.
Ogni anno la famiglia saliva a Gerusalemme per adorare il Signore. Quando aveva 12 anni, in occasione di quella visita annuale, Gesù si allontanò dai genitori e rimase a discutere con i dottori della Legge nel tempio. Maria e Giuseppe lo cercarono preoccupati e lo rimproverarono perché li aveva fatti stare in pensiero.
Il ragazzo disse loro, con rispetto, ma anche con autorità: “Perché mi cercavate? Non sapevate che mi dovevo trovare nella casa del Padre mio?”.
Poi, di Maria, non si sa più nulla, fino al momento in cui Gesù iniziò il suo ministero all’età di 30 anni. Ne parleremo la prossima volta. Per oggi impariamo da lei la meravigliosa qualità della sottomissione e dell’umiltà. E non è poco!
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Di lei, i Vangeli parlano poco. Viveva a Nazareth, era vergine, fidanzata di Giuseppe, un falegname. Era una discendente del Re Davide e un giorno un angelo le disse che lo Spirito Santo l’avrebbe avvolta e, miracolosamente, le avrebbe dato di concepire un bambino, il Messia atteso dagli Ebrei. Un onore immenso, per cui in tutte le età sarebbe stata ammirata.
Dopo un momento di timore e sorpresa, “Va bene” disse all’angelo, “io sono la serva del Signore. Mi sia fatto come Dio vuole”.
Fu un atto di sottomissione fiduciosa, ma piena di rischi. Giuseppe avrebbe potuto denunciarla come infedele alla sua promessa di fidanzata. I religiosi avrebbero potuto anche lapidarla. Lei, però, piena di riconoscenza per il grande onore che le era stato fatto, intonò un cantico magnifico, in cui esaltava la misericordia del Signore, che finalmente stava per mandare nel mondo un Messia, un potente Salvatore, adempiendo le promesse dei profeti (Luca 1:46-55). La sottomissione fu una caratteristica della sua vita.
Sposò Giuseppe, diede alla luce Gesù in un stalla, insieme con Giuseppe andò in Egitto per scampare alla persecuzione del re Erode.
Tornati a Nazaret, Giuseppe e Maria ebbero altri figli, Giacomo, Giuseppe, Simone, Giuda e alcune figlie (Matteo 13:55). Gesù crebbe con loro e imparò il mestiere di falegname. Visse come un ragazzo qualsiasi.
Ogni anno la famiglia saliva a Gerusalemme per adorare il Signore. Quando aveva 12 anni, Gesù si allontanò dai genitori e rimase con i dottori nel tempio. Maria Giuseppe lo cercarono preoccupati e lo rimproverarono perché li aveva fatti stare in pensiero. Il ragazzo disse loro, con rispetto, ma autorità: “Perché mi cercavate? Non sapevate che mi dovevo trovare nella casa del Padre mio?”
Poi più nulla, fino al momento in cui Gesù iniziò il suo ministero all’età di 30 anni.
Ma di Lui e di Maria parleremo anche la prossima volta. Per oggi impariamo da lei la meravigliosa qualità della sottomissione e dell’umiltà. E non è poco!
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Vedere la mano di Dio: un’abitudine importante
Maria Teresa, da quando ho scoperto il suo blog passo a leggerla volentieri però devo dire che il post di oggi mi suscita non poca invidia: non posso testimoniare niente del genere e vivo notevoli difficoltà.... Dio pare sordo alle mie accorate richieste di aiuto: avrà dei figli preferiti? forse sono una figlia non meritevole? La saluto con simpatia, SimonaCara Simona, perdonami se non ti ho risposto prima, ma non ci sono riuscita. Grazie perché mi leggi e grazie del tuo commento al mio post “Un abito su misura e una pranzo ai Castelli Romani”.
Mi dispiace molto che tu abbia, in questo momento, dei problemi e che tu abbia l’impressione che Dio sia un po’ troppo silenzioso con te. Purtroppo, una volta o l’altra, succede a tutti.
Però, devo subito mettere dei puntini sulle i.
- Dio non ha figli preferiti e non funziona secondo i meriti dei suoi figli. Se avesse dei figli preferiti, non sarebbe giusto e se noi fossimo benedetti per i nostri meriti, dove andrebbe la grazia? Noi riceviamo la salvezza perché crediamo in Cristo come nostra unica speranza e unico Signore, Salvatore e Mediatore. Infatti, l’apostolo Paolo ha detto che non siamo salvati per opere buone che abbiamo fatte, ma per la misericordia di Dio (Tito 3:5). Quindi togliti dalla testa l’idea dei “meriti”, come mezzi per ricevere le benedizioni del Signore.
- Dio è sovrano e fa e decide quello che è bene per ognuno di noi. Non ha il dovere di spiegarci tutti i suoi “perché”, né di rivelarci i suoi piani. Probabilmente molte volte non li capiremmo, in ogni modo, dato che Lui ha un modo di valutare le cose diverso dal nostro e che ha dei “tempi” suoi per la nostra vita. Quello che invece dobbiamo fare è vivere nella fiducia. Sia che quello che ci succede ci piaccia o no.
- Personalmente, sono persuasa che l’unico modo per funzionare felicemente nella nostra vita terrena, come suoi figli, sia approfondire la nostra conoscenza del suo carattere, secondo quanto insegna la Parola di Dio.
La Bibbia dice anche che Dio è giusto, perciò credo non fa ingiustizie. È santo, perciò non pecca. È fedele perciò non viene meno alle sue promesse. È misericordioso perciò ci capisce e ha pietà di noi. E così via e così avanti.
Dato che ha detto che i suoi pensieri non sono i miei pensieri e le sue vie non sono le mie vie, io mi devo radicare in queste verità, anche se non le capisco.
E devo anche abituarmi a discernere la sua mano non solo nelle grandi cose, ma anche nelle piccole, piccolissime cose della vita. Come indicarmi un negozio che fa i prezzi migliori e ha la verdura più fresca o fa cessare la pioggia quando devo scendere dalla macchina. O mi fa ritrovare una banconota che era stata dimenticata in un cassetto.
Questa abitudine mi permette di vivere nella gratitudine. Due settimane fa, sono scivolata e distorta malamente una caviglia. L’ho ringraziato mille volte che non mi sono rotta un femore (cosa che è piuttosto normale per chi cade alla mia età) e ho sperimentato la sua cura.
Però, ora voglio farti anche una domanda: hai veramente creduto nel Signore Gesù come unico tuo Salvatore e Signore? Hai accettato il dono della sua salvezza? Vivi nella consapevolezza che tu dipendi da Lui e ti sottometti alla sua volontà? Questo è essenziale per partire col piede giusto e sapere per esperienza di essere trattata da Lui come una figlia. Scrivimi ancora, se ti fa piacere. Ciao!
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GESUMMARIA!
Ve la ricordate la moglie del Principone che, nel romanzo “Il Gattopardo”, esclamava “Gesummaria!” e si faceva il segno della croce, quando il marito le si accostava sotto le coperte? Beh, penso che di “mogli di principoni” ne ho conosciute molte, anche se oggi di sesso si parla apertamente, volgarmente e spudoratamente in tutte le salse. Ma se ne parla male, i ragazzi lo sperimentano da giovanissimi e quello che Dio ha stabilito, come qualcosa di bello e di sacro, è considerato un gioco, uno sfizio, uno sfogo.
Ma non deve essere così e i genitori invece di lasciare alla scuola il compito di fare l’educazione sessuale dei loro figli, dovrebbero pensarci loro, parlandone con grande rispetto e trasparenza. Dopo tutto, il sesso è un dono di Dio, come il gusto, l’olfatto e il tatto.
Nel romanzo “Il Gattopardo”, la moglie si ritirava in buon ordine nella sua cuccia, davanti alle avances del marito e il Principone andava a consolarsi con prostitute meno religiose e più comprensive. Ma sbagliava da un’altra parte.
Purtroppo, anche fra coniugi che si amano, anche fra coniugi credenti che conoscono la Bibbia e hanno letto il Cantico dei Cantici, il Libro dei Proverbi e il Capitolo 7 della prima lettera ai Corinzi, le relazioni intime possono essere un grosso motivo di litigio, oltre a essere fonte di tristezza, insoddisfazione e incomprensione.
“Ma gli ho già dato due figli!” mi ha detto una volta una donna. “Cosa vuole di più?”
“Vuole te, cara” le ho risposto. “Per fare due figli, bastano due volte! Ma il matrimonio dura tutta la vita. Le relazioni intime non hanno solo lo scopo di fare figli, come insegna la Chiesa Cattolica, ma sono un modo di dimostrare l’amore, la fiducia, il dono di sé che gli sposi dedicano l’uno all’altro. Significano ti amo, sono tua, tu sei mio. Siamo una cosa sola, indissolubile e completa. Insieme, noi due, per la vita”.
La volta scorsa, nel post in cui abbiamo parlato di dialogo, abbiamo visto l’importanza di parlare, dialogare, capirsi. Anche del lato intimo del matrimonio bisogna parlare col marito. Dirgli quello che ci piace e quello che non apprezziamo. Spiegarsi e venirsi incontro. Dirgli che ci piace se si fa la barba e si mette il deodorante. Dirgli tutto, insomma, senza vergogna o falsi pudori. E lui lo aprezzerà.
C’è, però, una cosa che può rovinare – e l’ho visto coi miei occhi – i matrimoni e i ragazzi con cui parliamo, e le nostre figlie lo devono sapere e devono essere avvisate. Sperimentare, fare all’amore alla leggera prima del matrimonio, fosse pure col fidanzato che si sta per sposare, è il modo perfetto per rovinare il futuro. Lui pensa: “Con quanti altri sarà andata, se ha ceduto con me?” e lei rimugina: “Se mi avesse davvero amata, mi avrebbe rispettata”.
E l’ombra rimane. Se non si dissipa col perdono reciproco, sarà sempre fonte di litigi.
Perciò è molto meglio poter dire, la prima notte, dopo che invitati e parenti se ne sono andati e si crolla dalla stanchezza in un bell’albergo: “Tu sei l’unico”.
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Ma non deve essere così e i genitori invece di lasciare alla scuola il compito di fare l’educazione sessuale dei loro figli, dovrebbero pensarci loro, parlandone con grande rispetto e trasparenza. Dopo tutto, il sesso è un dono di Dio, come il gusto, l’olfatto e il tatto.
Nel romanzo “Il Gattopardo”, la moglie si ritirava in buon ordine nella sua cuccia, davanti alle avances del marito e il Principone andava a consolarsi con prostitute meno religiose e più comprensive. Ma sbagliava da un’altra parte.
Purtroppo, anche fra coniugi che si amano, anche fra coniugi credenti che conoscono la Bibbia e hanno letto il Cantico dei Cantici, il Libro dei Proverbi e il Capitolo 7 della prima lettera ai Corinzi, le relazioni intime possono essere un grosso motivo di litigio, oltre a essere fonte di tristezza, insoddisfazione e incomprensione.
“Ma gli ho già dato due figli!” mi ha detto una volta una donna. “Cosa vuole di più?”
“Vuole te, cara” le ho risposto. “Per fare due figli, bastano due volte! Ma il matrimonio dura tutta la vita. Le relazioni intime non hanno solo lo scopo di fare figli, come insegna la Chiesa Cattolica, ma sono un modo di dimostrare l’amore, la fiducia, il dono di sé che gli sposi dedicano l’uno all’altro. Significano ti amo, sono tua, tu sei mio. Siamo una cosa sola, indissolubile e completa. Insieme, noi due, per la vita”.
La volta scorsa, nel post in cui abbiamo parlato di dialogo, abbiamo visto l’importanza di parlare, dialogare, capirsi. Anche del lato intimo del matrimonio bisogna parlare col marito. Dirgli quello che ci piace e quello che non apprezziamo. Spiegarsi e venirsi incontro. Dirgli che ci piace se si fa la barba e si mette il deodorante. Dirgli tutto, insomma, senza vergogna o falsi pudori. E lui lo aprezzerà.
C’è, però, una cosa che può rovinare – e l’ho visto coi miei occhi – i matrimoni e i ragazzi con cui parliamo, e le nostre figlie lo devono sapere e devono essere avvisate. Sperimentare, fare all’amore alla leggera prima del matrimonio, fosse pure col fidanzato che si sta per sposare, è il modo perfetto per rovinare il futuro. Lui pensa: “Con quanti altri sarà andata, se ha ceduto con me?” e lei rimugina: “Se mi avesse davvero amata, mi avrebbe rispettata”.
E l’ombra rimane. Se non si dissipa col perdono reciproco, sarà sempre fonte di litigi.
Perciò è molto meglio poter dire, la prima notte, dopo che invitati e parenti se ne sono andati e si crolla dalla stanchezza in un bell’albergo: “Tu sei l’unico”.
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Non ci capiamo più
“Non mi sta a sentire... dice che non ha tempo... che non vale la pena parlare, perché non ci capiamo in ogni modo... se poi parliamo finiamo in un bisticcio...”
Quante coppie mi hanno detto che non riescono a parlare e se lo fanno litigano! Da fidanzati non era così, ma ora da sposati è tutta un’altra cosa.
Io vorrei dire subito almeno due cose. O tre. O quattro. Insomma, statemi a sentire!
La prima cosa, di cui non teniamo abbastanza conto, è la differenza fondamentale che esiste fra uomini e donne. Nel loro modo di fare e di funzionare.
Noi donne siamo emotive e intuitive, perciò vorremmo che gli uomini - mariti, fratelli, datori di lavoro, anziani e membri di chiesa – capissero al volo quello che intendiamo, leggessero nel nostro pensiero i nostri desideri e capissero le nostre emozioni. Scordiamocelo!
Gli uomini, dal canto loro, sono riflessivi, razionali e realistici. Capiscono solo quello che diciamo loro, e che viene espresso in maniera ordinata e logica. E brevemente.
Questo porta alla seconda cosa: noi donne parliamo troppo e la facciamo troppo lunga quando ci dobbiamo esprimere. Certe donne che mi parlano, se chiudo gli occhi, mi ricordano quelle maschere barocche che sputano acqua a ventaglio dentro a una fontana. Parlano, parlano, parlano senza quasi tirare il fiato. E se le interrompi, ricominciano da capo.
Altro problema (e questo è il n. 3): interrompiamo chi ci parla, perché crediamo già di capire quello a cui l’altro vuole arrivare e offriamo una soluzione non richiesta. Questo è un mio difetto su cui sto lavorando, ma che non ho ancora debellato del tutto. Il fatto è anche che gli uomini amano prendere le cose da lontano e, prima di arrivare al dunque, ce ne vuole. E noi abbiamo la pentola sul fuoco!
La quarta cosa è che noi donne, quando siamo su di giri, piangiamo facilmente. Questo spaventa gli uomini, che, non sapendo che pesci prendere, tendono a perdere la pazienza. Per autodifesa, tagliano corto, se ne vanno o si chiudono nel mutismo. O esplodono.
Allora, se si vuole il dialogo, bisogna imparare a dialogare. Il dialogo non è un monologo. Dialogo significa “discorso fra due o più persone”. E dialogare è un’arte, nella quale quando uno parla, l’altro ascolta. Dopo di che si invertono le parti e chi ha parlato prima non interrompe colui che ora parla (sarebbe molto bello se i politici in TV andassero un po’ a scuola di dialogo, invece di fare a chi grida più forte e interrompe di più!).
Infine, per essere capiti, bisogna cercare anche di parlare logicamente. Non bisogna partire con arroganza o belligeranza, come per vincere una partita di boxe, ma con la determinazione a capire il punto di vista dell’altro e trovare possibilmente un accordo. E, fra coniugi, l’accordo si deve trovare!
E direi ancora di più: si deve ascoltare con l’intenzione di prendere sul serio le “fisime” dell’altro. Sì, dico proprio fisime, perché il più delle volte, le cose di cui marito e moglie si lamentano sono troppo stupide per essere vere. Le matite sulla scrivania lui le vuole così e lei, quando spolvera, gliele mette cosà. Orrore!
A lei piace la camomlla e perciò la prepara anche per lui. A lui la camomilla fa ricordare i clisterini che gli faceva sua mamma quando da bambino era stitico. Ma lei insiste: “Caro la camomlla ti fa bene, ti rilassa... bevine almeno un po’...”.
La carta igienica si appende così. No, si appende dall’altro lato.
“Bisogna punire il figlio per questo” dice lui. “Ma lascia perdere, è giovane...” ribatte lei.
Dopo di che si arriva ai “tu sei sempre” e “tu non fai mai”, che guastano, spesso per sempre, la comunicazione.
Li avete visti – sì o no? – quei vecchi che vivono sotto lo stesso tetto e non si parlano più? Non hanno imparato da giovani l’arte di dialogare, accompagnata dalla pazienza e dalla determinazione a farsi piacere reciprocamente, a venirsi incontro e trovare un accordo.
E così, per difesa o ripicca, le donne si attaccano al telefono e gli uomini accendono la TV.
C’e un bel libro che mio marito ha scritto: “Liberami, Signore, dal divorzio nascosto!” che parla anche di questo problema. Leggilo tu, se fa al tuo caso, e poi dimenticalo nel soggiorno, in modo che tuo marito lo veda e si incuriosisca. Non si può mai sapere....
Ciao, alla prossima!
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Quante coppie mi hanno detto che non riescono a parlare e se lo fanno litigano! Da fidanzati non era così, ma ora da sposati è tutta un’altra cosa.
Io vorrei dire subito almeno due cose. O tre. O quattro. Insomma, statemi a sentire!
La prima cosa, di cui non teniamo abbastanza conto, è la differenza fondamentale che esiste fra uomini e donne. Nel loro modo di fare e di funzionare.
Noi donne siamo emotive e intuitive, perciò vorremmo che gli uomini - mariti, fratelli, datori di lavoro, anziani e membri di chiesa – capissero al volo quello che intendiamo, leggessero nel nostro pensiero i nostri desideri e capissero le nostre emozioni. Scordiamocelo!
Gli uomini, dal canto loro, sono riflessivi, razionali e realistici. Capiscono solo quello che diciamo loro, e che viene espresso in maniera ordinata e logica. E brevemente.
Questo porta alla seconda cosa: noi donne parliamo troppo e la facciamo troppo lunga quando ci dobbiamo esprimere. Certe donne che mi parlano, se chiudo gli occhi, mi ricordano quelle maschere barocche che sputano acqua a ventaglio dentro a una fontana. Parlano, parlano, parlano senza quasi tirare il fiato. E se le interrompi, ricominciano da capo.
Altro problema (e questo è il n. 3): interrompiamo chi ci parla, perché crediamo già di capire quello a cui l’altro vuole arrivare e offriamo una soluzione non richiesta. Questo è un mio difetto su cui sto lavorando, ma che non ho ancora debellato del tutto. Il fatto è anche che gli uomini amano prendere le cose da lontano e, prima di arrivare al dunque, ce ne vuole. E noi abbiamo la pentola sul fuoco!
La quarta cosa è che noi donne, quando siamo su di giri, piangiamo facilmente. Questo spaventa gli uomini, che, non sapendo che pesci prendere, tendono a perdere la pazienza. Per autodifesa, tagliano corto, se ne vanno o si chiudono nel mutismo. O esplodono.
Allora, se si vuole il dialogo, bisogna imparare a dialogare. Il dialogo non è un monologo. Dialogo significa “discorso fra due o più persone”. E dialogare è un’arte, nella quale quando uno parla, l’altro ascolta. Dopo di che si invertono le parti e chi ha parlato prima non interrompe colui che ora parla (sarebbe molto bello se i politici in TV andassero un po’ a scuola di dialogo, invece di fare a chi grida più forte e interrompe di più!).
Infine, per essere capiti, bisogna cercare anche di parlare logicamente. Non bisogna partire con arroganza o belligeranza, come per vincere una partita di boxe, ma con la determinazione a capire il punto di vista dell’altro e trovare possibilmente un accordo. E, fra coniugi, l’accordo si deve trovare!
E direi ancora di più: si deve ascoltare con l’intenzione di prendere sul serio le “fisime” dell’altro. Sì, dico proprio fisime, perché il più delle volte, le cose di cui marito e moglie si lamentano sono troppo stupide per essere vere. Le matite sulla scrivania lui le vuole così e lei, quando spolvera, gliele mette cosà. Orrore!
A lei piace la camomlla e perciò la prepara anche per lui. A lui la camomilla fa ricordare i clisterini che gli faceva sua mamma quando da bambino era stitico. Ma lei insiste: “Caro la camomlla ti fa bene, ti rilassa... bevine almeno un po’...”.
La carta igienica si appende così. No, si appende dall’altro lato.
“Bisogna punire il figlio per questo” dice lui. “Ma lascia perdere, è giovane...” ribatte lei.
Dopo di che si arriva ai “tu sei sempre” e “tu non fai mai”, che guastano, spesso per sempre, la comunicazione.
Li avete visti – sì o no? – quei vecchi che vivono sotto lo stesso tetto e non si parlano più? Non hanno imparato da giovani l’arte di dialogare, accompagnata dalla pazienza e dalla determinazione a farsi piacere reciprocamente, a venirsi incontro e trovare un accordo.
E così, per difesa o ripicca, le donne si attaccano al telefono e gli uomini accendono la TV.
C’e un bel libro che mio marito ha scritto: “Liberami, Signore, dal divorzio nascosto!” che parla anche di questo problema. Leggilo tu, se fa al tuo caso, e poi dimenticalo nel soggiorno, in modo che tuo marito lo veda e si incuriosisca. Non si può mai sapere....
Ciao, alla prossima!
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Fronte unico, a tutti i costi.
“Non lo diciamo a papà, se no si arrabbia” dice la mamma che di nascosto lascia che il figlio vada in birreria con gli amici e gli dà i soldi necessari per farlo. “Solo fai attenzione a non tornare tardi, mi raccomando. A papà ci penso io. Non esagerare!”
“Dov’è Mauro?” chiede il padre, quando torna dal lavoro.
“Aveva dei compiti speciali e è andato da un amico a farli” risponde la mamma. Il padre abbocca.
Quello su cui spesso non si va d’accordo e si litiga facilmente è l’educazione dei figli. Come succede? Il padre è, secondo la madre, troppo severo. O troppo assente. Se non menefreghista. La madre è, secondo il padre, troppo apprensiva. O troppo indulgente. O con una mentalità all’antica. E ognuno crede di far meglio dell’altro.
I figli sentono che fra i genitori c’è dissenso, e ne approfittano, naturalmente mettendosi dalla parte di chi è più permissivo. E vengono su falsi, abituati a mentire, a fare sotterfugi. Così si preparano a diventare delinquenti.
È successo nella famiglia di certi parenti di mio padre. Il padre diceva e ordinava. La mamma disfaceva, chiudeva un occhio e copriva le marachelle del figlio più giovane. È finito molto male e se non è andato in galera, è dipeso da avvocati molto capaci.
Sull’educazione dei figli bisogna fare fronte unico e i figli devono sapere che la legge è una sola. Altrimenti sono guai. Le liti fra genitori su come gestire i figli portano solo dissapori e molte lacrime. E grande confusione.
Che fare?
I genitori ne devono parlare. Meglio se ne parlano già seriamente da fidanzati, si mettono d’accordo e procedono di conseguenza.
E non è sempre facile.
Per esempio: quando i nostri figli erano adolescenti, è venuta la moda delle minigonne. L’ideatrice aveva detto apertamente, che l’aveva creata per rendere più facili i rapporti sessuali fra giovani. Grazie mille!
“Perché non la posso mettere? La figlia del pastore della chiesa la porta!”
“Perché non possiamo andare in discoteca? I nostri amici ci vanno e non gli succede niente.”
“Perché dobbiamo andare in giro coi capelli come dei Marines, mentre i compagni se li fanno crescere?”
Era l’epoca dei capelloni, della liberazione femminile, della contestazione, del “fate l’amore, non fate la guerra”.
Mio marito ed io ci siamo dovuti mettere d’accordo e poi parlare (anche ore!), spiegare, ragionare, arrivare a compromessi accettevoli coi figli e, soprattutto, tenere tutti e due la stessa linea. Non c’era altro modo.
Non abbiamo detto mai: “Questo non si fa, perché i credenti non lo fanno”. Abbiamo piuttosto cercato di ragionare, letto libri, parlato di tipi di musica, di ambienti sbagliati, di principi biblici. Ci è andata bene e il merito va soprattutto alla grazia di Dio e alla pazienza di mio marito, che, di solito, ha ottenuto dai figli l’ubbidienza, anche se non sempre volonterosa e gioiosa.
Oggi le cose per i genitori sono molto più difficili, perché l’immoralità dilaga, quello che i ragazzi facevano di nascosto ora si fa in pubblico. Quello che era considerato immorale, oggi è accettato, approvato e sbandierato.
Ma i principi biblici di moralità, onestà, pudore e autodisciplina, volere o volare, sono rimasti gli stessi. E i figli lo devono sapere e accettare. Lo accetteranno se li avremo abituati all’ubbidienza e al rispetto da piccoli, piccolissimi. Un giorno, cercheranno di fare come, o meglio, dei loro genitori.
Ma in che mondo vivranno i giovani fra dieci anni? Non ci voglio pensare.
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“Dov’è Mauro?” chiede il padre, quando torna dal lavoro.
“Aveva dei compiti speciali e è andato da un amico a farli” risponde la mamma. Il padre abbocca.
Quello su cui spesso non si va d’accordo e si litiga facilmente è l’educazione dei figli. Come succede? Il padre è, secondo la madre, troppo severo. O troppo assente. Se non menefreghista. La madre è, secondo il padre, troppo apprensiva. O troppo indulgente. O con una mentalità all’antica. E ognuno crede di far meglio dell’altro.
I figli sentono che fra i genitori c’è dissenso, e ne approfittano, naturalmente mettendosi dalla parte di chi è più permissivo. E vengono su falsi, abituati a mentire, a fare sotterfugi. Così si preparano a diventare delinquenti.
È successo nella famiglia di certi parenti di mio padre. Il padre diceva e ordinava. La mamma disfaceva, chiudeva un occhio e copriva le marachelle del figlio più giovane. È finito molto male e se non è andato in galera, è dipeso da avvocati molto capaci.
Sull’educazione dei figli bisogna fare fronte unico e i figli devono sapere che la legge è una sola. Altrimenti sono guai. Le liti fra genitori su come gestire i figli portano solo dissapori e molte lacrime. E grande confusione.
Che fare?
I genitori ne devono parlare. Meglio se ne parlano già seriamente da fidanzati, si mettono d’accordo e procedono di conseguenza.
E non è sempre facile.
Per esempio: quando i nostri figli erano adolescenti, è venuta la moda delle minigonne. L’ideatrice aveva detto apertamente, che l’aveva creata per rendere più facili i rapporti sessuali fra giovani. Grazie mille!
“Perché non la posso mettere? La figlia del pastore della chiesa la porta!”
“Perché non possiamo andare in discoteca? I nostri amici ci vanno e non gli succede niente.”
“Perché dobbiamo andare in giro coi capelli come dei Marines, mentre i compagni se li fanno crescere?”
Era l’epoca dei capelloni, della liberazione femminile, della contestazione, del “fate l’amore, non fate la guerra”.
Mio marito ed io ci siamo dovuti mettere d’accordo e poi parlare (anche ore!), spiegare, ragionare, arrivare a compromessi accettevoli coi figli e, soprattutto, tenere tutti e due la stessa linea. Non c’era altro modo.
Non abbiamo detto mai: “Questo non si fa, perché i credenti non lo fanno”. Abbiamo piuttosto cercato di ragionare, letto libri, parlato di tipi di musica, di ambienti sbagliati, di principi biblici. Ci è andata bene e il merito va soprattutto alla grazia di Dio e alla pazienza di mio marito, che, di solito, ha ottenuto dai figli l’ubbidienza, anche se non sempre volonterosa e gioiosa.
Oggi le cose per i genitori sono molto più difficili, perché l’immoralità dilaga, quello che i ragazzi facevano di nascosto ora si fa in pubblico. Quello che era considerato immorale, oggi è accettato, approvato e sbandierato.
Ma i principi biblici di moralità, onestà, pudore e autodisciplina, volere o volare, sono rimasti gli stessi. E i figli lo devono sapere e accettare. Lo accetteranno se li avremo abituati all’ubbidienza e al rispetto da piccoli, piccolissimi. Un giorno, cercheranno di fare come, o meglio, dei loro genitori.
Ma in che mondo vivranno i giovani fra dieci anni? Non ci voglio pensare.
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Parenti... Croce e delizia
“Vado più d’accordo con mia suocera, che con mia mamma” mi diceva una sposina.
“Come mai?”
“Ma che ti devo dire... mia mamma sta sempre a soffiarmi sul collo: «Hai mangiato? Quanto hai speso? Hai bisogno di me? Ricordati di spegnere il gas». È asfissiante: crede di avere a che fare con una figlia di tredici anni. E poi mi domanda: «Diego ti tratta bene?» vuole sapere tutto, e quando dico tutto è proprio tutto. Non la reggo!”.
“E tua suocera?”
“Quella è una santa donna. Si fa i fatti suoi e ci lascia vivere. Pensa che chiamo lei per chiederle come si cucina qualcosa. Se lo chiedessi a mia mamma, arriverebbe con la spesa fatta e il grembiule per prepararmelo lei.”
Certi genitori possono essere la rovina dei figli quando si sposano e mettono su famiglia. Si intromettono sulle spese, sulle compere, sull’educazione dei nipotini. Vogliono fare le vacanze insieme, mangiare insieme tutte le domeniche, sapere la “rava e la fava” di tutti i componenti. E, se non sono accontentati, fanno gli offesi. Per forza, finiscono per creare frizioni, dispiaceri, incomprensioni. La loro mentalità patriarcale (o, forse più precisamente, patriarcale) prende il sopravvento.
I giovani vorrebbero vivere insieme e a modo loro, ma spesso i genitori hanno contribuito finanziariamente per aiutarli a mettere su casa, con il mutuo o altro. Allora, i due (peggio ancora se una sola coppia di genitori è stata generosa!) si sentono obbligati a mostrare riconoscenza, non vogliono né offendere né agire male.
E dopo un po’ cominciano a litigare fra loro. “Tuo padre si impiccia... tua madre vuole e pretende... i tuoi genitori sono oppressivi... Ma i tuoi sono così e così...” . Fino a che non si comincia a parlare di incomunicabilità e di incomprensioni di fondo.
La Bibbia dice delle cose importanti a questo riguardo e i genitori devono capirle.
Nella Genesi, quando Dio ha creato la prima coppia (che non aveva genitori, ma che presto avrebbe avuto dei figli) disse: “L’uomo LASCERÀ suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una stessa carne”, cioè gli sposi diventeranno una cosa sola, formeranno un nuovo nucleo, staccato e indipendente dai genitori. Il cordone ombellicale dovrà essere definitivamente tagliato.
Perciò bisogna lasciare che i figli vivano la loro vita, si facciano il loro rodaggio, prendano le loro abitudini e si creino, piano piano, le loro tradizioni.
Sbagliano? Dovranno imparare.
Fanno scelte che a noi genitori non sembrano giuste? Se chiedono un consiglio, diamolo. Se non lo seguono, evitiamo la frase micidiale: “Ve lo avevamo detto”.
Educano i loro bambini diversamente da come abbiamo fatto noi? Sono i figli loro. Preghiamo e stiamo a guardare, a meno che non facciano cose pericolose o immorali.
Se abbiamo fatto bene come genitori, probabilmente faranno bene anche loro.
Però, c’è un’altra cosa, che, secondo me, è essenziale e preparerà la strada a relazioni felici quando i figli metteranno su famiglia. Via via che crescono, mentre sono ancora a casa, abituiamoli all’indipendenza, nel senso che sappiano vivere come individui, e non siano degli eterni “mamma-papà-dipendenti”. Che sappiano amministrare i loro soldi (fossero anche i pochi euro della loro paghetta di bambini), tenere la loro camera in ordine (maschi o femmine indistintamente), studiare seriamente, contribuire alle spese di casa, se lavorano, prendere decisioni ragionevoli per conto loro. Se vogliono comprarsi qualcosa di speciale e soddisfare qualche sfizio, facciano pure. Ma se lo dovranno guadagnare e pagare coi loro risparmi. Se no, aspetteranno fino a quando se lo potranno permettere.
Duretta la mamma, eh? Duretta sì, ma anche savia. Mio marito e io abbiamo fatto così.
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“Come mai?”
“Ma che ti devo dire... mia mamma sta sempre a soffiarmi sul collo: «Hai mangiato? Quanto hai speso? Hai bisogno di me? Ricordati di spegnere il gas». È asfissiante: crede di avere a che fare con una figlia di tredici anni. E poi mi domanda: «Diego ti tratta bene?» vuole sapere tutto, e quando dico tutto è proprio tutto. Non la reggo!”.
“E tua suocera?”
“Quella è una santa donna. Si fa i fatti suoi e ci lascia vivere. Pensa che chiamo lei per chiederle come si cucina qualcosa. Se lo chiedessi a mia mamma, arriverebbe con la spesa fatta e il grembiule per prepararmelo lei.”
Certi genitori possono essere la rovina dei figli quando si sposano e mettono su famiglia. Si intromettono sulle spese, sulle compere, sull’educazione dei nipotini. Vogliono fare le vacanze insieme, mangiare insieme tutte le domeniche, sapere la “rava e la fava” di tutti i componenti. E, se non sono accontentati, fanno gli offesi. Per forza, finiscono per creare frizioni, dispiaceri, incomprensioni. La loro mentalità patriarcale (o, forse più precisamente, patriarcale) prende il sopravvento.
I giovani vorrebbero vivere insieme e a modo loro, ma spesso i genitori hanno contribuito finanziariamente per aiutarli a mettere su casa, con il mutuo o altro. Allora, i due (peggio ancora se una sola coppia di genitori è stata generosa!) si sentono obbligati a mostrare riconoscenza, non vogliono né offendere né agire male.
E dopo un po’ cominciano a litigare fra loro. “Tuo padre si impiccia... tua madre vuole e pretende... i tuoi genitori sono oppressivi... Ma i tuoi sono così e così...” . Fino a che non si comincia a parlare di incomunicabilità e di incomprensioni di fondo.
La Bibbia dice delle cose importanti a questo riguardo e i genitori devono capirle.
Nella Genesi, quando Dio ha creato la prima coppia (che non aveva genitori, ma che presto avrebbe avuto dei figli) disse: “L’uomo LASCERÀ suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una stessa carne”, cioè gli sposi diventeranno una cosa sola, formeranno un nuovo nucleo, staccato e indipendente dai genitori. Il cordone ombellicale dovrà essere definitivamente tagliato.
Perciò bisogna lasciare che i figli vivano la loro vita, si facciano il loro rodaggio, prendano le loro abitudini e si creino, piano piano, le loro tradizioni.
Sbagliano? Dovranno imparare.
Fanno scelte che a noi genitori non sembrano giuste? Se chiedono un consiglio, diamolo. Se non lo seguono, evitiamo la frase micidiale: “Ve lo avevamo detto”.
Educano i loro bambini diversamente da come abbiamo fatto noi? Sono i figli loro. Preghiamo e stiamo a guardare, a meno che non facciano cose pericolose o immorali.
Se abbiamo fatto bene come genitori, probabilmente faranno bene anche loro.
Però, c’è un’altra cosa, che, secondo me, è essenziale e preparerà la strada a relazioni felici quando i figli metteranno su famiglia. Via via che crescono, mentre sono ancora a casa, abituiamoli all’indipendenza, nel senso che sappiano vivere come individui, e non siano degli eterni “mamma-papà-dipendenti”. Che sappiano amministrare i loro soldi (fossero anche i pochi euro della loro paghetta di bambini), tenere la loro camera in ordine (maschi o femmine indistintamente), studiare seriamente, contribuire alle spese di casa, se lavorano, prendere decisioni ragionevoli per conto loro. Se vogliono comprarsi qualcosa di speciale e soddisfare qualche sfizio, facciano pure. Ma se lo dovranno guadagnare e pagare coi loro risparmi. Se no, aspetteranno fino a quando se lo potranno permettere.
Duretta la mamma, eh? Duretta sì, ma anche savia. Mio marito e io abbiamo fatto così.
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Un abito su misura e un pranzo ai Castelli Romani
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Eravamo giovani, mio marito ed io, quattro bambini, pochi soldi e tanta fiducia che il Signore ci avrebbe aiutati e dato sempre il necessario. Ma, ogni tanto, ci veniva voglia di uno strappetto al solito trantran. Che ne so... un cibo che non fosse solo polpettone (a quei tempi la macinata costava veramente poco), e un vestito che non venisse solo dal mercatino dell’usato, una visita a un museo o un concerto. Poi, dato che mio marito parla spesso in pubblico, un abito nuovo e su misura gli avrebbe fatto comodo. Ma non era neppure il caso di pensarci. Non abbiamo neppure pregato per questi sfizii!
Un giorno riceviamo una lettera dall’America: “Caro fratello Bill, ho un vestito nuovo e il Signore mi ha detto di mandarlo a lei. Spero che le farà piacere”.
“Ma si può essere più strani?” ha commentato mio marito. “Non mi conosce, non sa se sono grasso o secco, alto o basso... e mi manda un abito! È proprio vero che nella vita ci si può aspettare di tutto!”
Non ci abbiamo più pensato. Finalmente arriva una scatola dall’America. Ne esce un abito. Non ci crederete, ma era perfetto di misura, di colore, di taglio. Esattamente quello che ci voleva. Siamo rimasti a bocca aperta! Il Signore aveva provveduto con l’esattezza di un orologio svizzero, per mezzo di un credente che aveva sentito solo parlare di uno che evangelizzava a Roma!
Ma non finisce quì. Un’altra volta, mio marito aveva voglia di portarmi in un bel ristorante ai Castelli Romani. Ma non gli sembrava possibile e giusto fare una spesa così stravagante.
Telefona una signora, mai conosciuta prima: “Mi chiamo così e così... ho sentito parlare di voi da amici... sono sola e vorrei visitare i dintorni di Roma. Sarete miei ospiti per pranzo e poi, se per voi va bene, mi fate fare un giro fino a Castel Gandolfo e mi raccontate del vostro lavoro. Vi va?”. Se ci andava? Eccome!
Un pranzo delizioso, gratis e un pomeriggio molto piacevole in giro per i Castelli... Che si può chiedere di più?
Il Signore aveva esaudito un desiderio legittimo, ma non necessario, per mezzo di una signora sconosciuta. A volte sembra impossibile che Lui pensi anche a cose così. Ma non per niente è un buon Padre Celeste.
La prossima volta, però, continueremo a parlare di perché si litiga nella vita matrimoniale. Spero che, nel frattempo… (mi avete già capita!) Ciao!
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Eravamo giovani, mio marito ed io, quattro bambini, pochi soldi e tanta fiducia che il Signore ci avrebbe aiutati e dato sempre il necessario. Ma, ogni tanto, ci veniva voglia di uno strappetto al solito trantran. Che ne so... un cibo che non fosse solo polpettone (a quei tempi la macinata costava veramente poco), e un vestito che non venisse solo dal mercatino dell’usato, una visita a un museo o un concerto. Poi, dato che mio marito parla spesso in pubblico, un abito nuovo e su misura gli avrebbe fatto comodo. Ma non era neppure il caso di pensarci. Non abbiamo neppure pregato per questi sfizii!
Un giorno riceviamo una lettera dall’America: “Caro fratello Bill, ho un vestito nuovo e il Signore mi ha detto di mandarlo a lei. Spero che le farà piacere”.
“Ma si può essere più strani?” ha commentato mio marito. “Non mi conosce, non sa se sono grasso o secco, alto o basso... e mi manda un abito! È proprio vero che nella vita ci si può aspettare di tutto!”
Non ci abbiamo più pensato. Finalmente arriva una scatola dall’America. Ne esce un abito. Non ci crederete, ma era perfetto di misura, di colore, di taglio. Esattamente quello che ci voleva. Siamo rimasti a bocca aperta! Il Signore aveva provveduto con l’esattezza di un orologio svizzero, per mezzo di un credente che aveva sentito solo parlare di uno che evangelizzava a Roma!
Ma non finisce quì. Un’altra volta, mio marito aveva voglia di portarmi in un bel ristorante ai Castelli Romani. Ma non gli sembrava possibile e giusto fare una spesa così stravagante.
Telefona una signora, mai conosciuta prima: “Mi chiamo così e così... ho sentito parlare di voi da amici... sono sola e vorrei visitare i dintorni di Roma. Sarete miei ospiti per pranzo e poi, se per voi va bene, mi fate fare un giro fino a Castel Gandolfo e mi raccontate del vostro lavoro. Vi va?”. Se ci andava? Eccome!
Un pranzo delizioso, gratis e un pomeriggio molto piacevole in giro per i Castelli... Che si può chiedere di più?
Il Signore aveva esaudito un desiderio legittimo, ma non necessario, per mezzo di una signora sconosciuta. A volte sembra impossibile che Lui pensi anche a cose così. Ma non per niente è un buon Padre Celeste.
La prossima volta, però, continueremo a parlare di perché si litiga nella vita matrimoniale. Spero che, nel frattempo… (mi avete già capita!) Ciao!
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I soldi basterebbero se...
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...lei sapesse fare la spesa e cercasse di risparmiare... lui non buttasse i soldi per comprarsi tanti aggeggi inutili per la macchina... lei non volesse sempre qualcosa di nuovo da mettersi addosso, anche se dice che compra solo dai Cinesi... se lui perdesse quella mania di andare allo stadio a vedere la partita. Ogni tanto va bene, ma senza esagerare! Dobbiamo pensare al mutuo per la casa, all’assicurazione per la macchina, alle bollette... E in bolletta ci siamo già!
Secondo le statistiche, una delle ragioni principali per cui si litiga in famiglia sono proprio i soldi e il modo in cui spenderli. C’è chi è tirato e chi è spendaccione. Chi ha sangue genovese nelle vene (come me!) e chi è abituato a vivere alla giornata. Come mettersi d’accordo?
Buona parte dei dispiaceri dipende dal fatto che molti si sposano senza fare dei conti realistici e pensano che, in un modo o l’altro, ce la faranno a sbarcare il lunario. Ma perfino Gesù ha detto che chi vuole costruirsi una torre deve fare i conti di quanto gli costerà, prima di cominciare a innalzarla, facendo capire che non vale la pena essere sprovveduti. Confidare nella provvidenza, magari quella dei genitori, suona molto bene, ma all’atto pratico è pericoloso.
A certe cose è bene pensare prima di sposarsi. Quanto è lo stipendio di lui? Se lei lavora, quanto guadagna? Si deve fare un po’ di matematica e ragionare. Quanto ci vuole per la casa, per la luce, per il gas, per la macchina e per l’assicurazione, per l’abbonamento ai mezzi, per le medicine, il cibo e i vestiti? E così via.
Si dovrà anche pensare agli imprevisti e lasciarsi, possibilmente, un po’ di cuscinetto per le vacanze e qualche svago. Se verranno dei bambini, quanto di più ci vorrà per loro?
Non ultimo, se siamo credenti, c’è da mettere in conto che a Dio spetta una parte dei nostri beni (“secondo la prosperità concessa” dice la Bibbia. Il che significa che, se si guadagna molto, si darà molto per sostenere l’opera di Dio e la propria chiesa e, se si guadagna poco, si darà il più possibile, donando regolarmente almeno una parte di quanto si guadagna).
Ma fare dei proponimenti e dei conti ragionevoli non basta: bisogna proporsi e essere determinati a restare dentro al preventivo che si è fatto, non spendere mai più di quello che si ha e essere anche pronti a delle rinunce e a dei sacrifici. Bisognerà a volte dimenticare la fettina e mangiare macinata o fagioli. Fare la colazione col pane invece che col cornetto o la merendina. Funzionare con meno paia di scarpe e dimenticare che il collega si è comprato (facendo debiti) l’ultimo iPod.
Dio onora chi è savio e prudente, chi non fa debiti e impara a accontentarsi di quello che ha. L’Apostolo Paolo l’ha detto molto bene: “La pietà (cioè il desiderio di fare piacere a Dio e il timore di Dio), con animo contento del proprio stato, è un gran guadagno. Infatti non abbiamo portato nulla nel mondo, e neppure possiamo portarne via nulla, ma avendo di che nutrirci e coprirci, saremo di questo contenti. L’amore del denaro è radice di ogni specie di mali e alcuni che vi si sono dati, si sono sviati dalla fede e si sono procurati molti dolori” (1 Timoteo 6:6-8,10).
E vi prometto, per esperienza, che con questo programma e questi proponimenti, presi di comune accordo, non litigherete con vostro marito o con vostra moglie e, ogni tanto, ci scapperà anche qualche piccola pazzia o addirittura una sorpresa, come è capitato una volta a noi. Ve lo racconto la prossima volta.
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...lei sapesse fare la spesa e cercasse di risparmiare... lui non buttasse i soldi per comprarsi tanti aggeggi inutili per la macchina... lei non volesse sempre qualcosa di nuovo da mettersi addosso, anche se dice che compra solo dai Cinesi... se lui perdesse quella mania di andare allo stadio a vedere la partita. Ogni tanto va bene, ma senza esagerare! Dobbiamo pensare al mutuo per la casa, all’assicurazione per la macchina, alle bollette... E in bolletta ci siamo già!
Secondo le statistiche, una delle ragioni principali per cui si litiga in famiglia sono proprio i soldi e il modo in cui spenderli. C’è chi è tirato e chi è spendaccione. Chi ha sangue genovese nelle vene (come me!) e chi è abituato a vivere alla giornata. Come mettersi d’accordo?
Buona parte dei dispiaceri dipende dal fatto che molti si sposano senza fare dei conti realistici e pensano che, in un modo o l’altro, ce la faranno a sbarcare il lunario. Ma perfino Gesù ha detto che chi vuole costruirsi una torre deve fare i conti di quanto gli costerà, prima di cominciare a innalzarla, facendo capire che non vale la pena essere sprovveduti. Confidare nella provvidenza, magari quella dei genitori, suona molto bene, ma all’atto pratico è pericoloso.
A certe cose è bene pensare prima di sposarsi. Quanto è lo stipendio di lui? Se lei lavora, quanto guadagna? Si deve fare un po’ di matematica e ragionare. Quanto ci vuole per la casa, per la luce, per il gas, per la macchina e per l’assicurazione, per l’abbonamento ai mezzi, per le medicine, il cibo e i vestiti? E così via.
Si dovrà anche pensare agli imprevisti e lasciarsi, possibilmente, un po’ di cuscinetto per le vacanze e qualche svago. Se verranno dei bambini, quanto di più ci vorrà per loro?
Non ultimo, se siamo credenti, c’è da mettere in conto che a Dio spetta una parte dei nostri beni (“secondo la prosperità concessa” dice la Bibbia. Il che significa che, se si guadagna molto, si darà molto per sostenere l’opera di Dio e la propria chiesa e, se si guadagna poco, si darà il più possibile, donando regolarmente almeno una parte di quanto si guadagna).
Ma fare dei proponimenti e dei conti ragionevoli non basta: bisogna proporsi e essere determinati a restare dentro al preventivo che si è fatto, non spendere mai più di quello che si ha e essere anche pronti a delle rinunce e a dei sacrifici. Bisognerà a volte dimenticare la fettina e mangiare macinata o fagioli. Fare la colazione col pane invece che col cornetto o la merendina. Funzionare con meno paia di scarpe e dimenticare che il collega si è comprato (facendo debiti) l’ultimo iPod.
Dio onora chi è savio e prudente, chi non fa debiti e impara a accontentarsi di quello che ha. L’Apostolo Paolo l’ha detto molto bene: “La pietà (cioè il desiderio di fare piacere a Dio e il timore di Dio), con animo contento del proprio stato, è un gran guadagno. Infatti non abbiamo portato nulla nel mondo, e neppure possiamo portarne via nulla, ma avendo di che nutrirci e coprirci, saremo di questo contenti. L’amore del denaro è radice di ogni specie di mali e alcuni che vi si sono dati, si sono sviati dalla fede e si sono procurati molti dolori” (1 Timoteo 6:6-8,10).
E vi prometto, per esperienza, che con questo programma e questi proponimenti, presi di comune accordo, non litigherete con vostro marito o con vostra moglie e, ogni tanto, ci scapperà anche qualche piccola pazzia o addirittura una sorpresa, come è capitato una volta a noi. Ve lo racconto la prossima volta.
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L’amore non è bello se non è litigarello
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Sapete qual è il peggior modo per andare d’accordo? Secondo mio marito, è litigare.
Almeno, dice lui, litigando viene fuori quello che non va e che si cova dentro. Litigando si sa quello che l’altro pensa, si mette sul tavolo quello che dispiace, e si può capire che cosa facciamo che il nostro partner non gradisce.
Però, dice ancora mio marito, si può litigare bene e litigare male.
Si litiga bene se si ha l’intenzione di capire meglio l’altro e trovare soluzioni e accordi. E si può litigare male per ferire e innalzare barriere a volte insormontabili.
Per litigare bene bisognerebbe non alzare la voce, ascoltare l’altro, cercare di capire il suo punto di vista e essere pronti e decisi a trovare un accordo.
Per litigare male basta dire due parole: “sempre” (tipo, tu sei sempre dispettoso e maleducato) e “mai” (tu non fai mai... non dici mai... non vuoi mai…) e stare sempre sulla difensiva, senza ammettere di avere torto, almeno qualche volta.
Non esiste una coppia che non abbia mai litigato. Chi afferma di essere andato sempre liscio e d’accordo con la moglie o il marito non me la racconta giusta. O ha perso la memoria o è scemo o non dice la verità. Di lì non si scappa.
Non è possibile che in una coppia non ci siano delle differenze di opinione, degli screzi o delle incomprensioni. E non è possibile che un peccatore che sposa una peccatrice non si trovi davanti alla somma dei peccati di tutti e due. Tutti e due sono egoisti, vogliono avere ragione, vogliono far valere i loro diritti, non vogliono cedere e si portano dietro un bagaglio di esperienze diverse. Spesso poco buone, per giunta.
E, in più, si trovano davanti a delle sorprese. Il marito non è più quel tesoro di fidanzato, premuroso e conciliante, pieno di attenzioni, che rideva facilmente e che aveva sempre la battuta pronta. E la moglie non è più come quella fidanzata che lo ascolava rapita, quando lui le parlava del suo lavoro e dei suoi progetti. Che sembrava essere sempre ragionevole e appassionatamente innamorata. La realtà è spesso un po’ più cruda. Lui è abituato a essere servito e lei è piuttosto viziata e pigra. E come cambia di umore!
Risultato: si litiga. Un po’ all’inizio. E poi, sempre un po’ di più. Particolarmente, se non si prendono le “opportune” misure.
Per tornare alle parole d’oro di mio marito, litigare può essere un modo per trovare un accordo, anche se è il modo peggiore a nostra disposizione. Ma non è la fine del mondo, purché non diventi un’abitudine e purché ci sia fra i due litiganti un sottofondo di vero amore e la determinazione a non farsi del male.
Ma perché si litiga? Ne parliamo la prossima volta.
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Sapete qual è il peggior modo per andare d’accordo? Secondo mio marito, è litigare.
Almeno, dice lui, litigando viene fuori quello che non va e che si cova dentro. Litigando si sa quello che l’altro pensa, si mette sul tavolo quello che dispiace, e si può capire che cosa facciamo che il nostro partner non gradisce.
Però, dice ancora mio marito, si può litigare bene e litigare male.
Si litiga bene se si ha l’intenzione di capire meglio l’altro e trovare soluzioni e accordi. E si può litigare male per ferire e innalzare barriere a volte insormontabili.
Per litigare bene bisognerebbe non alzare la voce, ascoltare l’altro, cercare di capire il suo punto di vista e essere pronti e decisi a trovare un accordo.
Per litigare male basta dire due parole: “sempre” (tipo, tu sei sempre dispettoso e maleducato) e “mai” (tu non fai mai... non dici mai... non vuoi mai…) e stare sempre sulla difensiva, senza ammettere di avere torto, almeno qualche volta.
Non esiste una coppia che non abbia mai litigato. Chi afferma di essere andato sempre liscio e d’accordo con la moglie o il marito non me la racconta giusta. O ha perso la memoria o è scemo o non dice la verità. Di lì non si scappa.
Non è possibile che in una coppia non ci siano delle differenze di opinione, degli screzi o delle incomprensioni. E non è possibile che un peccatore che sposa una peccatrice non si trovi davanti alla somma dei peccati di tutti e due. Tutti e due sono egoisti, vogliono avere ragione, vogliono far valere i loro diritti, non vogliono cedere e si portano dietro un bagaglio di esperienze diverse. Spesso poco buone, per giunta.
E, in più, si trovano davanti a delle sorprese. Il marito non è più quel tesoro di fidanzato, premuroso e conciliante, pieno di attenzioni, che rideva facilmente e che aveva sempre la battuta pronta. E la moglie non è più come quella fidanzata che lo ascolava rapita, quando lui le parlava del suo lavoro e dei suoi progetti. Che sembrava essere sempre ragionevole e appassionatamente innamorata. La realtà è spesso un po’ più cruda. Lui è abituato a essere servito e lei è piuttosto viziata e pigra. E come cambia di umore!
Risultato: si litiga. Un po’ all’inizio. E poi, sempre un po’ di più. Particolarmente, se non si prendono le “opportune” misure.
Per tornare alle parole d’oro di mio marito, litigare può essere un modo per trovare un accordo, anche se è il modo peggiore a nostra disposizione. Ma non è la fine del mondo, purché non diventi un’abitudine e purché ci sia fra i due litiganti un sottofondo di vero amore e la determinazione a non farsi del male.
Ma perché si litiga? Ne parliamo la prossima volta.
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Vivere nell’abbondanza
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Circa 40 anni fa, ho visto un nostro amico che, sull’altro lato della strada (menomale, perché così non ho dovuto mostrare che lo conoscevo!), saltava, anziché camminare. Non era esattamente un’andatura nomale... Era un meraviglioso credente, che, dopo qualche anno a Roma, è andato a predicare il Vangelo in Israele. Ora è in cielo e “salta” ancora di più per le strade d’oro del Paradiso.
Quando l’ho incontrato in chiesa gli ho chiesto: “Ma perché saltavi camminando?”.
“Mi hai visto?”
“Sì.”
“Pensavo a quanto ero ricco nel conoscere il Signore e mi è venuto in mente il salmo che dice: “Saltate di gioia” e mi sono messo a saltare”. Quando si parla di applicazione letterale delle Scritture...
Una cosa è, in ogni modo, certa: dovremmo saltare di gioia, almeno dentro di noi, nel renderci conto di quanto siamo ricchi e dovremmo saltare di gioia per il privilegio di potere seguire le orme di Gesù.
L’apostolo Pietro ne parla dicendo: “A questo siete stati chiamati, perché anche Cristo ha sofferto per voi, lasciandovi un esempio, affinché seguiate le sue orme” (1Pietro 2:21-25).
Ecco come.
“Egli non commise peccato” – siamo chiamati a vivere una vita pura.
“Nella sua bocca non si è trovato inganno” – non dobbiamo mai dire bugie di nessun tipo, neppure quelle che chiamano “bianche”. La mia vicina le chiama “rosa”, tanto per essere originale!
“Oltraggiato non rendeva gli oltraggi” – non si rivoltava e non rendeva pan per focaccia.
“Soffrendo, non minacciava” – non covava sentimenti di vendetta.
“Ma si rimetteva nelle mani di Colui che giudica giustamente” – lasciava a Dio il compito di vendicarlo. E Dio Padre lo sa fare mooooolto meglio di chiunque.
“Egli ha portato i nostri peccati nel suo corpo, sul legno della croce” – ha reso possibile la nostra salvezza, è stato pronto a dare la sua vita per noi. Noi non possiamo salvare nessuno, ma possiamo parlare della salvezza e usare il nostro tempo per parlarne.
“Affinché morti al peccato, vivessimo per la giustizia” – ci dà la forza di vivere una vita giusta per mezzo del suo Spirito. Sarà una buona testimonianza!
“e mediante le sue lividure siete stati guariti” – tulle le ferite provocate dal nostro peccato e dal male che altri ci hanno fatto, sono state guarite. Confortiamo e aiutiamo chi soffre.
“Poiché eravate erranti come pecore” – Cristo ci ha trovati confusi, feriti, malridotti. Aiutiamo i confusi che incontriamo.
“Ma ora siete tornati al pastore e guardiano delle vostre anime” – abbiamo una guida sicura, e uno che ci protegge e non ci perde mai di vista. Parliamone.
Se dopo questa lista non ci mettiamo a saltare anche noi, come il mio amico, siamo proprio fatti o di gelatina o di coccio.
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Circa 40 anni fa, ho visto un nostro amico che, sull’altro lato della strada (menomale, perché così non ho dovuto mostrare che lo conoscevo!), saltava, anziché camminare. Non era esattamente un’andatura nomale... Era un meraviglioso credente, che, dopo qualche anno a Roma, è andato a predicare il Vangelo in Israele. Ora è in cielo e “salta” ancora di più per le strade d’oro del Paradiso.
Quando l’ho incontrato in chiesa gli ho chiesto: “Ma perché saltavi camminando?”.
“Mi hai visto?”
“Sì.”
“Pensavo a quanto ero ricco nel conoscere il Signore e mi è venuto in mente il salmo che dice: “Saltate di gioia” e mi sono messo a saltare”. Quando si parla di applicazione letterale delle Scritture...
Una cosa è, in ogni modo, certa: dovremmo saltare di gioia, almeno dentro di noi, nel renderci conto di quanto siamo ricchi e dovremmo saltare di gioia per il privilegio di potere seguire le orme di Gesù.
L’apostolo Pietro ne parla dicendo: “A questo siete stati chiamati, perché anche Cristo ha sofferto per voi, lasciandovi un esempio, affinché seguiate le sue orme” (1Pietro 2:21-25).
Ecco come.
“Egli non commise peccato” – siamo chiamati a vivere una vita pura.
“Nella sua bocca non si è trovato inganno” – non dobbiamo mai dire bugie di nessun tipo, neppure quelle che chiamano “bianche”. La mia vicina le chiama “rosa”, tanto per essere originale!
“Oltraggiato non rendeva gli oltraggi” – non si rivoltava e non rendeva pan per focaccia.
“Soffrendo, non minacciava” – non covava sentimenti di vendetta.
“Ma si rimetteva nelle mani di Colui che giudica giustamente” – lasciava a Dio il compito di vendicarlo. E Dio Padre lo sa fare mooooolto meglio di chiunque.
“Egli ha portato i nostri peccati nel suo corpo, sul legno della croce” – ha reso possibile la nostra salvezza, è stato pronto a dare la sua vita per noi. Noi non possiamo salvare nessuno, ma possiamo parlare della salvezza e usare il nostro tempo per parlarne.
“Affinché morti al peccato, vivessimo per la giustizia” – ci dà la forza di vivere una vita giusta per mezzo del suo Spirito. Sarà una buona testimonianza!
“e mediante le sue lividure siete stati guariti” – tulle le ferite provocate dal nostro peccato e dal male che altri ci hanno fatto, sono state guarite. Confortiamo e aiutiamo chi soffre.
“Poiché eravate erranti come pecore” – Cristo ci ha trovati confusi, feriti, malridotti. Aiutiamo i confusi che incontriamo.
“Ma ora siete tornati al pastore e guardiano delle vostre anime” – abbiamo una guida sicura, e uno che ci protegge e non ci perde mai di vista. Parliamone.
Se dopo questa lista non ci mettiamo a saltare anche noi, come il mio amico, siamo proprio fatti o di gelatina o di coccio.
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Vita esuberante... Occhio alle scivolate!
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Un pastore predicava con grande foga sulla bellezza della vita esuberante e della pienezza dello Spirito Santo. A un certo punto, ha alzato gli occhi piamente verso l’angolino del soffitto della sala di culto e ha detto: “Fratelli, vi confesso che da quando ho capito i principi della vita esuberante, non ho più peccato!”.
Silenzio. Solo la moglie, seduta in prima fila, ha sussurrato: “Attento, che ci sono quì io!”.
È un fatto che tutti parliamo della nostra pochezza, della nostra fragilità, della nostra umanità, ma ci sentiamo anche molto sicuri della nostra santità. È vero, non ci piove sul fatto che la nostra salvezza è assicurata dalla potente mano di Cristo che ci sostiene. Ma i pericoli delle scivolate ci sono sempre. E dobbiamo farci attenzione.
L’apostolo Pietro, che quanto a scivolate aveva una certa esperienza, ha scritto: “Siate sobri, vegliate: il vostro avversario, il diavolo, va attorno come un leone ruggente cercando chi possa divorare. Resistetegli...” (1 Pietro 5:8).
La vita cristiana è un cammino accidentato e in salita. Fin dall’inizio, nella chiesa primitiva, ci sono state persone che hanno cercato di attaccare la verità del vangelo. E non era sempre gente che veniva da fuori, che combatteva la verità. Spesso usciva dalla comunità dei credenti stessi. “Se qualcuno vi annuncia un vangelo diverso da quello che avete ricevuto, sia anatema (che significa maledetto)” diceva l’apostolo Paolo ai Galati (1:9), e li metteva in guardia da religiosi che predicavano la salvezza per opere.
A Timoteo scriveva di evitare di far compagnia con due tipi, Imeneo e Fileto, che propagavano idee sbagliate sulla resurrezione e avevano deviato dalla verità (2 Timoteo 2:16-18). Agli anziani che guidavano la chiesa di Efeso disse che dovevano fare attenzione ai “lupi rapaci” che avrebbero cercato di sviare i credenti. Ai credenti di Colosse scrisse dicendo: “Guardate che nessuno faccia di voi sua preda con la filosofia e con vani raggiri secondo la tradizione degli uomini e gli elementi dl mondo e non secondo Cristo” (2:8).
Gesù, mentre era sulla terra, aveva già parlato di falsi Cristi e falsi profeti. E quanti ce ne sono anche oggi!
Proprio a me e mio marito, tempo fa, si è accostato un tipo ben vestito che ci ha confidato che stava andando dai suoi seguaci perché lui era Gesù Cristo. È chiaro: era un matto. Ma aveva chi lo ascoltava.
Oggi, per esempio, va di moda “il vangelo del benessere”. “Chi è credente deve stare bene e essere ricco!” si dice. Ma dove sta scritto, quando Gesù ha detto, invece, che nel mondo avremo tribolazioni? E poi si crede alle sciocchezze del Codice Da Vinci, o alle profezie e alle rivelazioni di questo o di quel guaritore. E poi ci sono le sette e i movimenti spirituali. E guardate: cominciano tutti con gente che ha conosciuto il Vangelo, ma lo ha sovvertito con le sue idee bacate. Leggete 2 Pietro capitolo 2, se non ci credete!
Allora che fare, come difendersi?
Per prima cosa, badare a avere una vita pulita, limpida e santa. Molte volte, se non sempre, i falsi profeti e i lupi rapaci sottilmente spingono verso l’immoralità e i compromessi morali. E questi, a volte, fanno molto comodo.
La Bibbia parla dell’importanza di avere una coscienza pulita e limpida, priva di ombre morali o dottrinali e Paolo nomina alcuni che avevano rinunciato a avere “una buona coscienza” e che, di conseguenza, avevano “fatto naufragio quanto alla fede”.
In secondo luogo, la buona coscienza si deve mantenere, confrontando sempre quello che si sente, si legge e si ascolta con la Parola di Dio. Esattamente come facevano i credenti della chiesa di Berea, che non si fidavano neppure dell’apostolo Paolo, ma verificavano quello che diceva con le Scritture “per vedere se le cose stavano così”.
Vi pare che ripeta sempre le stesse cose? Può darsi, ma lo farò finché campo. Ciao!
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Un pastore predicava con grande foga sulla bellezza della vita esuberante e della pienezza dello Spirito Santo. A un certo punto, ha alzato gli occhi piamente verso l’angolino del soffitto della sala di culto e ha detto: “Fratelli, vi confesso che da quando ho capito i principi della vita esuberante, non ho più peccato!”.
Silenzio. Solo la moglie, seduta in prima fila, ha sussurrato: “Attento, che ci sono quì io!”.
È un fatto che tutti parliamo della nostra pochezza, della nostra fragilità, della nostra umanità, ma ci sentiamo anche molto sicuri della nostra santità. È vero, non ci piove sul fatto che la nostra salvezza è assicurata dalla potente mano di Cristo che ci sostiene. Ma i pericoli delle scivolate ci sono sempre. E dobbiamo farci attenzione.
L’apostolo Pietro, che quanto a scivolate aveva una certa esperienza, ha scritto: “Siate sobri, vegliate: il vostro avversario, il diavolo, va attorno come un leone ruggente cercando chi possa divorare. Resistetegli...” (1 Pietro 5:8).
La vita cristiana è un cammino accidentato e in salita. Fin dall’inizio, nella chiesa primitiva, ci sono state persone che hanno cercato di attaccare la verità del vangelo. E non era sempre gente che veniva da fuori, che combatteva la verità. Spesso usciva dalla comunità dei credenti stessi. “Se qualcuno vi annuncia un vangelo diverso da quello che avete ricevuto, sia anatema (che significa maledetto)” diceva l’apostolo Paolo ai Galati (1:9), e li metteva in guardia da religiosi che predicavano la salvezza per opere.
A Timoteo scriveva di evitare di far compagnia con due tipi, Imeneo e Fileto, che propagavano idee sbagliate sulla resurrezione e avevano deviato dalla verità (2 Timoteo 2:16-18). Agli anziani che guidavano la chiesa di Efeso disse che dovevano fare attenzione ai “lupi rapaci” che avrebbero cercato di sviare i credenti. Ai credenti di Colosse scrisse dicendo: “Guardate che nessuno faccia di voi sua preda con la filosofia e con vani raggiri secondo la tradizione degli uomini e gli elementi dl mondo e non secondo Cristo” (2:8).
Gesù, mentre era sulla terra, aveva già parlato di falsi Cristi e falsi profeti. E quanti ce ne sono anche oggi!
Proprio a me e mio marito, tempo fa, si è accostato un tipo ben vestito che ci ha confidato che stava andando dai suoi seguaci perché lui era Gesù Cristo. È chiaro: era un matto. Ma aveva chi lo ascoltava.
Oggi, per esempio, va di moda “il vangelo del benessere”. “Chi è credente deve stare bene e essere ricco!” si dice. Ma dove sta scritto, quando Gesù ha detto, invece, che nel mondo avremo tribolazioni? E poi si crede alle sciocchezze del Codice Da Vinci, o alle profezie e alle rivelazioni di questo o di quel guaritore. E poi ci sono le sette e i movimenti spirituali. E guardate: cominciano tutti con gente che ha conosciuto il Vangelo, ma lo ha sovvertito con le sue idee bacate. Leggete 2 Pietro capitolo 2, se non ci credete!
Allora che fare, come difendersi?
Per prima cosa, badare a avere una vita pulita, limpida e santa. Molte volte, se non sempre, i falsi profeti e i lupi rapaci sottilmente spingono verso l’immoralità e i compromessi morali. E questi, a volte, fanno molto comodo.
La Bibbia parla dell’importanza di avere una coscienza pulita e limpida, priva di ombre morali o dottrinali e Paolo nomina alcuni che avevano rinunciato a avere “una buona coscienza” e che, di conseguenza, avevano “fatto naufragio quanto alla fede”.
In secondo luogo, la buona coscienza si deve mantenere, confrontando sempre quello che si sente, si legge e si ascolta con la Parola di Dio. Esattamente come facevano i credenti della chiesa di Berea, che non si fidavano neppure dell’apostolo Paolo, ma verificavano quello che diceva con le Scritture “per vedere se le cose stavano così”.
Vi pare che ripeta sempre le stesse cose? Può darsi, ma lo farò finché campo. Ciao!
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Ancora, sulla vita esuberante
Maria Teresa, quello che hai scritto sulla vita esuberante mi ha aiutata. Desidero con tutto il cuore piacere al Signore e avere una vita esuberante. Io però sono un tipo molto emotivo e mi butto giù molto facilmente. Vuol dire che mi manca qualcosa? Per favore, aiutami. —Paola
Paola, la tua nota è arrivata proprio a cece, perché avevo già intenzione di parlare della parte che abbiamo noi nello sperimentare la vita di Gesù ad esuberanza.
Prima di tutto, è importante che tu ti ricordi di essere donna e noi donne siamo, per natura, emotive. Se le cose vanno bene ci sentiamo eccitate e felici; se vanno male, il nostro stomaco diventa un malloppo duro e la testa ci fa male. Metti nel conto questa realtà che non ha niente a che fare con l’esperienza di una vita ad esuberanza.
Solo se questa tendenza alla tristezza fosse una costante che domina la tua vita, dovresti esaminarti bene se stai bene in salute, oppure – che ne so – se c’è un perdono che non hai concesso, o un peccato ricorrente che non sai dominare, o un rancore che non hai ancora risolto. Se coviamo dei sentimenti negativi, la vita ad esuberanza è impossibile.
Però, pensando a una situazione “normale”, e spero che la tua lo sia, io vedo l’importanza di alcune cose per sperimentare una gioia costante e profonda, che, secondo me, è il sintomo di una relazione buona col Signore e di una vita piena e felice con Lui.
La prima è non trascurare la preghiera, accompagnata da un atteggiamento totale di sottomissione al Signore. È inutile avvicinarci a Lui con dei “ma”, dei “se” o dei “però” o, peggio di tutto, dei “perché?”.
Se crediamo che Dio sia giusto, buono e santo, i “perché” li conosce Lui. Non è una questione di fatalismo, ma è un’abitudine ad avere fiducia nella sua bontà, nella sua santità e nella sua giustizia. Io chiedo le cose al Signore, ma non le pretendo. Gli dico quello che vorrei, ma non gli dò ordini e non faccio l’offesa se non me lo concede. Lui sa quello che è il mio bene e quello dei miei cari.
La seconda cosa è la lettura onesta, regolare e sistematica della Parola di Dio e la determinazione a metterla seriamente in pratica. Giacomo esortava i credenti a “ricevere la Parola con mansuetudine”. Se non abbiamo intenzione di sottometterci, scordiamoci la vita esuberante. Le obbiezioni a Dio non fanno parte della vita cristiana.
Terza cosa è camminare nella luce, cioè vivere cercando di mettere in pratica la Parola di Dio, confessando ogni peccato e vivendo nella trasparenza con Dio. Il Salmista chiedeva, nel Salmo 139: “Prova e conosci i miei pensieri, vedi se c’è in me qualche via iniqua e guidami per la via eterna”. Il Signore ci può convincere di peccati occulti, e di cose che non consideriamo peccati, ma che lo sono. Ascoltiamolo.
Quarta cosa, vivere praticando la presenza di Dio. Questo non vuol dire pregare tutto il tempo o cantare inni a squarciagola (anche se cantare ci fa bene!), ma essere conscie che Gesù è accanto a noi tutto il tempo e in ogni momento ci vede.
Quando siamo con una persona che rispettiamo, certamente ci comportiamo al meglio. Se vediamo che c’è un vigile, non passiamo col rosso. Se siamo convinti che Gesù ci sta guardando, faremo le cose giuste.
Questo, per me, è il modo per realizzare la vita esuberante nel Signore. Forse ti sembro troppo facilona. Ma, per me, funziona. Fammi sapere!
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La vita esuberante, cos’è?
Si sente spesso parlare della vita cristiana esuberante e Gesù ha affermato di essere venuto sulla terra per darci la vita eterna e darcela ad esuberanza. Ma spesso non si sa bene che cosa sia nella pratica questo tipo di vita.
Perciò è bene sapere che cosa NON è, tanto per partire col piede giusto.
Non è essere sempre entusiasti.
Non è essere sempre sprizzanti di gioia, come se stessimo per esplodere e avessimo vinto la lotteria di capodanno.
Non è gridare tutto il tempo “Gloria a Dio!” e non è neppure dare pacche sulle spalle della gente e affermare che con Gesù non ci sono problemi.
La vita esuberante è una cosa molto più seria che si dimostra anche quando tutto sembra andare storto, quando stai male e il dottore ti dice che hai il cancro, quando una persona molto cara ti tradisce, parla male di te e ti ferisce, quando ti sembra di essere arrivato alla fine di tutta la tua forza e quando per una tua stupidità che non conosci, il tuo computer ti perde una massa di dati importanti e devi ricominciare da capo il lavoro di settimane.
Allora, cos’è?
È una vita che comincia quando il Signore ti chiama per nome e lo Spirito Santo ti convince che sei perduto, che sei un peccatore senza speranza. Allora, tu stendi la mano come il peggiore mendicante, per ricevere il dono della vita eterna, cioè la salvezza acquistata da Gesù sulla croce, morendo al tuo posto.
È una nuova vita che ti porta delle benedizioni eterne. Fa di te una nuova creatura, innesta in te la natura divina, come dice l’Apostolo Pietro, fa del tuo corpo il tempio dello Spirito Santo, ti rende membro della famiglia di Dio e ti aiuta a pensare e a agire secondo i pensieri e la volontà di Dio. Tutto questo comporta delle benedizioni per questa vita e delle sicurezze riguardo all’eternità. In poche parole, è una vita di stretto contatto col Signore.
È anche una nuova vita che comporta delle responsabilità personali. La prima, come ho detto, un momento fa, è appropriarsene con un atto di fede personale in Cristo, credendo a quello che Lui ha detto e fatto e riconoscendolo come unico Salvatore e Signore della propria vita.
E poi, di conseguenza, non ascoltare altre voci e ubbidire unicamente alla voce del Pastore. Lui oggi non parla per mezzo di sogni, visioni, profezie umane. Non si serve di intuizioni filosofiche o di teorie di scienziati e psicologi. Parla solo per mezzo della Bibbia.
E la conoscenza approfondita della Bibbia produce una realtà di vita in comunione con Dio, di unità e armonia con Lui. Un’amicizia e famigliarità col Padre celeste, che ci permette di dirgli tutto, di godere della sua approvazione, di comprendere i suoi rimproveri e di avere la sicurezza costante della sua cura. Questa è la vita esuberante che Gesù ha promessa e che dipende dalla sua potenza e dalla sua misericordia.
Ma c’è ancora un po’ di più. Ne parliamo insieme la prossima volta.
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Perciò è bene sapere che cosa NON è, tanto per partire col piede giusto.
Non è essere sempre entusiasti.
Non è essere sempre sprizzanti di gioia, come se stessimo per esplodere e avessimo vinto la lotteria di capodanno.
Non è gridare tutto il tempo “Gloria a Dio!” e non è neppure dare pacche sulle spalle della gente e affermare che con Gesù non ci sono problemi.
La vita esuberante è una cosa molto più seria che si dimostra anche quando tutto sembra andare storto, quando stai male e il dottore ti dice che hai il cancro, quando una persona molto cara ti tradisce, parla male di te e ti ferisce, quando ti sembra di essere arrivato alla fine di tutta la tua forza e quando per una tua stupidità che non conosci, il tuo computer ti perde una massa di dati importanti e devi ricominciare da capo il lavoro di settimane.
Allora, cos’è?
È una vita che comincia quando il Signore ti chiama per nome e lo Spirito Santo ti convince che sei perduto, che sei un peccatore senza speranza. Allora, tu stendi la mano come il peggiore mendicante, per ricevere il dono della vita eterna, cioè la salvezza acquistata da Gesù sulla croce, morendo al tuo posto.
È una nuova vita che ti porta delle benedizioni eterne. Fa di te una nuova creatura, innesta in te la natura divina, come dice l’Apostolo Pietro, fa del tuo corpo il tempio dello Spirito Santo, ti rende membro della famiglia di Dio e ti aiuta a pensare e a agire secondo i pensieri e la volontà di Dio. Tutto questo comporta delle benedizioni per questa vita e delle sicurezze riguardo all’eternità. In poche parole, è una vita di stretto contatto col Signore.
È anche una nuova vita che comporta delle responsabilità personali. La prima, come ho detto, un momento fa, è appropriarsene con un atto di fede personale in Cristo, credendo a quello che Lui ha detto e fatto e riconoscendolo come unico Salvatore e Signore della propria vita.
E poi, di conseguenza, non ascoltare altre voci e ubbidire unicamente alla voce del Pastore. Lui oggi non parla per mezzo di sogni, visioni, profezie umane. Non si serve di intuizioni filosofiche o di teorie di scienziati e psicologi. Parla solo per mezzo della Bibbia.
E la conoscenza approfondita della Bibbia produce una realtà di vita in comunione con Dio, di unità e armonia con Lui. Un’amicizia e famigliarità col Padre celeste, che ci permette di dirgli tutto, di godere della sua approvazione, di comprendere i suoi rimproveri e di avere la sicurezza costante della sua cura. Questa è la vita esuberante che Gesù ha promessa e che dipende dalla sua potenza e dalla sua misericordia.
Ma c’è ancora un po’ di più. Ne parliamo insieme la prossima volta.
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Qualcuno ti vede...
“L’Italia è dall’altra parte!” ci ha detto una persona mentre uscivamo da un MacDonald. Eravamo in America e stavamo andando verso la nostra macchina ferma nel parcheggio.
Non pensavamo che qualcuno ci conoscesse da quelle parti. Invece era proprio un amico di vecchia data. È stata una piacevole sorpresa rivederlo.
Non siamo famosi, ma è successo parecchie volte di essere riconosciuti in posti in cui pensavamo che nessuno sapesse chi siamo.
Per esempio, una volta eravamo, mio marito ed io, in un bosco nel nord del Michigan, nella zona che si chiama Upper Peninsula, un posto in cui è più facile trovare un orso o un cervo che una persona. Seguivamo un sentiero ben tracciato e sentiamo una voce: “Bill Standridge, che fai qui? Non sei in Italia?”.
Era un vecchio amico del padre di Bill che faceva anche lui una passeggiata da quelle parti e che Bill non aveva visto da anni. Ci siamo salutati, scambiato notizie e fatto un po’ di cammino insieme.
Un’altra volta eravamo nella Carolina del Sud in un bellissimo centro per conferenze e convegni. Abbiamo ascoltato un oratore molto preparato che parlava di profezia e di attualità. Alla fine della riunione, mentre si vuotava la sala, una voce tonante si è levata: “Viva l’Italia! Mamma mia!” Era un professore della facoltà di teologia che Bill ha frequentato, circa vent’anni fa. Ci aveva visti e aveva usato, per attirare la nostra attenzione, tutto l’italiano che sapeva. È stato bello rivederlo.
Un’altra volta ancora, eravamo in vacanza in Svizzera in un paesino dove degli amici ci avevano dato l’uso di un loro appartamento. Dopo cena, eravamo usciti a fare due passi e guardavamo una vetrina.
“Ma guarda chi si vede! Gli Standridge!” Erano degli amici di Roma. Chi mai avrebbe immaginato di trovarli lì?
Nella vita non si finisce mai di imparare e questi incontri, assolutamente imprevisti, ci hanno ricordato e insegnato quanto sia importante comportarsi bene e fare le cose giuste anche quando pensiamo che nessuno ci potrebbe vedere.
“Che importa se lo faccio? Tanto qui nessuno mi conosce” possiamo pensare.
Invece, in ogni modo, c’è Uno che non ci perde mai di vista e ci accompagna ovunque.
È il Signore. Perciò è importante andare nei posti dove Lui sia contento di accompagnarci, fare le cose che farebbe anche Lui e che approverebbe. E dove noi saremmo contenti di trovarci quando verrà a prenderci per portarci con sé in cielo.
Non vorremmo mai essere scoperti da un amico che ci stima in una bettola o in un cinema a luci rosse. Ma come ci piacerebbe essere trovati dal Signore mentre siamo a scuola e stiamo ingannando il professore, copiando il compito da un compagno? O se in ufficio facessimo i fatti nostri anziché lavorare? O stessimo compilando disonestamente la cartella delle tasse?
Ogni accenno al ritorno del Signore, nella Bibbia, è accompagnato con un’esortazione alla buona condotta e alla santificazione. Lo avevate già notato? Perciò sarebbe molto brutto dover fare la faccia rossa al momento del nostro incontro con Lui. Non vi pare?
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Non pensavamo che qualcuno ci conoscesse da quelle parti. Invece era proprio un amico di vecchia data. È stata una piacevole sorpresa rivederlo.
Non siamo famosi, ma è successo parecchie volte di essere riconosciuti in posti in cui pensavamo che nessuno sapesse chi siamo.
Per esempio, una volta eravamo, mio marito ed io, in un bosco nel nord del Michigan, nella zona che si chiama Upper Peninsula, un posto in cui è più facile trovare un orso o un cervo che una persona. Seguivamo un sentiero ben tracciato e sentiamo una voce: “Bill Standridge, che fai qui? Non sei in Italia?”.
Era un vecchio amico del padre di Bill che faceva anche lui una passeggiata da quelle parti e che Bill non aveva visto da anni. Ci siamo salutati, scambiato notizie e fatto un po’ di cammino insieme.
Un’altra volta eravamo nella Carolina del Sud in un bellissimo centro per conferenze e convegni. Abbiamo ascoltato un oratore molto preparato che parlava di profezia e di attualità. Alla fine della riunione, mentre si vuotava la sala, una voce tonante si è levata: “Viva l’Italia! Mamma mia!” Era un professore della facoltà di teologia che Bill ha frequentato, circa vent’anni fa. Ci aveva visti e aveva usato, per attirare la nostra attenzione, tutto l’italiano che sapeva. È stato bello rivederlo.
Un’altra volta ancora, eravamo in vacanza in Svizzera in un paesino dove degli amici ci avevano dato l’uso di un loro appartamento. Dopo cena, eravamo usciti a fare due passi e guardavamo una vetrina.
“Ma guarda chi si vede! Gli Standridge!” Erano degli amici di Roma. Chi mai avrebbe immaginato di trovarli lì?
Nella vita non si finisce mai di imparare e questi incontri, assolutamente imprevisti, ci hanno ricordato e insegnato quanto sia importante comportarsi bene e fare le cose giuste anche quando pensiamo che nessuno ci potrebbe vedere.
“Che importa se lo faccio? Tanto qui nessuno mi conosce” possiamo pensare.
Invece, in ogni modo, c’è Uno che non ci perde mai di vista e ci accompagna ovunque.
È il Signore. Perciò è importante andare nei posti dove Lui sia contento di accompagnarci, fare le cose che farebbe anche Lui e che approverebbe. E dove noi saremmo contenti di trovarci quando verrà a prenderci per portarci con sé in cielo.
Non vorremmo mai essere scoperti da un amico che ci stima in una bettola o in un cinema a luci rosse. Ma come ci piacerebbe essere trovati dal Signore mentre siamo a scuola e stiamo ingannando il professore, copiando il compito da un compagno? O se in ufficio facessimo i fatti nostri anziché lavorare? O stessimo compilando disonestamente la cartella delle tasse?
Ogni accenno al ritorno del Signore, nella Bibbia, è accompagnato con un’esortazione alla buona condotta e alla santificazione. Lo avevate già notato? Perciò sarebbe molto brutto dover fare la faccia rossa al momento del nostro incontro con Lui. Non vi pare?
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Chi comincia bene, finisce sempre bene?
Qualcuno ha detto che le lezioni della storia sono quelle che nessun popolo impara. Ben detto! Nelle mie meditazioni della Bibbia ho finito di leggere i Libri della Cronache. Peccato che si leggano poco e pochi predicatori li usino nei loro sermoni.
Ammetto che varie genealogie e liste di nomi siano un po’ monotone, ma io trovo bello pensare che sono nomi di gente veramente esistita e che Dio ha annotato e di cui ha tenuto conto. Mi viene sempre da pensare in che lista starebbe bene il mio nome!
In ogni modo, una cosa che ho notato è che anche tutti i re “buoni” del regno di Giuda, quelli che “fecero ciò che è giusto agli occhi dell’Eterno”, alla fine della loro vita hanno scantinato.
Cominciò Salomone, l’uomo più sapiente che sia mai esistito, ma che, alla fine della sua vita, si lasciò trascinare all’idolatria dalle sue molte mogli pagane. Poi fu suo figlio Roboamo, dopo che si stabilì nel regno, cominciò a disubbidire a Dio e la sua vita non onorò Dio.
Poi ci fu Asa che cominciò bene e, a un certo punto fece delle alleanze sbagliate, si adirò con un profeta che lo riprendeva e lo fece addirittura mettere in prigione. Poi divenne anche crudele. Quando si ammalò non si rivolse a Dio per essere guarito.
Suo figlio Giosafat cominciò benissimo e poi si andò a imparentare con il malvagio Re del regno del nord, d’Israele e, fra alti e bassi, non onorò completamente Dio.
Joas andò bene solo finché visse il Sacerdote Amatsia che gli faceva da consigliere.
Amasia, figlio di Joas, seguì il Signore “ma non con tutto il cuore” e finì assassinato.
Uzzia cominciò bene, ma, a un certo momento, profanò il tempio e fu colpito di lebbra.
Suo figlio Iotam si comportò bene, ma non bandì l’idolatria.
Ezechia governò bene, ma peccò di orgoglio e ne pagò le conseguenze.
Giosia fu fedele, ma si impegnò in una guerra che lo portò alla morte, pur essendo stato esortato a non farlo.
Questi re dell’Antico Testamento avevano una scusante. Non avevano la Bibbia da consultare. Dio parlava loro occasionalmente. Conoscevano la legge di Mosè e cercavano di imporla al popolo. I profeti li esortavano e li riprendevano, ma non si trattava di un insegnamento costante, anche se avrebbe potuto essere sufficiente.
Essi furono però colpevoli, perché non imparavano dalle loro esperienze con Dio. Quando erano fedeli, Dio faceva prosperare il loro regno e dava loro pace e vittorie. Quando, invece, erano infedeli, potevano costatare in modo pratico e visibile la punizione del Signore. Le promesse di prosperità, di pace e benessere da parte di Dio erano evidenti, eppure loro diventavano lo stesso disubbidienti e Dio li doveva colpire.
“Come mai erano così stupidi?” ho chiesto a mio marito. “Dopo tutto, se si comportavano bene Dio faceva stare bene loro e la loro gente... Perché si rovinavano con le loro stesse mani?”
“Erano umani e quando le cose vanno molto bene, è facile cominciare a pensare che si è invulnerabili e abbastanza potenti per poter vivere al di sopra della legge, soprattutto della legge di Dio. Così si comincia a fare di testa propria e a fare a meno di Dio” mi ha risposto “e il peccato ti ritrova...”
Era una risposta saggia, basata sulla Bibbia, che ammonisce: “Perciò chi pensa di stare in piedi, guardi di non cadere” (1 Corinzi 10:12). Pensiamoci. Per la disubbidienza non c’è scusa. E, come si dice sempre, siamo liberi di disubbidire, ma non possiamo scegliere le conseguenze delle notre disubbidienze.
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Ammetto che varie genealogie e liste di nomi siano un po’ monotone, ma io trovo bello pensare che sono nomi di gente veramente esistita e che Dio ha annotato e di cui ha tenuto conto. Mi viene sempre da pensare in che lista starebbe bene il mio nome!
In ogni modo, una cosa che ho notato è che anche tutti i re “buoni” del regno di Giuda, quelli che “fecero ciò che è giusto agli occhi dell’Eterno”, alla fine della loro vita hanno scantinato.
Cominciò Salomone, l’uomo più sapiente che sia mai esistito, ma che, alla fine della sua vita, si lasciò trascinare all’idolatria dalle sue molte mogli pagane. Poi fu suo figlio Roboamo, dopo che si stabilì nel regno, cominciò a disubbidire a Dio e la sua vita non onorò Dio.
Poi ci fu Asa che cominciò bene e, a un certo punto fece delle alleanze sbagliate, si adirò con un profeta che lo riprendeva e lo fece addirittura mettere in prigione. Poi divenne anche crudele. Quando si ammalò non si rivolse a Dio per essere guarito.
Suo figlio Giosafat cominciò benissimo e poi si andò a imparentare con il malvagio Re del regno del nord, d’Israele e, fra alti e bassi, non onorò completamente Dio.
Joas andò bene solo finché visse il Sacerdote Amatsia che gli faceva da consigliere.
Amasia, figlio di Joas, seguì il Signore “ma non con tutto il cuore” e finì assassinato.
Uzzia cominciò bene, ma, a un certo momento, profanò il tempio e fu colpito di lebbra.
Suo figlio Iotam si comportò bene, ma non bandì l’idolatria.
Ezechia governò bene, ma peccò di orgoglio e ne pagò le conseguenze.
Giosia fu fedele, ma si impegnò in una guerra che lo portò alla morte, pur essendo stato esortato a non farlo.
Questi re dell’Antico Testamento avevano una scusante. Non avevano la Bibbia da consultare. Dio parlava loro occasionalmente. Conoscevano la legge di Mosè e cercavano di imporla al popolo. I profeti li esortavano e li riprendevano, ma non si trattava di un insegnamento costante, anche se avrebbe potuto essere sufficiente.
Essi furono però colpevoli, perché non imparavano dalle loro esperienze con Dio. Quando erano fedeli, Dio faceva prosperare il loro regno e dava loro pace e vittorie. Quando, invece, erano infedeli, potevano costatare in modo pratico e visibile la punizione del Signore. Le promesse di prosperità, di pace e benessere da parte di Dio erano evidenti, eppure loro diventavano lo stesso disubbidienti e Dio li doveva colpire.
“Come mai erano così stupidi?” ho chiesto a mio marito. “Dopo tutto, se si comportavano bene Dio faceva stare bene loro e la loro gente... Perché si rovinavano con le loro stesse mani?”
“Erano umani e quando le cose vanno molto bene, è facile cominciare a pensare che si è invulnerabili e abbastanza potenti per poter vivere al di sopra della legge, soprattutto della legge di Dio. Così si comincia a fare di testa propria e a fare a meno di Dio” mi ha risposto “e il peccato ti ritrova...”
Era una risposta saggia, basata sulla Bibbia, che ammonisce: “Perciò chi pensa di stare in piedi, guardi di non cadere” (1 Corinzi 10:12). Pensiamoci. Per la disubbidienza non c’è scusa. E, come si dice sempre, siamo liberi di disubbidire, ma non possiamo scegliere le conseguenze delle notre disubbidienze.
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“Se ne avete il coraggio...”
Questa storia me l’ha raccontata mio padre, una volta che mi lamentavo di un professore troppo severo.
“Fatti coraggio” mi ha detto, “una volta, per un intero anno scolastico, ho avuto mio padre come professore. Non ci crederai, ma mi interrogava tutti i giorni e, a volte, mi dava il doppio di compiti a casa. Così nessuno poteva dire che faceva delle preferenze per me!”
L’integrità di mio nonno era proverbiale.
Una volta, quando si avvicinavano gli scrutini, fu chiamato dal Preside del Liceo, in cui insegnava, il quale gli disse, col fare di uno che la sa lunga: “Il tale dei tali è il figlio del Sindaco. Tutti sappiamo che non vale niente e che non studia... Però, per il quieto vivere, e il bene della scuola, una spinta bisognerebbe dargliela e chiudere un occhio. So che lei non lo farebbe con nessuno, ma...”
“Infatti, non lo farei e non lo farò con nessuno” fu la risposta del nonno.
Venne il tempo degli scrutini e i professori erano riuniti a consiglio. I vari studenti furono valutati e quando venne il momento del figlio del Sindaco (i vari insegnanti, che avevano tutti avuto la stessa conversazione col Preside, riguardo al quieto vivere e al bene della scuola), mio nonno disse: “Per me deve essere bocciato!”.
“Certamente” dissero alcuni, “ma ogni regola ha le sue eccezioni...”
Il nonno si alzò e andò a aprire l’armadietto in cui teneva i compiti dei ragazzi corretti. Trovò quelli del figlio del Sindaco, ne fece un bel mazzetto e li buttò sul grande tavolo, davanti agli occhi allibiti e spaventati del corpo insegnante. Erano pieni di rigacce rosse e blù.
Poi disse: “E adesso, promuovetelo voi, se ne avete il coraggio!”.
Poi uscì dalla stanza.
Non so se il ragazzo sia stato promosso o bocciato. Una cosa è appurata: il nonno fu trasferito ad altra sede.
La scuola, una volta, era il regno della severità, a volte, anche eccessiva. Oggi le cose sono diverse. Si ha paura di traumatizzare gli studenti. Così non si puniscono severamente i bulli e i maestri e professori non sanno come tenere la disciplina nella loro classe. Ma, in molti casi, hanno le mani legate dalle regole del “politicamente corretto” e di interventi da parte del telefono azzurro o di genitori pronti a denunciare e protestare.
Conosco dei genitori che hanno supplicato i professori di bocciare la loro figlia, che non aveva voglia di studiare, non studiava e prendeva la scuola troppo alla leggera. Non sono stati accontentati “per il bene della ragazza”. Ma quale bene?
Secondo me, quei professori hanno fatto male. Nessuno è mai morto per aver ripetuto un anno di scuola e, a volte, una lezione dura è salutare e può mettere sui binari giusti una vita.
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“Fatti coraggio” mi ha detto, “una volta, per un intero anno scolastico, ho avuto mio padre come professore. Non ci crederai, ma mi interrogava tutti i giorni e, a volte, mi dava il doppio di compiti a casa. Così nessuno poteva dire che faceva delle preferenze per me!”
L’integrità di mio nonno era proverbiale.
Una volta, quando si avvicinavano gli scrutini, fu chiamato dal Preside del Liceo, in cui insegnava, il quale gli disse, col fare di uno che la sa lunga: “Il tale dei tali è il figlio del Sindaco. Tutti sappiamo che non vale niente e che non studia... Però, per il quieto vivere, e il bene della scuola, una spinta bisognerebbe dargliela e chiudere un occhio. So che lei non lo farebbe con nessuno, ma...”
“Infatti, non lo farei e non lo farò con nessuno” fu la risposta del nonno.
Venne il tempo degli scrutini e i professori erano riuniti a consiglio. I vari studenti furono valutati e quando venne il momento del figlio del Sindaco (i vari insegnanti, che avevano tutti avuto la stessa conversazione col Preside, riguardo al quieto vivere e al bene della scuola), mio nonno disse: “Per me deve essere bocciato!”.
“Certamente” dissero alcuni, “ma ogni regola ha le sue eccezioni...”
Il nonno si alzò e andò a aprire l’armadietto in cui teneva i compiti dei ragazzi corretti. Trovò quelli del figlio del Sindaco, ne fece un bel mazzetto e li buttò sul grande tavolo, davanti agli occhi allibiti e spaventati del corpo insegnante. Erano pieni di rigacce rosse e blù.
Poi disse: “E adesso, promuovetelo voi, se ne avete il coraggio!”.
Poi uscì dalla stanza.
Non so se il ragazzo sia stato promosso o bocciato. Una cosa è appurata: il nonno fu trasferito ad altra sede.
La scuola, una volta, era il regno della severità, a volte, anche eccessiva. Oggi le cose sono diverse. Si ha paura di traumatizzare gli studenti. Così non si puniscono severamente i bulli e i maestri e professori non sanno come tenere la disciplina nella loro classe. Ma, in molti casi, hanno le mani legate dalle regole del “politicamente corretto” e di interventi da parte del telefono azzurro o di genitori pronti a denunciare e protestare.
Conosco dei genitori che hanno supplicato i professori di bocciare la loro figlia, che non aveva voglia di studiare, non studiava e prendeva la scuola troppo alla leggera. Non sono stati accontentati “per il bene della ragazza”. Ma quale bene?
Secondo me, quei professori hanno fatto male. Nessuno è mai morto per aver ripetuto un anno di scuola e, a volte, una lezione dura è salutare e può mettere sui binari giusti una vita.
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Non hanno visto il professore!
Mio nonno doveva essere un gran bel tipetto! Integerrimo e tutto d’un pezzo. Non faceva preferenze fra gli studenti, a cui insegnava greco e latino, e non accettava raccomandazioni. Perciò i presidi dei licei, ogni tanto, chiedevano che fosse trasferito. Perciò passin passino arrivò a insegnare fino in Sicilia, che nell’800 era un posto abbastanza difficile.
Mia nonna mi ha raccontato, quando io avevo circa sette anni, questa storia e la mia è tradizione orale. Se c’è qualche inesattezza, non è colpa mia.
Una mattina, mentre il nonno era a scuola e faceva lezione come al solito, una donna andò a bussare alla sua casa e disse a mia nonna, che accudiva i suoi due bambini (Daniele, mio padre, che era molto piccolo, e Febe, la sua sorellina un po’ più grande), con fare spaventato: “Signora, vada a scuola e dica a suo marito che oggi degli uomini mandati dal Vescovo devono ammazzarlo!”.
Mio nonno e sua moglie erano evangelici. Allora i credenti erano malvisti e perseguitati. Per di più, mio nonno era un ex-Monsignore che aveva lasciato la chiesa perché vi aveva visto troppa corruzione e immoralità.
Mia nonna prese i bambini e andò alla scuola. Chiese di parlare col marito e lo avvisò di quello che la donna le aveva riferito. Non sembra che il nonno ne sia rimasto troppo sorpreso. Gli evangelici erano considerati eretici e erano ovunque “persona non grata”.
“Aspettami nella sala dei professori e non uscire” disse il nonno. “Fammi finire la lezione e poi, se ci sono davvero delle persone che vogliono farci del male, chiederemo a Dio di accecarle. Stai tranquilla”.
Non so quanto si sia sentita tranquilla mia nonna, quando, dalla finestra, vide parecchi uomini armati di forconi e di bastoni non lontani dalla scuola.
Finita la lezione, mio nonno si appartò con la moglie e i bambini e chiese al Signore di accecare quella gente. Se lo aveva fatto rispondendo alla preghiera di Eliseo, poteva farlo di nuovo e accecare anche quei Siciliani.
Poi prese in braccio mio papà, prese per mano la figlia e uscì dal portone centrale della scuola a fianco della moglie. Gli uomini armati di bastoni e forconi lo lasciarono passare.
Non lo avevano visto. Infatti, rimasero a lungo davanti alla scuola, aspettando che uscisse!
Dio non fa mai miracoli inutili. Se i nonni avessero potuto chiamare i Carabinieri, lo avrebbero fatto. Ma, a quei tempi, non c’era il telefono per avvisarli e forse quelli non sarebbero intervenuti, per paura delle ire del Vescovo. Se ci fosse stato modo di nascondersi, i nonni forse si sarebbero nascosti, ma dato il carattere del nonno, ne dubito.
Ci voleva un miracolo. E Dio lo ha fatto.
Se mi chiedete se il nonnetto è rimasto nello stesso posto o ha chiesto un trasferimento, non lo so. Ma dato il suo carattere, direi che il giorno dopo è tornato a insegnare latino e greco come se non fosse successo niente. E a continuare a non fare né preferenze né a chiedere il pizzo per promuovere degli asini.
Anche questa è un’altra storia. Ve la racconto la prossima volta.
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Mia nonna mi ha raccontato, quando io avevo circa sette anni, questa storia e la mia è tradizione orale. Se c’è qualche inesattezza, non è colpa mia.
Una mattina, mentre il nonno era a scuola e faceva lezione come al solito, una donna andò a bussare alla sua casa e disse a mia nonna, che accudiva i suoi due bambini (Daniele, mio padre, che era molto piccolo, e Febe, la sua sorellina un po’ più grande), con fare spaventato: “Signora, vada a scuola e dica a suo marito che oggi degli uomini mandati dal Vescovo devono ammazzarlo!”.
Mio nonno e sua moglie erano evangelici. Allora i credenti erano malvisti e perseguitati. Per di più, mio nonno era un ex-Monsignore che aveva lasciato la chiesa perché vi aveva visto troppa corruzione e immoralità.
Mia nonna prese i bambini e andò alla scuola. Chiese di parlare col marito e lo avvisò di quello che la donna le aveva riferito. Non sembra che il nonno ne sia rimasto troppo sorpreso. Gli evangelici erano considerati eretici e erano ovunque “persona non grata”.
“Aspettami nella sala dei professori e non uscire” disse il nonno. “Fammi finire la lezione e poi, se ci sono davvero delle persone che vogliono farci del male, chiederemo a Dio di accecarle. Stai tranquilla”.
Non so quanto si sia sentita tranquilla mia nonna, quando, dalla finestra, vide parecchi uomini armati di forconi e di bastoni non lontani dalla scuola.
Finita la lezione, mio nonno si appartò con la moglie e i bambini e chiese al Signore di accecare quella gente. Se lo aveva fatto rispondendo alla preghiera di Eliseo, poteva farlo di nuovo e accecare anche quei Siciliani.
Poi prese in braccio mio papà, prese per mano la figlia e uscì dal portone centrale della scuola a fianco della moglie. Gli uomini armati di bastoni e forconi lo lasciarono passare.
Non lo avevano visto. Infatti, rimasero a lungo davanti alla scuola, aspettando che uscisse!
Dio non fa mai miracoli inutili. Se i nonni avessero potuto chiamare i Carabinieri, lo avrebbero fatto. Ma, a quei tempi, non c’era il telefono per avvisarli e forse quelli non sarebbero intervenuti, per paura delle ire del Vescovo. Se ci fosse stato modo di nascondersi, i nonni forse si sarebbero nascosti, ma dato il carattere del nonno, ne dubito.
Ci voleva un miracolo. E Dio lo ha fatto.
Se mi chiedete se il nonnetto è rimasto nello stesso posto o ha chiesto un trasferimento, non lo so. Ma dato il suo carattere, direi che il giorno dopo è tornato a insegnare latino e greco come se non fosse successo niente. E a continuare a non fare né preferenze né a chiedere il pizzo per promuovere degli asini.
Anche questa è un’altra storia. Ve la racconto la prossima volta.
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“Ve la mostro io la strada! Seguitemi!”
Uno dei ricordi più belli di un mio viaggio in Israele, avvenuto molti anni fa, è stata la visita a Dotan. Ci siamo andati per conto nostro, senza agenti di turismo con le loro spiegazioni imparate a memoria, con una macchina presa in affitto. Mio marito voleva vedere gli scavi di quella antica città, fatti da un suo professore d’Università.
Dotan sorge in una conca, nella parte nord della Palestina. È circondata da colline, ed era il luogo in cui, millenni prima, Giuseppe, il figlio di Giacobbe, era andato a cercare i suoi fratelli che lo avrebbero poi buttato in una cisterna e venduto a una carovana di Ismaeliti, diretti in Egitto. Era facile immaginare le greggi di Giacobbe, sparse fra i campi e Giuseppe che arrivava con passo sicuro da lontano. Suo padre gli aveva dato una grossa incombenza.
Quando ci siamo arrivati noi, era un pomeriggio tranquillo, le pecore pascolavano e un po’ di vento portava, da chissà dove, il suono di uno zufolo. Un quadro perfetto per dei turisti curiosi e entusiasti come noi.
Dotan è anche la zona in cui è avvenuto un bell’episodio di cui fu protagonista Eliseo (e ci risiamo con Eliseo!). La storia è nel capitolo 6 del secondo Libro dei Re.
Il re d’Israele, cioè il sovrano del regno del nord, era in guerra con il re di Siria e accadeva che tutte le mosse che il re di Siria programmava erano preconosciute e rese vane dal re d’Israele.
“Ma chi è che fa la spia?” chiese infuriato il re di Siria ai suoi.
“Maestà, nessuno fra noi fa la spia. Ma il profeta Eliseo, quell’uomo di Dio che sta in Israele, fa sapere ogni cosa al suo re. È uno che sa tutto, anche quello che tu dici nella tua camera da letto, quando ti corichi”.
“Informatevi dov’è, andatelo a prendere e ci penserò io!” ordinò il re.
“È a Dotan” fu la risposta.
Per catturalo, il re mandò un gran numero di soldati, carri e cavalieri che si schierarono sulle colline che circondavano Dotan. Uno spettacolo terribile. Mentre io ero a Dotan, non ho fatto nessuna fatica a immaginare la scena. Le colline sono proprio come una cintura attorno alla pianura dove pascolavano le pecore.
Ma torniamo alla storia. La mattina presto il servo di Eliseo si alza e vede tutto quel po’ po’ di armati. Corre da Eliseo allarmatissimo: “E adesso che facciamo?”.
“Non aver paura quelli che sono con noi, sono più numerosi di loro!” risponde Eliseo e chiede al Signore di aprire gli occhi del servo. Questo, a un tratto, sulla collina vede una massa di cavalli e di carri di fuoco che circondavano Eliseo.
Il profeta allora va incontro all’esercito chiedendo al Signore di accecare tutta quella masnada di gente. Il Signore lo esaudisce e Eliseo dice: “Avete sbagliato strada. Vi ci porto io dall’uomo che cercate!” (mica male l’umorismo del Signore!) e passo dopo passo li conduce fino a Samaria, la capitale del Regno di Israele.
A quel punto gli occhi dei Siri si aprirono. Erano in trappola!
Il re d’Israele chiede a Eliseo se doveva farli fuori tutti.
“Non lo fare; sono tuoi prigionieri. Dagli da mangiare e da bere e rimandali a casa”.
Il re gli dà retta e i Siri possono tornare a casa. Per un certo tempo “le bande dei Siri non fecero più incursioni” racconta la Bibbia.
Nella vita, abbiamo molti nemici, ma, se siamo credenti, Colui che ci protegge è infinitamente più potente di qualsiasi nemico. A cominciare da Satana che Gesù ha vinto sulla croce. L’importante è guardare le situazioni con gli occhi della fede e crederci. Dio può accecare e liberare, come è successo a mio nonno. Ma questo ve lo racconto la prossima volta. Ciao!
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Dotan sorge in una conca, nella parte nord della Palestina. È circondata da colline, ed era il luogo in cui, millenni prima, Giuseppe, il figlio di Giacobbe, era andato a cercare i suoi fratelli che lo avrebbero poi buttato in una cisterna e venduto a una carovana di Ismaeliti, diretti in Egitto. Era facile immaginare le greggi di Giacobbe, sparse fra i campi e Giuseppe che arrivava con passo sicuro da lontano. Suo padre gli aveva dato una grossa incombenza.
Quando ci siamo arrivati noi, era un pomeriggio tranquillo, le pecore pascolavano e un po’ di vento portava, da chissà dove, il suono di uno zufolo. Un quadro perfetto per dei turisti curiosi e entusiasti come noi.
Dotan è anche la zona in cui è avvenuto un bell’episodio di cui fu protagonista Eliseo (e ci risiamo con Eliseo!). La storia è nel capitolo 6 del secondo Libro dei Re.
Il re d’Israele, cioè il sovrano del regno del nord, era in guerra con il re di Siria e accadeva che tutte le mosse che il re di Siria programmava erano preconosciute e rese vane dal re d’Israele.
“Ma chi è che fa la spia?” chiese infuriato il re di Siria ai suoi.
“Maestà, nessuno fra noi fa la spia. Ma il profeta Eliseo, quell’uomo di Dio che sta in Israele, fa sapere ogni cosa al suo re. È uno che sa tutto, anche quello che tu dici nella tua camera da letto, quando ti corichi”.
“Informatevi dov’è, andatelo a prendere e ci penserò io!” ordinò il re.
“È a Dotan” fu la risposta.
Per catturalo, il re mandò un gran numero di soldati, carri e cavalieri che si schierarono sulle colline che circondavano Dotan. Uno spettacolo terribile. Mentre io ero a Dotan, non ho fatto nessuna fatica a immaginare la scena. Le colline sono proprio come una cintura attorno alla pianura dove pascolavano le pecore.
Ma torniamo alla storia. La mattina presto il servo di Eliseo si alza e vede tutto quel po’ po’ di armati. Corre da Eliseo allarmatissimo: “E adesso che facciamo?”.
“Non aver paura quelli che sono con noi, sono più numerosi di loro!” risponde Eliseo e chiede al Signore di aprire gli occhi del servo. Questo, a un tratto, sulla collina vede una massa di cavalli e di carri di fuoco che circondavano Eliseo.
Il profeta allora va incontro all’esercito chiedendo al Signore di accecare tutta quella masnada di gente. Il Signore lo esaudisce e Eliseo dice: “Avete sbagliato strada. Vi ci porto io dall’uomo che cercate!” (mica male l’umorismo del Signore!) e passo dopo passo li conduce fino a Samaria, la capitale del Regno di Israele.
A quel punto gli occhi dei Siri si aprirono. Erano in trappola!
Il re d’Israele chiede a Eliseo se doveva farli fuori tutti.
“Non lo fare; sono tuoi prigionieri. Dagli da mangiare e da bere e rimandali a casa”.
Il re gli dà retta e i Siri possono tornare a casa. Per un certo tempo “le bande dei Siri non fecero più incursioni” racconta la Bibbia.
Nella vita, abbiamo molti nemici, ma, se siamo credenti, Colui che ci protegge è infinitamente più potente di qualsiasi nemico. A cominciare da Satana che Gesù ha vinto sulla croce. L’importante è guardare le situazioni con gli occhi della fede e crederci. Dio può accecare e liberare, come è successo a mio nonno. Ma questo ve lo racconto la prossima volta. Ciao!
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Pagare per accarezzare un gattino?
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Sembra eccessivo, ma la fantasia di chi vuole fare soldi non ha limiti.
A Tokio, ora vanno di moda i “CAT CAFE’”, cioè dei locali in cui gli avventori, per la modica spesa di 6 euro, possono tenere sulle ginocchia per un’ora uno dei molti gattini messi a disposizione dal padrone del locale. Così mentre il gattino fa le fusa, loro lo possono accarezzare, mentre prendono il tè. Pare che il numero degli avventori sia molto aumentato. “De gustibus, non est disputandum...” dicevano i Romani. Probabilmente Totò avrebbe tradotto il detto con: “Sui gusti non c’è da sputare...” invece che “da discutere”.
L’altro giorno, in TV, su un canale privato, ho visto una signora che supplicava, piangendo e singhiozzando, di riportarle il suo gattino. “Ridatemi il mio bambino!” diceva.
Ho anche sentito che c’è la proposta di includere l’animale di casa (mi pare limitato a cane o gatto) nello stato di famiglia.
Per non parlare della pubblicità che parla di cibi speciali e già dosati per gatti e cani, della TV che fa vedere i gatti che mangiano su piatti che sembrano uscire dalla cucina del Grand Hotel. Insomma, penso di essermi spiegata.
In nessun modo, si dovrebbero maltrattare gli animali e chi lo fa è un disgraziato che dovrebbe essere punito. Quando i nostri figli erano piccoli, per la loro gioia, abbiamo avuto in casa una specie di zoo, composto da canarini, cani, pesci rossi, tartaruga, pulcini, criceto. Ai bambini fa bene imparare a amare, rispettare e curare gli animali. E se imparano da bambini, continueranno a farlo da grandi.
È anche vero che, a volte, alcuni animali si comportano come umani, a cominciare dal cane di Ulisse che ha riconosciuto il padrone dopo, mi pare, vent’anni di assenza. Ma bisogna anche capire che sono animali e che non si devono trattare come se fossero umani. Anche se il Papa ha balenato l’idea che ci sia un posto anche per loro in cielo, la Bibbia non dice niente di simile. Gli animali sono per questa terra e l’aldilà è per gli umani.
Dio li protegge e ne ha compassione (nel voler risparmiare Ninive, al tempo di Giona, ha pensato anche a loro), ma li ha creati per l’uomo e per il suo bene. Non ha dato loro un’anima immortale e una libertà di fare scelte morali. Sono programmati per fare quello che fanno e non ci sarà mai un gatto che si comporterà da coniglio, né una rondine che deciderà di farsi un nido simile a quello di un tordo. Finché campa farà il suo nido come Dio ha programmato che facesse.
Perciò sbaglia chi pensa che gli animali facciano scelte personali morali, su cosa sia bene fare o non fare, come sottinteso sempre nei documentari sugli animali che vediamo in TV. Noi non dobbiamo cercare di essere più santi e più savi di Lui.
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Sembra eccessivo, ma la fantasia di chi vuole fare soldi non ha limiti.
A Tokio, ora vanno di moda i “CAT CAFE’”, cioè dei locali in cui gli avventori, per la modica spesa di 6 euro, possono tenere sulle ginocchia per un’ora uno dei molti gattini messi a disposizione dal padrone del locale. Così mentre il gattino fa le fusa, loro lo possono accarezzare, mentre prendono il tè. Pare che il numero degli avventori sia molto aumentato. “De gustibus, non est disputandum...” dicevano i Romani. Probabilmente Totò avrebbe tradotto il detto con: “Sui gusti non c’è da sputare...” invece che “da discutere”.
L’altro giorno, in TV, su un canale privato, ho visto una signora che supplicava, piangendo e singhiozzando, di riportarle il suo gattino. “Ridatemi il mio bambino!” diceva.
Ho anche sentito che c’è la proposta di includere l’animale di casa (mi pare limitato a cane o gatto) nello stato di famiglia.
Per non parlare della pubblicità che parla di cibi speciali e già dosati per gatti e cani, della TV che fa vedere i gatti che mangiano su piatti che sembrano uscire dalla cucina del Grand Hotel. Insomma, penso di essermi spiegata.
In nessun modo, si dovrebbero maltrattare gli animali e chi lo fa è un disgraziato che dovrebbe essere punito. Quando i nostri figli erano piccoli, per la loro gioia, abbiamo avuto in casa una specie di zoo, composto da canarini, cani, pesci rossi, tartaruga, pulcini, criceto. Ai bambini fa bene imparare a amare, rispettare e curare gli animali. E se imparano da bambini, continueranno a farlo da grandi.
È anche vero che, a volte, alcuni animali si comportano come umani, a cominciare dal cane di Ulisse che ha riconosciuto il padrone dopo, mi pare, vent’anni di assenza. Ma bisogna anche capire che sono animali e che non si devono trattare come se fossero umani. Anche se il Papa ha balenato l’idea che ci sia un posto anche per loro in cielo, la Bibbia non dice niente di simile. Gli animali sono per questa terra e l’aldilà è per gli umani.
Dio li protegge e ne ha compassione (nel voler risparmiare Ninive, al tempo di Giona, ha pensato anche a loro), ma li ha creati per l’uomo e per il suo bene. Non ha dato loro un’anima immortale e una libertà di fare scelte morali. Sono programmati per fare quello che fanno e non ci sarà mai un gatto che si comporterà da coniglio, né una rondine che deciderà di farsi un nido simile a quello di un tordo. Finché campa farà il suo nido come Dio ha programmato che facesse.
Perciò sbaglia chi pensa che gli animali facciano scelte personali morali, su cosa sia bene fare o non fare, come sottinteso sempre nei documentari sugli animali che vediamo in TV. Noi non dobbiamo cercare di essere più santi e più savi di Lui.
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Come mi (ti) vede Dio?
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Sono stata in casa di una signora anziana, molto cara e gentile, che chiamerò Diana, per amore della privacy.
Non la vedevo da alcuni anni e ho fatto fatica a riconoscerla perché è ridotta decisamente molto male. Ha una strana mania: non mangia e rifiuta di mangiare, anche se il suo apparato digerente non ha problemi. Dopo tre bocconi di cibo dice che ne ha abbastanza e rifiuta di continuare a nutrirsi. Perciò è ridotta a uno scheletrino senza forza. La sua memoria è poca e anche la sua capacità di concentrazione è al minimo. Non ha voglia di leggere, non presta attenzione alla TV (non ci perde molto!), non ricorda molte cose. Vorrebbe sempre dormire.
I dottori non hanno un rimedio efficace da proporre, perciò continua a sopravvivere, ma vive male, anche se è circondata da mille attenzioni da parte dei figli e delle nuore.
La conosco da molto tempo e la ricordo attiva nella chiesa, pronta a aiutare figli e amici, con un bel senso umoristico che le faceva cogliere le situazioni buffe e l’aiutava a superare quelle difficili. Aveva un modo specialmente bello nel trattare i bambini.
Nel vederla acciambellata su un divano, come un uccellino caduto dal nido, mi è venuto un pensiero: Diana è stata una credente fedele, che amava (e ama) il Signore, e che, fin da ragazza, ha accolto Gesù nella sua vita come Salvatore e Signore. Perciò il Signore la vede spiritualmente ancora vigorosa, matura e attiva, come una volta. Lui non la vede come la vediamo noi. Per Lui è una figlia che aspetta il momento in cui Lui la chiamerà a casa.
Ma – e qui è il pensiero che mi è venuto - come vede te e me?
Certo, se siamo credenti, ci vede perfetti in Cristo, ma quanto a vita spirituale come ci vede? Come vede tanti credenti vivi, sani fisicamente, sportivi, pieni di vigore, che lavorano, viaggiano, mangiano e si divertono, ma che si nutrono poco della sua Parola? Che vanno alle riunioni della loro chiesa se “si sentono” o se non hanno niente di più interessante da fare, che preferiscono andare a fare una gita piuttosto che passare la domenica coi loro fratelli in fede? Che pregano prima di mangiare, se lo ricordano? Che, quando la cercano, trovano la loro Bibbia sul comodino coperta con un leggero strato di polvere?
Probabilmente li vede magri e denutriti, spiritualmente, come io ho visto Diana. Senza forza e senza voglia di nulla, perché mangiano solo qualche bocconcino spirituale, nel migliore dei casi, una o due volte al mese. E quando vengono le prove e le difficoltà non hanno né la forza né il vigore necessari per affrontarle. Eppure, se si chiede la loro testimonianza raccontano: “Nel lontano (data), al campo di... ho accettato il Signore e ho pregato perché venisse nel mio cuore”, e si credono a posto.
Continuando con la mia allegoria, ho immaginato altri credenti. La fantasia non ha limiti!
Alcuni lo ho visti con un gran testone, per la loro grande conoscenza della Bibbia, ma con le gambette secche secche e rattrappite, perché non attraverserebbero neppure la strada per andare a dare a un vicino un invito alle riunioni di evangelizzazione.
Oppure grassi e pasciuti per la loro assiduità agli studi biblici, ma seduti sulla sedia a rotelle perché amano la vita comoda più del loro prossimo.
Oppure con una bocca enorme, per parlare della fede, ma anche con un portafogli molto gonfio, che non si apre facilmente davanti alla cassetta delle offerte su cui è scritto che Dio ama un donatore allegro. Eh, se non c’è gioia... perché donare?
Ma come vede me, il Signore? Lascio a Lui decidere. Io mi vedo come una persona che ha ancora molto da cresecere e da cambiare. Ma spero che non mi veda come uno scheletrino senza forza. E come vede te?
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Sono stata in casa di una signora anziana, molto cara e gentile, che chiamerò Diana, per amore della privacy.
Non la vedevo da alcuni anni e ho fatto fatica a riconoscerla perché è ridotta decisamente molto male. Ha una strana mania: non mangia e rifiuta di mangiare, anche se il suo apparato digerente non ha problemi. Dopo tre bocconi di cibo dice che ne ha abbastanza e rifiuta di continuare a nutrirsi. Perciò è ridotta a uno scheletrino senza forza. La sua memoria è poca e anche la sua capacità di concentrazione è al minimo. Non ha voglia di leggere, non presta attenzione alla TV (non ci perde molto!), non ricorda molte cose. Vorrebbe sempre dormire.
I dottori non hanno un rimedio efficace da proporre, perciò continua a sopravvivere, ma vive male, anche se è circondata da mille attenzioni da parte dei figli e delle nuore.
La conosco da molto tempo e la ricordo attiva nella chiesa, pronta a aiutare figli e amici, con un bel senso umoristico che le faceva cogliere le situazioni buffe e l’aiutava a superare quelle difficili. Aveva un modo specialmente bello nel trattare i bambini.
Nel vederla acciambellata su un divano, come un uccellino caduto dal nido, mi è venuto un pensiero: Diana è stata una credente fedele, che amava (e ama) il Signore, e che, fin da ragazza, ha accolto Gesù nella sua vita come Salvatore e Signore. Perciò il Signore la vede spiritualmente ancora vigorosa, matura e attiva, come una volta. Lui non la vede come la vediamo noi. Per Lui è una figlia che aspetta il momento in cui Lui la chiamerà a casa.
Ma – e qui è il pensiero che mi è venuto - come vede te e me?
Certo, se siamo credenti, ci vede perfetti in Cristo, ma quanto a vita spirituale come ci vede? Come vede tanti credenti vivi, sani fisicamente, sportivi, pieni di vigore, che lavorano, viaggiano, mangiano e si divertono, ma che si nutrono poco della sua Parola? Che vanno alle riunioni della loro chiesa se “si sentono” o se non hanno niente di più interessante da fare, che preferiscono andare a fare una gita piuttosto che passare la domenica coi loro fratelli in fede? Che pregano prima di mangiare, se lo ricordano? Che, quando la cercano, trovano la loro Bibbia sul comodino coperta con un leggero strato di polvere?
Probabilmente li vede magri e denutriti, spiritualmente, come io ho visto Diana. Senza forza e senza voglia di nulla, perché mangiano solo qualche bocconcino spirituale, nel migliore dei casi, una o due volte al mese. E quando vengono le prove e le difficoltà non hanno né la forza né il vigore necessari per affrontarle. Eppure, se si chiede la loro testimonianza raccontano: “Nel lontano (data), al campo di... ho accettato il Signore e ho pregato perché venisse nel mio cuore”, e si credono a posto.
Continuando con la mia allegoria, ho immaginato altri credenti. La fantasia non ha limiti!
Alcuni lo ho visti con un gran testone, per la loro grande conoscenza della Bibbia, ma con le gambette secche secche e rattrappite, perché non attraverserebbero neppure la strada per andare a dare a un vicino un invito alle riunioni di evangelizzazione.
Oppure grassi e pasciuti per la loro assiduità agli studi biblici, ma seduti sulla sedia a rotelle perché amano la vita comoda più del loro prossimo.
Oppure con una bocca enorme, per parlare della fede, ma anche con un portafogli molto gonfio, che non si apre facilmente davanti alla cassetta delle offerte su cui è scritto che Dio ama un donatore allegro. Eh, se non c’è gioia... perché donare?
Ma come vede me, il Signore? Lascio a Lui decidere. Io mi vedo come una persona che ha ancora molto da cresecere e da cambiare. Ma spero che non mi veda come uno scheletrino senza forza. E come vede te?
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Perché mi hai ingannata?
Parlo di nuovo di Eliseo. Spero che vi interessi. Io lo trovo affascinante.
Una donna e suo marito parlano fra loro. Finanziariamente stavano bene; il marito si occupava della loro terra. Non avevano figli. Abitavano a Sunen, nel nord della Palestina.
“Caro” dice lei, “ho un’idea: c’è un uomo di Dio che passa di qui ogni tanto. È una bravissima persona, un vero uomo di Dio. Fa del bene dovunque va. Quando passa di qui, lo invito a mangiare e a riposarsi... Se sei d’accordo, facciamo costruire una stanza sul tetto, ci mettiamo un letto, una lampada, un tavolo e una sedia in modo che quando viene possa stare un po’ tranquillo...”
“Va bene, facciamo come dici tu” rispose il marito.
Quando la camera fu pronta, quello diventò il rifugio di Eliseo ogni volta che passava da Sunen. Di solito, lo accompagnava un servo che si chiamava Gheazi. Un tipo piuttosto intrapprendente.
“Cosa posso fare per te?” chiese Eliseo alla donna.
“Grazie, non mi manca niente” rispose lei.
Eliseo chiese consiglio al servo, che osservò: “Le manca solo un figlio... ma il marito è vecchio”.
Eliseo fece chiamare la donna e le annunciò che, entro un anno, avrebbe avuto un bambino. La donna pensò che fosse un inganno. Ma così fu. L’anno dopo, lei teneva davvero un bambino fra le braccia. Che grande gioia!
Un giorno, ormai cresciuto, il bambino stava coi mietitori. A un tratto, cominciò a lamentarsi di un gran mal di testa. Un’insolazione, evidentemente.
“Portatelo dalla mamma” ordinò il padre. La mamma cercò di curarlo, ma a mezzogiorno il ragazzo era ormai senza vita. La donna lo coricò sul letto di Eliseo. Non gridò, non si mise a urlare dalla disperazione. Pensò subito a Eliseo.
Corse dal marito, non gli disse nulla del ragazzo, ma gli chese di far sellare un asino, dicendo che voleva andare da Eliseo.
“Proprio oggi?” chiese il marito.
“Sì, ci devo andare!”
“Fate come dice!”
Eliseo era sul monte Carmel, lo stesso monte su cui era avvenuta la grande sfida fra Elia e i profeti di Baal. La strada da Sunen era lunga. Possiamo immaginare l’ansia di quella mamma e quanto avrà pungolato l’asino, perché non si impuntasse e procedesse celermente. Finalmente arrivano dal profeta. La donna entra da lui e gli si butta ai piedi. E scoppiò di dolore: “L’avevo detto io... Perché mi hai ingannata? Il bambino è nato, è vero, ma adesso è morto! Perché?”
Leggete il resto della storia nel capitolo 4 del secondo Libro dei Re, nella Bibbia, e scoprite come Eliseo risuscitò il ragazzo e lo ridiede a sua madre.
Riporto solo l’ultima frase del racconto: “Eliseo lo disse: «Prendi tuo figlio». La donna entrò, gli si gettò ai piedi e si prostrò in terra; poi prese suo figlio e uscì” (2 Re 4:36,37).
Quanta dignità e profondità di fede c’era in quella donna!
Sapeva giudicare giustamente. “È un santo uomo di Dio...” disse al marito, parlando di Eliseo e gli propose la costruzione della stanza speciale per ospitarlo.
Era premurosa. Fece in modo che il profeta avesse un luogo dove riposarsi e abitare in qualsiasi momento, quando era di passaggio nel suo paese.
Era serena. Quando Eliseo le chiese che cosa volesse, non mostrò di desiderare niente di più di quello che già aveva. Una qualità non comune, soprattutto in una donna.
Non perdeva il controllo neppure nei momenti di crisi. Quando Eliseo le disse che avrebbe avuto un bambino, quasi non riuscì a crederlo, ma non è detto che abbia dubitato. Quando le portarono il figlio morente, non perse la testa. Quando il figlio le morì fra le braccia, mantenne un contegno da regina e cercò aiuto dall’unica persona che glielo poteva dare: Eliseo. Mentre Eliseo indugiava non ebbe timore di sollecitarlo. Quando riebbe il figlio vivo, adorò in totale umiltà. Una donna da imitare.
Spero di avervi fatto venire voglia di conoscere di più questo profeta. Ciao!
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Una donna e suo marito parlano fra loro. Finanziariamente stavano bene; il marito si occupava della loro terra. Non avevano figli. Abitavano a Sunen, nel nord della Palestina.
“Caro” dice lei, “ho un’idea: c’è un uomo di Dio che passa di qui ogni tanto. È una bravissima persona, un vero uomo di Dio. Fa del bene dovunque va. Quando passa di qui, lo invito a mangiare e a riposarsi... Se sei d’accordo, facciamo costruire una stanza sul tetto, ci mettiamo un letto, una lampada, un tavolo e una sedia in modo che quando viene possa stare un po’ tranquillo...”
“Va bene, facciamo come dici tu” rispose il marito.
Quando la camera fu pronta, quello diventò il rifugio di Eliseo ogni volta che passava da Sunen. Di solito, lo accompagnava un servo che si chiamava Gheazi. Un tipo piuttosto intrapprendente.
“Cosa posso fare per te?” chiese Eliseo alla donna.
“Grazie, non mi manca niente” rispose lei.
Eliseo chiese consiglio al servo, che osservò: “Le manca solo un figlio... ma il marito è vecchio”.
Eliseo fece chiamare la donna e le annunciò che, entro un anno, avrebbe avuto un bambino. La donna pensò che fosse un inganno. Ma così fu. L’anno dopo, lei teneva davvero un bambino fra le braccia. Che grande gioia!
Un giorno, ormai cresciuto, il bambino stava coi mietitori. A un tratto, cominciò a lamentarsi di un gran mal di testa. Un’insolazione, evidentemente.
“Portatelo dalla mamma” ordinò il padre. La mamma cercò di curarlo, ma a mezzogiorno il ragazzo era ormai senza vita. La donna lo coricò sul letto di Eliseo. Non gridò, non si mise a urlare dalla disperazione. Pensò subito a Eliseo.
Corse dal marito, non gli disse nulla del ragazzo, ma gli chese di far sellare un asino, dicendo che voleva andare da Eliseo.
“Proprio oggi?” chiese il marito.
“Sì, ci devo andare!”
“Fate come dice!”
Eliseo era sul monte Carmel, lo stesso monte su cui era avvenuta la grande sfida fra Elia e i profeti di Baal. La strada da Sunen era lunga. Possiamo immaginare l’ansia di quella mamma e quanto avrà pungolato l’asino, perché non si impuntasse e procedesse celermente. Finalmente arrivano dal profeta. La donna entra da lui e gli si butta ai piedi. E scoppiò di dolore: “L’avevo detto io... Perché mi hai ingannata? Il bambino è nato, è vero, ma adesso è morto! Perché?”
Leggete il resto della storia nel capitolo 4 del secondo Libro dei Re, nella Bibbia, e scoprite come Eliseo risuscitò il ragazzo e lo ridiede a sua madre.
Riporto solo l’ultima frase del racconto: “Eliseo lo disse: «Prendi tuo figlio». La donna entrò, gli si gettò ai piedi e si prostrò in terra; poi prese suo figlio e uscì” (2 Re 4:36,37).
Quanta dignità e profondità di fede c’era in quella donna!
Sapeva giudicare giustamente. “È un santo uomo di Dio...” disse al marito, parlando di Eliseo e gli propose la costruzione della stanza speciale per ospitarlo.
Era premurosa. Fece in modo che il profeta avesse un luogo dove riposarsi e abitare in qualsiasi momento, quando era di passaggio nel suo paese.
Era serena. Quando Eliseo le chiese che cosa volesse, non mostrò di desiderare niente di più di quello che già aveva. Una qualità non comune, soprattutto in una donna.
Non perdeva il controllo neppure nei momenti di crisi. Quando Eliseo le disse che avrebbe avuto un bambino, quasi non riuscì a crederlo, ma non è detto che abbia dubitato. Quando le portarono il figlio morente, non perse la testa. Quando il figlio le morì fra le braccia, mantenne un contegno da regina e cercò aiuto dall’unica persona che glielo poteva dare: Eliseo. Mentre Eliseo indugiava non ebbe timore di sollecitarlo. Quando riebbe il figlio vivo, adorò in totale umiltà. Una donna da imitare.
Spero di avervi fatto venire voglia di conoscere di più questo profeta. Ciao!
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Non ne chiedere pochi!
Quante prediche avete sentito su Eliseo, il profeta che continuò l’opera di Elia nel regno di Israele? Io alcune, quando ero ragazza. Da molti anni nessuna.
Eppure è stato un gran profeta. Ha predicato nel regno del nord, il Regno di Israele, che ha avuto solo re malvagi ed è stato discepolo di Elia. Prima che il suo mentore fosse rapito in cielo in un carro di fuoco, aveva chiesto al Signore di poter fare il doppio dei miracoli di Elia, e se li contate, vedete che sono stati veramente il doppio.
Eliseo deve essere stato abbastanza ricco perché quando fu chiamato da Elia a servire il Signore stava arando con dodici paia di buoi, che non erano poca cosa. Eliseo non ebbe esitazioni, seguì subito Elia e rimase fedele al Signore fino alla fine della sua vita. Evidentemente era un tipo deciso e laborioso (avete notato che tutte le persone che Gesù ha chiamato erano dei forti lavoratori? Dio non apprezza gli sfaticati e, del resto, servire Dio richiede forza e soprattutto perseveranza).
Alcuni miracoli di Eliseo sono particolarmente significativi. Uno avvenne in tempo di carestia. Una vedova, moglie di un discepolo di profeti, era in grande difficoltà. Il marito era morto e lei era rimasta con due figli. Aveva contratto dei debiti e i creditori volevano prenderle i figli per farne due schiavi. La situazione era drammatica e apparentemente senza via d’uscita. Due figli schiavi sarebbero stati come due figli morti! Andò a parlarne con Eliseo.
“Cosa hai a casa?” le chiese Eliseo.
“Ho solo un po’ di olio in un vasetto” fu la risposta. Poche parole che descrivevano solo disperazione. Eliseo le disse di andare a chiedere in prestito dei vasi ai vicini e aggiunse: “Non ne chiedere pochi. Poi chiudi la porta, versaci dentro l’olio e metti tutto da parte!”
La vedova ubbidì. Portò a casa molti vasi. Immaginate l’atmosfera: tanti vasi vuoti e un misero vasetto di olio. Sembrava tutto troppo irreale per essere vero. Ma, il profeta aveva detto di fare così e non c’era che da provare. Un figlio reggeva il vaso vuoto e la donna versava dal vasetto piccolo. L’olio scendeva e scendeva. Quando il vaso grande fu pieno, la donna disse: “Portane un altro!”
Il figlio ubbidì e l’olio dal vasetto continuò a scorrere. Uno, due, tre vasi... L’olio continuava a scorrere. Finalmente un figlio disse: “Mamma, non ci sono più vasi!”.
La donna allora corse da Eliseo e gli disse quello che era successo. Eliseo le disse solo: “Vendi l’olio necessario per pagare i debiti. Il resto è tuo, per te e per i tuoi figli!”
Una bella storia, nella sua semplicità scarna e senza fronzoli.
Una storia che comincia con una donna disperata che si rivolge a un uomo di Dio. Una donna che davanti a un ordine illogico reagisce con fede, ubbidisce e rischia il ridicolo andando a chiedere dei vasi vuoti ai vicini. Una donna che, con fede, comincia a versare l’olio e che, con la fede rafforzata, continua a versare, finché ci sono vasi.
Avrebbe potuto dire coi suoi figli: “È un’idea troppo stupida per essere vera! Lasciamo perdere...”. Avrebbe potuto reagire come la gente di oggi quando cerchiamo di spiegare che la salvezza dell’anima è gratuita, che Gesù ha espiato ogni peccato e che si deve solo credere in Lui e accettare la grazia gratuita che non meritiamo.
“Gratuita, ma scherzate?!” ci dicono. “Oggi neppure un cane ti scuote la coda se non lo paghi! La salvezza bisogna guadagnarla, pagarla con sacrifici...”
Invece, quella vedova ha creduto, ha pagato i suoi debiti e ha avuto di che vivere coi suoi figli. Chi non ha Dio è un disperato, condannato a morte, schiavo della sua natura umana peccatrice. Ma se si rivolge a Dio con fede, chiede il perdono dei suoi peccati, riceve in dono la salvezza, la liberazione dalla condanna e la vita eterna.
Ti sembra troppo semplice per essere vero? Se quella vedova non avesse creduto alle parole di Eliseo, che parlava da parte di Dio, sarebbe rimasta senza figli e sarebbe morta di fame. Fai attenzione a non morire di fame spirituale e di passare l’eternità nella peggiore disperazione.
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Eppure è stato un gran profeta. Ha predicato nel regno del nord, il Regno di Israele, che ha avuto solo re malvagi ed è stato discepolo di Elia. Prima che il suo mentore fosse rapito in cielo in un carro di fuoco, aveva chiesto al Signore di poter fare il doppio dei miracoli di Elia, e se li contate, vedete che sono stati veramente il doppio.
Eliseo deve essere stato abbastanza ricco perché quando fu chiamato da Elia a servire il Signore stava arando con dodici paia di buoi, che non erano poca cosa. Eliseo non ebbe esitazioni, seguì subito Elia e rimase fedele al Signore fino alla fine della sua vita. Evidentemente era un tipo deciso e laborioso (avete notato che tutte le persone che Gesù ha chiamato erano dei forti lavoratori? Dio non apprezza gli sfaticati e, del resto, servire Dio richiede forza e soprattutto perseveranza).
Alcuni miracoli di Eliseo sono particolarmente significativi. Uno avvenne in tempo di carestia. Una vedova, moglie di un discepolo di profeti, era in grande difficoltà. Il marito era morto e lei era rimasta con due figli. Aveva contratto dei debiti e i creditori volevano prenderle i figli per farne due schiavi. La situazione era drammatica e apparentemente senza via d’uscita. Due figli schiavi sarebbero stati come due figli morti! Andò a parlarne con Eliseo.
“Cosa hai a casa?” le chiese Eliseo.
“Ho solo un po’ di olio in un vasetto” fu la risposta. Poche parole che descrivevano solo disperazione. Eliseo le disse di andare a chiedere in prestito dei vasi ai vicini e aggiunse: “Non ne chiedere pochi. Poi chiudi la porta, versaci dentro l’olio e metti tutto da parte!”
La vedova ubbidì. Portò a casa molti vasi. Immaginate l’atmosfera: tanti vasi vuoti e un misero vasetto di olio. Sembrava tutto troppo irreale per essere vero. Ma, il profeta aveva detto di fare così e non c’era che da provare. Un figlio reggeva il vaso vuoto e la donna versava dal vasetto piccolo. L’olio scendeva e scendeva. Quando il vaso grande fu pieno, la donna disse: “Portane un altro!”
Il figlio ubbidì e l’olio dal vasetto continuò a scorrere. Uno, due, tre vasi... L’olio continuava a scorrere. Finalmente un figlio disse: “Mamma, non ci sono più vasi!”.
La donna allora corse da Eliseo e gli disse quello che era successo. Eliseo le disse solo: “Vendi l’olio necessario per pagare i debiti. Il resto è tuo, per te e per i tuoi figli!”
Una bella storia, nella sua semplicità scarna e senza fronzoli.
Una storia che comincia con una donna disperata che si rivolge a un uomo di Dio. Una donna che davanti a un ordine illogico reagisce con fede, ubbidisce e rischia il ridicolo andando a chiedere dei vasi vuoti ai vicini. Una donna che, con fede, comincia a versare l’olio e che, con la fede rafforzata, continua a versare, finché ci sono vasi.
Avrebbe potuto dire coi suoi figli: “È un’idea troppo stupida per essere vera! Lasciamo perdere...”. Avrebbe potuto reagire come la gente di oggi quando cerchiamo di spiegare che la salvezza dell’anima è gratuita, che Gesù ha espiato ogni peccato e che si deve solo credere in Lui e accettare la grazia gratuita che non meritiamo.
“Gratuita, ma scherzate?!” ci dicono. “Oggi neppure un cane ti scuote la coda se non lo paghi! La salvezza bisogna guadagnarla, pagarla con sacrifici...”
Invece, quella vedova ha creduto, ha pagato i suoi debiti e ha avuto di che vivere coi suoi figli. Chi non ha Dio è un disperato, condannato a morte, schiavo della sua natura umana peccatrice. Ma se si rivolge a Dio con fede, chiede il perdono dei suoi peccati, riceve in dono la salvezza, la liberazione dalla condanna e la vita eterna.
Ti sembra troppo semplice per essere vero? Se quella vedova non avesse creduto alle parole di Eliseo, che parlava da parte di Dio, sarebbe rimasta senza figli e sarebbe morta di fame. Fai attenzione a non morire di fame spirituale e di passare l’eternità nella peggiore disperazione.
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