Aggiungi alla fede la virtù

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“Mamma, cosa è la virtù?”

Se ve lo chiedesse il vostro bambino, gli direste che vuol dire stare buoni, non dire le bugie, comportarsi bene, non dare sciaffi alla sorellina, ubbidire. E così via così avanti all’infinito.

Se poi il bambino chiedesse: “Ma quanto si deve essere buoni?”

“Più che si può” direste.

“Sempre?”

“Sì, sempre”.

“E tu lo sei?” incalza il bambino.

“Non sempre, ma ci provo”.

La conversazione finirebbe quì, perché i bambini non vanno lontani con i loro discorsi filosofici. Ma probabilmente lascerebbe te e me con un certo numero di cose a cui pensare.

La virtù, secondo il dizionario, “è una disposizione d’animo volta al bene al di fuori di ogni considerazione di un eventuale premio o castigo”. Più semplicemente, è “la disposizione a fare il bene perché è bene e perché è giusto farlo”. Suona Kantiano, no?

L’Apostolo Pietro ha scritto nella sua seconda lettera che dobbiamo aggiugere alla fede, di cui abbiamo parlato la volta scorsa, la virtù “mettendo da parte nostra ogni impegno”. Il che significa che, per farlo, ci vuole un certo sforzo.

La Bibbia non fa compromessi riguardo alla nostra condotta. Molte volte dice che il nostro comportamento deve essere tale che nessuno possa puntare il dito contro di noi per accusarci. Lo dice usando la parola “irreprensibile”. Una grossa responsabilità.

Lo comanda a coloro che guidano la chiesa e si occupano dell’insegnamento dei credenti. Lo dice a chi serve in modo pratico nella chiesa. Lo dice alle vedove. Lo dice ai giovani. E lo dice a tutti i credenti. Nessuno escluso.

“Ma che!?” dite. “Vuol dire che dobbiamo essere perfetti? Non è un’esagerazione?”

No, perfetti non ci diventiamo, ma dobbiamo tendere sempre a migliorare: questa è “virtù”.

In un libro che ho letto da ragazza ho trovato queste domande da farci, nella calma e nella solitudine della nostra stanza, per aiutarci a sondarci seriamente. E cercare di capire a che punto stiamo quanto a virtù. Pronti?  
  • Cosa mi turba quando mi metto a pregare?
  • C’è nella mia vita qualcosa di poco chiaro?
  • C’è un’abitudine o un pensiero poco pulito che si riaffaccia quando non sto facendo niente?
  • Cosa mi viene in mente prima di mettermi a dormire?
  • C’è qualcuno che non vorrei incontrare?
  • C’è qualcosa di sbagliato che mi tiene come legata?
  • C’è qualcosa che vorrei e che faccio che non piace al Signore?
  • C’è qualcosa che faccio e che non farei se Lui fosse presente?
  • Quali difficoltà o debolezze tollero difficilmente negli altri?

Non sono domande facili. Ma è una buona idea, almeno ogni tanto. Essere onesti con noi stessi. Fatemi sapere....

Alla prossima! Parleremo ancora di virtù.
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Hai dieci minuti?

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Lo so, fa caldo, sei in vacanza e i discorsi seri non si fanno, di solito, al mare o in montagna. Però, dato che abbiamo cominciato a parlare di fede biblica, ti propongo di ascoltare per dieci muniti quello che ha scritto San Pietro ai credenti che erano sparsi qua e là, nella Palestina, a causa delle persecuzioni del momento. Voleva ricordare loro le certezze della loro fede. Noi non siamo perseguitati, ma abbiamo bisogno di punti fermi e sicurezze per vivere bene.

Allora, seguimi, per qualche momento. Vale la pena capire se crediamo in qualcosa di affidabile o no.

Prima lettera di Pietro, cap.1:3 – Benedetto sia Dio – Dio è una Persona a cui avvicinarci con lode e rispetto. È il Creatore, il Signore, la prima persona della Trinità. Sa tutto e vede tutto.

e Padre del nostro Signore Gesù Cristo – Dio è Padre della seconda Persona della Trinità, cioè Gesù (che vuol dire Salvatore), Cristo (mandato da Dio), Signore (Capo, padrone), nostro (personale).

Dio Padre, nella sua grande misercordia – Dio ama e ha una pietà infinita per noi

Ci ha fatti rinascere – ci ha dato una vita nuova spirituale

A una speranza viva – la prospettiva del credente è la certezza di un futuro gioioso

Mediante la resurrezione di Gesù Cristo dai morti – nel post precedente ho detto che Gesù è l’unico che è risuscitato. Se fosse rimasto nella tomba, sarebbe stato un grande eroe, ma un uomo peccatore come gli altri. Ma Pietro ha detto che “non era possibile che fosse trattenuto dalla morte” (Atti 2:24), essendo Lui stesso “la vita”. La sua resurrezione è la dimostrazione certa che era Dio e che il suo sacrificio è stato sufficiente per espiare ogni peccato mai commesso.

v.4 – per un’eredità – la nuova vita che Dio ci dà, ci fa entrare nella sua famiglia e fa di noi degli eredi con Cristo

Un’eredità incorruttibile (non si guasta), senza macchia (pura e perfetta), e inalterabile (non è possibile che sia cambiata).

Essa è conservata in cielo – è al sicuro!

Per voi – tra un momento sapremo chi sono questi “voi”

v.5 – Che dalla potenza di Dio siete custoditi – noi non possiamo salvarci né mantenerci salvati. La grazia e la potenza di Dio ci tengono in piedi. Perciò siamo al sicuro, protetti e salvaguardati,

Mediante la fede – ecco che ci siamo arrivati! La fede messa in un Dio così potente e misericordioso e in un Salvatore che è arrivato a morire al nostro posto e è risuscitato per renderci giusti davanti a Dio, QUESTA È LA VERA FEDE.

Per la salvezza – Chi crede di cuore in Cristo e intende fare sul serio con Lui ha la certezza della sua salvezza eterna.

Che sta per essere rivelata negli ultimi tempi – Oggi la nostra salvezza è certa, ma non è ancora pienamente realizzata. Siamo ancora in un corpo che non è perfetto, che sa ancora peccare. Un giorno la salvezza sarà completa, piena e gloriosa.

v.6 – Perciò voi esultate, anche se ora, per breve tempo è necessario che siate afflitti da varie prove....

Stai esultando, saltando di gioia, molto di più che se l’Italia avesse vinto i Mondiali? Spero di sì. Se no, sappi che c’è solo un modo per esultare. Credere in Gesù e fondare su Lui e sulle promesse di Dio la tua vita.

Non so se tu l’hai goduto, ma a me ha fatto piacere leggere delle cose così belle con te. Ciao!
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Ma cosa è la fede?

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Sentiamo molte frasi che hanno poco significato. “Ci vuole molta fede... Non ho abbastanza fede... La tale ha una gran fede.. Se avessi fede... Non riesco ad avere fede..”. Poi c’è la fede politica (rossa, nera o verde) per quello che può valere. Poi c’è la fede nella scienza. O nel destino. O nella buon sorte. Ma servono fino a che non resti deluso.

La fede è l’elemento base della vita cristiana: senza fede, dice la Bibbia, non è possibile piacere a Dio. La fede è essenziale per la salvezza dell’anima e per vivere la vita cristiana. Tutto bello e tutto giusto. Ma cosa è, in realtà, la fede?

Di solito, per capire una cosa, è bene chiedersi che cosa non è.

Allora, la fede biblica NON è...

  • NON è un sentimento vago, un po’ campato in aria, ereditato dai genitori, dell’esistenza di un Essere supremo, lontano e inconoscibile. Una fede di questo tipo non serve a nulla e non porta da nessuna parte.
  • La fede biblica NON è neppure un’emozione.
“Ho fede che entro quest’anno troverò marito” dice una ragazza.

“Perché?”

“Me lo sento” è la sua risposta . Oppure, peggio ancora: “Se lo voglio intensamente, succederà”.

Scordatevelo: questa non né fede né buon senso. È pura stupidità.

  • La fede biblica NON è neppure un’opera meritoria, come insegna la Chiesa Romana, che ti fa compiere delle buone opere per meritare il favore di Dio. Davanti a Dio non meritiamo nulla e Lui non è nostro debitore.
  • La fede biblica NON è neppure qualcosa che ti puoi fabbricare da solo. Una suggestione. Mi pompo un bel sentimento e lo chiamo fede. È piuttosto una fede ragionata, basata sulla verità.
Poi c’è anche la fede FINTA

Giacomo, il fratello del Signore Gesù ne parla molto. È la fede di chi è religioso, ma non è credente. O di chi sa molto su Dio, ma non si sottomette a Lui. Ecco come.

  • Si esprime a parole, in preghiere e pratiche, ma non è accompagnata dai fatti e da una vita coerente. “La fede senza le opere è morta” (Giacomo 2:26).
“Non chiunque mi dice: Signore, Signore! entrerà nel regno dei cieli, ma chi fa la volontà del Padre mio che è nei cieli” ha detto il Signore Gesù nel suo sermone sul monte (Matteo 7:21)

  • Crede nell’esistenza di Dio, ma ne ha paura. “Tu credi che c’è un solo Dio e fai bene; anche i demoni lo credono e tremano” (Giacomo 2:19). Una fede di questo tipo non serve a nulla. Anzi ti rende più responsabile davanti a Dio.
C’è, finalmente, la fede VERA.

È la fede fondata su una Persona giusta e vera, cioè l’Iddio rivelato nella Bibbia, e dimostrato nella vita del suo Figlio Gesù Cristo. È perfettamente inutile fondarla su qualsiasi santo del calendario o qualsiasi madonna, angelo o arcangelo. Nessuno di loro può aiutarci.

Gesù è l’unico che è morto per i nostri peccati, è l’unico risuscitato e l’unico mediatore.

Ha detto: “Io sono la via, la verità e la vita, nessuno viene al Padre se non per mezzo di me” (Giovanni 14:6) e “Chiunque contempla il Figlio e crede in lui ha vita eterna” (Giovanni 6:40).

Perfino Maria, la madre terrena di Gesù, ha detto: “Fate tutto quello che Lui vi dirà” (Giovanni 2:5).

E il Padre dal cielo ha ordinato: “Questo è il mio diletto Figlio, nel quale mi sono compiaciuto. Ascoltatelo” (Matteo 3:17).

Più di così...

Alla prossima! Parleremo ancora di fede.
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Per questa volta, Dio chiuderà un occhio

Clara e Giacomo si vogliono un gran bene. Sono fidanzati ufficialmente con tanto di anello e data stabilita per il matrimonio. Sono credenti, battezzati e attivi nella loro chiesa. Lei canta col complesso musicale che guida il canto dell’assemblea (quella che in gergo pio viene oggi chiamata “la lode”). Lui si occupa con entusiasmo di un gruppo di adolescenti.

Sono giovani e sani e una sera...

“Tanto ci stiamo per sposare...” aveva cominciato lui.

“Ma è meglio aspettare...” dice Clara.

“Aspettare che cosa, se ci vogliamo tanto bene? Io ti voglio tutta per me...”

“Ma è un peccato...”

“Poi chiediamo perdono al Signore. Per questa volta, chiuderà un occhio” dice Giacomo.

E danno più retta ai loro ormoni che ai loro principi morali.

“Ormai, è fatta” dicono. Ma si promettono. “Ma sarà anche l’unica volta, fino al matrimonio”.

Ma il giorno del fatale sì, lei è un po’ troppo rotondetta sul davanti, e si vede, nonostante l’abito bianco stile impero a vita molto alta, che quella di “quella sera” non era stata solo la prima e neppure l’unica volta.

Quella di Giacomo e Clara è una storia che si ripete in molti altri casi. Tanto, c’è anche la pillola del giorno dopo e, eventualmente, l’aborto.

Ma con che faccia Clara continuerà a cantare “Gesù, voglio vivere solo per te...” e che autorità avrà Giacomo nel suo gruppo di adolescenti?

“Se lo ha fatto lui...” diranno.

Fare il bene dovrebbe essere una conseguenza diretta e normale di una fede vera, genuina e generata dal timore. Si fa perché è giusto farlo e perché i principi di Dio sono sempre i migliori.

Il Signore vuole che capiamo una realtà molto seria: anche se la salvezza è il dono gratuito di Dio, la vita cristiana deve essere presa sul serio. Un buon comportamento non ci rende più salvati, ma dimostra che amiamo Dio e che la nostra fede non è solo una facciata. Il Signore ci mette davanti la mèta della perfezione, a cui arriveremo solo in cielo, è vero. Ma è una mèta a cui dobbiamo tendere.

L’Apostolo Pietro dice che alla fede dobbiamo aggiungere molte cose. Ne parleremo in futuro.

Intanto, però, dobbiamo stabilire che cosa è la vera fede. Ne parliamo la prossima volta.
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Mariti di tutto il mondo, fatevi furbi!

“Mio marito mi ha detto: «Ho avuto una gran paura! Non salire mai più su una sedia!»” me lo ha raccontato la mia vicina con gli occhi che le luccicavano di gioia orgogliosa.

Questa vicina è un vero tesoro. Mi aiuta a pulire casa, mi fa delle modifiche ai vestiti, mi consiglia su come curare le piante. Mi ha anche indicato quale parte del cielo guardare, per capire se pioverà o no (per quello, a onor del vero, mi basta un ditino del piede che mi funziona da barometro incorporato. Se cambia il tempo, chi lo regge?)

Ma torno alla vicina. Rosa, la chiamo così per rispetto della privacy, cura una caterva di nipoti, si dà da fare per figli e nuore, va anche in campagna a lavorare col marito e a raccogliere le olive. Per soprappiù tiene la casa come uno specchio. Dopo che è passata nella mia, anche la mia casa splende per un paio di giorni.

Mi ascolta anche quando le parlo del Vangelo, legge il calendario e si è letta più libri cristiani, che le ho prestato e regalato, di quattro evangelici normali messi insieme.

È proprio cara. E, secondo me, un dono del Signore.

L’altro giorno, voleva innaffiare una piantina; è salita su una sedia e si è trovata per terra. Non sa se ha messo un piede in fallo o se ha avuto un capogiro. Fatto sta che si è fatta un bernoccolo monumentale nella testa, ha lividi in parecchie parti del corpo e il medico l’ha consigliata di portare il collare ortopedico. Cosa che non fa.

Ora sta meglio, ma quella caduta è servita a tirarle su gli spiriti per non so quanti anni.

Le parole pronunciate da suo marito, tenendola per mano, la sera a letto, “ho-preso-una-gran-paura”, l’hanno fatta più felice che se avesse vinto al gratta e vinci. Così felice che me lo ha raccontato due volte nello stesso giorno.

Ridendo, le ho chiesto: “È stata la prima dichiarazione d’amore negli ultimi quindici anni?”

“Quasi!” ha risposto ridendo pure lei.

E questo mi ha ribadito la convinzione che troppi mariti (il mio escluso) sono dei perfetti broccoli, nel prendere le mogli per scontate e non esprimendo loro spesso il loro amore e il loro apprezzamento in parole e con calore. Ma che ci vorrebbe? Niente. Solo un po’ di attenzione. E avrebbero mogli più contente, più ripagate, più pronte a rispondere all’amore.

Poi, se i figli vedessero e sentissero papà che dice cose gentili alla mamma, imparerebbero a dire cose gentili anche loro, e le ripeterebbero alla loro futura moglie. E sarebbe una catena felice.

Ho parlato spesso del fatto che uno o due o tre complimenti al giorno hanno effetti miracolosi. L’ho detto specialmente alle mogli, perché sono quelle con cui tratto di solito, ma lo dico anche i mariti, perché so che le mogli godrebbero nel sentirsi apprezzate.

Se Dio si è preso la briga di far scrivere nella sua Parola, pare per 365 volte, l’espressione “non temere” e centinaia di volte ricordarci del fatto che ci ama, perché non ci sforziamo un po’ anche noi con la persona che abbiamo scelta per la vita?

Allora, mariti di tutto il mondo (dato che siamo su internet), fatevi furbi!
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Bella e soffice... e malvagia

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La mia guerra contro le erbacce non conosce tregua. Più ne strappi e più ne crescono. Anche col caldo di questi giorni, non ti danno pace. Sono un po’ più gialle del solito, ma crescono lo stesso, con le loro radici sottili come ragnatele o a tubero che scende in profondità.
Ma ce n’è una, di erbaccia, che proprio mi fa saltare i nervi.

La cosa più antipatica è che è bella, vaporosa, elegante e cosparsa di piccoli fiori bianchi, con un puntino giallo graziosissimo. Cresce sui muretti e ha delle radici a filamento che sembrano i capelli di un bambino di sei mesi. Belle e delicate pure loro.

Ma ha una capacità di abbarbicarsi, di penetrare, di diffondersi, di mangiare il muro che, quando la strappi, ti cascano addosso i calcinacci.

Tiri delicatamente e l’intonaco cede. Tiri a strappo e l’intonaco viene giù ancora di più. E in mano ti resta quel pugno di roba soffice e delicata, piena di fiorellini bianchi col puntino giallo. Sembra che ti sfidi. Per di più, la levi tutta e fra due settimane ne spunta dell’altra.

Mi fa pensare a certe chiacchiere che sembrano carine, dolci, belle e sensate, ma che, sotto sotto, hanno lo scopo di demolire, di insinuare maldicenze e gettare cattiva luce sulle persone. Tipo?

“Hai visto Melanie? È sempre vestita con tanto gusto, che sembra un figurino. Deve avere un buonissimo stipendio... Oppure forse i soldi li trova sulle piante del giardino...”

“Ugo ha avuto una nuova promozione... è certo molto capace. Però, sai, suo padre...”

“Non trovi che la predica domenica era un po’ lunghetta.... C’era però molto di buono...”

Capito l’idea?

Allora, attenzione a non fare l’effetto dell’erbetta che si attacca ai muri e li distrugge. Non ci vuole niente a mettere una pulce nell’orecchio della gente. Il male è che le pulci continuano a lavorare e a far danno, finché non rovinano la reputazione di amici e conoscenti.

“Nessuna parola cattiva (l’originale greco dice “marcia e puzzolente”) esca dalla vostra bocca” scriveva l’Apostolo Paolo, “ma se ne avete una buona che edifichi, secondo il bisogno ditela, affinché conferisca grazia a chi l’ascolta” (Efesini 4:29).

Tanto per essere sicuri, prima di fare come l’erbetta malvagia, chiediamoci: 
  • Quello che sto per dire glorifica Dio?
  • Dimostra amore per il prossimo?
  • Mi fa crescere spiritualmente?
  • Farà bene spiritualmente a chi mi ascolta?
  • Lo Spirito Santo che è in me ne sarà contento o rattristato?
  • Potrebbe indurre qualcuno a peccare? 
Chiaro?
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La guerra delle patate

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Ho visto una cosa tristissima, mentre stavo tornando all’ufficio dopo aver fatto una commissione. Percorrevo una via, non più lunga di 200 metri, in cui ci sono quattro fast-food e un ristorante. Era l’ora di pranzo ed erano tutti affollatissimi.

Le abitudini italiane stanno cambiando e anche gli operai non si portano più il panino da casa. Vogliono qualcosa di meglio, appena cucinato. Ma questa non è la cosa triste di cui volevo parlare. Se se lo possono permettere, buon (o cattivo!) per loro.
La tristezza mi è venuta guardando un giovane seduto a un tavolo, collocato alla “come-viene-viene”, sul marciapiede proprio davanti a un fast-food. Era grasso, ma proprio enorme, così grasso che quasi traboccava dalla sedia. E mangiava da un piatto colmo di pasta, tenendoselo a pochi centimetri dalla bocca. Sembrava un animale affamato.

Mi sarei messa a piangere. Evidentemente era drogato. Drogato da cibo.

Poche sere prima, in una pizzeria, avevo osservato una famiglia, seduta accanto al nostro tavolo. Il padre e la madre mangiavano una pizza e il loro bambino aveva davanti a sé un vassoio di patate fritte, sufficiente per due persone.

La mamma lo imboccava e lui mangiava. Avrebbe potuto benissimo portarsi il cibo alla bocca da solo, ma la mamma, evidentemente, aveva piacere di servirlo.

A un certo punto, il bambino ha gridato: “Non ne voglio più!”

“Ma come, tesoro, non hai mangato niente!”

“Non ne voglio più!”

“Ci mettiamo sopra la maionese?”

“Vabbè!”

La mamma ha strizzato due bustine di maionese sulle patatine fritte, aumentando la dose del veleno fra il grasso delle patate e quello della maionese: “Ora mangia!”

“Non ne voglio più! Non mi va!”

Il cameriere si è avvicinato premuroso: “Posso portare qualcos’altro?”

“Questo mangia solo patatine... Purché mangi, lo devo accontentare... Ma adesso non ne vuole più... di solito la maionese gli piace...” ha detto la mamma con tono sconsolato, guardando me e il cameriere. “Non so più cosa fare!”

“Lo lasci senza cibo per due o tre pasti e poi vede che mangia di tutto!” stavo per dire, ma gli occhi minacciosi e preoccupati di mio marito mi hanno fatta desistere.

Ma sarebbe stata l’unica cosa savia da dire.

È normale che i bambini vogliano mangiare solo quello che li stuzzica e che piace. Perciò davanti a qualcosa meno attraente (o addirittura che non conoscono) si impuntano. Ma non si deve cedere. Mangiare un pezzetto di ogni cosa, li abituerà a diversi sapori. E se non mangiano, saltano il pranzo. Ma, la sera, si ritrovano davanti quello che non hanno voluto mangiare a pranzo.

“Ma questo è peggio di una tortura medioevale!” dite.

Non è una tortura. È una scuola di vita. Che di solito dura uno o due giorni.

Ricordo un ragazzo, a uno dei primi campi a Poggo Ubertini, più di 50 anni fa, che non voleva mangiare le patate lesse.

“Io le mangio solo arrostite!”

“E qui le mangi lesse!” ho detto sorridendo con fermezza.

Siamo rimasti a tavola davanti al piatto di patate, mentre gli altri ragazzi giocavano a pallone.

“Voglio andare a giocare!”

“Dopo le patate...”

Alle 5 del pomeriggio, venne la resa senza condizioni. Le patate furono consumate, e le pallonate poterono cominciare.

Ho rivisto il ragazzo dopo molti anni. Aveva fatto il soldato e messo su famiglia.

“Meno male che mi ha fatto mangiare le patate!” mi ha detto ridendo. “Al militare non c’era altro!”

Fate come dico io: insegnate ai figli a mangiare di tutto. A meno che non vogliate tirare su dei viziati, dei malati e degli obesi, drogati dal cibo. Solo dal cibo che piace loro, naturalmente.
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Spingi tu, che tiro anch’io

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Lavoravano in nove per spingere il loro tesoro. E come spingevano! Si alternavano nella loro posizione, riposandosi per pochi istanti e poi riprendendo la loro fatica. L’oggetto era almeno venti volte più grande di ognuna di loro. Avanzavano piano piano. Ma tiravano, spingevano e avanzavano.


Mi hanno fatto pensare al proverbio “l’unione fa la forza” e al passo biblico che paragona la chiesa a un corpo, composto da membra che devono tutte essere attive, efficaci e pronte a fare insieme la loro parte di lavoro per servire il Signore.

L’apostolo Paolo parla di mani, piedi, occhi, orecchie, giunture, ossa e dice che i credenti di una chiesa locale devono funzionare come un corpo unico, senza invidia e senza contrasti. Alcune parti del corpo sono nascoste e poco appariscenti, ma importanti. Altre membra sono molto visibili, apprezzate e ammirate, ma non necessariamente più utili di altre. Ogni parte del corpo deve essere in buona salute per servire, parlare, soccorrere, dare dei suoi beni con generosità. Ognuna deve collaborare con le altre membra per raggiungere lo scopo e la meta finale. Spingendo insieme, tirando, aiutandosi, sostenendosi, stanno unite tutte in un corpo solo. Una bella immagine, senza dubbio.

Però, sono convinta che quando Dio guarda le nostre chiese locali, dall’alto del suo cielo, vede spesso dei corpi molto strani e sproporzionati, se non proprio deformi. Alcuni hanno delle teste enormi, piene di conoscenza dottrinale che le ha fatte gonfiare di orgoglio, altri hanno delle bocche molto sviluppate che sanno citare a meraviglia i versetti della Bibbia, ma parlano troppo. Altri corpi hanno delle gambette secchine secchine e senza forza, che non sanno fare un passo per andare a distribuire un po’ di foglietti di evangelizzazione ai vicini, o agli angoli delle strade; altri corpi hanno delle orecchie così poco sviluppate che non riescono as ascoltare i messaggi della Parola di Dio e degli occhi che sembrano fessure di un salvadanaio, incapaci di vedere la gente che se ne va ignara verso la perdizione. Altri corpi sono così grassi e compiaciuti che non riuscirebbero a muovere un dito per soccorrere chi è nel bisogno.

È vero: le chiese locali sono composte da peccatori. Perciò è impossibile che formino dei corpi perfetti. Ogni chiesa, quale più e quale meno, è deforme e funziona spesso in maniera inefficiente e deludente. Pur cercando di migliorare e progredire, nessuna chiesa potrà mai considerarsi arrivata.

Deformi, imperfette e deludenti, dunque, le chiese del Signore. Eppure...

Eppure, immensamente amate. Amate da Dio, perché formate da peccatori salvati per grazia, redenti ad uno ad uno, personalmente, al prezzo della vita del Figlio di Dio, immolato sulla croce. Amate da Dio che offre loro il dono della salvezza. Amate di un amore eterno.

Non lo trovi incredibilmente meraviglioso? Lo hai capito? Hai accettato di fare parte per mezzo della fede in Cristo di una sua chiesa locale sana e operosa?

Lo so: ora chiedete: “Ma chi erano quelle nove creature, che spingevano, tiravano e muovevano il loro carico, di cui hai parlato all’inizio? Una congregazione di pie donne? Una confraternita?”

No. Erano nove formiche che trasportavano una cavalletta morta, che sarebbe servita da cibo una volta arrivate al formicaio. Lo facevano per loro e per le altre compagne formiche.

Commoventi, nel loro impegno, e, secondo me, un buon esempio da imitare.
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Fiori in terra arida

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Ultimamente sono stata in Sicilia, che è davvero una terra magnifica. In una zona in provincia di Ragusa ho visitato delle serre immense in cui si coltivano fiori, melanzane, zucchini e pomodorini a grappolo. Magnifico. E che profumo e che sapori!


Nei pressi di Catania, una domenica, ero però un po’ stufa di starmente ferma e sono andata a fare una passeggiata. Mi piace sempre esplorare posti nuovi o rivedere posti già conosciuti.

“Non uscire dal recinto, perché ci possono essere dei cani” mi hanno detto.

Dato che anni fa ho avuto un incontro molto ravvicinato con un grosso pastore tedesco, non mi è neppure venuto in mente di disubbidire, ricordando anche che alcune persone, non molto tempo fa, sono state sbranate da branchi di cani randagi, proprio in Sicilia.

Perciò mi sono avviata su per una collina, dentro al recinto della proprietà in cui eravamo. Per un po’ la strada è stata buona, poi si è ristretta, è finita in un sentiero abbastanza stretto fra i rovi, ed è sfociata in uno spiazzo arido da cui si sarebbe dovuto vedere un bel panorama. Non mi è venuto in mente che era un posto perfetto per covi di vipere.

L’unico problema era che c’era una foschia da non dire e il cielo lattiginoso non permetteva di vedere neppure dove cominciava il mare.

Ho deciso di rientrare, accaldata e un po’ delusa. Però, scendendo lungo un muro a secco, il mio occhio è caduto su un ciuffo di bocche di leone, fresche, sbocciate al punto giusto e di un giallo oro-ambra che avrebbe rallegrato il cuore di chiunque. Ho colto i fiori, me ne sono fatta un piccolo mazzo e li ho portati a casa, per metterli in un vaso.

E ho pensato a quanto è buono e gentile il Signore. In mezzo alla sterpaglia, nel terriccio arido e nerastro di terra lavica, è capace di far crescere una meraviglia, come un ciuffo di fiori smaglianti. Esattamente come può fare uscire da persone di poco valore come noi delle parole buone, delle gentilezze e delle parole di conforto.

Che cosa e come sarà, quando il Signore farà fiorire il deserto? Non possamo immaginarlo. Ma sarà bellissmo.
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