C’è speranza se… Consiglio n. 3


Il consiglio n. 1 era: Tenete presente la differenza fra uomo e donna e il loro modo diverso nell’affrontare i problemi.

Il secondo era quello di non vivere insieme coi genitori di uno o dell’altro e neppure troppo nelle loro vicinanze.

Il terzo consiglio è:
Affrontate le mancanze del vostro partner con tatto e comprensione. 

Quando pensiamo che l’altro abbia veramente torto, che faremo? Decideremo di ammonirlo immediatamente?

No. Sarebbe controproducente. Sarà molto meglio mettersi il freno a mano, comprendere quale sia la volontà del Signore e pregare. È incredibile come la preghiera può cambiare il nostro ateggiamento.

Nella preghiera, non cominciamo a accusare il nostro partner davanti al Signore (questo è già il mestiere diurno e notturno del diavolo). Cerchiamo piuttosto di capire le ragioni delle mancanze del nostro caro, o della nostra cara.

Forse scopriremo che abbiamo ferito il suo orgoglio dicendo per esempio: “Come guida della famiglia non vali proprio un tubo!” oppure: “Se non ci fossi io, andremmo tutti in malora!”. Forse ricorderemo che il nostro caro, o cara, ci ha parlato una volta di avere un senso profondo di inadeguatezza o di inferiorità e lo abbiamo dimenticato o non ne abbiamo tenuto conto.

O capiremo che ha paura, che è stanco, che è stato oggetto a commenti poco lusinghieri in ufficio o in chiesa. Che da bambino aveva un padre che gli diceva che era una nullità. Ricorderemo che qualche esperienza o a scuola o sul lavoro ha provocato in lui, o in lei, ferite profonde.

Così, quando avrete pregato e pensato, affrontate con calma a tu per tu, il problema, senza cercare di giocare agli psicologi, senza dire parole pesanti, prendendovi anche la vostra parte di colpa e discutetene nello spirito di 1 Corinzi 13, in cui sono elencate le caratteristiche dell’amore, che è anche gentilezza, comprensione, pazienza, sopportazione.

 E, se possibile, usate anche un po’ di umorismo gentile e sincero, che non guasta mai. Ma che non sia “umorismo” tagliente!

I risultati saranno, di solito, positivi!
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C’è speranza se… Consiglio n. 2


Il primo consiglio per il buon successo di un matrimonio riguardava l’importanza di tenere conto del fatto che uomini e donne affrontano i problemi da angoli diversi. Gli uomini sono razionali e le donne sono emotive.

Il secondo consiglio è:
Se possibile, non vivete coi genitori né di lui né di lei. 

Contrasti anche seri si determinano quasi invariabilmente se una giovane coppia cerca di vivere nella stessa casa dei genitori.

Una coppia che comincia una vita a due ha già abbastanza prolemi da affrontare e angoli da smussare senza andare a cercarsene di più. Le coppie sposate da poco spesso trovano difficile perfino abituarsi a un nuovo modo di apparecchiare la tavola, di piegare gli asciugamani, di gestire le luci di casa e così via. Figuriamoci se ci si aggiungono gli sguardi solleciti della suocera che non approva il modo di stendere le camicie della sposina, o i consigli di una madre che, in nessun modo, vuole cambiare la disposizione di qualche quadro ninnolo ingombrante.

Gesù citò la Genesi dicendo: “L’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una stessa carne” (Matteo 19:4).

Dio, nella sua sapienza, ha comandato la separazione della coppia dai genitori al momento del matrimonio. In questo modo si evitano le interferenze dei genitori sui comportamenti dei giovani sposi e formazioni di pregiudizi su uno o su un altro, scontri riguardo agli orari, aggiustamenti faticosi di abitudini, cambiamenti nei modi di cucinare, convivenze troppo strette data la piccolezza dell’appartamento da condividere.

Per non parlare poi dei problemi che sorgono quando nasce il primo nipotino!

Molti giovani pensano che sia una buona idea vivere coi genitori almeno per un breve periodo, “fino a che non ce la potremo fare da soli”, ma finiscono per pentirsene amaramente e per piangerci su, anche per tutta la vita.

Perciò, ragazzi, cominciate la vostra a due da soli e col Signore e, se possibile non vivete neppure nella stessa strada o vicinato dei suoceri o dei genitori.

Però quando vi fate visita, fate in modo che siano visite felici e preparate in ogni dettaglio!
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C’è speranza se… Consiglio n.1


Quali probabilità avete che il vostro matrimonio riesca?

A questa domanda un noto giornalista ha risposto: “Nessuna, a meno che non abbiate la volontà di considerarlo il lavoro più importante della vostra vita e non prendiate neppure un giorno di vacanza”.

Il matrimonio è un’esperienza ricca e soddisfacente per coloro che sono pronti a sacrificare idee e opinioni fisse, pur di piacere a Cristo e l’uno all’altro.

Questa è la base con cui il giornalista ha formulato questi brevi consigli (li scriverò uno alla volta), che sono un po’ come dei cartelli indicatori che mostrano la strada verso la riuscita del vostro matrimonio.

CONSIGLIO N. 1
Rendetevi conto che uomini e donne non affrontano i problemi nello stesso modo.

L’uomo di solito si mette davanti ai problemi e ragiona a freddo, mentre le donne li vivono piuttosto basandosi sui sentimenti e le emozioni. Chi non capisce questa diversità basilare esistente fra uomini e donne, si rende responsabile di gran parte delle tensioni e delle frizioni che si determinano in una famiglia.

La tentazione principale dell’uomo è diventare amaro verso la donna per questo suo modo di affrontare i problemi e la vita. Ecco perché Dio ha specialmente comandato la tenerezza agli uomini: “Mariti, amate le vostre moglie, e non vi inasprite contro di loro” (Colossesi 3:19).

La tendenza è così profonda e la tentazione è così forte, che Dio ne ha parlato anche per bocca dell’Apostlo Pietro. “Parimente, voi mariti, convivete con loro con la discrezione dovuta al vaso più debole che è il femminile. Portate loro onore, poiché sono anch’esse eredi con voi della grazia della vita, affinché le vostre preghiere non siano impedite” (1 Pietro 3:7).

La donna, d’altra parte, tende a diventare irritata contro suo marito, il quale sembra fare solo dei calcoli razionali. Per questo, Dio le dice: “Voi mogli siate soggette ai vostri mariti” e cercate di pensare che essi vogliono il vero bene vostro e della famiglia. Se pensate che non affrontino bene il problema, dategli fiducia e accomodatevi al loro modo di fare.

È sempre bene ricordare che la ragione senza emozioni sarebbe dura e senza vita, ma anche che le emozioni senza ragione sarebbero inutili e deleterie. Perciò moglie e marito si completano a vicenda e diventano strumenti di crescita spirituale l’uno per l’altra.

Alla prossima, col secondo consiglio indispensabile!
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Troppo stanco per pregare


Ma quanto è difficile pregare! Se c’è una cosa che Satana cerca di ostacolare è proprio la pratica del nostro raccoglimento e la nostra vita di preghiera. Ecco cosa usa. 

L’abitudine 
Preghiamo e le nostre preghiere sembrano sempre uguali. Cominciamo allo stesso modo e seguiamo sempre la stessa formula e finiamo con la  solita frase “nel nome di Gesù”.

Chiediamo le stesse cose, e c’è proprio poca freschezza nelle nostre richieste. A volte, anche se usiamo una lista di preghiera, sembra un po’di leggere l’elenco del telefono. E il nostro cuore è freddo e lontano. Ci abbiamo fatto l’abitudine.

Trattiamo il Signore come se fosse il garzone del supermercato
Gli facciamo la lista di quello di cui abbiamo bisogno e amen. Non aspettiamo neppure un momento per capire se abbiamo chiesto una cosa giusta, se il nostro atteggiamento è buono, se preghiamo con sottomissione. 

Ma c’è di più.

La stanchezza fisica
La mattina ci alziamo stanchi e con poca voglia di pregare. La sera siamo troppo stanchi per pregare e ci addormentiamo pregando. Pregare dovrebbe essere una gioia, mentre a volte diventa una fatica. Da che dipende?

Siamo troppo occupati
Vogliamo pianificare e organizzare ogni minuto della nostra giornata e cerchiamo di seguire degli orari impossibli. Magari la riempiamo di cose buone e attività utili, anche spirituali e di testimonianza. Ma se siamo troppo presi dalle attività e trascuriamo la preghiera, il raccoglimento e la meditazione, significa che siamo troppo occupati per funzionare bene. Ho sentito una frase molto appropriata a questo riguardo: “Guardatevi dall’aridità di una vita troppo attiva”. Parole sante.

Dobbiamo capire che la parte più importante della nostra vita cristiana è la nostra comunione  con Dio. E da questa comunione dipendono la potenza e il peso della nostra testimonianza, la gioia di servire e l’efficacia di ciò che facciamo. 
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Fede sincera: ma che vuol dire?

“Ogni religione è buona purché sia praticata con sincerità.” Me lo ha detto una signora quando ero ragazza e ero ai miei primi timidi tentativi di testimonianza (da poco avevo capito che la Bibbia era il libro di Dio su cui volevo basare la mia fede e costruire la mia vita).

Io ero cresciuta sotto la dittatura fascista in cui si diceva che “il Duce ha sempre ragione” e guai a chi obiettava. Perciò, quella della signora mi era sembrata, in un primo momento, un’affermazione di lodevole tolleranza.

Poi, però, mi sono resa conto che la matematica non mi tornava. In nome della fede erano state fatte guerre e carneficine e non era possibile che tutte le fedi, anche se seguite con sincerità, fossero giuste. Se una diceva il contrario di quello che diceva un’altra, non era possibile che fossero tutte e due vere.

Questo era vero circa 70 anni fa ed è vero ancora ai nostri giorni.

Oggi la tolleranza è diventata quasi la religione ufficiale. Il Papa strizza l’occhio a ebrei e musulmani in nome del monoteismo e alcuni movimenti cattolici aprono alle religioni orientali. È possibile che tutti abbiano ragione?

L’Apostolo Paolo, parlando dell’amore che scaturisce da un cuore puro e da una buona coscienza, diceva anche che questo amore proviene da una “fede sincera” (1 Timoteo 1:5). Che cosa intendeva? Parlava di una fede senza aggiunte né contaminazioni umane, pura, basata unicamente su quello che la Bibbia afferma.

Nel versetto della sua prima lettera, precedente a quello in cui aveva parlato del cuore puro, della buona coscienza e della fede sincera (v. 5), aveva esortato Timoteo a non occuparsi di “favole, genealogie senza fine, che suscitano discussioni invece di promuovere l’opera di Dio” (v. 4) e subito dopo il v. 5, aveva messo in guardia il suo collaboratore contro gente che fa “discorsi senza senso, che vogliono essere dottori della legge, ma in realtà non sanno né quello che dicono né quello che affermano con certezza” (vv. 6,7,8). Di questo sono maestri i fondatori delle sette e i loro seguaci che citano a vanvera il greco, che non hanno mai studiato, parlando delle dottrine dei loro fondatori.

Allora, in che cosa consiste la fede “sincera” di cui parlava Paolo?

Essa è fatta di tre elementi semplici e controllabili nella Bibbia: il primo è la SOLA Scrittura, composta dall’Antico e dal Nuovo Testamento, senza le aggiunte di tradizioni che non solo alterano la Scrittura, ma anche ne annullano il messaggio (per esempio, la dottrina del purgatorio, mai nominato nelle Parola di Dio, che promette una sicura purificazione dei peccati mediante anni di sofferenze). “Ogni parola di Dio è affinata col fuoco. Dio è uno scudo per chi confida in Lui. Non aggiungere nulla alle sue parole, perché Egli non ti rimproveri e tu non sia trovato bugiardo” (Proverbi 30:5,6).

Il secondo elemento è che la salvezza dell’anima è per SOLA fede, senza l’aggiunta di opere meritorie, penitenze e indulgenze inventate dai religiosi. È una salvezza prodotta dal sacrificio infinito di Gesù sulla croce, il quale ha pagato per i peccati di tutti gli uomini e che Egli offre in dono (Romani 6:23), a chi stende la mano e la riceve credendo in Cristo quale unico Salvatore e unico Signore (Atti 4:12). “Egli ci ha salvati non per opere giuste da noi compiute, ma per la sua misericordia, mediante il lavacro della rigenerazione e il rinnovamento dello Spirito Santo, che egli ha sparso abbondantemente su noi, per mezzo di Cristo Gesù, nostro Salvatore, affinché giustificati dalla sua grazia, diventassimo, in speranza, eredi della vita eterna” (Tito 3:5-7).

 Il terzo elemento è la SOLA grazia, cioè il favore immeritato che Dio è pronto a concedere a chiunque crede in Cristo, perdonandogli tutti i peccati, senza l’aggiunta di sacramenti e opere meritorie. “È per grazia che siete stati salvati, mediante la fede; e ciò non viene da voi, è il dono di Dio. Non è in virtù di opere, affinché nessuno si vanti” (Efesini 2:8,9).

Questa è la fede sincera, riscoperta secoli fa da Lutero, che noi dobbiamo proclamare.
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Chi vedi?

Un ragazzo ha chiesto a suo padre: “Papà, che cosa è la coscienza?”.

“È quella vocetta dentro di te che ti fa sentire se sei stato bravo o se hai fatto qualcosa di sbagliato. Se hai fatto del male non ti fa stare tranquillo e se hai fatto bene…”

“Ti fa stare felice” concluse il ragazzo.

“Sì” rispose il papà. “Così quando ti guardi allo specchio, non avrai niente da rimproverare alla persona che vedi riflessa.”

“Ho capito. Ora vado a giocare a calcio e se non do una spinta per far cadere un nemico, avrò rispetto di chi vedo allo specchio! Ciao!”

Il ragazzo ci rideva su, ma aveva capito.

Nel versetto che abbiano cominciato a leggere la volta scorsa, c’era scritto che l’amore di Dio produce un cuore puro e una buona coscienza.

La prima volta che una coscienza ha cominciato a rimordere è stata quando Adamo e Eva hanno peccato e si sono andati a nascondere da Dio. Avevano paura del castigo.

Da allora, ogni essere umano che nasce ha una coscienza che gli fa avere paura della punizione di Dio se fa male, gli fa sentire che ci saranno per lui un giudizio, un Dio a cui dovrà rendere conto e che dopo questa vita c’è l’eternità (Ecclesiaste 3:11).

La coscienza è importante, ma la gente comune, molto spesso, per non dire quasi sempre, la mette a tacere e non l’ascolta. Si scusa, trova attenuanti per ogni peccato che commette.

Il credente, invece, ci fa caso. Quando ha accolto Gesù nella sua vita e ha ricevuto per grazia il dono della salvezza, l’opera dello Spirito Santo che lo ha fatto nascere di nuovo, ha scavato nel profondo del suo essere e lo ha purificato fino nel profondo della sua coscienza. La lettera agli Ebrei dice che “il sangue di Gesù, che mediante lo Spirito eterno offrì se stesso puro di ogni colpa a Dio, purifica la nostra coscienza dalle opere morte per servire il Dio vivente” (9:14). Che gioia! Anche la macchia più nascosta, il peccato più remoto è stato lavato. Dio ci vede puliti.

Siamo puliti, è vero, ma non diventiamo perfetti. Pecchiamo ancora e la coscienza ci avverte, come una lucetta rossa che si accende quando c’è un pericolo o un guasto nella macchina. Dobbiamo ascoltarla e confrontarla sempre con la Parola di Dio che penetra in noi come una spada sottile (Ebrei 4:12). Non dobbiamo tirarci indietro, ma lasciarci indagare come diceva Davide nel Salmo 139:23,24, e permetterle di mettere in luce i nostri errori. Mai e poi mai, dobbiamo prendere alla leggera gli avvertimenti della coscienza. E non fare come alcuni nominati nella Bibbia, che hanno trascurato di ascoltare la loro coscienza (1 Timoteo 1:19,20) e che hanno “fatto naufragio quanto alla fede”.

Appena un peccato è individuato, lo dobbiamo confessare a Dio, senza scuse. Allora il sangue di Cristo, che ha già operato profondamente al momento della nuova nascita, continuerà la sua opera di purificazione (1 Giovanni 1:9).

Dopo di che, dobbiamo credere che Dio ci perdona e dimentica il nostro peccato, nel senso che per Lui non esiste più. È cancellato e non deve tormentare più neppure noi.

Una sorella olandese, parlando alle donne, lo spiegava così e non l’ho mai dimenticato: “Dio getta i nostri peccati nel fondo del mare e poi mette un cartello con scritto ben chiaro: DIVIETO DI PESCA”. Più chiaro di così…

Come va la tua coscienza? Tu, quando ti guardi allo specchio, chi vedi?

Una buona medicina per il nostro paese

Abbiamo parlato lunedì scorso dell’amore di Dio e del nostro amore per Lui. In un’altra lettera, Paolo parla dell’amore che procede da un cuore puro (1 Timoteo 1:5), da una buona coscienza e da una fede sincera. Questo è l’amore che noi dobbiamo avere.

Deve venire da un cuore puro, cioè purificato, pulito e rinnovato dallo Spirito santo.

Ho scritto questo post il 29 aprile 2013 dopo avere sentito il discorso del nuovo Presidente del Consiglio. Era pieno di buoni proponimenti, di promesse e di speranze. Probabilmente, mentre lo pronunciava, credeva a tutto quello che diceva e faceva appello alla collaborazione e all’impegno dei suoi colleghi e del popolo italiano. Parole e proponimenti giusti. Ma potranno essere messi ad effetto? Ne dubito.

Non perché le autorità non vogliano fare bene e non vogliano il bene della nazione, ma perché hanno a che fare con uomini, per natura egoisti e con un cuore non puro. E, forse, hanno anche a che fare col loro cuore.

La Bibbia non fa mistero sul cuore dell’uomo e dice che è insanabilmente malvagio e ingannevole (Geremia 17:9) e Gesù ha detto che dal “cuore vengono pensieri malvagi, omicidi, adultèri, fornicazioni, furti, false testimonianze, diffamazioni” (Matteo 15:19).

Gesù stesso non si fidava neppure della gente che alla festa di Pasqua lo lodava e acclamava “perché conosceva quello che era nell’uomo” (Giovanni 2:25). Proprio in quell’occasione un uomo religioso molto sincero (se fosse vivo oggi, probabilmente sarebbe un pezzo grosso in Vaticano) andò a trovarlo di notte, probabilmente per non farsi vedere dai suoi colleghi, per esprimere il suo rispetto per Gesù. Aveva capito che era il Messia venuto da Dio.

Gesù interruppe il discorsetto di circostanza di Nicodemo e gli disse pari pari: “Se uno non è nato di nuovo, non può vedere il regno di Dio” (Giovanni 3:3) e gli spiegò che, nonostante la sua sincerità e integrità, aveva bisogno di un rinnovamento radicale interiore, di una trasformazione che Gesù chiamò “nuova nascita”. Non gli disse che doveva battezzarsi, fare penitenze o pellegrinaggi, ma che doveva credere in Lui e in Dio che lo amava e voleva salvarlo.

Ecco le parole precise di Gesù: “Iddio ha tanto amato il mondo (mi piace immaginare che Gesù lo abbia guardato con amore negli occhi e gli abbia fatto capire che Dio lo amava come amava ogni altro essere umano mai vissuto sulla terra) che ha dato il suo unigenito Figlio, affinché chiunque crede in Lui non perisca, ma abbia vita eterna” (v. 16).

Nicodemo non professò di credere in Cristo in quel momento, ma quelle parole lo colpirono. In seguito cercò di difendere Gesù quando era accusato dagli altri sacerdoti (Giovanni 7:50,51) e dopo che Gesù era stato ucciso, ebbe il coraggio di andare a chiederne il corpo per seppellirlo degnamente (Giovanni 19:39). Le sue azioni dimostrarono che il suo cuore era cambiato. Era diventato puro.

Un cuore puro ama, non progetta il male, non si vendica, non è egoista. È un cuore che non agisce per orgoglio e cerca il bene degli altri.

Sarebbe bello se il cuore degli Italiani diventasse così. E sarebbe bello anche se noi Italiani, che conosciamo la verità e per la grazia di Dio siamo nati di nuovo, cercassimo di inondare il nostro paese di foglietti di evangelizzazione, parlassimo di più del Vangelo ai nostri vicini e pregassimo di più per le nostre autorità. Certamente qualcosa cambierebbe.
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