Fidanzati (e non per scherzo)

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Quando mi sono fidanzata, ero fuori di me dalla gioia. Conoscevo, da sei anni, l’uomo che sarebbe diventato mio marito, lo stimavo, condividevo le sue idee e i suoi piani, il suo desiderio di servire il Signore. E mi piaceva anche fisicamente. Ma lui non si era mai dichiarato e non avrei mai fatto delle avances, come fanno le ragazze oggi. Se mi voleva, me lo avrebbe detto.


E lo ha detto! Dato che ci conoscevamo abbastanza bene, il nostro fidanzamento è durato solo sei mesi. Durante quei sei mesi l’attesa è stata gioiosa e piena di aspettazione. Quanto sarebbe stato bello camminare insieme, come sposi e poi genitori!

Il nostro matrimonio è stato ultra-semplice, non abbiamo sprecato soldi, non abbiamo fatto debiti, e abbiamo cominciato la nostra vita insieme nell’appartamento dei nostri colleghi che, in quel periodo, erano all’estero. Piano piano ci siamo stabiliti e abbiamo messo su famiglia.

Oggi i fidanzamenti durano anni e, secondo me, hanno perso il loro significato. I due dicono che “sono insieme” e spesso il loro “insieme” non sfocia nel matrimonio.

Per gli Ebrei il fidanzamento era una cosa molto seria. Veniva concordato fra due famiglie e, una volta stipulato, il “contratto” era considerato come un matrimonio vero e proprio. Mancava solo che i due fidanzati vivessero insieme e si unissero fisicamente. Durante il fidanzamento la futura sposa preparava il suo corredo, si curava in modo speciale per essere bella per il suo sposo, e si progettava la cerimonia definitiva.

Chi rompeva il patto del fidanzamento era punito. Se ci fosse stata infedeltà, chiamata dal Signore Gesù fornicazione, la pena era molto seria e poteva contemplare il ripudio e il divorzio. Per questo, quando Maria, che sarebbe diventata madre di Gesù, disse a Giuseppe che era incinta per opera dello Spirito Santo, il povero fidanzato rimase comprensibilmente “turbato”. Ma un angelo gli disse di non aver timore di prendere con sé “la tua sposa”, perché ciò che lei gli aveva detto era vero. Da tutto il linguaggio, agli occhi di Dio, era evidente che Giuseppe e Maria erano già “sposi”, anche se, in verità, solo fidanzati.

Ora gli usi sono cambiati, ma sarebbe bello che i fidanzamenti non durassero in eterno e fossero solo un bel periodo di preparazione, non troppo lungo, in cui i fidanzati si preparano a diventare una coppia felice e a vivere insieme, capendo la serietà del passo che stanno per fare.

Nella seconda lettera ai Corinzi, l’apostolo dice ai credenti “vi ho fidanzati a un unico sposo, per presentarvi come una casta vergine a Cristo”. Questa è un’immagine bellissima. La chiesa, nella lettera agli Efesini, è chiamata la sposa di Cristo. Il contratto è stato fatto, i patti sono stipulati, Gesù ha “comprato” la sua sposa a prezzo del suo sangue e del suo sacrificio sulla croce. Ma la festa di nozze avrà luogo un giorno nel cielo, quando tutti i credenti saranno uniti a Cristo per sempre. Per ora siamo fidanzati, di un fidanzamento che non si rompe, col Figlio del Re dei re, il Signore Gesù Cristo.

Mentre aspettiamo quel grande giorno ci prepariamo, imparando a conoscere e a amare il futuro sposo, pensando a Lui, parlando con Lui in preghiera, decantando le sue lodi, proclamando le sue qualità, comportandoci bene, come “una vergine casta” e preparando un corredo di fedeltà e di servizio, che gli dimostra il nostro amore e la nostra riconoscenza.

Allora, per concludere, siamo, in quanto credenti, profumo, lettere, servi, vasi di terra, ambasciatori e fidanzati. Cosa potremmo volere di più?
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Vasi di terra

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A casa nostra abbiamo un piccolo giardino che, con la pioggia degli ultimi tempi, sta producendo, in quantità industriale, ogni sorta di erbacce che invadono tutto e rischiano di soffocare le piante buone. Ne strappo tanta, di erbaccia, ne riempio grossi sacchi e mi sembra di non aver combinato niente. L’unica consolazione è guardare quei sacchi rigonfi, darmi una pacca sulla spalla e capire che tutto il loro contenuto non è più in terra.


Però le cose vanno meglio se le piante sono nei vasi. L’erbaccia si strappa facilmente. Per esempio, ho del basilico rigoglioso (genovese e prodotto nel Lazio, dice l’etichetta), e dei gerani che si danno da fare a rendere bello e colorato il pianerottolo.

I vasi di terra sono i miei favoriti, perché non trattengono l’acqua come quelli di plastica, non si rovesciano quando viene il vento forte e hanno una bella aria solida, di casa. Quando ero ragazza la plastica non c’era ancora e le cose antiche mi piacciono molto. Sarà perché sto diventando “antica” anch’io!

Il Signore ci paragona a vasi di terra. Ed è un bel paragone. Questo tipo di vaso vale poco e noi, se non fosse per la grazia di Dio, non varremmo niente. Ma sono utili anche se sono fragili e il loro valore dipende solo da quello che contengono. Noi siamo lo stesso, perché ciò che conteniamo è prezioso. E qui viene il bello!

La seconda lettera ai Corinzi dice che siamo sì dei vasi di terra, ma conteniamo un tesoro, che è la “luce della conoscenza della gloria di Dio, che splende nel volto di Gesù”. E non è poco! Ma perché questa luce risplenda, il vaso deve rompersi, andare in frantumi e permettere alla luce di Gesù di uscire e spandersi ovunque. Come diceva Giovanni Battista, usando un altro paragone: “Bisogna che Lui cresca e io diminuisca”.

Secondo il pensiero di Paolo, quella che vale è la presenza di Cristo, e quello che la fa splendere sono le prove, le difficoltà, i problemi della vita. Ciò che ci fa male, allora, ci fa del bene perché permette alla luce di Gesù di splendere e diffondersi.

È chiaro: non andiamo sadicamente in giro in cerca di sofferenze, come facevano gli eremiti e i flagellanti. Ma quando le sofferenze vengono, consideriamole un’occasione per far splendere la luce di Cristo.
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Servire è bello

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Io ricordo certe famiglie che frequentavo coi miei genitori quando ero ragazzina che avevano servi e cuoche e perfino il maggiordomo.


Curavano la casa, proponevano il cibo per il giorno dopo, facevano le commissioni e, quasi quasi, diventavano parte della famiglia. Infatti, i loro figli andavano a scuola, giocavano, andavano in vacanza coi figli dei “padroni” e loro stessi servivano con rispetto, ma senza essere servili. Spesso si prendevanola la libertà di decidere su cose minori e, in ogni modo, avevano una buona dose di autonomia delegata, anche dal punto di vista economico e finanziario. Dovevano essere efficienti, capaci, servizievoli, fidati, onesti e affidabili.

Erano i ministri dei loro padroni. E ne andavano fieri, soprattutto se i loro datori di lavoro si chiamavano Doria o Spinola o Pallavicino.

Nella sua lista di qualifiche dei credenti nella seconda lettera ai Corinzi, l’apostolo Paolo, dopo aver detto che siamo “profumo” e “lettere” dice che noi siamo “ministri” del nuovo patto di Dio e “collaboratori” di Dio.

Questo nuovo patto è basato sulla grazia, l’amore e l’ubbidienza gioiosa. Noi non dobbiamo andare in giro come dei questurini per fare osservare leggi, leggine e decreti e distribuendo punizioni e contavvenzioni. Siamo dei ministri che annunciano il perdono e servono per amore, svolgendo un ruolo subordinato di assistenza e servizio, come lo descrive il dizionario.

Il Signore Gesù è stato un “ministro” perfetto e ci ha lasciato un esempio ineguaglibile.

È venuto non per essere servito, ma per servire. Ha lavorato quando toccava a Lui e quando non gli toccava, ha ubbidito a suo Padre, ha fatto, detto, eseguito il piano ideato per Lui dal Padre da tutta l’eternità, senza aggiungervi né togliervi nulla.

“Io non faccio niente di testa mia” diceva. Un ministro non si deve inventare nuove regole. Non deve agire estemporaneamente. Deve eseguire solo quello che il suo padrone ha stabilito e gli ha assegnato e quello per cui è stato delegato.

Ma non basta. Oltre che ministri siamo anche collaboratori e un collaboratore è un po’ di più di un servo. “Come collaboratori di Dio vi esortiamo a non aver ricevuto la grazia inutilmente...” Certe affermazioni della Bibbia ti fanno esplodere il cervello, quando si esaminano a fondo. Se siamo stati oggetto della grazia di Dio, del favore immeritato di diventare suoi figli e di oprare per Lui, non possiamo sottovalutare la nostra posizione.

Un collaboratore lavora in armonia con un altro, con lealtà e integrità. Non tradisce, non mina l’autorità del suo compagno d’opera. Quello che è stato deciso insieme deve essere fatto. Un collaboratore è uno che “lavora con un altro per raggiungere uno scopo”.

Paolo lo spiega molto bene: “Non diamo nessun motivo di scandalo affinché il nostro servizio non sia biasimato, ma in ogni cosa raccomandiamo noi stessi come servitori di Dio... con purezza, con conoscenza, con pazienza e con bontà, con lo Spirito Santo, con amore sincero e un parlare veritiero...” Che onore!

A volte pensiamo di fare un gran favore a Dio, se facciamo qualcosa per Lui e con Lui. Perciò, ogni volta che ci rendiamo conto che ci stiamo un po’ montando la testa ricordiamo le parole di Paolo: “Mi è stata fatta la grazia (ovvero il favore immeritato) di essere ministro di Cristo” e quelle del Signore: “Quando avrete fatto tutto quello che vi è comandato, dite: «Noi siamo servi inutili; abbiamo fatto quello che eravamo in obbligo di fare»”.
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C’è posta!

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Quando i nostri figli erano tutti e quattro in America all’Università, non esistevano i telefonini e le telefonate intercontinentali erano molto care. Perciò scrivevamo lettere. Io scrivevo tutte le settimane e loro erano molto bravi: rispondevano. Qualche volta telegraficamente, altre volte più a lungo.


E quelle lettere quanto erano attese e lette, rilette, commentate! Come genitori cercavamo di capire fra le righe come andavano le cose, se gli studi procedevano bene, se gli umori erano buoni e se c’erano dei problemi. Erano per noi una fonte importante di informazione.

Quando eravamo fidanzati, anche mio marito ed io, ci scrivevamo tutti i giorni. E anche quelle lettere erano lette e rilette.

L’apostolo Paolo ha scritto ai credenti di Corinto: “Voi siete una lettera di Cristo” (2 Corinzi 3:3). La volta scorsa, abbiamo visto che, come credenti, ci ha paragonati al “profumo di Cristo”. Oggi la similitudine cambia. Non più profumo, ma lettera.

Una lettera serve a dare notizie, a informare. Ha un messaggio che augura, porta gioia, incoraggia, fa del bene, porta dolore, rimprovera. Dipende da chi la scrive e dall’atteggiamento di chi la riceve.

E Paolo aggiunge anche che siamo una lettera “conosciuta e letta da tutti gli uomini”. Una lettera aperta e circolare, insomma.

Una lettera è diversa da un profumo che, prima o poi, svanisce. Una lettera rimane. Impegna. Quello che dice ha un peso. Il suo messaggio è definitivo.

Pensiamoci: vado al negozio a fare la spesa e sono una lettera di Cristo. Se Cristo andasse a fare la spesa, chiederebbe la merce con gentilezza. Non passerebbe avanti agli altri. Non farebbe storie e non perderebbe la pazienza. Che lettera sono io?

Se Cristo andasse a scuola, non copierebbe, non mancherebbe di rispetto agli insegnanti, arriverebbe puntuale, non farebbe finta di aver studiato e non direbbe bugie. Uno studente credente è la lettera di Cristo nella sua scuola. Forse sei l’unica lettera di quel tipo in tutta la scuola. Ci hai pensato?

Se Cristo fosse un professore, non farebbe favoritismi, darebbe i voti giusti, si farebbe rispettare e tratterebbe gli studenti con rispetto. Non lavorerebbe solo per lo stipendio. Avrebbe a cuore il suo lavoro e i suoi studenti. Un insegnante credente è una lettera di Cristo, letta da tutta la scuola. Cosa leggono i tuoi colleghi e i tuoi alunni?

Se Cristo fosse un operaio, un impiegato, un dirigente lavorerebbe bene e sarebbe un esempio per tutti. Che operaio sei tu, in quanto lettera di Cristo?

Una lettera è “conosciuta e letta”. Per sapere quello che contiene bisogna aprirla e leggerla.

Quando io parlo, come lettera, porto un messaggio. Essendo una lettera di Cristo, il mio messaggio deve essere vero, amorevole, puro, giusto. Deve avere il carattere di Cristo.

Se devo essere letta, in quanto mandata da Cristo, voglio che quello che la gente legge sia coerente con chi mi ha... spedita.

Perciò cercherò di lasciare, dove vado, un messaggio che parli di Lui, per mezzo della mia condotta. Ma anche che parli e possa essere letto. Per esempio, un foglietto di evangelizzazione, un libretto, una copia del Vangelo, un invito a frequentare una riunione speciale. Rendo l’idea? Vi sembra una buona idea?
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Il tuo profumo: che marca è?

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“Nel mondo ci sono gli odori, che si dividono in puzze e profumi” ci spiegava la maestra quando eravamo bambine alle elementari. Noi la ascoltavamo con attenzione, tanto più che lei sapeva sempre di vaniglia. “I profumi sono piacevoli e le puzze sono sgradevoli . Una torta, mentre cuoce manda un buon profumo, ma, se si brucia, puzza.”


Oggi, mentre ritiravo dal balcone il bucato, che si era asciugato al vento e al sole, profumava di pulito. Una vera gioia. Molto diverso, da quando abitavamo a Roma e lo ritiravo che puzzava di smog.

A me piace usare sempre lo stesso profumo (Poison di Christian Dior, se ci tenete a saperlo) e mia mamma diceva che usare lo stesso profumo era un segno di vera signorilità. Non ho mai capito perché. Per molto tempo, devo avere fatto la figura di una volgare plebea, perché usavo solo e sempre i profumi che mi regalavano!

La Bibbia parla molto di profumi: gli aromi e i profumi speciali che si facevano bruciare nel tempio e nel tabernacolo, i profumi delle donne, i profumi che invadevano una casa.

Dice che anche noi credenti siamo un profumo. Interessante, no?

Paolo lo dice, senza mezzi termini: “Noi siamo il profumo di Cristo” (2:15).

Un profumo piace e fa piacere, è persistente, si sente e non parla. Riempie un ambiente. Fate il pane in casa e tutta la casa profumerà di pane. Fate una grigliata in giardino con i vostri amici e tutti i vicini vi invidieranno, con tutto quel buon odorino di bistecche, che si spande nell’aria.

Ho detto che un profumo piace. Noi credenti dovremmo fare piacere con la nostra presenza gentile, educata e il nostro modo di fare non aggressivo. Dovremmo creare un’atmosfera di benessere ovunque andiamo. In ufficio, in chiesa, a scuola, in un negozio. La gente si dovrebbe sentire a suo agio in nostra compagnia.

Un profumo è persistente, regolare, dura. Così dovrebbe essere il nostro carattere. Chi ci conosce dovrebbe poter contare sulla nostra costanza e continuità.

Un profumo non parla. C’è. Spesso parliamo troppo di noi stessi, di quello che facciamo e di quello che abbiamo fatto. A volte parliamo anche troppo della nostra fede e quasi vogliamo forzare la gente a ascoltarci. L’apostolo Pietro ha scritto che un marito difficile si avvicinerà al Signore per mezzo della condotta buona, dolce, pacifica, “profumata” di sua moglie. E sottolinea: senza parola. Nessun marito apprezza esortazioni e prediche.

Un profumo suscita la domanda: che profumo usi? E se è Chanel, Armani o Balestra, siamo contenti di dirlo. La nostra condotta tranquilla e dignitosa, dovrebbe suscitare la domanda: da dove prendi tanta pazienza? Come fai a non urlare ai figli? Perché non rispondi male?

Allora sarà possibile spiegare che “marca” di profumo usiamo.

Un profumo non cambia. È fatto con certi ingredienti precisi e ben dosati. La nostra condotta dovrebbe essere equilibrata, caratterizzata da un comportamento costante. Non simile al tempo di marzo, che, nel giro di un’ora, può essere nuvoloso, soleggiato, ventoso e piovoso.

Paolo dice anche che siamo “profumi speciali”. Infatti, in quanto profumo di Cristo, possiamo essere causa di vita o di morte. E questa è una cosa molto seria.

La nostra condotta parla. Possiamo attirare le persone col nostro esempio, la nostra gioia costante e la nostra calma. Possiamo respingerle con un modo di fare che urta o annoia o offende.

Siamo un profumo di vita, per chi vede Cristo in noi e si apre a Lui. E un profumo di morte per chi non vede in noi nulla che lo attrae a seguire il nostro Salvatore e Signore.

Un profumo non parla, lo ripeto. Perciò è la nostra condotta quella che da sola deve essere una predicazione. E Paolo si chiede: “E chi è sufficiente a queste cose?”. Una buona domanda, a cui c’è una sola risposta: “Nessuno”.

A meno che.... Ne riparleremo.
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Mi sto antipatica... Aiutami tu

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Me lo ha scritto, di recente, una donna sposata con due figli.


Brutto affare! Se fossi la Fata dai capelli turchini, le darei una toccatina con la mia bacchetta magica e la trasformerei in una creatura sprizzante di felicità. Fortunatamente, certi poteri non li ho. Perciò, cercherò di ricorrere alla mia esperienza.

Devo dire che, certe volte, mi trovo antipatica anch’io. La gente mi dà noia, mi pare che tutto vada storto, e quando mi guardo allo specchio, vedo una persona imbronciata e con lo sguardo ammosciato e un po’ cattivo. Decisamente, brutta. E non è colpa solo della mancata applicazione della crema antirughe, che, bontà sua, “sfida l’età”.

Ma non devo e non voglio rimanere antipatica a me stessa e agli altri. Come rimediare?

Devo cominciare dalla parte giusta, pregando il Signore di aiutarmi a essere amichevole, espansiva e aperta. Non è una preghiera egoista. È una preghiera che, oltre a me, farà del bene anche a chi mi sta vicino.

E poi comincerò a esaudire io stessa la mia preghiera. Ecco come.

Se mi rendo conto di essermi svegliata col berretto di traverso, invece di aspettare che mio marito mi saluti e mi abbracci, lo saluterò e abbraccerò io. Se ho figli, invece di buttare sul tavolo della cucina un pezzo di pane e un po’ di marmellata, o il pacco delle fette biscottate, perché no?, farò un bel piatto di toast alla francese (la ricetta è alla fine del post). L’abbraccio di mio marito e la gioiosa sorpresa dei figli mi farà subito sentire un po’ più simpatica.

Un’altra cosa che mi aiuta a “ piacermi” è cantare qualche cosa che mi porta a lodare il Signore. Per esempio, “Poiché Egli vive, affronterò il domani...” è un canto che mi aiuta sempre a avere una visione più felice della vita.

Terza cosa: cercherò di notare alcune cose che mi rallegrano e lodare Dio per avermele messe vicine. Per esempio, io godo nel vedere una passera che, ogni anno, viene a covare le sue uova in un nido che ha costruito vicino al portone di casa nostra e non si smuoverebbe neppure se venisse il terremoto. Mi ricorda l’amore materno e il fatto che Dio si cura anche dei passeri. Per voi potrà essere un geranio che ha preso e sta mettendo un fiore sul vostro davanzale o contemplare il disegno che un bambino vi ha regalato e voi avete messo sulla porta del frigo. Dopo tutto, la vita è più fatta di piccole cose che di eventi straordinari.

Quarta cosa: proverò a dimenticare me stessa e mi impegnerò a dare qualcosa agli altri. Non sarebbe difficile fare una telefonata al giorno alle persone sole o che attraversano un periodo pesante o di solito sono trascurate. Oppure regalare a una vicina un dolce appena fatto e un libretto che parla della salvezza in Cristo.

Infine, trovo un aiuto nell’apprezzare gli amici che ho e cercarne altri.

Questi passi sono usati da gente di tutti i ceti e li ho consigliati alla donna che mi ha scritto. Sono consigliati da psicologi e sono praticati da uomini d’affari e dirigenti di successo. Io li apprezzo, ma, come avrete visto, cerco anche di metterci un tocco di cristanesimo.


Rammendi invisibili

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Molti anni fa, nella nostra chiesa, c’era una signorina, vecchietta, magra e coi capelli tenuti sempre in ordine da una retina, che era specializzata in rammendi invisibili.


E proprio invisibili erano, perché lei prendeva i fili stessi della stoffa, li intrecciava e li infilava con l’ago con una pazienza da certosino, a volte addirittura con l’aiuto di una lente. Piano piano, il buco o lo strappo si chiudeva sotto le sue mani capaci. Io la guardavo con ammirazione sconfinata, per la sua pazienza e la precisione con cui lavorava.

Oggi, di rammendi non mi pare che si parli molto. Vanno di moda gli strappi. I bluejeans dei ragazzi più sfilacciati sono e più sono apprezzati (e pagati). E perfino degli uomini di 50 anni non si curano se gli orli dei loro pantaloni hanno le frange come le tende del salotto.

Questo è piuttosto strano, per una donna come me, a cui hanno insegnato l’importanza dell’ordine e della precisione anche nel vestire. Probabilmente anche gli strappi nei bluejeans sono un segno della ribellione e del disordine che c’è nella mente della gente e nel pianeta in cui viviamo.

Però sono molto contenta di avere un “rammendatore” personale, che non si stanca mai di fare il suo lavoro nella mia vita. Uno che è pronto a prendere cura degli strappi e delle lacerazioni che mi produco da sola con la mia stupidità o che altri producono spesso senza saperlo o volerlo. Questo “rammendatore” è il Signore Gesù.

Ogni volta che pecco, che il mio orgoglio mi fa dire una parola cattiva o che ferisce, io produco uno strappo nella mia armonia fra me e Lui e fra me e chi mi sta vicino. Ogni volta che mi offendo e non perdono creo un buco che tende sempre più a ingrandirsi nella mia relazione coi miei cari. La mia trascuratezza nella preghiera e nella meditazione della Bibbia produce sfilacciature pericolose nella mia unione col Signore.

Se non ci bado, proprio come succede in un vestito, lo strappo, il buco e la sfilacciatura col Signore si ingrandiscono e riducono il vestito a brandelli.

Ma se confesso il mio peccato e ammetto i miei sbagli al Signore, Lui viene e rammenda coi suoi fili d’amore gli strappi che io mi sono fatta da sola. Il suo sangue mi pulisce da ogni peccato, mi lava e mi permette di camminare di nuovo tranquilla con un vestito nuovo.

I rammendi del Signore sono davvero perfetti. Meglio di quelli della signorina di tanti anni fa.