Vivi e lascia vivere. Mica tanto!


Non è facile vivere con la gente. Uno ti taglia la strada mentre guidi, una donna spinge dolcemente il suo carrello al supermercato, finché non ti passa davanti e ti fa un sorriso da pecora innocente, un altro ti restituisce un libro, che gli avevi prestato, e scopri che, mentre lo leggeva, ha mangiato un pezzo di pizza e ti ha macchiato di olio due pagine.

Le reazioni normali potrebbero essere due. Arrabbiarsi e fare una litigata oppure controllare la rabbia e ripetersi il detto “vivi e lascia vivere”. La prima reazione provocherebbe una lite e la seconda farebbe alzare il livello del nostro orgoglio, perché ci farebbe sentire magnanimi e superiori al resto dell’umanità. Perciò è meglio scartarle tutte e due. Tanto più che ce n’è una terza, di solito più efficace e si trova nel Vangelo.

Dice: “E come volete che gli uomini facciano a voi, così fate a loro” (Luca 6:31). Non si tratta di vivere e lasciar vivere, ma di agire e reagire per il bene.

A me piace essere trattata con gentilezza e perciò sarò gentile, soprattutto nel mio modo di parlare e di trattare le persone. “Nessuna cattiva parola esca dalla vostra bocca , ma se ne avete qualcuna buona, che edifichi secondo il bisogno, ditela, affiché conferisca grazia a chi ascolta” (Efesini 4:29). Difficile? Abbastanza, ma si può fare.

Mi piace anche essere trattata con rispetto. Perciò cercherò di mettere in pratica le parole della lettera ai Filippesi: “Non fate nulla per spirito di parte o per vanagloria, ma ciascuno, con umiltà, stimi gli altri superiori (a me piace dire “più importanti di me”) a se stesso” (2:3). Farò passare la signora col carrello senza fulminarla col mio sguardo indignato, non suonerò il clacson a chi mi taglia la strada (tanto più che non guido più da anni) e...

“E a quello che ti ha macchiato di grasso il libro, che gli farai?” chiedete.

Se mi chiedesse un altro libro in prestito, glielo darei, accompagnato da un sorriso birbone e da un pacchetto di biscotti secchi, molto secchi. E gli direi: “Questi non sgocciolano! A buon intenditor...”.

Per vivere bene con la gente, bisogna anche prendere l’iniziativa nel servire.

Il Signore Gesù lo ha fatto, quando ha lavato i piedi ai discepoli, e l’apostolo Paolo ne ha dato l’esempio quando, nell’isola di Malta, si è messo a raccogliere rami secchi per fare un fuoco per i suoi compagni di naufragio fradici e infreddoliti. Volere o no, gentilezza produce gentilezza. Se non la prima o la seconda volta, alla terza qualche risultato positivo ci sarà.

Ma c’è di più. Ne parliamo la prossima volta.
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Repetita iuvant

Ieri abbiamo festeggiato il compleanno di Guglielmo.

85 anni, portati molto bene (non gli dispiace dire la sua età, soprattutto peché è in buona salute e ha la moglie più anziana)!

Non sembra possibile che sia passato un altro anno della nostra vita insieme e la nostra riconoscenza al Signore è grande. Siamo felici e innamorati come quando abbiamo festeggiato il suo primo compleanno dopo esserci sposati. Ricordo che gli avevo fatto una torta, seguendo scrupolosamente la ricetta. Era buona, ma  la crema con cui l’avevo ricoperta colava da tutte le parti e rifiutava ostinatamente di rimanere al suo posto. Sembrava un isolotto in mezzo a un mare di cioccolata. Non avrei ricevuto il premio neppure in un concorso di ultra-principianti.  Col tempo e la pratica, ho fatto alcuni progressi.

Però non ho ancora imparato a stirargli bene i pantaloni, e lui si è abituato a ritrovarsi con una riga poco dritta, nel caso migliore. Se non se ne ritrova due! E se metto due punti ai suoi pantaloni mi sento di meritare la laurea honoris matrimonialis causa.

Però non ci comportiamo come tanti vecchi  che conosciamo. Uno che va a dormire tre ore prima dell’altro o che preferisce stare con un amico invece che con la moglie o che gode il cane più del marito. Escono senza dirsi ciao e neppure si salutano con un bacio quando si alzano la mattina. Passano ore al telefono a chiacchierare con i figli e loro non si scambiano una parola. Una vera tristezza.

Il nostro segreto, penso che sia stato quello di considerare la nostra vita di coppia più importante di qualsiasi altra relazione. Più di quella coi figli, coi parenti e i fratelli della chiesa. E probabilmente che tutte le altre relazioni siano state di solito molto positive, proprio perché ci siamo curati profondamente l’uno dell’altra. Ci siamo detti tutto, non ci siamo mai nascosti niente. Non siamo mai andati a letto senza aver risolto eventuali malumori, dispiaceri o offese.  Abbiamo sempre tenuto conto del fatto che siamo due peccatori, salvati per grazia e, perciò, non abbiamo chiesto l’impossibile l’uno dall’altro. E sappiamo anche ridere delle nostre debolezze e non ci prendiamo troppo sul serio.

Infine, non ci siamo mai messi a dormire senza avere pregato il Signore per ringaziarlo e concludere la giornata nella riconoscenza e nella lode per quello che avevamo ricevuto dalla sua mano e abbiamo cercato di considerare l’altro più importante di noi stessi. Uno per l’altro e tutti e due per il Signore.

Non so perché sto raccontando queste cose che abbiamo già dette e ridette negli articoli che scriviamo e nei nostri libri. Abbiate pazienza, i vecchi si ripetono. Ma non solo perché si dimenticano di averle dette: perché ci credono. 
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Meglio un uovo oggi, che una gallina domani


Ho pensato a questo proverbio pieno di saggezza casereccia, guardando, su un canale della TV americana, un gioco che assomiglia un po’ al nostro AFFARI TUOI. Qui si può arrivare a vincere un milione di dollari e, cosa molto buona, il gioco dura meno del suo simile italiano ed è più sbrigativo nelle aperture dei pacchi.

Anche qui c’è un invisibile “cattivo” che offre somme consistenti a chi vuole interrompere il gioco e sceglie di smettere, tornando a casa, in ogni modo, con una bella sommetta. La suspence è provocata dal pubblico che grida, incoraggia e consiglia.

L’altra sera abbiamo visto una ragazza che andava alla grande scegliendo pacchi di poco valore. Alla fine del gioco, era rimasta con la possibilità di scegliere fra due pacchi da un milione ciascuno o tenere il suo. Non ha accettato una grossa somma, ha tenuto il suo pacco ed è rimasta con un centesimo.

Poveretta, l’ha presa bene dicendo che era solo un gioco, ma suppongo che, a casa, avrà avuto qualche ripensamento.

L’avidità è una bruttissima consigliera e l’amore del denaro, lo dice anche l’apostolo Paolo, “è radice di ogni sorta di mali; e alcuni che vi si sono dati, si sono sviati dalla fede e si sono trafitti con molti dolori” (1 Timoteo 6:10).

Una delle conseguenze peggiori dell’amore per il denaro è l’allontanamento dalla fede. Evidentemente si tratta della scelta di adorare il dio dei soldi, anziché Quello vero. La conseguenza terribile è: “Si sono trafitti con molti dolori”.

I credenti, di cui parlava l’apostolo, se mai lo erano stati, si erano fatti del male da soli, probabilmente danneggiando la loro famiglia, dandosi a spese pazze, e godendo per poco tempo i piaceri della terra. E con quale prospettiva per l’eternità?

Salomone diceva: “Meglio un piatto di erbe dove c’è l’amore, che un bue ingrassato dove c’è l’odio” e “Meglio poco con giustizia che grandi entrate senza equità” (Proverbi 15:16; 16:8).
 
Pensiamoci quando stabiliamo le nostre priorità. Non trascuriamo il privilegio di farci dei tesori nel cielo, piuttosto che sulla terra, come ha insegnato Gesù ai suoi discepoli. È anche troppo facile scegliere male.
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Pitoni e politici


Un pitone ha mangiato un giovane cervo. Data la mole del cervo, il pitone non è riuscito  a digerirlo ed è morto. Lo ha trovato un guardiano di passaggio.

Non è successo in uno zoo, ma in una zona vergine della Florida. Non è strano che qui, in certe zone, ci siano animali a cui non saremmo abituati. I coccodrilli, per esempio, non fanno più effetto a nessuno.

Un paio di giorni fa, mio marito e io abbiamo attraversato la Florida nella parte meridionale, dall’Atlantico al Golfo del Messico, per andare a trovare alcuni parenti e, per molte miglia, lungo un percorso solcato da una curatissima autostrada, alcuni cartelli indicavano il possibile attraversamento da parte di (udite, o rustici!)... pantere. Ve lo immaginate come sarebbe avere una ruota a terra in quella zona?

Ma torniamo ai pitoni. Sono diventati una moda in questo strano paese e vengono tenuti come cuccioli in casa. I bambini ci giocano, le donne se li mettono intorno al collo e gli uomini, suppongo, si cimentano nel domarli quando diventano più grandicelli. Gusti! Io non vorrei vederne uno neppure appena nato!

Però, quando la loro misura diventa eccessiva, e forse rischierebbero di vederseli arrivare sotto le lenzuola, o dovrebbero metterli in una gabbia, in cui, poverini!, potrebbero soffrire di claustrofobia, alcuni hanno preso la cattiva abitudine di abbandonarli nelle zone vergini, fitte di sottobosco e di acquitrini, dove ci stanno da pascià. Che buona idea! Il male è che quelli hanno preso l’abitudine di moltiplicarsi con delle pitonesse anche loro abbandonate, ma evidentemente non ancora sedotte, per cui si stanno rendendo piuttosto pericolosi per gli umani.

Adesso forse il Presidente, che di gatte da pelare ne ha di più del nostro ministro Monti, si metterà anche... a pelare pitoni e promuovere una campagna in proposito. Naturalmente, si troverà contro gli animalisti e rischierà di perderne i voti nelle sue campagne per essere rieletto. Per il momento, sta promuovendo una campagna contro l’obesità e in questo gli dò assolutamente ragione (naturalmente ha dei feroci oppositori anche in questo)!

Io non capisco niente di politica e vedo alla TV americana i repubblicani che discutono e si beccano coi democratici (con più gentilezza e civiltà dei politici italiani, a dire la verità) e mi rendo conto che tutto il mondo è paese. Promesse di cambiamenti, trasformazioni e progressi che non succedono e non possono succedere finché il Signore non ci metterà la sua mano.

Poco più di tre anni fa, quando Obama è stato eletto e molti pensavano che fosse un incrocio fra un superuomo e un dio dell’Olimpo, in un mio post ho scritto che è “maledetto l’uomo che confida nell’uomo” citando le parole del profeta Geremia. Oggi le dico ancora, mentre ricordo anche le parole, molto realistiche, del Salmista Davide: “Perché questo tumulto fra le nazioni, e perché i popoli meditano cose vane? I re della terra si danno convegno e i principi congiurano insieme, contro il Signore e contro il suo Unto (Gesù Cristo)... Colui che siede nei cieli ne riderà: il Signore si farà beffe di loro” (Salmo 2:1,2,4).

Intanto, cerco però di essere una buona cittadina e di ubbidire alle autorità, che Dio mette al potere, come dice un altro versetto della Bibbia (1 Pietro 2:17).
 
Mi rallegro pure che presto sarò di nuovo in Italia, dove i pitoni stanno ancora allo zoo.
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Lasceremo tutto indietro

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Sono in America, sulla costa est degli Stati Uniti.

Ogni mattina (quasi ogni mattina, per la verità), quando mi alzo, vedo l’alba. Ogni giorno è diversa e spettacolare. Ieri la parte di cielo sopra l’orizzonte era d’oro puro. Giallo, splendente, luminoso, come un enorme battiscopa sul pavimento del mare, che era liscio come l’olio e d’oro pure lui. Data l’ora mattutina (e la condizione delle mie corde vocali) ho cantato sottovoce, adorando, il bel canto che dice “Tu hai dipinto i cieli...”

Ma il mare non era tutto d’oro. Era chiazzato qua e là da enormi macchie violablù, e altre grigie come il piombo, che cambiavano forma mentre le guardavo.

Riflettevano certi nuvoloni che si accavallavano al di sopra del “battiscopa”, neri come il tizzo alcuni, altri grigio-viola, gonfi di pioggia, altri bianchi. Uno spettacolo così straordinariamente drammatico che mi ha fatto pensare all’ira di Dio verso gli uomini che, nonostante la grandiosa bellezza della natura con cui Egli li circonda, non lo riconoscono e non lo ringraziano.

Ci ho pensato anche guardando, a riva nella baia sotto casa, decine di yacht bianchi smaglianti, belli, lucidi e perfettamente curati.

Non esagero: tutto il giorno vedo inservienti che li lavano, spolverano, lucidano, spazzolano e gli farebbero pure il pelo e il contropelo, se potessero. Lucidano ciò che brilla già. Mi sembrano sacerdoti di templi pagani, anche se loro sono operai che fanno il loro lavoro per campare.

I loro padroni sono altrove. Stanno a fare soldi, da qualche parte, forse per potersi permettere anche una barca più potente e più smagliante di quella che hanno già.

Vedere tanta ricchezza e lusso concentrati in un porticciuolo, mi ha fatto ripensare a quanto sia facile diventare idolatri, vivendo per avere di più, lavorando per possedere di più e aumentando i nostri beni di questo mondo. Naturalmente anche sacrificando famiglia e affetti per lasciare poi tutto indietro quando moriamo.

È bello vivere oggi con tante comodità, lavatrici, aspirapolveri, macchine, telefonini e computer. Ma il culto del benessere, della vita in cui non si fatica e in cui tutto deve funzionare per il nostro tornaconto, è una trappola non solo per i ricchi, ma anche per gente normale come noi. Non ci credete? Allora, ascoltate.

Se dobbiamo fare un po’ di strada a piedi, ci lamentiamo perché non abbiamo due macchine. Una per noi donne e una per il marito.

Se dobbiamo rimandare una spesa per la famiglia, sospiriamo.

Se i nostri figli devono rinunciare allo zainetto firmato, abbiamo paura che restino traumatizzati tutta la vita.

Se dobbiamo usare, quando sono piccoli, i pannolini del supermercato, vorremmo poterci permettere quelli firmati. Chissà come assorbirebbero meglio! Se, i pannolini, dovessimo lavarli a mano come facevano le nostre mamme e nonne, avremmo bisogno dello psicologo o di un gruppo di sostegno per superare lo stress? Ho paura di sì.

È facile attaccarsi o desiderare le cose che si vedono e che lasceremo, poche o tante, dietro di noi e perdere di vista quelle eterne che non vediamo, ma che sono eterne.

Forse dovremmo attaccare allo specchio del nostro bagno, in modo da vederlo appena ci alziamo la mattina, un foglietto con le parole di Paolo: “Pensate alle cose di sopra, e non a quelle della terra... la pietà con animo contento del proprio stato è un gran guadagno. Infatti non abbiamo portato nulla nel mondo e non possiamo portarne via nulla, ma avendo di che nutrirci e di che coprirci, saremo di questo contenti”. Ci servirebbe per mettere in ordine le nostre priorità.
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Mettiamo che...

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Si fa molto parlare della fine del mondo. Dovrebbe succedere quest’anno. La gente ci ride su e forse ci ridi pure tu. Anche quando siamo entrati nel 2000 doveva succedere chissà che cosa e la gente è corsa a fare provviste di cibo e carburante, ma non è successo niente di catastrofico.
 

Però, se un giorno succedesse (e succederà) qualcosa di simile a quello che sto per scrivere, da che parte saresti? Con gli scomparsi, coi confusi o coi disastrati?

STUPORE NEL VILLAGGIO

“Hai più visto Giuseppe?”

“Giuseppe chi?”

“Il vecchietto che viveva da solo, in via Garibaldi... al primo piano... quello che si fermava sempre a parlare coi bambini al parco-giochi e gli diceva di stare buoni, così Gesù era contento...”

“Ho capito. Forse ha paura del freddo e resta a casa al caldo.”

Marta e Flavio chiacchierano prendendo il caffè della mattina, prima di accompagnare i bambini a scuola. Hanno tre figli e solo il più grande va già alle medie. Si vogliono molto bene e sono veramente delle brave persone. Tutti casa, famiglia e lavoro. Lei addirittura fa volontariato.

“Mamma, sai una cosa?” si intromette Giorgio, il figlio di 12 anni, quello che fa le medie, entrando in cucina. “Provo e riprovo, ma Daniele non mi risponde. Il telefonino è acceso... Volevo che mi dicesse come aveva tradotto una frase di inglese. Lui ci aiuta tutti perché l’inglese lo sa... Sua mamma è americana...”

“Vai a scuola un po’ prima” dice il papà, “e, quando lo vedi, ti fai aiutare”.

“Buona idea!”

Marta commenta: “È veramente una bella famiglia quella di Daniele... Sono sempre un po’ fissati con la Bibbia, ma si vede che ci credono. Anzi hanno regalato il calendario evangelico a tutti nella classe... A proposito, abbiamo dimenticato di appenderlo... chissà dove è finito!”.

Giorgio va a scuola e Daniele non c’è. Neppure sua sorella, che fa la seconda, si è vista. Nessuno sa perché sono assenti, ma nessuno si preoccupa. Avranno l’influenza; ce n’è tanta in giro.

Passa un altro giorno e la famiglia di Daniele è come sparita. Il bucato è steso sul loro balcone da parecchi giorni, la macchina è in garage. Tutto sembra normale. Ma è strano.

In paese se ne parla e Flavio commenta: “Anche Giuseppe è sparito... Quasi, quasi avverto i Carabinieri. Vecchio com’è, potrebbe essersi perso la memoria e girare per la campagna”.

È un fatto che anche alla televisione si parla di avvenimenti strani e di persone scomparse in tutti i paesi del globo. Famiglie intere che non si trovano più, parenti in ansia, un autobus che portava i bambini a scuola finito in una scarpata. Nessuna traccia dell’autista.

Il Papa ne parla all’Angelus e prega per gli scomparsi... Piano piano si fanno molte ipotesi. Un rapimento in massa da parte degli extra-terrestri? Un’emigrazione concertata da tempo... ma per dove? Un’epidemia di suicidi... ma dove sono i corpi?

Finalmente un collega di Flavio, che aveva fatto amicizia col papà di Daniele, un giorno butta lì una frase: “E se fosse successo quello che quell’evangelico cercava di spiegarmi? Mi diceva che dovevo convertirmi a Gesù, perché non c’era tempo da perdere... perché Gesù aveva promesso di tornare a prendere i veri credenti in Lui? Ma... non mi sembrava possibile, eppure... chissà?”  
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Il Signore Gesù ha promesso che tornerà improvvisamente a rapire coloro che hanno creduto in Lui e formano la sua vera chiesa. Tutta la situazione mondiale di crisi, disorientamento morale, violenza e confusione sembra indicare che il suo ritorno sia imminente.
 

Tu hai le valigie pronte?
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La cortesia dei re

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A casa nostra, quando eravamo ancora tutti insieme, eravamo divisi in due gruppi: tre puntuali e tre ritardatari. Non faccio nomi, ma una dei ritardatari ero io.

Non so perché, ma mi succedeva (e qualche volta mi succede ancora) che tutto andava a pennello e come l’olio fino a un certo punto. Andavo di pari passo con l’orologio e tutto filava. A un certo punto l’orologio si metteva a galoppare e io mi trovavo a dover fare ancora almeno tre cose prima della scadenza che mi ero proposta e cominciavo a perdere colpi.

Non ritardavo di mezzora come succede ad alcuni che arrivano per abitudine trenta minuti dopo che è cominciato il culto della domenica mattina. Ma cinque o dieci minuti, sì. Quelli me li permettevo. Mi giustificavo pensando ai 10 minuti accademici dei professori d’università. Se lo potevano fare loro...

Però, a un certo punto, ho cominciato ad avere la coscienza sporca e ho deciso di mettermi delle mète precise per cambiare. Ho capito almeno tre cose. Eccole.

Facevo delle liste troppo lunghe e poco realistiche di cose da compiere in un lasso di tempo troppo breve. Non calcolavo gli imprevisti, tipo autobus in ritardo, ingorghi di traffico o telefonate dell’ultimo momento. E, soprattutto, un piccolo ritardo non mi sembrava per nulla importante.

Cosa mi ha aiutato? Un po’ il fatto che facevo dispiacere a mio marito, il quale apparteneva al gruppo dei puntuali (e per niente al mondo volevo, e voglio ancora, fargli dispiacere), poi che diventavo nervosa e agitata e non mi piacevo se mi vedevo allo specchio con la faccia tesa e tirata. Infine, ho capito che arrivare in ritardo è da perfetti maleducati.

Mi ha aiutata anche una piccola frase: “La puntualità è la cortesia dei re”. Dopo tutto, io sono una delle figlie del Re dei re. Noblesse oblige.
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