Amore è... 1

Anni fa lo slogan era: “Non fate la guerra, fate all’amore”. Piaceva a molti, che hanno accettato alla grande la seconda parte dello slogan, ma hanno continuato a fare la guerra.

Poi è venuta la moda dell’ “amore è...”. È da un bel po’ di tempo che non si vedono più le scritte “amore è...”, che potevano toccare tutti gli argomenti e andare avanti all’infinito.

Tipo: amore è “non dover mai dire mi dispiace”, “stare sotto lo stesso ombrello quando piove”, “lasciare il bagno pulito per chi lo userà dopo”, “condividere il panino con chi ha fame”, “lasciare il posto sull’autobus a chi è anziano” . E così via. Erano buoni stimoli a essere gentili e generosi. Qualcuno ci credeva e li metteva in pratica.

Oggi, come sempre, l’amore è ancora cantato, descritto, distorto, bistrattato, male inteso, confuso. Ognuno interpreta la parola “’amore” a modo suo. E di solito in modo egoista.

Io voglio parlare dell’amore di Dio, come lo descrive la Bibbia. È un amore molto diverso da quello umano. L’apostolo Giovanni ha compendiato tutto dicendo: “Dio è amore”. Per capire cosa voleva dire, bisogna vedere come la Bibbia descrive questo amore.

Per cominciare, dice che è un amore “eterno”.
Nell’Antico Testamento, Dio, per mezzo del profeta Geremia, ha fatto dire al popolo d’Israele che era ribelle e infedele: “Io ti amo di un amore eterno; perciò ti prolungo la mia bontà” (capitolo 31:3). Il che significa: “Ti amo da sempre e ti amo tanto che non ti punisco ancora”.

Per mezzo di un altro profeta, Isaia, ha dichiarato: “Con un amore eterno avrò pietà di te... anche se i monti si allontanassero e i colli fossero rimossi, l’amore mio non si allontanerà da te” (capitolo 54:8,10).
Non sembra un Dio così sanguinario e crudele, come descrivono di solito il Dio dell’Antico Testamento!

Poi, l’amore di Dio è “incondizionato”.
Di nuovo, nell’Antico Testamento (Esodo 7:7,9), Mosè ha detto al popolo d’Israele: “L’Eterno ha riposto in voi la sua affezione... non perché siete più numerosi... ma perché vi ama... e mantiene il suo patto e la sua benignità fino alla millesima generazione...”.

L’umanità è malvagia, ma Dio non ha ancora fatto piazza pulita. Il suo amore non è scalfito dalla nostra cattiveria. Continua a amare perché Dio è amore e non può che amare.

Tre, l’amore di Dio è stato “dimostrato”.
“Ma è amore lasciare che un bambino innocente muoia di leucemia? Lasciare che un terremoto seppellisca migliaia di gente a Haiti? Che milioni muoiano di fame, mentre altri sprecano il pane e l’acqua?” chiedete.

L’obbiezione è spontanea, ma ecco cosa ha detto dell’amore di Dio, sempre l’Apostolo Giovanni: “Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figlio, affinché chiunque crede in Lui non perisca, ma abbia vita eterna” (Ev. di Giovanni 3:16).

Dio non ha creato il male e i disastri, ma ha previsto e provveduto il rimedio al disastro cosmico provocato dalla disubbidienza del primo uomo, pagando Lui stesso, con la vita di suo Figlio Gesù, per ogni peccato che è mai stato commesso.

Daresti tuo figlio alla morte per pagare i crimini di un altro? Io certo no, ma Dio lo ha fatto. Ha “dimostrato la grandezza del suo amore per noi, in quanto che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi” (Lettera di S.Paolo ai Romani 5:8).

L’amore di Dio è anche “giusto e coerente”.
Non chiude gli occhi sul male e non lo condona. Lo deve giudicare.

Sempre Giovanni afferma: “Dio non ha mandato suo Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di Lui...”. Ma “Chi non crede in Lui è già giudicato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio” (Giovanni 3:17,18).

Perciò questo amore di Dio, che è offerto gratuitamente, deve essere “creduto e accettato” per essere sperimentato dagli individui.

“Chi crede in Lui (Cristo) non è giudicato”... e “a tutti quelli che l’hanno ricevuto, Egli ha dato il diritto di diventare figli di Dio, a quelli cioè che credono nel suo nome” (Ev. di Giovanni 3:18 e 1:12).

Hai accettato questo amore? Lo stai godendo? Spero di sì. Ne parleremo ancora.

Non sono ancora morta!

“Ma io non sono ancora morta!” È stata l’esclamazione di Doris, la prima volta che l’ho incontrata. Oggi l’ho totalmente persa di vista. Forse è morta davvero. L’ultima volta che l’ho sentita al telefono, anni fa, era in America, chiusa in casa per paura di contagi e malattie, ipocondriaca al massimo.

Tanto per dare un’idea di che tipo era, ecco uno stralcio della nostra ultima conversazione, dopo che mi aveva fatto la lista dei suoi mali.

“E tu come stai?”

“Bene.”

“Non hai neppure il cancro?”

“Grazie a Dio, no.”

Ma andiamo per ordine. L’ho conosciuta a Milano, prima di sposarmi, quando lavoravo coi GBU fra gli studenti. Studiava canto e voleva fare la carriera operistica come soprano drammatico. Aveva già debuttato nella Turandot, in qualche teatro di provincia, e come voce ce l’aveva potente. Ma aveva ancora molto bisogno di studio e Milano era la città adatta.

Tanto per la cronaca, nel guppo di studio biblico che la mia collega e io ospitavamo in casa, c’erano due soprani drammatici, un tenore e un soprano leggero, oltre a alcuni studenti “normali”. Quando venivano tutti in chiesa, il canto dei pochi credenti di allora, diventava il coro della Scala! Almeno così ci sembrava.

Doris era alta e imponente, col fare sicuro di chi è ricco ed è convinto di diventare importante.

Quando è venuta la prima volta allo studio biblico, stavamo percorrendo, capitolo dopo capitolo, il Libro degli Atti. L’interesse era buono e il soggetto del giorno era l’episodio di Anania e Saffira, la coppia di credenti che avevano venduto un loro campo e avevano portato parte del ricavato agli apostoli, facendo però finta di avere dato tutto.

Ho letto i versetti che riportano le parole dell’Apostolo Pietro: “Anania, perché Satana ha così riempito il tuo cuore da farti mentire allo Spirito Santo e ritenere parte del prezzo del podere? Se questo restava invenduto non restava tuo? Perché ti sei messa in cuore questa cosa? Tu non hai mentito agli uomini, ma a Dio!”

“E Anania, avendo udito queste cose, cadde e spirò.”

Silenzio.

Poi si è levata la voce di Doris, che sembrava uscire da un melodramma di Verdi: “Ma io non sono ancora morta!”.

Di solito, quando si parla di peccato, di ravvedimento, di giudizio o di condanna divina, la gente ha pronta una sfilza di scuse. È colpa della società, del governo, delle istituzioni. La scuola non insegna nulla, la rovina sta nella TV e su internet.
Per Doris la convinzione di peccato è stata fulminante. Così fulminante che la cantante ne ha voluto sapere di più sulla salvezza e la perdizione e, dopo qualche settimana, era convertita. Sono convinta che la sua era una conversione sincera e genuina.

Le prime parole che il Signore Gesù ha pronunciate quando ha cominciato a predicare furono: “Ravvedetevi e credete all’Evangelo!”.

Se non si comincia comprendendo, col cuore e non solo con la testa, che siamo peccatori perduti e degni solo della punizione eterna di un Dio giusto, si parte col piede sbagliato. Gesù non è venuto per farci stare meglio con noi stessi, per mettere ordine nella nostra vita, per migliorare il nostro matrimonio. È venuto per salvare i peccatori e salva solo chi capisce di esserlo, crede che l’unica salvezza è in Cristo, e chiede perdono a Dio deciso a cambiare vita. Tu l’hai capito?
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Mi manca...

Ultimamente sono morte due mie care amiche. Mi dispiace dire che sono morte, perché, in realtà, ora sono più vive di tutti noi messi insieme, dato che sono alla presenza del Signore. Cantano le sue lodi nella perfezione (una delle due era stonata come una campana rotta, ma ora ha certamente una voce stupenda e prende giuste tutte le note) e tutte e due adorano il Signore, senza le ombre e le limitazioni di un corpo terreno.

Ma la morte è una realtà della vita umana, che una volta o l’altra, prima o poi, viene per ognuno, a meno che il Signore non venga a rapire la sua chiesa, mentre siamo ancora in vita, e ci porti con sé in “un batter d’occhio”, come diceva l’Apostolo Paolo.

Di queste due amiche, sono stata la “levatrice spirituale”, nel senso che le ho viste “nascere di nuovo”.

Di una, Mony, ho parlato alcuni blog fa, raccontando come l’aveva meravigliata la verità della “nuova nascita”, che il Signore Gesù ha definita essenziale per la salvezza. Nella Chiesa protestante svizzera non ne aveva mai sentito parlare e lei l’ha sperimentata proprio dopo uno studio biblico per donne a Roma.

L’altra aveva circa 15 anni, quando ha partecipato al primo campo evangelico per ragazze, organizzato in Italia dopo la fine della seconda guerra mondiale.

Era alta per la sua età, snella e assennata. Conosceva bene tante cose della Parola di Dio, veniva da una solida famiglia di evangelici, ma non era ancora credente. Dopo uno studio in cui avevo spiegato la salvezza per grazia e la necessità di accogliere personalmente nel proprio cuore il Signore come Salvatore e Signore, mi disse che si era convertita e era nata di nuovo. Nessuna emozione, ma molta tranquilla certezza. Un’esperienza che aveva tutta l’aria di essere profonda e vera.

Dato che vivevamo tutte e due a Firenze, l’ho seguita da vicino nel suo cammino di fede. Leggeva regolarmente la Bibbia, frequentava le riunioni della chiesa senza perdere un colpo, mi accompagnava nei campi estivi per ragazzi, alcune mattine mi aiutava a portare alla posta i primi numeri della rivista “CERTEZZE”, prima che suonasse la campanella del Liceo che frequentava. Tiravamo tutto quel po’ po’ di stampe in due carrelli della spesa e facevamo le gare a chi camminava più diritta e non inciampava nelle buche della strada. Altri tempi! Tempi da pionieri.

Poi tutte e due ci siamo sposate e più avanti, abbiamo collaborato in convegni per donne.

Non c’è stata, almeno per me, collaborazione più piacevole, perché la pensavamo nello stesso modo, vedevamo la vita nello stesso modo e avevamo le stesse opinioni su come si vive da credenti.

Perciò ora mi manca e mi mancherà quando dovrò far dei convegni senza di lei. Penso che molti di voi l’hanno conosciuta: si chiamava Vittoria Negri.
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Non capisco perché...

Cara Maria Teresa, non capisco proprio perché gli anziani della mia chiesa dicono che non devo mettermi insieme col mio ragazzo, perché la Bibbia dice che non dobbiamo unirci con un infedele. Mi pare che un solo versetto della Bibbia sia troppo poco per rinunciare alla mia felicità. Io, a Nico, gli voglio un pacco di bene. Lui anche mi ama da morire e mi rispetta e dice che anche se non crediamo allo stesso modo (lui non crede che c’è un Dio perché nessuno ha provato che c’è), mi lascerà libera di credere come voglio e di frequentare la chiesa, quando ci sposiamo.

Io non ci posso neppure pensare di rompere con lui, perché stiamo bene insieme e abbiamo tante cose che vediamo allo stesso modo. Io penso che potremmo trovare una via per metterci d’accordo e che gli anziani sono troppo stretti, e poi chi lo dice che non si convertirà. Io gli parlo del Signore e lui mi sta a sentire. Mia mamma dice che le sembra un bravo ragazzo. —Maddalena
Cara Maddalena, ho ricevuto molte lettere e telefonate come la tua e ti assicuro che gli anziani della tua chiesa ti abbiano dato consigli saggi. Ti hanno citato un versetto molto importante, che potrebbe bastare, ma ce ne sono molti altri.
Non ti conosco e non so niente di te, perciò scusa se, prima di tutto, ti faccio un paio di domande.

La prima è: hai davvero accolto nel tuo cuore il Signore e lo hai riconosciuto come il tuo Salvatore e Signore? Sai, i figli dei credenti, a volte, sono solo degli “evangelici” senza essere veramente dei credenti in Cristo. Mi spiego. Hanno fatto una piccola preghiera con la maestra della scuola domenicale, o a un campeggio o anche con la mamma o il papà, e si sono convinti di essere a posto. Forse si sono pure battezzati, ma non hanno mai preso sul serio la loro vita cristiana. Essere “evangelici”, per loro, è come essere “cattolici di nascita”. Cioè, aderiscono al credo della loro famiglia, e poi tirano avanti alla “come viene, viene”. Spero che non sia il tuo caso.

La seconda domanda è: vuoi davvero piacere a Dio o vuoi fare piacere a te stessa?

Gesù ha detto che, se lo amiamo, ubbidiamo ai suoi comandi, cioè alla sua parola. E proprio della Parola voglio parlare, perché essa dice molto sul soggetto che ti sta a cuore, oltre al versetto validissimo che non dobbiamo unirci con un infedele (2 Corinzi 6:14), che gli anziani ti hanno citato.

Dio è il nostro Creatore, che ci capisce a fondo e che sa che siamo fragili e, allo stesso tempo, capoccioni; perciò ci spiega le cose con grande pazienza e sotto vari punti di vista.

Tu sai che Gesù ha detto che, per andare in cielo, bisogna “nascere di nuovo”, il che significa, che, se accogliamo Gesù nella nostra vita, Lui fa di noi delle nuove creature, siamo salvati e entriamo a far parte della famiglia di Dio (Giovanni 1:11,12). Questo comporta molte cose. Ascolta...

  1. Nella seconda lettera di Pietro (1:4), è detto che il credente riceve la “natura divina”, mentre il Signore Gesù ha affermato che chi non crede in Lui è figlio del diavolo (Giovanni 8:44) e Paolo chiama i non credenti “figli d’ira” (Efesini 2:3). Perciò: tu, se sei credente, hai la natura di Dio e Nico, anche se è un bravo ragazzo, ha la natura del diavolo.
  2. Nella prima lettera ai Corinzi è detto che i credenti hanno “la mente di Cristo” (2:16). Questo non vuol dire che diventano infallibili, ma che hanno la capacità di pensare secondo i pensieri di Dio. Due versetti prima (v.14) è detto che i non credenti hanno la mente “carnale” e trovano senza senso i pensieri spirituali. Perciò i tuoi pensieri e quelli di Nico vanno diamentralmente in due direzioni opposte.
  3. Quando diventiamo credenti, il nostro corpo diventa il tempio dello Spirito Santo (1 Corinzi 6:19). Il non credente non ha lo Spirito in lui.
  4. I credenti sono chiamati “figli di luce” e sono chiamati a camminare nella luce (Efesini 5:7,8). Chi non è credente cammina nelle tenebre. Logicamente, luce e buio non stanno insieme.
Con tutti questi passi Dio ci vuole far capire che non ci può essere un vero accordo fra chi è credente e chi non lo è e vuole evitarci dispiaceri in futuro. Due persone intrinsecamente diverse avranno idee diverse su come usare i soldi, dove fare le vacanze, come educare i figli, come trattarsi fra marito e moglie, come agire nelle varie circostanze della vita, come affrontare le difficoltà che la vita porta con sé. Avranno frizioni tutta la vita.

Perciò Dio ti dice di non fare sciocchezze e di stare in campana: sei libera di scegliere, ma non potrai scegliere i risultati delle tue scelte. E non ti posso dire, quanti ragazzi, maschi e femmine, sono venuti a piangere da me e mio marito, sulle loro scelte sbagliate. Perciò, pensaci. E dai retta agli anziani della tua chiesa.

Piercing o non piercing? Questo è il problema!

Un ragazzo mi ha chiesto: “Che ne pensi del piercing?”.

Onestamente, a certe cose penso poco. Quasi tutte le donne se lo fanno alle orecchie per mettersi gli orecchini. Io appartengo al gruppo che non se l’è fatto per paura di farmi bucare le orecchie e di sentire dolore. È da epoca immemorabile che non faccio neppure un’iniezione! Sarà vigliacchieria... ma a me va bene così.

La tendenza a farsi del male molti ce l’hanno. Pare che certi ragazzi di oggi si facciano delle incisioni sul corpo. Evidentemente si odiano.

Quando ero bambina, vivevo ai confini con l’Austria coi miei genitori e molti ex-ufficiali austriaci vivevano nella nostra città. Avevano delle terribili cicatrici sulle guance. Ho chiesto ai miei genitori che cosa avessero fatto e loro mi hanno spiegato che quei signori si facevano dei tagli da soli, per dimostrare che erano stati feriti in duelli. Era un segno di coraggio! Alcuni, perché le cicatrici fossero più evidenti, mettevano perfino sulla ferita aperta del sale. Così si rimarginava più lentamente e il segno era più evidente. Brrrrrrr...

Ma torniamo al piercing.

Se devo dire la verità, i piercing mi sembrano bruttarelli e mi pare che debbano dare una noia tremenda. Se ne avessi uno sulla lingua, come ho visto in alcuni, mi pare che lo vorrei sputare come si fa con un ossicino dimenticato nel risotto o la lisca di un pesce che non abbiamo vista mentre il pesce era ancora nel piatto. Se ce lo avessi fra le narici credo che starnutirei tutto il tempo. Suppongo che ci si faccia l’abitudine, ma perché torturarsi?

In America dove fanno statistiche su tutto, quasi anche sugli sbadigli del Presidente e dei suoi consiglieri, hanno fatto un’inchiesta sul piercing fra gli studenti universitari. I risultati sono apparsi sulla Rivista Psychology Today, del marzo 2005 e pare che chi si sottopone al piercing non lo farebbe solo per seguire una moda o tendenza. Sembra piuttosto che chi lo pratica in modo eccessivo tenti di compensare gli strascichi di eventi stressanti avvenuti nella loro vita, come grossi incidenti, malattie, abusi, morti tragiche di persone care. Voi che ne pensate?

A me pare che, una volta passata la moda (e passerà come tutte le mode) i buchi resteranno e a molti dispiacerà sembrare dei colabrodi.

Come diceva Manzoni: “Ai posteri l’ardua sentenza!”.

Io ho altre cose più interessanti a cui pensare per farmene un problema. Ciao!

In ogni cosa ringraziate

Certi giorni, se siete come me, non avete nessuna voglia di ringraziare Dio. Piove, fa freddo, avete dormito male e dovete andare alla posta a pagare le bollette del gas e della luce. Che pizza la vita!

Potrei dirvi che potete ringraziare perché avete un ombrello e non siete terremotati a Aquila e non vivete sotto le tende. Oppure perché avete i soldi per pagare i vostri debiti. Ma certi giorni proprio non siamo in vena e non ci va di essere riconoscenti per cose così piccole.

Allora, provate a ringraziare per delle cose più grosse.

Il perdono dei vostri peccati, per esempio.

Quando ero bambina, facevo le marachelle che tutti i bambini fanno. Chiedevo perdono e mia mamma o la maestra mi dicevano: “Vedremo, se starai buona!”

Io ci restavo male, perché mi avrebbe fatto piacere essere sicura di essere stata perdonata. Ma le persone non sono come Dio. Con Lui, le cose sono diverse.
Dio ci assicura del suo perdono totale e incondizionato, ogni volta che glielo chiediamo, senza “se”, “ma” e “vedremo”.

“Anche se i vostri peccati fossero come lo scarlatto, diventeranno bianchi come la neve...” dice. E la promessa è: “Getterà in fondo al mare tutti i nostri peccati”. Meglio di così....

Poi possiamo ringraziare per la presenza in noi dello Spirito Santo.

È il Consolatore, ci conforta quando siamo tristi o preoccupati. Quando ci siamo convertiti, ci ha timbrati con un sigillo che fa di noi una proprietà eterna di Dio Padre. Niente ci potrà strappare dalla sua mano. Che sicurezza!
Siccome è “santo”, si rattrista quando pecchiamo e ce lo fa sentire per mezzo della nostra coscienza, la lettura della sua Parola, o con le parole di un amico. Così possiamo pentirci e riprendere il cammino puliti.

Poi ci aiuta a capire la Parola di Dio. È Lui che l’ha ispirata e è pronto a aiutaci a capirne il significato. Certe cose non ce le spiega e le capiremo solo quando avremo anche una nuova mente in cielo.

E chiamato anche Spirito di sapienza e è pronto a guidarci secondo i comandi del Signore.

È pure chiamato lo Spirito di verità. Così ci possiamo fidare di Lui: non dirà mai una bugia.

Per finire, almeno per oggi, lo Spirito interviene perfino quando prego male e non so come pregare. Lui intercede “con sospiri ineffabili”, cioè esternazioni impossibili da esprimere con parole umane. E’ giusto che sia così, perché lo Spirito Santo è Dio, la terza persona della Trinità.

Un’altra cosa molto grossa per cui possiamo e dobbiamo ringraziare è l’amore che troviamo fra i nostri fratelli in fede. Quando accogliamo il Signore nella nostra vita, entriamo a far parte della famiglia di Dio e ci troviamo circondati da persone che credono come noi, fanno la stessa strada spirituale e hanno la stessa destinazione. Anche questo non è poco!

Allora, ringraziamo! Nelle cose piccole di tutti i giorni e nelle cose grosse che durano per sempre. Sia che piova o splenda il sole.

Non cessate mai di pregare

Questo versetto mi lasciava confusa. Come si fa a praticarlo? Mica siamo come le monache che recitano il rosario in continuazione o i musulmani che snocciolano le palline del loro braccialetto, dicendo “Allah è grande” all’infinito!
Un giorno, però, ho capito un po’ di più cosa volesse dire quel versetto da un mio nipotino.

“Nonna, dobbiamo pregare perché forse quell’uomo ha il male di pancia...”

Stava passando un’ambulanza a sirene spiegate e il bambino ha chiuso gli occhi e ha pregato: “Gesù, fa passare il male di pancia, o forse il male di testa, all’uomo nell’ambulanza. Amen”. E si è rimesso a giocare.

Glielo aveva insegnato sua mamma e ho pensato che era una bellissima abitudine. Andiamo in un negozio, saliamo su un autobus, entriamo nella metro e ci troviamo fra decine di persone. Sono anziani annoiati, uomini d’affari che scalpitano d’impazienza e donne preoccupate o affrettate. Alcuni sono giovani, con gli auricolari inseriti, che guardano nel vuoto e si muovono ritmicamente, coinvolti dalla melodia della loro canzone favorita. A guardarli, sembrano un po’ degli zombie.

Di solito non li conosciamo. Non sappiamo a cosa pensano. Pochissimi hanno l’aria contenta. Li vorremmo aiutare, ma come? Possiamo pregare per loro! Proprio come faceva il mio nipotino per il malato nell’ambulanza col presunto mal di pancia o qualcosa di peggio.

Ecco alcune idee di applicazione pratica.

  • Passiamo vicino a una scuola: preghiamo per gli insegnanti che facciano il loro lavoro seriamente e che gli studenti si comportino bene. Forse qualcuno di loro sta pensando alla pasticca che prenderà durante la ricreazione. Preghiamo che non trovi lo spacciatore.
  • Guidiamo e siamo fermi al semaforo. Di fianco a noi c’è una clinica. Preghiamo per i dottori e i malati. Forse qualcuno è solo e aspetta che qualcuno lo vada a trovare e gli dica una parola di conforto. Preghiamo anche per chi è fermo come noi, al volante nella macchina vicina.
  • Entriamo in un negozio. Preghiamo per i commessi e dirigenti e per avere una possibilità di dire una parola gentile.
  • Il postino mette una lettera nella nostra cassetta. Preghiamo che legga il calendario biblico che gli abbiamo regalato.
  • Aspettiamo nella sala d’aspetto di un dottore per farci scrivere le ricette delle nostre medicine. Preghiamo per chi aspetta con noi e racconta i suoi malanni.
  • Andiamo alla posta o alla banca e c’è una coda infinita. Preghiamo per gli impiegati e i clienti.

Insomma, avete capito l’idea, che mi pare risponda al comando: “Non cessate mai di pregare”. Quando ci penso, cerco di metterla in pratica. E una cosa è sicura: il Signore mi ascolta e il tempo mi passa più svelto, critico meno chi mi sta vicino, brontolo meno per quello che non funziona. E faccio del bene.

Due meno e un più

Nella mia esperienza millenaria di moglie e di ascoltatrice di mogli e mariti, mi sono convinta di alcune cose. Quando si diventa vecchi si hanno teorie su tutto. A volte, sono teorie sbagliate, ma spesso si dimostrano giuste.

Una però è assolutamente provata e riguarda due cose che mandano in bestia i mariti, anche i migliori, e una cosa che, invece, li manda in brodo di giuggiole.

Ve la propongo come regalo di fine d’anno e come chicca per rendere il 2010 più bello, se applicata con costanza e buon senso.

Udite, allora, i due “meno”!

Il primo “meno” è: non interrompere tuo marito mentre ti racconta qualcosa.

Io lo facevo sempre. Ora cerco di farlo meno perché so che lo detesta.

Mi spiego. Tuo marito arriva a casa dopo il lavoro e ti dice che un collega ha tutta l’aria di fargli lo sgambetto per impedirgli una promozione.

Ha il viso scuro e la fronte aggrottata. Si vede che è disturbato.

Tu esplodi: “L’ho sempre detto che tu sei troppo buono e ti lasci mettere i piedi sulla testa da chi è meno capace, ma più furbo di te... Se io fossi al tuo posto... Spero che tu sia andato o che almeno andrai dal capo!”.

“Mannaggia!” dice lui. “Sei sempre la stessa!”

E va a rifugiarsi davanti alla televisione.

Tu quasi ti metti a piangere, perché volevi confortarlo e lui ti ha trattata come una pezza per i piedi. La serata è rovinata.

Beh, ti ha trattata male, perché lo hai interrotto quando voleva raccontarti con minuzia maschile, magari prendendola da Adamo e Eva, quello che era successo. E tu, con tutto il cuore e la voglia di far bene, lo hai interrotto.

Il secondo “meno” succede di nuovo quando lui torna a casa dal lavoro.

“Benvenuto , caro, non vedevo l’ora che tu arrivassi....”

“Davvero?”

“Non puoi sapere che giornata ho avuto. Prima mi sono trovata che avevo finito il detersivo per la lavatrice e sono dovuta andare a comprarlo. Naturalmente, sai, sono dovuta andare al negozietto dove non hanno mai, ma poi mai, quello che mi piace...”

E poi, via e avanti col ginocchio sbucciato di Carletto e le bave di Alessietta. E il ferro da stiro che proprio bisogna cambiarlo.... E la telefonata della mamma di lui che vuole venire a cena domani, quando avevano invitato Toni e Silvia...

Il povero marito non ha nessuna voglia di sentire quella mitragliata di cattive notizie, che, alla fine dei conti, gli interessano proprio poco, e se la cava nel migliore dei casi, con un “Mah, che ci vuoi fare....” e si ritira.

Il secondo “meno” è, in poche parole: non assalire tuo marito con la lista delle rogne della giornata, appena entra dalla porta. Ne parlerai con calma, se necessario e ci riderete su.

Il “più”, invece, è vecchio come il mondo, ma lo dimentichiamo troppo spesso. Un complimento al giorno spazza via le nubi dal cielo del matrimonio, soprattutto se viene da una moglie carina, un po’ più profumata del solito e che gli dice che “lui” è il migliore marito del mondo.
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