Salomone, lo psicologo


Che pozzo di sapienza quel Salomone!

Si intendeva (naturalmente perché Dio lo ispirava) anche di igiene  mentale e ne ha scritto nei suoi “proverbi”. Davvero: quello che gli psicologi e gli scienziati dicono oggi era già scritto nella Bibbia da secoli!

Infatti, sentiamo parlare spesso di malattie psicosomatiche, cioè di disturbi fisici derivati da malesseri, traumi  e problemi morali, o spirituali, non risolti.
Salomone ne parla così.

“L’uomo buono fa bene a se stesso, ma il crudele tortura la sua carne” (11:17).

“La sofferenza abbatte il cuore, la parola buona lo rallegra” (12:25).

“La speranza insoddisfatta fa languire il cuore, ma il desiderio realizzato è un albero di vita” (13:2). 

“Un cuore calmo è la vita del corpo, ma l’invidia è la carie delle ossa”(14:30).

“La lingua che calma è un albero di vita, la lingua perversa strazia lo spirito” (15:4).

“Tutti i giorni sono brutti per l’afflitto, ma per il cuore contento è sempre allegria” (15:15).

“Uno sguardo luminoso rallegra il cuore, una buona notizia fortifica le ossa” (15:30).

“Le parole gentili sono un favo di miele,  dolcezza all’anima, salute delle ossa” (16:24).

“Un cuore allegro è un buon rimedio, ma uno spirito abbattuto fiacca le ossa” (17:22).

“Lo spirito dell’uomo lo sostiene quando è infermo, ma lo spirito abbattuto, chi lo solleverà?” (18:14).

“Il timore del Signore conduce alla vita; chi lo ha si sazia e passa la notte senza essere visitato dal male” (19:23).

Leggendo questi proverbi, si direbbe che Salomone avesse la laurea in reumatologia! I dottori di oggi gli danno ragione: sembra che artrite, e dolori alle ossa siano più frequenti nelle persone con problemi morali e psichici.

A questo punto, è necessaria una precisazione:  Salomone non predicava il cosiddetto “Vangelo del benessere” che va di moda oggi in alcuni ambienti carismatici. Secondo questo “vangelo”, il credente dovrebbe stare sempre bene in salute, avere soldi e godere di ogni tipo di benedizione anche materiale.

“Sei malato?” ti chiedono. 

“Sì“ ammetti.

“È chiaro che hai peccato e non hai abbastanza fede per guarire! Gesù è morto anche per togliere ogni malattia” rispondono. “Credi e guarirai”.

Oppure. “Sei povero? Dipende dal fatto che non sei abbastanza generoso e non credi alle promesse del Vangelo” (del benessere, naturalmente).

“Gli affari ti vanno male?  È perché in te c’è uno spirito di avarizia che deve essere scacciato.  Unisciti a noi e sarai liberato.”

Nell’Antico Testamento, Dio prometteva benessere anche materiale, salute e felicità al suo popolo, se fosse stato fedele. Effettivamente gli ha donato grandi benedizioni materiali nei periodi in cui è stato ubbidiente.

Ai credenti di oggi Gesù non promette benedizioni materiali come ricompensa della loro fedeltà. Ha insegnato loro di chiedere  “il pane quotidiano”, ma non la bistecca quotidiana. Ha parlato piuttosto di prove, difficoltà e problemi per coloro che lo seguono. “Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi” ha detto.

Ma ha promesso benedizioni spirituali sicure a chi lo ama e gli ubbidisce. Per esempio?

Riposo per l’anima a chi sarebbe andato da Lui ammettendo, con un cuore mansueto e umile, la sua stanchezza morale, i suoi problemi e il suo peccato (Matteo 11:28-30).

Pace del cuore, a chi aveva paura, era spaventato, ma avrebbe confdato in Lui (Giovanni 14:27).

Consolazione da parte dello Spirito Santo a chi avrebbe creduto in Lui (Giovanni 16:12-14) e gioia (la sua gioia!) a chi avrebbe ubbidito ai suoi comandamenti (Giovanni 15:10,11). 

Nella mia vita, ho visto dei credenti malati terminali sereni e fiduciosi e ne ho sentiti altri lamentarsi per un semplice raffreddore. Ne ho visti alcuni perdere il lavoro e ringraziare Dio per la salute e la forza di cercarne un altro e ho ascoltato le lamentele di chi aveva il lavoro, ma non si poteva permettere delle vacanze.

Tutto dipende  da che parte guardiamo una situazione e dal concetto che abbiamo di Dio.

Se le medicine che il tuo medico ti prescrive non ti sembrano efficaci, forse faresti bene a guardarti un po’ di più “dentro” e pregare come il salmista Davide: “Esaminami, o Dio, e conosci il mio cuore. Mettimi alla prova e conosci i miei pensieri. Vedi se c’è in me qualche via iniqua e guidami per la via eterna” (139:23,24).
 
A volte, un perdono concesso o chiesto, una parola di gentilezza o un’offesa dimenticata sono molto più efficaci di qualsiasi tranquillante.
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Ci sono amici e “amici”


“Mamma, posso portare un amico a mangiare da noi?” mi ha chiesto molti anni fa uno dei figli, rientrando da scuola.

Avevamo sempre detto ai nostri ragazzi che preferivamo che i loro amici  venissero a casa nostra. Erano “gli anni di piombo” e ci sentivamo più tranquilli, se sapevamo dove e con chi erano.  Perciò alla domanda del figlio se poteva invitare un amico a cena ho risposto volontieri di sì.  Gli amici dei figli erano anche amici nostri.

“Come si chiama? È un tuo compagno di scuola?” ho chiesto.

“Veramente non lo so. L’ho incontrato mentre tornavo da scuola...”

Per nostro figlio, uno che aveva conosciuto da più di dieci minuti, era già un amico. Era fatto così.

Ma l’amicizia vera è qualcosa di più: è una cosa seria. Un amico è uno che conosci bene e di cui ti puoi fidare e sul quale puoi contare, che, anche se non lo hai visto per anni, è come se lo avessi salutato e gli avessi parlato il giorno prima.  L’amicizia vera dura tutta la vita.

Il Libro dei Proverbi parla molto di amicizie cattive e buone e dei loro effetti. Delle cattive dice:

“Il compagno degli insensati diventa cattivo” (13:20). “L’empio desidera fare il male: il suo amico stesso non trova pietà ai suoi occhi” (21:10). “Non fare amicizia con l’uomo collerico, non andare con l’uomo violento, perché tu non impari le sue vie  e non esponga te stesso a un’insidia” (22:24,25).  “Il compagno dei golosi fa vergogna a suo padre” (28:7).

Dei proverbi popolari affermano che chi va con lo zoppo impara a zoppicare e chi va al mulino si infarina.  L’Apostolo Paolo, afferma che “le cattive compagnie corrompono i costumi” (1 Corinzi 15:33).  Quanto è purtroppo vero!

Ciò che Salomone dice sull’amicizia, quella vera, è anche molto bello.

“L’amico ama in ogni tempo: è nato per essere un fratello nella sventura” (17:17). “Chi ha molti amici può esserne sopraffatto, ma c’è un amico che è più affezionato di un fratello“ (18:24). “L’olio e il profumo rallegrano il cuore; così fa la dolcezza di un amico con i suoi consigli cordiali” (27:9).

Piova o tiri vento, un amico vero ti sta sempre a fianco. Quando qualcuno  gli parla male di te, non si turba, non ti abbandona e cerca come ti può aiutare. Quando qualcuno gli dice bene di te, si rallegra. Quando sei di cattivo umore ti sopporta e non ti respinge. Nei giorni difficili non ti trascura, in quelli felici si rallegra per te e non t’invidia. È fedele. Se fai male te lo dice, se fai bene ti loda.  Un amico che ha il coraggio di correggerti è un tesoro raro.

Salomone lo esprime così: “Meglio riprensione aperta che amore nascosto. Chi ama ferisce, ma rimane fedele, chi odia dà abbondanza di baci” (27:5,6). Anche Gesù è stato tradito dal “lungo bacio” di Giuda (Matteo 26:49) da un finto amico.

Non mi pare che i fondatori di sette religiose abbiano dichiarato di essere amici (di quelli con la A maiuscola) dei loro seguaci. Sarebbe troppo confidenziale e umiliante, per un capo, mettersi allo stesso loro livello! Gesù, invece, lo ha fatto.

Ha dichiarato: “Nessuno ha amore più grande di quello di dare la sua vita per i suoi amici... Io non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo signore; ma io vi ho chiamati amici, perché vi ho  fatto conoscere tutte le cose che ho udite dal Padre mio” (Giovanni 15:13,15).

Che meraviglia! Gesù è venuto sulla terra per rivelarci il carattere di Dio, suo Padre, e per farci capire come Egli è veramente. È venuto nel mondo per servire e per morire per salvare gli uomini. A chi crede in Lui e lo segue fa conoscere l’amore infinito di suo Padre, amore che Lui ha dimostrato morendo al nostro posto sulla croce.

A noi, Egli mette una sola giusta e logica condizione: “Voi sete miei amici, se fate le cose che io vi comando” (15:14). “Non siete voi che avete scelto me, ma son io che ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate molto frutto e il vostro frutto rimanga; affinché tutto quello che chiederete  al Padre, nel mio nome, Egli ve lo dia. Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri” (15:16,17).

Avere Gesù come amico. Non lo trovi fantastico?
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Ghiottonerie velenose


È incredibile: se sentiamo dire una cosa buona su qualcuno, molto spesso la teniamo per noi. Quando ne sentiamo una cattiva, abbiamo subito voglia di parlarne con un’altra persona.  Così, poi, la parola passa di bocca in bocca, la cosa si ingrandisce e si gonfia sproporzionatamente, facendo molto danno.

Nell’opera di Rossini, il  Barbiere di Siviglia, un prete consiglia di spargere una calunnia sul conto di qualcuno. La descrive come un venticello sottile che finisce per diventare una terremoto e un temporale. Lo fa cantando un’aria famosa, molto descrittiva sia nelle parole che nella musica, in cui, alla fine, il meschino, calunniato e calpestato, non sa più come salvarsi.

La maldicenza è un male antico quanto l’uomo. Infatti, quando Dio rimproverò Adamo perché aveva  mangiato del frutto che gli era stato vietato, questi diede subito la colpa alla moglie. Questa immediatamente si difese dando la colpa al serpente, che l’aveva sedotta. Nessuno era pronto a confessare che era stata colpa sua.

“Le parole del maldicente sono come ghiottonerie e penetrano fino all’intimo delle viscere” dice il libro dei Proverbi (18:8). Niente di più descrittivo. Le maldicenze attirano come un bel dolce che dice: “Mangiami!”. Come un buon pasticcino alla crema, scendono bene. Poi mettono radici ben profonde nel cuore, che è la sede delle emozioni, e nel cervello, che non le dimentica.  Gettano un’ombra negativa su chi ne è il soggetto, di dubbio e di delusione in chi le ascolta.

“Sarà vero? Non sarà vero?” ci si chiede. “Chi sa? Non si può sapere...”

“Chi va sparlando svela i segreti, ma chi ha lo spirito leale tiene celata la cosa” (11:13).  Però, volere o no, l’ombra del dubbio gli rimane.

“L’uomo perverso semina contese, il maldicente disunisce gli amici migliori” (16:28). Quante famiglie hanno avuto separazioni, dispiaceri e contese, perché un parente o un amico si è preso la briga di dire male di qualcuno e è riuscito a mettere l’una contro l’altra persone che prima andavano perfettamente d’accordo! E quante chiese si sono smembrate per delle dicerie cattive!

Che fare?

Prima di tutto non pettegolare e non raccontare  cose  solo “per sentito dire”. Se possibile, accertare i fatti. Se no, fare come dice Salomone, ispirato dallo Spirito Santo: “Chi va sparlando palesa  i segreti; perciò non t’immischiare con chi apre troppo le labbra” (20:19).

Se poi volete conoscere, il mio metodo infallibile che evita che delle anime buone vengano a raccontare pettegolezzi, su amici comuni, magari  rivestendoli col manto pio di soggetti di preghiera, eccolo.

Con una faccia molto seria, propongo: “Dato che la cosa è grave, andiamo insieme a parlarne con l’interessato”. Funziona. 

Se poi questa terapia d’urto non vi piace, attenzione: continuate a mangiare ghiottonerie che vi avvelenano.
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Bugie di che colore?


Finalmente arriviamo a parlare della lingua cattiva. Ma, ve lo prometto, non ci farà sentire un po’ male. D’altra parte, un’acquaccia amara, come Pinocchio chiamava la purga che gli volevano dare, fa meglio delle pillole con effetto placebo. Di queste, Dio, che è il medico per eccellenza, non ne prescrive.

Nei Proverbi, si parla di lingua maldicente, bugiarda, dura e stupida.

Un bel programma: comiciamo con quella bugiarda.

“Il falso testimone parla con inganno”, “la lingua bugiarda non dura che un istante”, “le labbra bugiarde sono un abominio per il Signore”, ”il falso testimone non rimarrà impunito, chi spaccia menzogne non avrà scampo” (12:17,19,22; 19:5).

La tentazione a dire cose false è sempre in agguato. Spesso sentiamo parlare di bugie bianche o rosa, cioè innoque. O di bugie pietose. O a fin di bene. Questa casistica è falsa e crudele.

A un malato terminale non si vuole dire la verità sul suo stato e si evita di parlare della morte e di quello che viene dopo la morte. Se non è un credente, gli facciamo molto male e lo accompagniamo verso l’inferno, se non lo esortiamo a accostarsi a Dio per ricevere il perdono dei suoi peccati e il dono della salvezza.  Se è un credente, perché non cogliamo l‘occasione per lodare Dio per la prospettiva di un’eternità nella presenza del Signore, in una casa perfetta preparata per Lui? Non sarà mica che, sotto sotto, l’idea della morte fa paura anche a noi?

All’amica credente, che si fidanza con un non credente, diciamo che pregheremo perché il suo “lui” si converta, anziché dirle che si sta rovinando con le sue stesse mani, disubbidendo a un preciso ordine di Dio (2 Corinzi 6:15). Abbiamo paura di offenderla, ma non l’aiutiamo.

Dio è molto severo verso i bugiardi. La loro condotta è, ai suoi occhi, abominevole. Non sembra che per Lui esista nessuna casistica fra peccati veniali e peccati mortali, come insegna la Chiesa Romana. Non per nulla ha fatto scrivere che “per i codardi, gli increduli, gli abominevoli, gli omicidi, i fornicatori, gli stregoni, gli idolatri e tutti i bugiardi la loro parte sarà nello stagno ardente di fuoco e di zolfo che è la morte seconda” (Apocalisse 21:8).

Attenzione, allora, a non chiudere un occhio sulle nostre bugie e su quelle altrui. E anche alle mezze bugie.

Poi ci sono le parole dure e le parole stupide. A volte, anche dicendo la verità, si possono usare parole che feriscono come pietre. Figuriamoci se poi le usiamo con l’intenzione di fare del male!

“La bocca degli empi nasconde violenze” (10:11), “la parola dura eccita l’ira” (15:1), “l’uomo cattivo va scavando il male ad altri; sulle sue labbra c’è come un fuoco consumante” (16:27), “il povero parla supplicando e il ricco gli risponde con durezza” (18:23).

Un padre dice al figlio: “Non capisci niente e non sarai mai buono a niente”. Forse un pizzico di ragione ce l’ha. In realtà, il figlio non è una cima, ma ne resterà ferito. Forse ci crederà e davvero diventerà un buono a niente.

Una moglie chiede al marito come è andato il suo lavoro. “Anche se te lo dicessi, non lo capiresti” risponde lui. Lei si sentirà umiliata e non gli farà più domande. Probabilmente il solco, che si sta già scavando fra i due, aumenterà.

“Nella moltitudine delle parole non manca la colpa, ma chi frena le sue labbra è prudente” (10:19).

Perciò, prima di parlare a ruota libera, pensiamoci. Specialmente, se si tratta di maldicenze. Alla prossima!
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Fonte e albero di vita


Ho cambiato idea: oggi non parliamo di lingua cattiva, ma parliamo ancora una volta degli effetti di una lingua usata bene. Sarà utile. Naturalmente ci rifacciamo al Libro dei Proverbi.

“La bocca del giusto è una fonte di vita”, “Le labbra del giusto  nutrono molti (nella Riveduta “pascono molti)” (10:11,21).

Con la bocca possiamo dire parole di consolazione, di incoraggiamento, di sprone. Una parola di conforto, come un buon cibo, può rinfrancare una persona stanca. Una parola appropriata, può fare l’effetto della cura di un pastore per una pecora stanca.

Le parole migliori sono quelle che provengono dalla Parola di Dio.

Ricordo una missionaria anziana e molto malata, che sono andata a trovare all’ospedale, tanti anni fa. Era praticamente in agonia. Non mangiava più, era assopita e sembrava non accorgersi affatto di quello che le succedeva attorno.

Le ho letto, all’orecchio, le prime parole del Salmo 23: “Il Signore è il mio pastore, nulla mi mancherà...”. Ha aperto gli occhi e ha detto con perfetta lucidità: “Non mi manca nulla. Nulla vuol dire NULLA!”. Poi ha chiuso gli occhi e si è messa a dormire come una bambina felice. 

Dopo alcuni giorni, abbiamo celebrato il suo funerale.

“La lingua dei saggi procura guarigione” (12:18). Quanto faremmo bene, se più spesso dicessimo a qualcuno: “Ti voglio bene... tu sei importante per me... mi hai fatto del bene... hai fatto una cosa bella... ti perdono... perdonami”.  

Quando ero bambina, molti genitori (i miei compresi) erano severi e non perdonavano facilmente. Pensavano di far bene, ma facevano tanto male.

Una volta, però, dopo che avevo fatto qualcosa di “inappropriato”, come si diceva a quei tempi, ho chiesto perdono a mio padre. Lui mi ha guardata con i suoi occhi azzurri e intensi e mi ha detto: “Cicetta, ti perdono. Mettiamoci una pietra sopra”.

Io ricordo ancora il sentimento di calore che ho provato. Poi mi sono letteralmente sciolta in un pianto liberatorio. Vi sarete resi conto che parlo spesso di mio padre: se fosse vivo, oggi compirebbe 129 anni!

“Il labbro veritiero è stabile per sempre” (12:13). Di una persona che sai che ti dice sempre la verità, ti puoi fidare. Nella tua mente, sarà solida come la roccia di Gibilterra.

“Per il frutto delle sue labbra uno gode del bene”, “chi sorveglia le sue labbra preserva la sua vita” (13:2,3).  Chi tace, di solito, non sbaglia.

“Il testimone veritiero salva delle persone” (14:25). A volte, lo può fare in tribunale  per difendere qualcuno. Certamente lo possiamo fare tutti sempre spiegando con amore il piano della salvezza a chi non lo conosce.

“La risposta dolce calma il  furore”, “è un albero di vita” (15:1,4).  Sarebbe bello se di noi, dopo che ce ne saremo andati in cielo, si potesse dire: “LA SUA LINGUA ERA UN ALBERO DI VITA”.  Proviamoci!  Il mezzo sicuro  per prevenire malanni, mentre siamo ancora in vita, è uno solo e sta nella preghiera del salmista: “Signore, metti una guardia davanti alla mia bocca, sorveglia l’uscio delle mie labbra!” (141:3). 
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Vuoi buona salute?


Quante buone parole avete detto la settimana scorsa? Spero tante!

Io ci ho provato e non sempre ci sono riuscita. In ogni modo, tanto per sentirci ancora un po’ più in colpa, c’è dell’altro da imparare sull’uso buono della lingua.

Salomone afferma che ciò che diciamo deve essere equilibrato, vero e saggio.

Secondo il dizionario, essere equilibrati significa, in senso figurato, avere una personalità in cui le facoltà morali e spirituali sono perfettamente armonizzate.

“Magari!” diciamo.  Ma ci dobbiamo provare.

Salomone, ripeto, lo esprime così: “Nella moltitudine delle parole non manca la colpa, ma chi frena le sue labbra è prudente” (10:19) e “Il cuore del giusto medita la sua risposta” (15:28). E ancora: “Chi modera le sue parole possiede la scienza e chi ha lo spirito calmo è un uomo intelligente” (17:27).

Frenarsi, meditare, essere di aiuto.  Come si dice comunemente: bisogna contare fino a dieci (o cento!) prima di sputare sentenze. Che il Signore ci aiuti!

Oltre che prudenti le nostre parole devono essere vere, non devono essere ipocrite. Piuttosto devono essere di aiuto.

“L’uomo che corregge sarà, alla fine, più accetto di chi lusinga” (28:23)

“Meglio riprensione aperta  che amore nascosto” (27:5).

“La bocca del giusto fa fiorire la saggezza... Le labbra del giusto conoscono ciò che è gradito” (10:31,32).

A volte, per non offendere, non diciamo quello che sarebbe veramente di aiuto. L’Apostolo Paolo scriveva ai credenti di Efeso: “Bandita la menzogna, ognuno dica la verità al suo prossimo” (4:25).

Quali saranno i frutti di una lingua usata bene?

“La risposta dolce calma il furore, ma la parola dura eccita l’ira” , “La lingua dei saggi è ricca di scienza, ma la bocca degli stolti riversa follia” , “La lingua che calma è un albero di vita, ma la lingua perversa strazia lo spirito” (15:1,2,4).

Infine, se volete una ricetta per stare in buona salute, eccola: “Le parole gentili sono un favo di miele; dolcezza all’anima, salute delle ossa” (16:24).

Esattamente come ha detto l’Apostolo Pietro: “Chi vuole amare la vita e vedere giorni felici trattenga la sua lingua dal male e le sue labbra dal dire il falso, fugga dal male e faccia il bene, cerchi la pace e la persegua; perché gli occhi del Signore sono sui giusti e i suoi orecchi sono attenti alle loro preghiere, ma la faccia del Signore è contro quelli che fanno il male” (1 Pietro 3:10-12).
 
Alla prossima, per parlare delle parole cattive.
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Una buona parola fa miracoli


Parlando di lavoro e di darsi da fare vi ho fatti un po’ arrabbiare. Mi dispiace, ma consolatevi: col nuovo soggetto che sto per trattare, vi farò sentire tutti in colpa.

Però la prima a esserlo sarò io!

Voglio toccare il soggetto dell’uso della nostra lingua. No, non voglio fare una lezione sull’italiano, che stiamo un po’ tutti  massacrando, a forza di parole inglesi italianizzate, neologismi e di licenze nell’uso dei verbi (tutte cose che fanno male ai puristi, ma che, grazie a Dio, non danneggiano nessuno).

Voglio parlare di quel piccolo muscolo che sta nella nostra bocca e che Giacomo, il fratello di Gesù, nella sua lettera, assomiglia a una scintilla che può provocare un incendio, al morso che può frenare un cavallo e al timone che dirige una nave. È un muscolo che usiamo più di ogni altro e che esprime esattamente quello che siamo dentro.

Salomone, nei suoi Proverbi, ne parla moltissimo. Sia in bene, sia in male.
Cominciamo dal bene.

“La sofferenza del cuore abbatte l’uomo, ma la parola buona lo rallegra” (12:25).

“La risposta dolce calma il furore...” “Uno prova gioia quando risponde bene; è buona la parola detta a suo tempo”, “i pensieri malvagi sono in abominio al Signore, ma le parole benevole sono pure ai suoi occhi” (15:1,12,16).

“Le parole gentili sono un favo di miele; dolcezza all’anima, salute alle ossa” (16:24).

“Le parole dette a tempo sono come frutti d’oro in vasi d’argento cesellato” (25:11).

La donna perfetta, descritta nei Proverbi, “apre la bocca con saggezza e ha sulla lingua insegnamenti di bontà” (31:26).

Non c’è niente che faccia tanto bene quanto una parola gentile. Può cambiare tutto in una giornata.

Salomone la paragona a argento scelto (10:20), a un buon nutrimento (10:21), e afferma che porta frutto (10:31).

Ricordo certe giornate nere, quando i figli erano piccoli. Giornate in cui tutti si mettevano d’accordo per farti perdere la testa. Uno versa il latte sulla tovaglia fresca di bucato, un altro decide di tirare i capelli alla sorellina, che si mette a urlare come la sirena di un’ambulanza, un terzo se la fa sotto. E così via, con capricci, lagne, baruffe. Roba da farti dare le dimissioni.

Ricordo anche le molte volte in cui, quando ancora guidavo la macchina, sono tornata a casa con una strisciata sullo sportello e un bozzo causato da una curva presa male. E ricordo anche il giorno in cui ho rotto un vaso abbastanza di buona qualità e, per giunta, anche “caro ricordo di famiglia”.

Ma cosa c’entrano questi ricordi con i proverbi di Salomone? C’entrano, perché NON ricordo una volta in cui, dopo uno dei miei disastri, mio marito, non mi abbia stretta fra le braccia e non mi abbia consolata con una parola gentile.

In quei momenti, non solo mi sono sciolta dalla riconoscenza, ma anche si è rasserenato il mio cielo nuvoloso. Veramente: “Quanto è buona una parola detta a tempo!” (Proverbi 15:23).
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Lavorare... Ma come?


“Ma lo sai, tu, che cosa vuol dire cercare lavoro senza trovarne e essere senza soldi? Fai tante prediche, ma non sei nei nostri panni!”

Me lo hanno detto. È vero che i tempi sono difficili e che la crisi è globale. È vero anche che ho un lavoro. Ma è anche vero che so molto bene cosa sia essere senza soldi. E avere fame con la F maiuscola.

In un periodo difficile, quando vivevo ancora a casa coi miei genitori, abbiamo vissuto giorni pesanti. C’era la guerra, eravamo sfollati, non avevamo soldi. Così sono andata dai contadini e ho chiesto se potevo aiutarli a vendemmiare, a raccogliere le olive e a mietere il grano col falcetto, come si faceva allora, in cambio di un po’ di cibo. Era una goccia nel mare, ma una goccia era.

Mi sono fatta anche dare un pezzetto di terra da certi amici, che avevano della terra, e ho coltivato melanzane, pomodori e fagiolini. Non ero l’unica. Accanto a me c’era il campetto di un avvocato, anche lui amico dei proprietari, che coltivava pomodori e zucchine. Facevamo a gara a chi aveva i prodotti più belli.  

Mio marito, dal canto suo, da studente ha fatto ogni specie di lavoro per mantenersi agli studi e non dipendere troppo dai genitori. I nostri figli? Idem.

Se fossi giovane oggi, e non avessi lavoro, penso che mi butterei a dare ripetizioni a poco prezzo, mi offrirei come baby-sitter o roba del genere. Non starei, mi pare, solo a piangere o a fare cortei di protesta.

Conosco molto bene un giovane architetto che ha battuto le strade di Roma, offrendo il suo curriculum. Non ha trovato un impiego. Oggi fa un lavoro che, per quello che ne capisco, non ha niente a che fare con l’architettura e non è prestigioso. Ma gli permette di mantenere moglie e figlie dignitosamente. Per me, è un gran buon esempio.

Comunque sia, la Bibbia ha molto da dire sul nostro atteggiamento riguardo al lavoro.

“Va’, pigro, alla formica; considera il suo fare e diventa saggio! Essa non ha capi né sorvegliante, né padrone; prepara il suo nutrimento nell’estate e immagazzina il suo cibo al tempo della mietitura” (Proverbi 6:6-8).

Nel nostro mondo occidentale ci siamo tutti abituati a vivere al di sopra delle nostre possibilità. Carte di credito, rate, mutue, prestiti, aiuti governativi e chi più ne ha più ne metta. Oggi ne paghiamo i risultati. E, in più, siamo diventati pigri.  

La formica del versetto non aspetta né ordini né aiuti da nessuno: lavora, si dà da fare, è previdente e non sciala. Mette via e non butta via.

Se c’è una cosa che mi fa vedere rosso, è osservare gli sprechi nelle famiglie, nelle  comunità, nelle chiese. Piatti e posate di plastica. Verdura già pronta e pulita. Cibi preconfezionati da riscaldare nel micronde.

Usa e getta a più non posso.  Se un cibo è scaduto da un giorno si butta. Se un paio di scarpe non è pù di moda si butta e se ne compra un altro. Gli armadi sono pieni di vestiti poco usati. Tanto, dai cinesi, costano così poco!

Ma cosa succede ai pigri? Ecco le parole di Salomone.

“Fino a quando, o pigro, te ne starai coricato (oggi forse avrebbe scritto: te ne starai davanti al computer a navigare su Internet, a perdere tempo con facebook, o a divertirti coi videogiochi)? Quando ti sveglierai dal tuo sonno?

“Dormire un po’, sonnecchiare un po’, incrociare un po’ le mani per riposare. La povertà verrà come un ladro, la tua miseria come un uomo armato” (Proverbi 6:9-11).

I tempi sono difficili. Non c’è dubbio. Ma non sarebbe ora che cominciassimo  a risparmiare un po’? Non solo per necessità, ma per convinzione. Come stile di vita.
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La saggessa dei popoli


Quando ero alle elementari, c’era un bidello (pardon, collaboratore scolastico!) al nostro piano. Era grassoccio e parlava con un forte accento genovese, ci salutava con un sorriso benevolo quando arrivavamo. Era un gran brav’uomo e gli volevamo molto bene. Come tanti genovesi, si chiamava Giobatta, ovvero Giovanni Battista.

Era una vera enciclopedia ambulante di proverbi. Lui ci diceva che nei proverbi c’è la “saggessa” dei popoli e ne aveva sempre uno appropriato.

“Chi ha tempo non aspetti tempo” se non ci sbrigavamo a entrare in classe.

“Tanto va la gatta al lardo che ci lascia lo zampino” quando scopriva una marachella.

“Meglio un asino vivo che un dottore morto” se una di noi piangeva per un brutto voto.

“La via dell’inferno è lastricata di buone intenzioni (lui le chiamava intensioni)” quando una bambina diceva che avrebbe voluto studiare ma....

La Bibbia contiene un intero libro di proverbi. Non sono solo la saggessa dei popoli, ma anche la saggezza di Dio. Salomone ne ha scritta la maggior parte. Riguardano vari soggetti, uno dei quali è il lavoro.

Ogni giorno, al telegiornale, si parla di lavoro che non c’è. Fabbriche che chiudono, licenziamenti e, di conseguenza, problemi per le famiglie. La percentuale di giovani che non cercano neppure più un lavoro, per scoraggiamento o per pigrizia, è spaventosa. Ma è anche spaventoso che molti di quegli stessi giovani pretendano di essere mantenuti dalle istituzioni e, spesso, non si adattino piuttosto a fare qualsiasi tipo lavoro onesto pur di campare e di non essere di peso ai genitori. Forse è colpa anche di questi, che, dal canto loro, li hanno allevati accontentando ogni loro desiderio.

Esagero? Non mi pare. Per esempio, dove hanno preso i soldi quelle centinaia di giovani che hanno fatto la fila per ore per comprarsi l’ultimo iPad? O glieli hanno dati i genitori o li hanno rubati. Ma li hanno trovati, per avere l’ultimo gioiello dell’elettronica.

Quando Dio l’ha creata, la terra era perfetta e anche l’uomo e la donna erano perfetti. Questi avevano avuto da Dio il compito di coltivarla e di curarla. Sarebbe stato un piacere farlo.

Purtroppo, dopo l’ingresso del peccato nel mondo, a causa della disubbidienza proprio della prima coppia, il lavoro è diventato faticoso. Però è sempre necessario. Tant’è vero che Dio lo ha messo nei 10 comandamenti. Infatti, ha ordinato di lavorare sei giorni e di dedicarne uno a Lui.

Mi viene in mente ora: non sarà mica che tanti i problemi di oggi in questo campo dipendano anche dal fatto che nel giorno del riposo la maggior parte dell’umanità fa di tutto fuorché pensare a Dio e onorarlo?

Cosa dice Salomone del lavoro? “Chi lavora con mano pigra impoverisce, ma la  mano laboriosa fa arricchire” (10:4).

“Chi coltiva la sua terra avrà pane da saziarsi, ma chi va dietro ai fannulloni è privo di senno” (12:11).

“Il pigro desidera e non ha nulla, ma l’operoso sarà pienamente soddisfatto” (13:4).

“In ogni fatica c’è profitto, ma il chiacchierare procura la miseria” (14:23).

Questi sono solo quattro proverbi, ma ce n’è almeno una trentina che parla di operosità e pigrizia. Ne parleremo anche la prossima settimana.
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