Il libro più venduto e più efficace del mondo


A questo punto, tiriamo le somme. La Bibbia si è dichiarata ispirata da Dio, utile a insegnare, a riprendere, a correggere e a educare alla giustizia.

Il tutto per fare di noi dei credenti completi, e perfettamente equipaggiati per compiere ogni opera buona (2 Timoteo 3:17).  Il Signore, nel rivelarsi per mezzo della Bibbia, non ha mai avuto l’intenzione di crearsi un esercito di teologi, ma ha avuto lo scopo di formare un insieme, un corpo, una famiglia di credenti fedeli e maturi, capaci di fare del bene e servirlo.

L’Apostolo Paolo, prima di scrivere a Timoteo dell’importanza e dell’utilità della Bibbia, gli aveva ricordato anche il buon esempio che lui stesso gli aveva dato, con l’insegnamento e la sua vita (2 Timoteo 3:10-15), e gli ha ricordato anche “la fede sincera” di sua mamma e sua nonna (1:5)  È importante seguire dei buoni esempi e tutti noi ne abbiamo molti.

Ma dobbiamo anche essere dei buoni esempi. Sarebbe perfettamente inutile regalare Bibbie e esortare altri a leggerla, studiarla e amarla se noi stessi non lo facessimo e se la nostra vita non fosse coerente con quello che proponiamo e diciamo.

“Ma come si diventa dei credenti completi”? ci chiediamo.

La risposta è ovvia: non cessando mai di crescere.

Nessuno di noi, campasse mille anni, potrebbe mai dirsi “arrivato”. C’è sempre da capire di più, da imparare, da conoscere e da discernere, da migliorare, da modificare, per “arrivare alla piena conoscenza del Figlio di Dio, allo stato di uomini fatti, all’altezza della statura perfetta di Cristo” come ha detto ancora Paolo, nella sua lettera ai credenti di Efeso (4:13).

Per di più, durante il processo della crescita, ci sono sempre da confessare peccati vecchi che si riaffacciano e nuovi, perdoni da chiedere, atteggiamenti da modificare . Alla “completezza” arriveremo solo quando avremo dei corpi trasformati e saremo alla presenza di Dio in cielo.

Però non ci scoraggiamo e giorno per giorno andiamo avanti.

Se dovessimo farcela da soli e, perfino, se avessimo solo la Bibbia da seguire e da mettere in pratica come regola di vita, con le nostre forze, non ce la faremmo mai. Le esigenze di Dio sono troppo alte e la nostra natura e troppo bacata.

Ma se abbiamo accolto Cristo nella nostra vita, se siamo nati di nuovo, avendo creduto in Lui come Salvatore e Signore, e perciò avendo la sua vita in noi e la potenza dello Spirito Santo,  sappiamo di non essere abbandonati e di avere una marcia invincibile in più.

Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? Nessuno.

Perciò, coraggio! Tre passi avanti e due indietro e, purtroppo, anche qualche scivolone ogni tanto, continuiamo a crescere, pieni della gioia del Signore, consapevoli della sua presenza e della vittoria finale conquistata da Gesù al Calvario.  

E vi sembra poco?
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Il libro più venduto e meno messo in pratica del mondo

Quasi in ogni casa c’è una Bibbia. Un Papa, se ricordo bene Giovanni XXIII, anni fa, aveva fatto perfino una campagna perché ce ne fosse una copia in ogni famiglia. E aveva sguinzagliato monache e laici a venderla e distribuirla nelle case.

Spesso alcuni me l’hanno mostrata, incastrata su uno scaffale della loro libreria. Altri con un certo orgoglio me ne hanno fatte sfogliare, invece, delle edizioni di lusso e illustrate.

Alla domanda se la leggevano, la risposta era di solito “no”.

Una Bibbia lasciata in uno scaffale, o sul comodino da notte, non serve a niente. Bisogna leggerla e meditarla, perché è tutta “ispirata da Dio e utile a insegnare, a riprendere, a correggere e a educare alla giustizia” (2 Timoteo 3:16).

Ne stiamo parlando già da più di due settimane e oggi si pone la domanda: che cosa vuol dire “educare alla giustizia”?

Educare vuol dire, secondo  il dizionario, “portare metodicamente alla maturità intellettuale e morale e sviluppare e affinare mediante l’insegnamento e l’esercizio”.

Mi ha colpito quell’avverbio “metodicamente”, perché è molto appropriato. L’educazione non si fa a periodi, a sprazzi, o spinti dalle emozioni nei momenti di crisi. È un lavoro lento, costante, giornaliero e metodico. Precisamente!

Il profeta Isaia ha descritto come Dio ha istruito il suo popolo, purtroppo senza essere molto ascoltato: “La parola del Signore è stata per loro precetto dopo precetto, regola dopo regola, regola dopo regola, un poco qui e un poco là...” (28:13).

Quante volte abbiamo dovuto insegnare ai nostri bambini a dire “grazie” e “per piacere”, prima che l’istruzione diventasse per loro una regola ben incorporata? Decine, se non centinaia, di volte.

E quante volte abbiamo dovuto inculcare in loro i principi dell’onestà, della gentilezza e del vivere civile, dell’importanza di non spintonare o fare dispetti agli altri bambini? Contarle è impossibile.

Dio ci educa, ogni giorno allo stesso modo, dandoci metodicamente precetti e istruzioni (non consigli, come è “evangelicamente corretto” dire oggi) nella sua Parola e ammonendoci delle conseguenze delle nostre disubbidienze. 

E, cosa interessante, ci rivela che certe cose, a cui non avevamo forse pensato, sono sbagliate (peccati!) e perciò da evitare. Per esempio, che non è giusto alzare la voce con rabbia, che non va bene mettere il naso nei fatti degli altri, che non è giusto essere condiscendenti verso i fannulloni, che non bisogna vantarsi della propria generosità, che chi è crudele fa male al suo stesso corpo, che Dio detesta i negozianti che imbrogliano sul peso. Dio vede tutto e tiene conto proprio di tutto! 

Il salmista Davide pregava: “Chi conosce i suoi errori? Purificami da quelli che mi sono occulti” (19:13) e “Esaminami, o Dio, e conosci il mio cuore, mettimi alla prova e conosci i miei pensieri e guidami per la via eterna” (139:23,24).

La Parola di Dio è paragonata a uno stiletto che penetra nel profondo del nostro essere (Ebrei 4:12). Lasciamola penetrare anche se ci fa male.

È dolce al palato, ma può anche far male alla pancia, come ha raccontato Giovanni nell’Apocalisse. Nutriamocene e digeriamola, anche se, a volte, sarà un po’ indigesta.

E soprattutto pratichiamola, se vogliamo proseguire nel cammino della giustizia.
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Il libro più venduto e meno ascoltato


Quando i nostri figli erano piccoli seguivamo una specie di “trafila” quando si trattava della loro educazione.
1.      Insegnavamo quello che dovevano fare.
2.      Avvertivamo che se non avessero ubbidito ci sarebbe stata una conseguenza, ovvero una punizione.
3.      Quando avveniva la disubbidienza, ricordavamo ai bambini qual era stato l’avvertimento.
4.      Applicavamo la punizione, o correzione, che, a volte, poteva essere il “pum-pum”. Ma non sempre: ci poteva essere la privazione di qualche privilegio o un’ammenda pecuniaria (che era da loro considerata la più dolorosa, simile a un crack finanziario!). Da genitori coerenti, abbiamo cercato di non minacciare, senza avere l’intenzione di mantenere quello che avevamo promesso.

A volte siamo stati considerati, specialmente dai nonni, troppo severi, ma a mio marito e a me, sembrava che stessimo seguendo la “trafila” del Signore.

Nel manuale di educazione che il Signore ci ha lasciato, la Scrittura, è detto che questa è utile a insegnare, a riprendere, e a correggere.

Dell’insegnare e del riprendere abbiamo parlato le volte scorse. Oggi tocca parlare della “correzione”, che è un soggetto che non ci piace. Ma dato che c’è, non possiamo ignorarlo.

Dio non ha mai punito senza avvertire prima delle conseguenze della disubbidienza.  Lo ha fatto con Adamo e Eva, quando ha detto loro di non mangiare del frutto della conoscenza del bene e del male (un ordine), perché se lo avessero fatto sarebbero morti spiritualmente e, ad un certo punto, morti fisicamente (avvertimento). A disubbidienza avvenuta, Dio ha  applicato la punizione o correzione. Infatti, la prima coppia è stata allontanata dal giardino, la loro comunione con Dio è stata sciupata e il loro peccato ha avuto una terribile conseguenza: si è esteso a tutti i loro discendenti.

Attraverso i millenni, Egli ha continuato a ammonire il suo popolo per mezzo di servitori fedeli e di profeti. Poi ha ammonito per mezzo di suo Figlio Gesù e degli apostoli. Oggi ammonisce per mezzo della Bibbia e dice: “Figlio mio, non disprezzare la disciplina del Signore, e non ti perdere d’animo quando sei da lui ripreso; poiché il Signore corregge quelli che Egli ama e punisce tutti coloro che riconosce come figli” (Ebrei 12:5,6).  Una traduzione più aderente al testo originale sarebbe “Dio frusta coi flagelli i figli che Egli gradisce”. Comunque sia, a volte e per il nostro bene, il Signore deve usare la mano pesante e correggerci.

La correzione fa male e Dio la applica per il mio bene e anche se penso di esere il migliore credente della terra, Dio non è obbligato a fare preferenze. Se mangio troppo, mi ammalo. Se bevo troppo alcol, mi rovino il fegato. Se mi drogo, mi friggo il cervello. Se sto sempre attaccato al telefonino e all’Ipod divento scemo e mi rovino gli occhi. Se amo troppo il denaro, è possibile che Dio me lo tolga. Se mento e rubo, una volta o l’altra, ne pago le conseguenze e la mia testimonianza va a farsi friggere.
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Il libro più venduto e meno studiato

Dopo aver detto che la Sacra Scrittura, cioè la Bibbia, può fornire la sapienza che porta alla salvezza, l’Apostolo Paolo scrive a Timoteo che tutta la “Scrittura è ispirata da Dio (permeata dal soffio dello Spirito Santo) e utile a insegnare...” (2 Timoteo 3:16).

Nessuno nasce istruito. Anche il bambino più intelligente, se non va a scuola, rimarrà ignorante. Tutti siamo dovuti andare a scuola per imparare a leggere, a scrivere e a far di conto, come si diceva un tempo, ovvero capire l’importanza dei numeri e imparare a usarli.

Nessuno nasce con la conoscenza di Dio, anche se istintivamente sa che esiste (Dio gliel’ha messo nell’intimo del suo essere, Ecclesiaste 3:11).

Solo la Bibbia spiega come è e indica la strada per conoscerlo e come avvicinarci a Lui.

Dice che è il Creatore e che dal nulla ha creato l’universo in cui viviamo, che lo ha creato in sei giorni e lo ha fatto perfetto. Dice come mai l’uomo, perfetto al principio, è diventato malvagio e peccatore. Racconta il diluvio universale, nominato anche dalle tradizioni pagane, che però non dicono che fu la punizione divina per la malvagità delle persone.

Racconta l’origine e la storia del popolo ebraico, come sono stati dati i comandamenti, come Dio ha ammonito, per mezzo dei profeti, il popolo che aveva scelto e che diventava sempre più ribelle e infedele, e, nel Nuovo Testamento, descrive la venuta, la vita e l’opera di Cristo e la formazione e sviluppo della chiesa primitiva.   

Ciò che dobbiamo sapere di Dio e della sua volontà si trova nella Bibbia. Infatti essa ci insegna come vivere, come comportaci in famiglia, come lavorare, come usare i soldi, come essere buoni cittadini e come morire avendo non una speranza vaga di farcela in qualche modo, ma con la certezza del cielo. Insomma, ci insegna tutto. Perfino come fare bene all’amore. E non è poco, dato che è un libro di religione.

Però, a una condizione: la Bibbia bisogna leggerla nella maniera giusta e, soprattutto, con l’atteggiamento giusto.

Il Salmista Davide lo indica nel Salmo 86.  “O Eterno” pregava, “insegnami la tua via: e io camminerò nella tua verità” (v.11).

È assolutamente inutile leggere la Bibbia se non si ha intenzione di ubbidire a quello che Dio dice e comanda. Dio è il Signore e le leggi le fa Lui. Se non si ubbidiscono, le sue parole rimangono per noi ora lettera morta e un giorno saranno un motivo di giudizio e di condanna. Infatti, noi tutti risponderemo a Dio di come abbiamo reagito davanti alle sue parole.

Poi Davide continua: “Unisci il mio cuore al timore del tuo nome”. Il timore di Dio non è paura, ma è il desiderio di fargli piacere. Se nel mio cuore ho il profondo desiderio di onorarlo, farò quello che mi insegna e mi dice. Non è possibile amare qualcuno, senza avere l’intenzione di compiacerlo.

Il risultato sarà la gioia: “Io ti loderò, Signore, Dio mio, con tutto il mio cuore e glorificherò il tuo nome in eterno” (v.12).

La Bibbia fa dell’altro. Ne parliamo la prossima volta.
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Il libro più venduto e meno letto


In Italia leggiamo poco, secondo le statistiche e, soprattutto i giovani, preferiscono la tecnologia per ricevere informazioni e comunicare.

“Io non leggo mai” mi ha detto una ragazza, proprio in questi giorni. È piena di problemi e io le proponevo di leggere un libro brevissimo che sarebbe stato adatto al suo caso.

“Io sono un tipo che non legge” mi ha detto un’altra donna a cui voglio molto bene. Il libro che le offrivo l’avrebbe aiutata a affrontare i mille problemi che ha. Tanto più che di tempo ne ha da buttare e so che naviga su facebook fino alle ore piccole.

“Sono un tipo che non legge” potrebbero dirlo molti credenti che aprono la loro Bibbia solo (se mai!) al Culto la domenica mattina.

La Bibbia è il libro più venduto del mondo, è riconosciuta come valida e importante, ma è il libro meno letto. Peggio ancora, è il meno studiato e, in assoluto, il meno ubbidito nel mondo.

Che i non credenti non lo leggano, si capisce. Ma i credenti?

A volte cerco di immaginare come ci vede Dio, quando siamo tutti seduti nella nostra Sala di Culto (per non chiamarla “chiesa”, perché “la chiesa siamo noi”, diciamo compiaciuti).

Agli occhi di Dio alcuni cedenti sono scheletrici come gli Ebrei dei lager: non leggono quasi mai la loro Bibbia e sono denutriti al massimo. Altri hanno un testone che sembra un dirigibile, tanta dottrina hanno in testa, ma hanno dei corpi debolissimi. Non hanno neppure la forza di attraversare la strada per andare a regalare un foglietto di evangelizzazione al fornaio da cui comprano il pane. Altri sono obesi. Si nutrono della Parola e la assimilano, ma non la condividono e ingrassano felici del loro benessere spirituale.

Come sarebbe bello se Dio ci potesse vedere tutti belli, ben nutriti, muscolosi e scattanti! Alcuni, grazie a Dio, lo sono.

Ma perché è importante leggere personalmente la Bibbia e non solo andarla a sentire spiegata una volta in settimana?

Perché Dio è un Dio personale e vuole darci una buona dieta personalizzata e curarsi di noi personalmente (scusate le ripetizioni). La Bibbia è l’unico libro che sia mai stato scritto per ispirazione divina, per mezzo del quale Dio si è rivelato e che, perciò, ti permette di conoscerlo. Non è un libro “su” Dio, come ce ne sono tanti, ma è il libro “di” Dio.

La Bibbia è importante, prima di tutto, perché “può dare la sapienza che conduce alla salvezza mediante la fede in Cristo Gesù”, come scriveva l’Apostolo Paolo al suo collaboratore Timoteo (2 Timoteo 3:15).

Infatti, è l’unico libro che ti spiega come puoi conoscere Dio, che ti dice, con piena onestà, che sei un peccatore e che non potrai mai arrivare a Lui con la tua buona volontà, che sei perduto per natura e condannato alla separazione eterna da Lui a causa della tua natura peccatrice (e non solo per i peccati che compi).

Però ti dice, altrettanto onestamente, che Dio ti ama tanto, che ha mandato suo Figlio Gesù a caricarsi dei tuoi peccati, che Lui li ha espiati insieme con tutti i peccati che sono stati mai commessi, morendo sulla croce al tuo e al mio posto. Perciò è in grado di offrirti gratuitamente e per grazia la salvezza credendo di cuore in Lui. Ti pare poco?

Ogni libro di religione, inventata dagli uomini, ti dice che in te c’è una scintilla che deve essere ravvivata e alimentata e che con la tua buona volontà arriverai a conoscere Dio, magari con l’aiuto di sacramenti o di pratiche speciali. La Bibbia non dice niente di simile. Afferma che “la paga del peccato è la morte, ma il dono di Dio è la vita eterna in Cristo Gesù, nostro Signore”. Prendere o lasciare.

Per questo è tanto importante leggerla e permetterle di dirci la verità su noi e sul nostro destino eterno. Dio non è un medico pietoso che fa la piaga puzzolente, come dice il proverbio popolare. Egli sa che siamo malati, e provvede la cura radicale e eterna: la fede totale e senza “ma” e “se”, in Cristo. Ce l’hai?

Però, per mezzo della Bibbia, Dio ci vuole dare molto di più. Ne parliamo la prossima volta. Intanto, pensa a quello che ti ho detto.
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Servire bene per vivere bene


Si può servire molto male. Giacomo, nella sua lettera, dice che “se avete nel vostro cuore avete amara gelosia e spirito di contesa, non vi vantate e non mentite contro la verità” (3:14). Anche nelle chiese troppe cose e troppi progetti vengono fatti o disfatti per ripicca.

Proprio pochi giorni fa, mio marito, parlando con un anziano, ha saputo che dalla loro chiesa una sorella (speriamo che lo sia!) ha capeggiato una ribellione e ha portato via una decina di persone. Per spiegare le sue ragioni aveva preparato pure un powerpoint! Un amico di mio suocero, pastore per più di 50 anni, aveva l’abitudine di dire che nelle chiese, grazie a Dio, ci sono molte “addizioni” benedette, quando le persone si convertono, ma anche delle “sottrazioni” benedette quando certi membri se ne vanno.

Paolo, il grande apostolo, ha scritto ai credenti di Filippi che c’erano alcuni che predicavano il Vangelo, per rivalità e non per sincerità, sperando di fargli rabbia. Che meschinità ci può essere anche sotto la facciata del servizio cristiano!

C’è un altro modo di servire male. E questo capita a tutti, certo è successo a me. Si può servire con irritazione. Il caso classico è quello di Marta, la sorella di Maria e Lazzaro, che si affannava per preparare un buon pranzo al Signore Gesù e ai suoi discepoli, ma era irritata da morire con sua sorella che non l’aiutava. Era così irritata che se l’è presa perfino col Signore e il Signore l’ha dovuta riprendere gentilmente, ma fermamente.

Allora, come si deve servire?

* Come scopo della vita. Il Signore Gesù ha detto che era venuto sulla terra “non per essere servito, ma per servire e per dare la sua vita per noi” (Marco 10:45). Dovrebbe essere anche lo scopo nostro (1 Giovanni 3:16).

 *Senza cercare ricompense e riconoscimenti. Il Signore Gesù ha detto: “Quando avrete fatto tutto ciò che vi è comandato, dite: Noi siamo servi inutili, abbiamo fatto quello che eravamo in obbligo di fare” (Luca 17:10).

La riconoscenza non è una virtù molto diffusa. Se c’è, bene. Se non c’è, noi abbiamo, in ogni modo, fatto la nostra parte.

*Con amore e senza scoraggiarci. “Per mezzo dell’amore, servite gli uni gli altri”, “non ci scoraggiamo nel fare il bene, perché se non ci stanchiamo, mieteremo a suo tempo. Finché ne abbiamo l’opportunità, facciamo del bene a tutti, ma soprattutto ai fratelli in fede” (Galati 5:13; 6:9,10). Chi vive abbastanza a lungo come ho vissuto io, sa che è vero.

* Con umiltà senza mettersi in mostra. Non servendo per essere visti, come per piacere agli uomini, ma come servi di Cristo. Fate la volontà di Dio di buon animo, servendo con benevolenza , come se serviste il Signore e non gli uomini; sapendo che ognuno, quando avrà fatto qualche bene, ne riceverà la ricompensa dal Signore, servo o libero che sia” (Efesini 6:6-8).

Essere veramente umili è impossibile, perché il nostro orgoglio fa sempre capolino. Cerchiamo di tenerlo a bada, e facciamo del nostro meglio. A tenerci umili, in ogni modo, ci pensa il Signore!
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Si può fare! (Vivere bene 4)


Non c’è niente di più noioso di avere a che fare con una persona negativa. Proponi una cosa e ti risponde che non le piace. Fai un commento positivo e te lo smonta. Le comunichi un progetto e dice che è troppo ambizioso e non può riuscire.

Per vivere bene e fare del bene, è importante impegnarsi con entusiasmo e ottimismo in quello che si fa. Così si contagia chi ci sta vicino e la nostra presenza diventa utile come una ventata di aria fresca d’estate o il calore di una stufa d’inverno.

Nel Libro dei Numeri, nell’Antico Testamento (capp. 13,14), si racconta che, dopo che gli Ebrei avevano lasciato l’Egitto e avevano attraversato miracolosamente il Mar Rosso, Mosè inviò dodici esploratori, un rappresentante di ogni tribù, a osservare il paese che Dio aveva loro promesso e a dare un rapporto di ciò che avevano visto.

I dodici partirono, esaminarono la situazione e ne rimasero meravigliati. In una vallata videro delle vigne magnifiche e addirittura staccarono un grappolo d’uva così grosso e monumentale che dovettero metterlo su una stanga per portarlo. Raccolsero anche fichi e melagrane. Tornarono dopo quaranta giorni e fecero il loro rapporto a Mosè.

“Noi arrivammo nel paese dove tu ci mandasti, ed è davvero un paese dove scorre il latte il miele ed ecco alcuni dei suoi frutti...”

“PERÒ (ecco l’atteggiamento negativo!) il popolo che abita il paese è potente, le città sono fortificate e grandissime, e vi abbiamo visto anche dei figli di Anac.” Ci sono gli Amalechiti, gli  Ittiti, i Gebusei e gli Amorei e Cananei… “tutta la gente è di alta statura e vi abbiamo visto anche i giganti, figli di Anac... di fronte a loro ci sembrava di essere delle cavallette e tali sembravamo anche a loro”. “Noi non possiamo salire contro questo popolo che è più forte di noi...” e convinsero il popolo a ribellarsi contro Mosè.

Non ci vuole niente per scoraggiare la gente. Con le loro critiche e le profezie di sciagure, alcune persone a volte riescono a mandare a monte dei progetti molto buoni, nelle chiese, nei condomini e nelle associazioni.

Ma non in questo caso, perché i progetti di Dio non crollano. Fra i dodici esploratori, c’erano due uomini di fede che la vedevano in un altro modo. Si chiamavano Caleb e Giosuè.

Caleb invece disse: “Saliamo pure e conquistiamo pure il paese, perché possiamo riuscirci benissimo...” e Giosuè cercò di convincere il popolo: “Il paese che abbiamo attraversato per esplorarlo è un paese buono, molto buono. Se il Signore ci è favorevole, ci farà entrare in quel paese e ce lo darà; è un paese dove scorre il latte e il miele. Soltanto non vi ribellate al Signore e non abbiate paura...”.

Per farla breve, la ribellione fu calmata, Dio non punì immediatamente i ribelli, rispondendo alle suppliche di Mosè. Essi, però morirono tutti nel deserto senza entrare nel paese promesso. Solo Caleb, Giosuè con le loro famiglie e i figli giovanissimi dei ribelli ci entrarono.

Le promesse di Dio sono vere, le sue benedizioni sono sicure e la forza per mandare ad effetto i piani di Dio ci verrà data. Come ha detto Caleb: “Possiamo riuscirci benissimo”.

Gesù ha ordinato di andare in tutto il mondo a predicare il Vangelo. Andiamoci, con la sua forza. Approfittiamo finché abbiamo la libertà di farlo, anche se i problemi non mancano.

La Parola di Dio dice di fare del bene a tutti senza stancarci. Facciamolo. Dice di vincere il male col bene. Vinciamolo. Ordina di servire con gioia e di non scoraggiarci, sapendo che la nostra fatica non è inutile.

Dopo tutto, come diceva il Salmista : “L’opera mia (nostra) è per il Re”. E quando il Re comanda, è meglio fare quello che dice!
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Qualcuno mi guarda! (Vivere bene 3)


“Oggi intendo rivelarvi il segreto per vivere una vita buona, equilibrata e efficace e soprattutto degna di chi afferma di appartenere alla famiglia di Dio” ha annunciato, anni fa, uno psicologo credente all’inizio di una sessione, durante un convegno a cui mio marito e io partecipavamo.

Ci siamo preparati a ascoltarlo come un oracolo, pensando che ci avrebbe rivelato chi sa che cosa. Il suo segreto era racchiuso in una frase molto semplice: “Se non è giusto, non lo fate”. Tutto lì?! Sì, tutto lì. Ma quanta sapienza conteneva!

Il versetto su cui ha basato tutto il suo ragionamento era: “Qualunque cosa facciate, in parole o in opere, fate ogni cosa nel nome del Signore Gesù, ringraziando Dio Padre per mezzo di Lui” (Colossesi 3:17).

Per fare qualcosa “nel nome” di qualcuno, bisogna essere stati investiti dell’autorità di uno, maggiore di noi, che ci ha affidato un incarico, un mandato, un messaggio da comunicare.  Un araldo, nel medioevo, comunicava gli ordini del signore o del Podestà della sua città, un ambasciatore parla in nome del Re o del Presidente che lo ha inviato come suo rappresentante in un paese straniero, un messo comunale porta un messaggio da parte del Sindaco della sua città. Nessuna di queste persone dice niente di suo o fa niente di propria inziativa. Se lo facesse, trasgredirebbe le regole.

Fare ogni cosa, in parola o in opera, nel nome del Signore Gesù significa parlare e operare come suo rappresentante, come suo ambasciatore e suo araldo. In poche parole, fare e dire quello che farebbe e direbbe Lui e che vuole che facciamo e diciamo.

Siccome Gesù non ha mai detto né fatto qualcosa di sbagliato, fare tutto nel suo nome, vorrebbe dire, come ha insegnato lo psicologo, “non fare una cosa se sappiamo che è sbagliata”. Una bella responsabilità!

Un altro modo di spiegarlo potrebbe essere: agisci e parla con la consapevolezza che Gesù è accanto a te e ti osserva. Anche questo è vero e, onestamente, ci si pensa poco. Ma Gesù, prima di tornare in cielo dal Padre, ha detto ai discepoli: “Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine dell’età presente”. Perciò è qui dove sono io e dove sei tu. Guarda quello che scrivo e guarda come tu lo leggi.

Quando siamo in compagnia di qualcuno che consideriamo importante, istintivamente, ci comportiamo meglio di quando siamo da soli. Se viene a visitarci una persona di riguardo, parliamo facendo attenzione a quello che diciamo, se dobbiamo accompagnare qualcuno che rispettiamo aumentiamo la nostra cortesia. Se vediamo una macchina della Polizia, facciamo attenzione alla velocità con cui guidiamo, se c’è un vigile nei paraggi, attraversiamo solo col verde, anche se non c’è traffico. Davanti a un estraneo sgridiamo i nostri bambini con più gentilezza e, se in ufficio c’è il capo, lavoriamo con più impegno. Normale, no?

Se tenessimo presente che Gesù è in cucina mentre cuciniamo, accanto al computer mentre lavoriamo, nel salotto quando mettiamo ordine dopo una serata passata con gli amici, nel bagno mentre facciamo pulizia, accanto al frigorifero, quando mangiamo qualcosa che ci piace, ma che ci fa male, per la strada quando guardiamo le vetrine dei negozi, al bar quando ordiniamo qualcosa da bere, molte volte il nostro atteggiamento sarebbe diverso.

Ci lamenteremmo meno, desidereremmo meno quello che non ci possiamo permettere, e brontoleremmo meno pensando a chi non ci aiuta. E ringrazieremmo molto di più il Padre Celeste per la forza che abbiamo, per la gioia di ospitare e di fare piacere a chi ci sta vicino. E faremmo attenzione a quello che mangiamo e beviamo. E compriamo.

Allora, per vivere bene e fare anche del bene agli altri, pensiamo a Colui che è invisibile e che, nel suo amore, non si allontana mai da noi e ci osserva. Alla prossima!
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Talis pater...


Vivere bene per fare del bene è importante.

La volta scorsa, ci siamo soffermati sul comando di Gesù di fare agli altri quello che vorremmo fosse fatto a noi. È un comando, che deve essere accompagnato da un buon esempio costante.  Se qualcuno ci imiterà sarà bello. Se non ci imiterà, pazienza! Avremo, però, fatto la cosa giusta.

Molti anni fa, ho partecipato a un corso di Teologia pastorale, che era un titolo pomposo di un corso su come come aiutare i credenti a progredire e a migliorare nella loro vita spirituale.

Un pastore evangelico con molta esperienza, cominciando la sua lezione sull’importaza del nostro esempio, ci ha raccontato che, in una chiesa in cui aveva servito, anni prima e in cui c’era l’abitudine di recitare il Padre nostro, ha proposto di recitarlo in prima persona. Ha cominciano con “Padre nostro che sei nei cieli ...” e poi ha guidato i credenti a dire: “Dammi oggi il mio pane quotidiano, rimettimi i miei debiti, come io li ho rimessi ai miei debitori, non mi esporre alla tentazione, ma liberami dal maligno”.

Una preghiera simile, secondo lui, avrebbe dovuto spingere a un profondo esame di coscienza, e avrebbe aiutato i presenti, tutti stagionati membri di chiesa, a capire l’importanza di vivere giustamente e, di conseguenza, di essere dei buoni esempi. Mica male, come idea, non vi pare?  

Alla fine del culto, una vecchia signora, gli ha stretto la mano e gli ha detto: “Mi è piaciuta la sua preghiera. Era ora che lei pensasse a lei stesso e non predicasse solo a noi!”.

Sia che ci capiscano o no, che ci seguano o no, è importante, per vivere bene col prossimo, essere dei buoni esempi. Onestà, cortesia, altruismo devono essere il nostro stile di vita, si spera, contagioso.

L’Apostolo Paolo diceva ai credenti: “Le cose che avete imparate, ricevute, udite e viste in me, fatele” e “Siate miei imitatori, come io lo sono di Cristo” (Filippesi 4:9; 1 Corinzi 11:1).

Una sfida simile, senza paragonarmi a Cristo, l’ho lanciata una volta ai miei figli, quando erano piccoli, riguardo a una certa cattiva abitudine che stavano prendendo: “Se mi vedete farlo, lo potete fare anche voi” ho detto. Quattro carabinieri, in missione speciale, non mi avrebbero sorvegliata di più!

Paolo deve avere avuto una vita irreprensibile se poteva esortare i credenti a imitarlo, come lui imitava Cristo! Ai credenti di Efeso ha addirittura detto: “Siate imitatori di Dio” (5:1) e a Timoteo ha fatto una bellisima esortazione: “Sii d’esempio ai credenti nel parlare, nel comportamento, nell’amore, nello spirito, nella fede, nella purezza” (1 Timoteo 4:11).       

Come genitori, nonni, amici, insegnanti, fratelli e sorelle di chiesa siamo osservati tutto il tempo. Siamo imitati nel bene e, purtroppo, anche nel male. A volte si possono riconoscere di chi sono figli certi ragazzi, non solo da una certa aria di famiglia, ma anche dal mondo in cui si comportano. Le figlie di madri pettegole, pettegolano. I figli di padri laboriosi, amano lavorare. Chi vive in una famiglia puntuale, ama arrivare in orario.

Mio marito, quando i figli erano piccoli, una volta tornato a casa dall’ufficio, dopo aver preso i figli a scuola, amava sedersi in camera a leggere il giornale sorseggiando un bicchiere di succo di frutta, mentre io preparavo il pranzo. Era un qualcosa che lo rilassava  gli faceva staccare un po’ la spina, prima del pasto in famiglia.

Un giorno, “sentendo” un certo silenzio preoccupante, di solito foriero di malanni, sono andata a sbirciare nella stanza dei ragazzi. Per fortuna, c’era calma e uno dei gemelli stava seduto con le gambe incrociate esattamente come il padre, con un bicchiere in mano, come il padre, mentre leggeva TEX.  L’unica differenza era il genere della lettura. Non ho potuto fare a meno di sorridere e di pensare al proverbio latino “talis pater, talis filius” e al proverbio “quale la madre, tale la figlia” che il profeta Ezechiele ha citato non in termini lusinghieri (16:44), per parlare della corruzione dilagante in Israele e nei paesi confinanti.

Quello che noi genitori facciamo si ripete nella condotta dei figli e, prima o poi, dei nipoti. O in bene o in male. Perciò è bene chiederci ogni giorno: che esempio stiamo lasciando?
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