Quasi in ogni casa c’è una Bibbia. Un Papa, se ricordo bene Giovanni XXIII, anni fa, aveva fatto perfino una campagna perché ce ne fosse una copia in ogni famiglia. E aveva sguinzagliato monache e laici a venderla e distribuirla nelle case.
Spesso alcuni me l’hanno mostrata, incastrata su uno scaffale della loro libreria. Altri con un certo orgoglio me ne hanno fatte sfogliare, invece, delle edizioni di lusso e illustrate.
Alla domanda se la leggevano, la risposta era di solito “no”.
Una Bibbia lasciata in uno scaffale, o sul comodino da notte, non serve a niente. Bisogna leggerla e meditarla, perché è tutta “ispirata da Dio e utile a insegnare, a riprendere, a correggere e a educare alla giustizia” (2 Timoteo 3:16).
Ne stiamo parlando già da più di due settimane e oggi si pone la domanda: che cosa vuol dire “educare alla giustizia”?
Educare vuol dire, secondo il dizionario, “portare metodicamente alla maturità intellettuale e morale e sviluppare e affinare mediante l’insegnamento e l’esercizio”.
Mi ha colpito quell’avverbio “metodicamente”, perché è molto appropriato. L’educazione non si fa a periodi, a sprazzi, o spinti dalle emozioni nei momenti di crisi. È un lavoro lento, costante, giornaliero e metodico. Precisamente!
Il profeta Isaia ha descritto come Dio ha istruito il suo popolo, purtroppo senza essere molto ascoltato: “La parola del Signore è stata per loro precetto dopo precetto, regola dopo regola, regola dopo regola, un poco qui e un poco là...” (28:13).
Quante volte abbiamo dovuto insegnare ai nostri bambini a dire “grazie” e “per piacere”, prima che l’istruzione diventasse per loro una regola ben incorporata? Decine, se non centinaia, di volte.
E quante volte abbiamo dovuto inculcare in loro i principi dell’onestà, della gentilezza e del vivere civile, dell’importanza di non spintonare o fare dispetti agli altri bambini? Contarle è impossibile.
Dio ci educa, ogni giorno allo stesso modo, dandoci metodicamente precetti e istruzioni (non consigli, come è “evangelicamente corretto” dire oggi) nella sua Parola e ammonendoci delle conseguenze delle nostre disubbidienze.
E, cosa interessante, ci rivela che certe cose, a cui non avevamo forse pensato, sono sbagliate (peccati!) e perciò da evitare. Per esempio, che non è giusto alzare la voce con rabbia, che non va bene mettere il naso nei fatti degli altri, che non è giusto essere condiscendenti verso i fannulloni, che non bisogna vantarsi della propria generosità, che chi è crudele fa male al suo stesso corpo, che Dio detesta i negozianti che imbrogliano sul peso. Dio vede tutto e tiene conto proprio di tutto!
Il salmista Davide pregava: “Chi conosce i suoi errori? Purificami da quelli che mi sono occulti” (19:13) e “Esaminami, o Dio, e conosci il mio cuore, mettimi alla prova e conosci i miei pensieri e guidami per la via eterna” (139:23,24).
La Parola di Dio è paragonata a uno stiletto che penetra nel profondo del nostro essere (Ebrei 4:12). Lasciamola penetrare anche se ci fa male.
È dolce al palato, ma può anche far male alla pancia, come ha raccontato Giovanni nell’Apocalisse. Nutriamocene e digeriamola, anche se, a volte, sarà un po’ indigesta.
E soprattutto pratichiamola, se vogliamo proseguire nel cammino della giustizia.
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