Chi non ama, odia?


Non esiste un popolo, da che mondo è mondo, che non si sia fatto un’idea di Dio. Non è merito dei popoli stessi, ma è proprio Dio che “ha messo nei loro cuori il pensiero dell’eternità”, come ha detto Salomone. E non esiste una persona, che, almeno una volta, non abbia pensato all’esistenza di Dio. L’apostolo Paolo ha parlato di questo “dio sconosciuto” che la gente intuisce come a tastoni, quando si è rivolto ai filosofi ateniesi, durante uno dei suoi viaggi.

Al popolo di Israele, il Signore si è rivelato in modo speciale e preciso, allo scopo che farne il suo testimone fra i popoli che lo circondavano e che, da sempre, avevano cercato di rappresentarlo con figure umane o di animali, a volte orribilmente spaventosi. Israele ha fallito miseramente, ha mancato alla sua vocazione, e si è lasciato piuttosto contagiare dai pagani, anziché portare loro la luce della verità.  

Dio vieta le rappresentazioni della divinità e lo ha detto a Mosè, nel dargli il secondo comandamento, oggi abbondantemente ignorato. Ha ordinato: “Non farti scultura né immagine alcuna delle cose che sono lassù nel cielo e quaggiù sulla terra o nelle acque sotto la terra. Non ti prostrare davanti a loro e non li servire, perché io, il Signore, il tuo Dio,  sono un Dio geloso; punisco l’iniquità dei padri sui figli fino alla terza e alla quarta generazione di quelli che mi odiano, e uso bontà, fino alla millesima generazione, verso quelli che mi amano e osservano i miei comandamenti” (Esodo 20:4-6).

Secondo molti studiosi, l’uso di immagini, che è molto diffusa anche oggi in certi ambienti del cristianesimo, non è altro che l’uso “cristianizzato” delle tradizioni pagane.

Dio è spirito e non è possibile rappresentarlo, anche se la Bibbia parla della sua mano, occhio, braccio. Quando lo fa, usa pedagogicamente delle similitudini, comprensibli a noi, per comunicare le emozioni e il carattere di Dio. Anche l’immagine di Gesù dovrebbe essere evitata. Noi non adoriamo l’umanità di Gesù, che è rappresentata comunemente col crocifisso o in varie pitture, ma la sua divinità e la sua gloria attuale, che non possiamo concepire né immaginare, e che la Bibbia afferma.

Esaminando con cura le parole del secondo comandamento, dette da Dio a Mosè, scorgiamo qualcosa di spaventoso, a cui non si fa molto caso. Coloro che si fanno delle immagini, le venerano, le servono, dimostrano di “odiare” Dio, anche se certamente lo negherebbero. Ma Dio li indica come “quelli che mi odiano”. È possibile?

Sì, perché se disubbidiamo a ciò che Dio ordina (qualunque cosa sia) è un segno che non lo prendiamo sul serio e non lo amiamo. “Se voi mi amate osserverete i miei comandamenti” ha detto Gesù. Se amiamo Dio, faremo quello che gli fa piacere e lo insegneremo agli altri.

Ma in che modo il nostro atteggiamento di ubbidienza a Dio può avere dei riflessi anche sulla relazione di Dio coi nostri figli, nipoti e pronipoti e il suo possibile “castigo” su di loro? Ognuno non risponderà di se stesso a Dio? Certamente. Ma se noi amiamo Dio, inculcheremo in loro il timore di Dio e il rispetto per la sua Parola. Il modo in cui li educheremo li influenzerà per la vita e il nostro buon esempio, se lo seguiranno, porterà dei buoni frutti. Pensiamo all’influenza che ha avuta su Timoteo la fede della mamma e della nonna (2 Timoteo 1:5) e alla promessa “i figli del giusto che cammina nella sua integrità saranno beati dopo di lui” (Proverbi 20:7)!

Proprio poco tempo fa, una mia vicina, che, umanamente, non potrebbe essere più cara e pronta a aiutare il prossimo e alla quale ho parlato da anni della salvezza in Cristo e della grazia che Lui ci offre, mi ha detto: “Come mi hanno insegnato, voglio rimanere”.

Spero che la sua non sia una decisione definitiva, ma nulla può farmi più tristezza del pensare alle conseguenze che una simile scelta, se mantenuta, porterà per lei, e potrà avere anche per i suoi figli e i nipoti che le vogliono molto bene e la rispettano.
 
Spero che tu non la pensi così, se ti hanno insegnato la menzogna.
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Gesù era intollerante?


Oggi la società adora due dei: la tolleranza e il benessere.

La tolleranza impone di accettare ogni religione, ogni ideologia, ogni opinione senza mai criticare. Chi critica o obietta è subito considerato bigotto e meschino. Di conseguenza, nel parlare bisogna fare attenzione a essere politicamente corretti, rispettare la “verità” di ognuno, anche se dicono due cose diametralmente opposte. Non azzardarsi mai a dire di essere certi e di credere a una verità obbiettiva a cui si fa riferimento. Fare diversamente significa essere oscurantisti.

Per questa ragione, la Bibbia è criticata e rifiutata a priori, anche da chi non l’ha mai letta, perché presenta un Dio autorevole e assoluto. Non è un Dio adatto ai nostri tempi in cui finalmente si pensa di avere capito che una religione vale l’altra, perché in ogni religione c’è del buono (non me lo aspettavo, ma me lo ha detto una mia vicina, che si dichiara fedelissima cattolica).

Ma il Dio della Bibbia dice: “Io sono il Signore, il tuo Dio... non avere altri dèi oltre a me” (Esodo 20:2,3). Questo è il primo dei dieci comandamenti dati da Dio a Mosè sul Monte Sinai. Di fronte alle usanze e culti dei vari popoli che gli Israeliti conoscevano, questo comando era assolutamente intollerante. Spesso portava a contese, a guerre e alla distruzione di popoli idolatri, delle loro immagini e dei loro luoghi di culto.

Il Nuovo Testamento non incoraggia nessuna guerra in nome della religione, ma Gesù non è stato meno intollerante dell’Eterno, suo Padre, quando ha parlato a Mosè. Anche Gesù non ha detto parole ecumenicamente concilianti. Per esempio ha dichiarato, senza mezzi termini: “Io sono la via, la verità e la vita; nessuno viene al Padre se non per mezzo di me” (Giovanni 14:6). Questa affemazione esclude ogni altro mediatore, ogni altra via per arrivare a Dio ed è assolutamente intollerante. O Gesù o niente salvezza.

Questo esclude, per esempio, sia l’ateismo e le ideologie che negano l’esistenza di Dio, sia ogni religione che incoraggi l’uomo a sforzarsi per ottenere il favore di Dio, seguendo certi riti, pratiche e precisi comportamenti morali. Cristo offre se stesso come unica via per arrivare a Dio. E lo fa a ragion veduta. Nessun altro è morto per espiare i peccati di tutti gli uomini e nessuno è risuscitato all’infuori di Lui.

L’altro dio che l’uomo adora è se stesso. Confida in se stesso, nella sua condotta, e nelle sue possibilità. Fa un dio di sé e delle potenzialità umane, cercando di soddisfare i propri desideri materiali, di raggiungere mète di benessere e di godimento sempre maggiori. Cerca di accumulare ricchezze e potere e vede in esse la felicità e, naturalmente, confida nella sua intelligenza e nella sua furberia per ottenerle. Se non ci riesce, invidia e odia chi ci è riuscito. Eppure Dio dice per bocca del profeta Geremia: “Maledetto l’uomo che confida nell’uomo e fa della sua carne il suo braccio, e il suo cuore si allontana da Dio” (17:5).

Se vogliamo piacere a Dio, come dovremmo ubbidire al primo comandamento?

Dobbiamo cominciare coll’ammettere che siamo peccatori senza scampo, e affidarci a Lui e all’opera compiuta da suo Figlio, Gesù Cristo, come unica speranza di salvezza. Il che significa riconoscerlo come nostro sovrano assoluto. In breve, dobbiamo sottometterci a Lui, conoscerlo, sceglierlo, in modo personale, come nostro unico Dio, e unica autorità, affidarci a Lui, adorandolo, amandolo, temendolo e ubbidendo alla sua legge. Questi atteggiamenti, così diversi da quelli delle masse, diventano il vero scopo della vita di coloro che, avendo creduto di cuore in Cristo, sono nati di nuovo e sono passati dalle tenebre dell’egoismo ignorante e dell’indifferenza, alla luce della verità di Dio.  
 
Tu, quale dio adori? È una domanda seria, che esige una risposta onesta.
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“Padre nostro...”


Mi hanno fatto una domanda: “Perché nella vostra chiesa non recitate il «Padre nostro»?  Non è la preghiera insegnata da Gesù? Nella mia chiesa lo recitiamo ogni domenica mattina”.

È una buona domanda che merita una premessa.

Tutto rischia, per colpa della nostra umanità, di diventare un’abitudine che crediamo essenziale e che, a forza di essere praticata, finisce per perdere il suo significato. A meno che non ci si metta anche il cuore nel praticarla. In alcune chiese si fa la Santa Cena ogni domenica, in altre una volta al mese, in altre si recita il Padre nostro. A me piacerebbe che ogni tanto, nella nostra, si recitasse il “Credo degli Apostoli”. Non lo facciamo. Ma so che in altre denominazioni si recita regolarmente, mentre molti dei Pastori e dei presenti non credono più neppure all’ispirazione della Bibbia.

Ma torniamo al “Padre nostro”. Non c’è dubbio che Gesù l’abbia insegnato, proprio dopo aver esortato a evitare “soverchie dicerie” o “troppe parole” nel pregare. La vecchia traduzione Diodati, se ricordo bene, diceva “vane ripetizioni”. Evidentemente il Signore voleva esortare a non pensare che le preghiere lunghe e ripetitive, fatte in pubblico, fossero più valide di quelle brevi (da ragazzina, pensavo che le mie preghiere fatte in francese, valessero di più!).

Certamente il Signore non ha voluto darci una preghiera da recitare, ma una specie di “schema” da seguire quando preghiamo, per aiutarci a non andare da Lui solo con una specie di “lista della spesa”, cioè un elenco di ciò di cui abbiamo bisogno, dimenticando la solennità della Persona a cui ci rivolgiamo.

Guardiamolo bene per vedere se siamo in grado di dire ciò che Gesù da detto.
Per cominciare, bisogna tenere conto del fatto che l’ha insegnato a dei “discepoli” cioè a dei credenti, che potevano chiamare Dio con l’appellativo di Padre.

“Il Padre nostro”, dunque, è riservato a chi ha accolto il Signore Gesù come Salvatore e ha creduto in Lui, ottenendo il diritto di far parte della famiglia di Dio. Questo risulta chiaro dal passo del Vangelo di Giovanni che afferma che si diventa figli di Dio credendo in Cristo (1:12), mentre lo stesso Vangelo (8:44) afferma che chi non ha creduto in Cristo è figlio del diavolo. Esaminando con cura questa preghiera “modello”, si comprende subito che solo dei veri credenti la possono pronuncare. Adesso, leggiamola insieme.

“Padre nostro che sei nei cieli.” Ci rivolgiamo al Dio creaore che è in cielo e in ogni luogo, e che è il Signore dell’universo. Ci crediamo davvero?

“Sia santificato il tuo nome.” Questo verbo significa dichiararlo santo, perfetto e puro. Unico Signore della nostra vita.

“Venga il tuo regno.” Un giorno, che Dio conosce, Gesù stabilirà il suo regno sulla terra e ne sarà il Signore assoluto. Allora “la sua volontà sarà fatta in terra come è fatta nei cieli.” Oggi il suo regno è solo possibile nel cuore dei credenti. Dicendo “venga il tuo regno” gli chiediamo di essere il Signore assoluto della nostra vita. Lo desideriamo davvero?

“Dacci oggi il nostro pane quotidiano.” Dio sa di cosa abbiamo bisogno materialmente e fisicamente. Dicendo “dacci oggi” dichiariamo la nostra dipendenza totale da Lui, senza mostrarci ansiosi per il domani, che gli appartiene.

“Rimettici i nostri debiti” (cioè perdonaci i peccati che commettiamo e che dimostrano la nostra totale indegnità e impossiblità di soddisfare la sua richiesta di perfezione), come anche noi li abbiamo rimessi ai nostri debitori (allo stesso modo con cui noi perdoniamo chi pecca contro di noi). Una richiesta che ci dovrebbe portare a un esame onesto e giornaliero dei nostri sentimenti verso il nostro prossimo.

“e non ci esporre alla tentazione, ma liberaci dal maligno.” È, questa, una richiesta di protezione dalle tentazioni, una confessione della nostra fragilità e incapacità di fare qualsiasi cosa buona senza il suo aiuto.

Il ”Padre nostro” è una confessione della santità di Dio, della nostra fragilità, della nostra dipendenza da Dio per ogni cosa. Farne la nostra preghiera, adorando e umiliandoci, non può farci che del bene. Ma facciamo attenzione che non diventi una “vana ripetizione” (oltre al fatto che le Scritture del Nuovo Testamento non dicono mai che i primi cristiani l’abbiano recitato). 
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Un cuore gioioso e generoso. Ce l’hai?


“Quando si mettono a prendere in braccio i bambini, è sempre un brutto segno” diceva un nostro vecchio amico di famiglia quando guardava in TV politici e religiosi che baciavano e accarezzavano i bambini fra la folla. “È pura demagogia. A quelli, dei bambini non importa niente”. Spero che non avesse ragione, ma è vero che, essendo cresciuta durante una dittatura, di demagogia e di esternazioni ne ho viste molte.

Però è un fatto che la voglia di mettersi in mostra e di farci vedere buoni e amorevoli ce l’abbiamo un po’ tutti. È molto difficile fare del bene, senza provare il segreto e inconfessato desiderio di essere notati. Che ne so, quando abbracciamo un poveretto un po’ sporco, o ci fermiamo a parlare con una persona limitata di intelligenza, o portiamo un regalo a qualcuno che è nel bisogno, non ci dispiace se qualcuno lo nota. La nostra vecchia natura carnale fa sempre capolino!

Gesù ha detto parole severe su chi vuole mettersi in mostra. Oggi non si tratta di un “MA IO VI DICO”, ma solo di un “IO VI DICO” pieno di autorità, che non riguarda l’antica legge di Mosè, ma la condotta morale di un seguace di Cristo.

A Gesù non sfuggiva nulla. Egli vedeva nel profondo dei cuori delle persone.  Notava sentimenti e intenzioni. Una volta, è detto che stava vicino al tesoro delle offerte nel tempio e osservava l’atteggiamento di coloro che vi mettevano del denaro. Vedeva il “quanto” e il “come”. Un po’ spaventoso, non vi pare(?), perché anche oggi Lui continua a osservarci e vede esattamente lo stato del nostro cuore.

Nel Vangelo di Matteo (6:1-4), per esempio, Egli parla di come si deve donare. “Guardatevi dal praticare la vostra giustizia davanti agli uomini, per essere osservati da loro... quando fai l’elemosina, non far suonare la tromba davanti a te, come fanno gli ipocriti nelle sinagoghe e nelle strade per essere onorati dagli uomini. IO VI DICO in verità che questo è il premio che ne hanno. MA, quando fai elemosina non sappia la tua sinistra quello che fa la destra, affinché la tua elemosina sia fatta in segreto e il Padre tuo, che vede nel segreto, te ne dia la ricompensa”.

Condividere ciò che abbiamo con chi è nel bisogno è importante, donare dei nostri beni per sostenere l’opera dell’evangelizzazione e provvedere il necessario per chi predica il Vangelo, come pure contribuire per il buon funzionamento della nostra comunità, non è solo un bene. È un ordine. Però è un gran male farlo per esere visti, lodati e riconosciuti come generosi.  

Molti anni fa, mio marito ed io abbiamo pensato a un progetto più grande di noi: mettere delle inserzioni evangelistiche sui settimanali secolari, come TV SORRISI E CANZONI, cioè la Guida TV, OGGI, SELEZIONE e L’ALMANACCO BARBANERA. Volevamo entrare nelle case di migliaia di Italiani col Vangelo e la pagina stampata, quando la TV non era ancora in tutte le case e anche la radio era poco usata dagli evangelici. Ci volevano molti soldi, che non avevamo, ma ci siamo buttati. Il Signore ha toccato molti cuori, ma un dono molto consistente, inaspettato e anonimo ci ha permesso di riempire una pagina di alcuni numeri di SELEZIONE con la buona notizia del Vangelo. Abbiamo sentito, tempo dopo, che quel dono era venuto da una vedova non ricca che ce lo aveva lasciato alla sua morte. Bello, no?

Chi dona per essere visto dagli uomini è ammirato, e forse invidiato, dagli uomini. Chi dona di cuore e per amore è apprezzato da Dio, il quale non rimane mai debitore. La Parola di Dio lo dice chiaramente: “Dia ciascuno come ha deliberato in cuor suo, non di mala voglia nè per forza, perché Dio ama un donatore gioioso... Colui che fornisce al seminatore la semenza e il pane da mangiare, fornirà e moltiplicherà la semenza vostra e accrescerà i frutti della vostra giustizia” (2 Corinzi 9:7,10). Una bella promessa.
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Guai a chi aggiunge o toglie...


Il vizio di aggiungere qualcosa alla Parola di Dio c’è sempre stato. Le aggiunte sono sempre pericolose, perché spesso travisano il significato del testo.

Potrei prendere, adesso, la palla al balzo e fare una lista di tutto quello che la Chiesa Romana ha aggiunto alla dottrina biblica, in nome della tradizione, e di come è riuscita a travisare il puro evangelo, ma mi basta sottolineare le parole di Gesù che hanno a che fare col “MA IO VI DICO” di oggi.  Eccole.

“Voi avete udito che fu detto: “Ama il tuo prossimo e odia il tuo nemico”, MA IO VI DICO...”.

Per amore di precisione nel Libro del Levitico (19:18), il versetto della legge di Mosè, citato dal Signore dice esattamente: “Non ti vendicherai e non serberai rancore contro i figli del tuo popolo, ma amerai il prossimo tuo come te stesso. Io sono il Signore”.  L’aggiunta “e odia il tuo nemico” era una pura e gratuita libertà dei rabbini.
Dio ha sempre insegnato a odiare il peccato, ma non il peccatore ed è esattamente ciò che fa Lui stesso da millenni. Il dono di suo Figlio per salvare i peccatori  ne è stata la prova suprema.

Col suo MA IO VI DICO, Gesù mette i puntini sulle i. “Ma io vi dico: “Amate i vostri nemici, benedite quelli che vi maledicono, fate del bene a quelli che vi odiano e pregate per quelli che vi maltrattano e vi perseguitano”. Altro che “odiate i vostri nemici”!

Notate il crescendo nelle parole del Signore: amate, benedite, fate del bene, pregate.
Si può amare passivamente, non facendo del male, non reagendo con rabbia, non meditando una vendetta. Ma non è necessariamente amore. Può essere solo prudenza o opportunismo.

Gesù ordina: “Amate” e spiega come questo amore si manifesta nella pratica. E da cosa comincia. “Benedite quelli che vi maledicono”, cioè “dite bene” di quelli che dicono male di voi. Qualche cosa di buono riguardo a chi ci fa del male si può sempre trovare. Ci vorrà uno sforzo, ma varrà la pena farlo. “Una parola dolce calma il furore” dice il Libro dei Proverbi. Spesso una parola conciliante fa miracoli.

Ma Gesù rincara la dose: “Fate del bene a quelli che vi odiano” . L’amore cristiano è attivo e agisce. A volte è duro praticarlo. Gesù ha lavato i piedi anche a Giuda e certo lo ha fatto con amore, anche sapendo quello che Giuda gli avrebbe fatto.

Una mia zia aveva una nuora che odiava. La nuora era una ragazza gentile, buona come il pane e allegra. La suocera, chissà perché, l’aveva presa in antipatia e la poveretta non ne poteva fare una di giuste. Quando la suocera si è ammalata, la nuora, però, l’ha curata per mesi in maniera esemplare, senza essere mai ringraziata. Quello era vero amore operante!

“Pregate per quelli che vi maltrattano e vi perseguitano”. Si può pregare molto sbagliatamente per chi ci fa del male, chiedendo a Dio di punirli, di far ricadere su loro il male che fanno. Invece, si può pregare “bene”, chiedendo il bene di chi ci fa del male, dopo avere perdonato ciò che ci hanno fatto.

E il Signore conclude,  “...affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli” cioè dimostriate che siete dei veri figli di Dio, simili a Lui. Infatti, Dio è buono e lo dimostra “poiché fa levare il suo sole sui malvagi e sopra i buoni  e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti”.

La conclusione di Gesù lascia senza parole: “Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste”. Non è un’optional. È un ordine.

Se non siete ancora convinti di aver bisogno di una “nuova nascita” e di una “nuova natura”, per potervi avvicinare agli standard di Dio, non so cosa di più potebbe dirvi Gesù.  Pensateci.

Parleremo ancora alcune volte di altri “ma” di Gesù. Ciao!
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Occhio per occhio, dente per dente


“Voi avete udito che vi fu detto: Occhio per occhio e dente per dente” ha continuato Gesù, parlando ai discepoli sul monte. Ha citato una legge data da Dio a Mosè, legge che si trova nel Libro del Levitico 24:20. Lo ha fatto per limitare le rappresaglie e legislare sulle punizioni, quando avvengano delle violenze.

Le violenze cominciarono subito dopo l’ingresso del peccato nella razza umana. Un figlio di Adamo, Caino, uccise suo fratello Abele. Uno dei suoi diretti discendenti, Lamec, continuò la catena delle vendette, vantandosene. Alle sue due mogli disse: “Ada e Zilla, ascoltate la mia voce, mogli di Lamec, porgete ascolto a ciò che dirò! Sì, ho ucciso un uomo perché mi ha ferito e un giovane perché mi ha contuso!”. Non c’è mai moderazione in chi vuole vendicarsi. Perciò, al tempo di Mosè, Dio stabilì delle regole precise, spesso anche molto severe.

È giusto che chi è violento sia punito e paghi per il male che ha fatto, ma in giusta misura.  

Dopo avere citato la frase “occhio per occhio”, Gesù aggiunse il suo “MA IO VI DICO”, insegnando: “Non contrastate il malvagio” e aggiunse dei comandi incredibili. Disse che se uno ti dà uno schiaffo non devi ricambiare, ma permettergli di dartene un altro. Se uno ti vuole prendere la giacca devi dargli  pure il tuo cappotto, a chi ti vuol far fare con lui un chilometro di strada (portandogli il bagaglio, come spesso esigevano i soldati romani), fanne due. Insomma, si deve aiutare chi è nel bisogno senza lesinare. 

Stava scherzando? No. E neppure stava proclamando un’amnistia generale. In quel caso,  avrebbe potuto, per esempio, liberare il ladro che moriva sulla croce accanto a Lui dopo averlo perdonato, ma non lo fece. Sarebbe stato un gran miracolo, ma non lo ha fatto. Se quello aveva infranto la legge della società, doveva pagare.

Gesù voleva piuttosto insegnare ai suoi seguaci la mansuetudine. A comportarsi esattamente come avrebbe fatto Lui davanti a chi lo giudicava ingiustamente. Non per nulla ha detto: “Imparate da me che sono mansueto e umile di cuore”.

La giustizia non è di questo mondo e molto spesso è meglio subire un torto che accendere la miccia di una contesa. Soprattutto mai ci dobbiamo fare giustizia da soli. Ci sono poliziotti, magistrati e giudici, i quali sono incaricati di mantenere l’ordine e punire chi fa il male. L’apostolo Paolo ha scritto che sono autorità costituite da Dio e non tengono la spada inutilmente.

Ma nelle relazioni umane è importante cercare di vivere in pace, il che significa a volte... abbozzare. Il cristianesimo non è una religione facile da praticare. Va contro la nostra natura (per fortuna Dio ce ne vuol dare una nuova!). Non è per per i deboli e gli smidollati.

Ci vuole molta più forza per subire un torto, senza cercare una rivalsa, per amore di pace, che protestare e farsi le proprie ragioni e cercare rivincite. Ci vuole più forza di volontà e determinazone per vincere il male facendo il bene, che per essere vinti dal male. Per questo, basterebbe lasciare libera la nostra natura.

Un versetto dei Proverbi mi piace molto: “È una gloria per l’uomo (e la donna!) l’astenersi dalle contese, ma chiunque è insensato mostra i denti” (20:3). Non è facile da praticare, ma ne vale la pena. Proviamoci. 
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Assolutamente sì. O no?


Avete notato come anche il linguaggio cambia con la moda? Oggi, per esempio, usa dire: “Assolutamente sì”, mentre fino a un po’ di tempo fa, bastava dire sì. Quell’“assolutamente” fa molto “in” perché suona come un’affermazione simile alla legge dei Medi e dei Persiani.

Gli Ebrei, al tempo di Gesù, avevano una casistica di giuramenti da paura. Gesù ha detto loro: “Fu detto dagli antichi: Non giurare il falso; dà al Signore quello che gli hai promesso con giuramento”. MA IO VI DICO: Non giurate affatto, né per il cielo, perché è il trono di Dio, né per la terra, perché è lo sgabello dei suoi piedi, nè per Gerusalemme... Non giurare neppure per il tuo capo...”.

Io ho sentito giurare “sul mio onore”, “sulla testa dei miei figli”, “sulla tomba di mia madre”. Veramente, a volte, c’era da ridere, perché sapevo che non erano sinceri.

“Il vostro parlare sia” ha detto Gesù: “Sì, sì, no, no; poiché il di più viene dal maligno”. Che cosa voleva significare? Molto semplicemente: “Quando parlate, dite la verità”.  

Dite la verità ai vostri figli, al marito, al cliente, al datore di lavoro, all’operaio, al professore.

Viviamo in un mondo di bugiardi, che divide fra bugie gravi, bugie rosa, bugie bianche, bugie di covenienza. Le bugie sono bugie. Punto e basta. E la verità non è né mia, né tua: è ciò che è vero.

Uno dei miei figli, quando aveva forse otto anni, mi ha detto: “Mamma, tu mi hai sempre detto la verità, ma quella volta hai detto una bugia” e mi ha snocciolato esattamente in che cosa gli avevo mentito. Era una stupidaggine, ma lui se n’era accorto. Gli ho chiesto perdono e lui, magnanimamente, mi ha perdonata. Ma da allora sono stata in campana.

È importante dire la verità, anche se costa, se fa male, se è dura.

Le bugie possono fare comodo, a volte. Ma poi, come dice il proverbio, hanno le gambe corte. Come quelle dell’idraulico che poi non viene come ha promesso o quelle dell’amico che dice: “Non ti preoccupare, ci penso io” e poi non ci pensa.

Le peggiori sono le bugie dette “a fin di bene”. Alcune mie amiche sono morte di cancro. Lo sapevano e ne abbiamo parlato, abbiamo pregato insieme, pensato al cielo e alla vita etena con Gesù. Eravamo tristi, da un lato, ma limpide. Non c’erano barriere fra noi e eravamo  felici perché, per i credenti, la morte non è un “addio per sempre”, ma un “arrivederci”:

Ricordo invece una bambina di dodici anni, bella e malata di tumore. Sono andata a trovarla all’ospedale e la mamma, la sorella maggiore e tutti i parenti mi hanno detto: “Faccia attenzione, perché non sa nulla”.   

Non ho detto nulla e durante tutte le altre visite, c’era sempre un parente accanto al letto come un carabiniere. Quando la ragazzina era ridotta a pelle e ossa, l’hanno mandata a casa. Non c’era più speranza, ma i parenti continuavano a mentire “per farla morire contenta”. Non erano credenti e non sapevano cosa dire.

Ho chiesto a Dio di darmi una possibilità di parlarle di Gesù e della salvezza. Onestamente la mia fede era poca. Invece, la mia ultima visita è stata un miracolo. Mentre ero con la bambina, perfettamente cosciente, ma debolissima, qualcuno ha suonato alla porta. I parenti sono spariti d’incanto. Dio mi dava un momento con lei.

Le ho detto: “Cara, vedo che stai molto male...

“Lo so, sto per morire, ma tutti mi dicono di no... Ho un po’ paura...” mi ha detto la bambina.

Le ho mostrato la figura di un pastore con un agnello fra le braccia, e le ho spiegato che Gesù è il buon Pastore, morto per lei sulla croce per poterla portare in cielo e tenerla con sé per sempre. Aspettava solo che lei gli aprisse il suo cuore e gli chiedesse di salvarla”.

“Gesù, vieni nel mio cuore e sii il mio Salvatore...” ha detto senza esitare un momento. E mi ha sorriso con un po’ di complicità. Ho ringraziato il Signore con lei!

Non ci crederete, ma, dopo pochi minuti, alcuni parenti sono tornati accanto al suo letto, e due giorni dopo la ragazzina era in cielo.

Sono felice di non averle detto delle bugie “a fin di bene”. 
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