Parlando di lavoro e di darsi da fare vi ho fatti un po’
arrabbiare. Mi dispiace, ma consolatevi: col nuovo soggetto che sto per
trattare, vi farò sentire tutti in colpa.
Però la prima a esserlo sarò io!
Voglio toccare il soggetto dell’uso della nostra lingua. No,
non voglio fare una lezione sull’italiano, che stiamo un po’ tutti massacrando, a forza di parole inglesi
italianizzate, neologismi e di licenze nell’uso dei verbi (tutte cose che fanno
male ai puristi, ma che, grazie a Dio, non danneggiano nessuno).
Voglio parlare di quel piccolo muscolo che sta nella nostra
bocca e che Giacomo, il fratello di Gesù, nella sua lettera, assomiglia a una
scintilla che può provocare un incendio, al morso che può frenare un cavallo e
al timone che dirige una nave. È un muscolo che usiamo più di ogni altro e che
esprime esattamente quello che siamo dentro.
Salomone, nei suoi Proverbi, ne parla moltissimo. Sia in
bene, sia in male.
Cominciamo dal bene.
“La sofferenza del
cuore abbatte l’uomo, ma la parola buona lo rallegra” (12:25).
“La risposta dolce
calma il furore...” “Uno prova gioia quando risponde bene; è buona la parola
detta a suo tempo”, “i pensieri
malvagi sono in abominio al Signore, ma le parole benevole sono pure ai suoi
occhi” (15:1,12,16).
“Le parole gentili
sono un favo di miele; dolcezza all’anima, salute alle ossa” (16:24).
“Le parole dette a
tempo sono come frutti d’oro in vasi d’argento cesellato” (25:11).
La donna perfetta, descritta nei Proverbi, “apre la bocca con saggezza e ha sulla
lingua insegnamenti di bontà” (31:26).
Non c’è niente che faccia tanto bene quanto una parola
gentile. Può cambiare tutto in una giornata.
Salomone la paragona a argento scelto (10:20), a un buon
nutrimento (10:21), e afferma che porta frutto (10:31).
Ricordo certe giornate nere, quando i figli erano piccoli. Giornate
in cui tutti si mettevano d’accordo per farti perdere la testa. Uno versa il
latte sulla tovaglia fresca di bucato, un altro decide di tirare i capelli alla
sorellina, che si mette a urlare come la sirena di un’ambulanza, un terzo se la
fa sotto. E così via, con capricci, lagne, baruffe. Roba da farti dare le
dimissioni.
Ricordo anche le molte volte in cui, quando ancora guidavo
la macchina, sono tornata a casa con una strisciata sullo sportello e un bozzo causato
da una curva presa male. E ricordo anche il giorno in cui ho rotto un vaso
abbastanza di buona qualità e, per giunta, anche “caro ricordo di famiglia”.
Ma cosa c’entrano questi ricordi con i proverbi di Salomone?
C’entrano, perché NON ricordo una volta in cui, dopo uno dei miei disastri, mio
marito, non mi abbia stretta fra le braccia e non mi abbia consolata con una
parola gentile.
In quei momenti, non solo mi sono sciolta dalla riconoscenza,
ma anche si è rasserenato il mio cielo nuvoloso. Veramente: “Quanto è buona una parola detta a tempo!”
(Proverbi 15:23).
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