Una proposta per concludere l’anno


Fra due giorni, diremo addio al 2011 e sentiremo una volta di più le solite frasi fatte, tipo “anno nuovo vita nuova”, “buona fine e miglior principio” e simili.

Mi pare che sarebbe bello chiudere l’anno vecchio e iniziare quello nuovo, adorando Dio o in famiglia o con amici e pensando non tanto alla sua provvidenza passata e ai nostri buoni proponimenti per l’anno nuovo, quanto proprio a quello che Egli è. È importante essere riconoscenti a Dio e proporsi di fare meglio, ma è ancora più importante conoscerlo per potergli assomigliare.

Vogliamo provare a fare un piccolo elenco? E proporlo a chi sarà con noi alla fine dell’anno per favorire l’adorazione?

Il nostro Dio è...

... eterno. Senza fine e senza principio. Buono, giusto e santo da sempre.

... immutabile. Senza capricci, senza momenti di collera improvvisa e ingiusta.

... santo, senza peccato, puro, abita in una luce inaccessibile. Assolutamente separato dal peccato. Così puro che io posso avvicinarmi a Lui, solo coperta, nascosta, rivestita della giustizia acquistata da Cristo sulla croce. Il suo sangue ha pagato ogni mia iniquità.

... buono, di una bontà che non ha niente di umano, di egoista e autogratificante. Una bontà che non fa preferenze, che non è mai ingiusta, che non cerca il suo tornaconto, che è perfettamente equibrata con la sua santità. Buono al punto di avere, da tutta l’eternità, designato suo Figlio come Redentore e Salvatore di chi crede in Lui.

... giusto, perfetto, senza favoritismi, incapace di mentire, di preferire qualcuno a scapito di un altro, intollerante del peccato, ma pronto a perdonare chi riconosce il suo peccato, lo confessa e si ravvede.

... sapiente, depositario di tutta la sapienza e conoscenza. Quindi: onnisciente. Capace di vedere ogni cosa nella sua essenza e nella sua giusta luce, di scrutare ogni mio segreto. E quindi di giudicare, valutare tutto in modo perfetto. Quando un giorno giudicherà, nessuno potrà fare obiezioni.

... onnipresente. Capace di essere ovunque in qualsiasi momento, di non perdermi mai di vista.

... fedele. Mantiene le promesse eterne e non le rinnega mai. Le adempie al momento giusto.

... verace. Non ha detto, non dice e non dirà mai il falso.

... paziente. Non punisce immediatamente chi pecca, ma aspetta che si penta. Non  aspetterà, però, all’infinito.

... verificabile in vari modi. Nella meraviglia della sua creazione, nella Persona di Gesù che ha detto “chi ha visto me, ha visto il Padre” (Gesù, sulla terra, rifletteva le qualità e l’essenza del Padre) e nella sua Parola scritta.  

Perciò, alla fine di questo 2011, fermiamoci e ascoltiamo le parole ispirate di Mosè e di Davide: “Porgete orecchio... Magnificate il nostro Dio! Egli é la rocca, l’opera sua è perfetta, poiché tutte le sue vie sono giustizia. È un Dio fedele e senza iniquità. Egli è giusto e retto”  (Deutronomio 32:1-4).

“Io ti esalterò, mio Dio e mio re e benedirò il tuo nome per sempre. Il Signore è degno di lode eccelsa e la sua grandezza non si può misurare... il Signore è misericordioso e pieno di compassione, lento all’ira e di gran bontà...” (Salmo 145:1,3,8).

Un Dio così DEVE essere adorato!
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Se non conosci qualcuno...


Lo diceva un operaio a rischio di licenziamento, intervistato in TV. Diceva una grossa verità. L’Italia è un paese di raccomandazioni. Se non conosci qualcuno o non sei parente di qualcuno (ma qualcuno che davvero conta!) hai poche speranze di trovare lavoro e sistemarti per la vita.

Ma ti devi anche raccomandare al bidello perché tenga un occhio su tuo figlio e lo protegga dal bullo della classe, ti devi raccomandare all’infermiere perché accompagni al bagno il nonnetto smemorato, a un medico perché ti trovi un letto all’ospedale e non ti lascino per giorni su una barella al pronto soccorso. Naturalmente, la raccomandazione funziona se è accompagnata da un incentivo convincente.

Altrimenti, l’infermiere ti risponde, come è successo a me: “Se suo marito cade, lo tiro su”. Gli avevo solo chiesto, anni fa, durante un ricovero all’ospedale, di aiutarlo se vedeva che perdeva l’equilibrio, quando scendeva dal letto.

L’abitudine di chiedere raccomandazioni, secondo me, deriva direttamente (o lo ha determinato?) dall’insegnamento della Chiesa Romana.

Dio non ha tempo di ascoltarti, ti dicono; è troppo occupato con gli affari del mondo, per occuparsi di una creatura come te. Devi avere l’intercessione di qualcuno potente in Paradiso, come la Madonna, o un santo potente (meglio se di recente santificazione, come Padre Pio). Se no, c’è poco da sperare. Perciò, rivolgiti a chi vuoi e ti attira di più e vai avanti a forza di messe, oblazioni, pellegrinaggi, offerte, preghiere  e opere meritorie.

Ma quando mai si sente parlare dell’unico Mediatore e Intercessore, Gesù Cristo? Eppure  la Bibbia parla molto chiaro. Ascoltiamola, perché ha molto a che fare col nostro soggetto di come pregare nel modo giusto.

“Vi è un solo Dio e anche un solo Mediatore fra Dio e gli uomini, Cristo Gesù uomo, che ha dato se stesso come prezzo di riscatto per tutti...” (1 Timoteo 2:5).

“Avendo dunque, fratelli, libertà di entrare nel luogo santissimo (cioè nella presenza di Dio), per mezzo del sangue di Gesù, per quella via nuova e vivente, che Egli ha inaugurata per noi attraverso la sua carne, e avendo noi un grande sacerdote sopra la casa di Dio, avviciniamoci con cuore sincero e con piena certezza di fede... Manteniamo ferma la confessione della nostra speranza senza vacillare, perché fedele è Colui che ha fatto le promesse..” (Lettera agli Ebrei 10:19-23).

Non è possibile avvicinarci a Dio in preghiera senza capire la nostra fragilità e indegnità e senza credere fermamente che l’unico nostro mediatore è Il Signore Gesù Cristo. Egli è l’unico che è morto per i nostri peccati ed è stato risuscitato da Dio per la nostra giustificazione.

Lui stesso ha detto: “IO sono la via, la verità e la vita; nessuno viene al Padre se non per mezzo di me”. Questo non riguarda solo la nostra salvezza eterna, ma anche la nostra comunione giornaliera e costante col Padre su questa terra e la possibilità di parlare con Lui in qualsiasi momento. 

Parleremo ancora di come pregare nel modo giusto per alcune settimane. Alla prossima!
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Signore, come mai ti curi di me?


Se siete come me, pregate poco. Troppo poco.  E non solo troppo poco, ma anche pregate male. Io me ne rendo conto molte volte.

Comincio a pregare e la mia mente corre a pensare alla lista delle cose che devo fare e mi distraggo. So che le ho tutte scritte su un pezzo di carta, ma non mi pare che basti. Mi metto a pensare dove ho messo quel pezzo di carta. Ah sì, sul tavolo di cucina!  E mi sono già distratta. E riprendo a pregare.

Mi capite? Ho paura di sì.

Prego per i miei cari e li nomino uno per volta. In quello stesso momento, la mia mente si comincia a preoccupare: un tale figlio ricorderà di prendere le sue medicine? Quella nipote mi dà pensiero perché non mi pare che studi con sufficiente serietà... e quell’altro come mai non si fa sentire... Viviamo in tempi difficili, le ragazze faranno attenzione a con chi escono?  Grazie, Signore, per quel nipote che ha un cuore così tenero...

La preghiera è un grande mistero: io sono qui nel mio studio, nella mia cucina, in macchina o al lavoro. Dio è in cielo, è dappertutto, ha promesso di esaudirmi, ma qualcosa ancora mi manca e forse mi mancherà fino a che sarà su questa terra. Se  non sono veramente soddisfatta della mia vita di preghiera, è chiaro che devo imparare a pregare meglio.

Non solo: devo imparare con quale atteggiamento devo avvicinarmi. Devo capire meglio chi sono io e chi è Lui. A questo punto, la Parola di Dio mi può aiutare.

Il Salmista Davide era stato un pastore da giovane e, certo, nelle campagne della Palestina, mentre osservava le sue pecore, avrà visto i prati coperti di fiori in primavera, i cieli azzurri, le nuvole che solcavano gli spazi infiniti. Di notte, poi, vedeva il cielo buio trapuntato di stelle e attraversato dalla via lattea. Guardava la luna che sembrava un piatto d’oro bagnato nell’argento e il suo cuore esplodeva: “Quando io considero i tuoi cieli, opera delle tue dita, la luna e le stelle che tu hai disposte, che cosa è l’uomo che tu lo ricordi? Il figlio dell’uomo che tu ne prenda cura?... O Dio, Signore nostro, quant’è magnifico il tuo nome in tutta la terra” (Salmo 8:3,4,9).

Quando mi avvicino a Dio in preghiera, devo essere consapevole della sua immensa grandezza e della mia nullità e peccaminostà. Egli è il  Creatore e io sono una sua creatura. È vero che in Cristo sono redenta, salvata, benedetta, figlia di Dio, ma sono sempre e solo una peccatrice salvata per grazia.

È una grazia se posso avvicinarmi a Dio, se posso rivolgergli la parola, se gli posso offrire la mia adorazione, se posso dirgli: “Signore, ascolta il mio grido, siano le tue orecchie attente al mio grido di aiuto! Se tieni conto delle mie colpe, Signore, chi potrà resistere? Ma presso di te è il perdono...  presso il Signore è la misericordia e la redenzione abbonda presso di Lui...” (Salmo 130:2-4,7).

Io sono nulla. Lui è tutto. Ma mi ama e mi accoglie, nonostante tutto. Quando mi avvicino a Lui in preghiera, lo devo sempre tenere presente. Ne parleremo ancora. 
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Oggi sono in vena di confessioni


Chi mi conosce e legge i miei post ha capito ampiamente che sono vecchia. Lo ha capito soprattutto dal fatto che spesso parlo dei miei ricordi di bambina e di avvenimenti “antichi” come li chiamavano già i miei figli quando erano piccoli.

Sono così vecchia che ho visto Mussolini con le mani sui fianchi, in piedi nella macchina, passare nelle vie deserte di Genova, mentre le prigioni di Marassi erano piene di antifascisti. Ho visto anche il Duca Amedeo d’Aosta, alto più di due metri che prendeva il caffè al bar a Gorizia. La mia maestra non era giovanissima ed era figlia di uno che aveva fatto le guerre con Garibaldi. Fate un po’ i calcoli...

Come se non bastasse, ho visto anche Vittorio De Sica da giovane, nello stabilimento balneare dove io imparavo a nuotare, nonché alcuni tram tirati da cavalli. Naturalmente, ho viaggiato sui treni in cui c’erano la 1.a classe (coi divani di velluto rosso, a volte infestati dalle cimici grasse e pasciute di sangue di gente “bene”, la 2.a, coi divani grigi a righine nere, e la 3.a classe con le panche di legno (durette!). Molte locomotive andavano ancora a vapore e io mi divertivo a soffiarmi il naso e vedere il moccio nero nel fazzoletto.

Tutta questa introduzione, per dire che ora godo la mia vecchiaia, in un tempo in cui si fa di tutto per ignorarla. Si consigliano creme a trattamenti antirughe che “sfidano l’età” (le uso anch’io e la mattina, quando mi vedo allo specchio, mi rendo conto che non sfidano un bel niente). Si raccomandano diete, soggiorni in centri di benessere e i medici di chirurgia plastica fanno soldi a palate. I capelli si tingono e si trapiantano, le rughe si stirano col botulino e certe donne, per nascondere la loro età, spesso si vestono come ragazzine.  

Ve lo dico io che “vecchio è bello”, se si prende dalla parte giusta. Come?

Prima di tutto, mettendo Dio e il dono della sua salvezza, per mezzo della fede in Cristo, come priorità assoluta della vita. Senza questa speranza, la vecchiaia deve essere incredibilmente dolorosa e lugubre.

Poi preparandosi alla vecchiaia quando si è ancora giovani e godendo quello che si ha senza sprecarlo o buttarlo via nell’ozio o, peggio, nel fumo, nell’alcool e nella droga. Troppi ragazzi lo fanno, pensando: “A me non può fare male, perché posso smettere quando voglio”. Ma è raro che smettano. Anzi, peggiorano. 

L’Ecclesiaste, il predicatore che ha scritto un libro dell’Antico Testamento, ha incoraggiato i giovani che hanno davanti a sé la vita, a goderla e a viverla pienamente, ma anche a ricordare che Dio gliene chiederà conto. E non sarà indulgente.

Perciò se Dio ti ha dato salute, proteggila e non trattare male il tuo corpo, mangiando troppo e male. Invece, diventa sempre più forte, curandoti bene. Di giovani obesi ce ne sono troppi.

Dio ti ha dato un buona mente? Mettici dentro roba buona, non smettere di imparare.
Dio ti ha dato talento artistico? Coltivalo.

Sai usare bene le tue mani per lavorare? Datti da fare. Da vecchio tutto ti sarà utile e ti tornerà alla mente e ti farà del bene.

Io ho avuto la benedizione di studiare con dei professori magnifici (purtroppo alcuni sarebbe stato anche meglio perderli!) e ricordo ancora molto di quello che ci hanno insegnato. Uno, al liceo, ha deciso di fare di noi degli scrittori. E alcuni di noi lo sono diventati. Miriam Mafai, per una.

Dopo i vent’anni, ho ascoltato gli insegnamenti di uomini di Dio come Pache, Schaeffer e Martin Lloyd Jones. E pure Hallesby e John Stott. Che benedizione! Ho ancora alcuni quaderni di note che ho prese mentre spiegavano la Parola di Dio. Un bel tesoro.

Perciò, dammi retta. Sàturati la mente di roba buona e soprattutto immagazzina più Bibbia che puoi. Dei buoni insegnanti circolano anche oggi. E libri utili anche.

Concludendo, “vecchio è bello” e sarà bello, se non sei stato uno scemo da giovane e non hai sprecato i tuoi anni migliori, quando la tua mente era come una spugna assetata e funzionava. Altrimenti, ti assicuro che, da vecchio, sarai triste, scoraggiato e, probabilmente, ... insopportabile.  
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Vorrei, ma...

L’ultima domanda del nostro “inquisitore” che ci ha aiutati a fare l’inventario di fine anno è...

  • Ho la tendenza a diventare pigro e sciatto?

Ha finito, la volta scorsa, con l’esortazione a discernere fa operosità e attivismo, e adesso, il suo pendolo va dalla parte opposta e tocca il tasto della pigrizia. Non gli sfugge proprio niente!

Il Libro dei Proverbi ha molto da dire su questo soggetto e considera la pigrizia un grosso difetto che può portare a conseguenze gravi.

Dice, per esempio, che la pigrizia sarà causa di povertà, e questo è logico, che la condotta del pigro è come un sentiero di spine, che dare un incarico a un pigro è come avere il fumo negli occhi e che il pigro prende in mano un boccone e fa perfino fatica a portarselo alla bocca. La Bibbia può essere anche spiritosa!

Tutti, per un verso o per un altro, siamo pigri. La mia pigrizia è totale quando si tratta di cucire un bottone. Forse per te lo è quando si tratta di decidere di mettere ordine in uno di quei cassetti in cui va a finire tutto quello che non vogliamo buttare, ma che non sappiamo dove mettere.

Per gli studenti spesso la pigrizia si manifesta quando è l‘ora di fare i compiti e sparisce quando è il momento della partita da guardare in TV. Per le ragazze si dilegua quando sono sulla poltrona del parrucchiere e diventa mortale quando si tratta di farsi il letto o di appendere i vesiti nell’armadio.

Una pigrizia che non sopporto è quella che accompagna la disubbidienza. La vedo in troppi ragazzi. E vedo troppi genitori che la sopportano come un male ineluttabile.

“Hai fatto i compiti?” chiede la mamma. “No, ma adesso li faccio” risponde il figlio, che non solo non li fa, ma dopo mezz’ora è ancora spamparacchiato sul sofà e manda messaggini e foto agli amici col telefonino.

“Hai fatto i compiti?” insiste la mamma. “No, ma ora li faccio” è la risposta. Se stesse in me, quel telefonino sarebbe confiscato fino a data da destinarsi.

Però la peggiore pigrizia (e un po’ ce l’abbiamo tutti) è quella che si impadronisce di noi la mattina, quando si tratta di alzarsi per leggere la Bibbia e pregare, prima di cominciare le attività della giornata, prima che si sveglino i bambini e prima che la casa si metta in moto. Allora, pensiamo che siamo stanche, che siamo andate a letto troppo tardi, che la giornata, che ci sta davanti, sarà piena e pesante e che leggere la Bibbia tutti i giorni puzza terribilmente di legalismo ed è una pura ipocrisia, se non è fatto con gioia e entusiasmo.

Invece, è la vitamina necessaria per affrontare la giornata protetti contro gli attacchi del diavolo e un aiuto per riuscire a funzionare con le priorità in ordine.

“Ma posso pregare in qualsiasi momento della giornata!” mi dice qualcuna. “Non è necessario che lo faccia, seduta in camera e a una certa ora! Posso farlo anche mentre guido e porto i bambini a scuola, prima di cominciare il lavoro... “Non cessate mai di pregare” dice la Bibbia...” 

È vero: c’è un versetto per tutto. Ma, mettendoti una mano sulla coscienza, mi puoi dire quanto lo fai? Davvero puoi pregare mentre due ragazzini, sul sedile posteriore, litigano su chi ha avuto il cornetto più grande per colazione? E, per di più, il traffico è pesante e rischi di arrivare tardi sia a scuola sia in ufficio? Se sei come me, che di ragazzini ne ho portati in macchina quattro per molti anni, ti dico che in macchina hai pregato poco! 
Molto meglio tirare fuori quei due piedi da sotto le coperte, farti un caffè e cominciare la giornata col Signore.

Lasciamo l’ultima parola all’apostolo Paolo: “Quanto allo zelo non siate pigri, siate ferventi nello spirito, servite il Signore, siate allegri nella speranza, pazienti nella tribolazione, perseveranti nella preghiera”. Un buon programma per finire l’anno e cominciare il prossimo.
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Ho tanto da fare!


Mia mamma aveva due conoscenti, madre e figlia, che venivano ogni tanto a prendere il tè con lei.  Erano svedesi e a me, che avevo circa sei anni e che ero piccola di statura, sembavano alte come il campanile del Duomo. Quello che mi colpiva era che la figlia portava sempre le calze bianche di cotone e le scarpe nere col passante (le caviglie erano immancabilmente sbaffate di lucido nero), e che la madre diceva sempre sospirando che aveva avuto tanto da fare. Nel dirlo, agitava la mano come se salutasse, e scuoteva la testa come un piccione. Per me, era la signora “ho-tanto-da-fare” e mi domandavo spesso cosa facesse, dato che parlava anche delle sue cameriere e delle loro sventatezze.

Questo succedeva più di ottanta anni fa e oggi di donne “ho-tanto-da-fare” ce ne sono a centinaia. Diciamo pure che lo siamo un po’ tutte.

Abbiamo tutte “tanto-da-fare”. Fra lavoro, casa, bambini da accompagnare a scuola e in palestra, nipotini da curare mentre i loro genitori lavorano, attività sociali e benefiche, impegni in chiesa e corse al supermercato, sembriamo delle trottole o dei cani che cercano di acchiapparsi la coda.   

Il nostro amico che ci aiuta a fare l’inventario oggi ci fa una domanda importante. Eccola.

  • Confondo l’attivismo con l’operosità?

È una buona domanda. Se siete come me, non sapete dire di no, e vi trovate, fra casa e chiesa, con troppi impegni.

Le faccende di casa, sappiamo che le dobbiamo fare e le facciamo. Prendiamo come esempio la donna descritta da Salomone nella Bibbia, Libro dei Proverbi, capitolo 31, e la ammiriamo con invidia e un senso di sconfitta. Ci chiediamo: come faceva a combinare tanto? Non andava mai a dormire? Da dove le veniva tanta energia? (Fra parentesi, ho scritto un libro su di lei e lo potete ordinare sul nostro sito. Il titolo è LA DONNA CHE NON ESISTE e ve lo offro con un buono sconto del 15%, se nell'ordine menzionerete che ve l'ho raccomandato io).

Se mi chiedono di guidare uno studio, di telefonare a una certa persona o visitarla, scrivere un articoletto o una lettera, o parlare con chi ha problemi, di solito, accetto. Trovo difficile delegare. Da una parte, perché mi piace essere ancora utile e attiva e, dall’altra, perché, sotto sotto, penso che certe cose le faccio piuttosto bene. Sempre modesta, eh?

Ma a forza di accettare, mi trovo che non “ho-tanto-da-fare”, ma che “ho-troppo-da-fare”.

E questo porta alla prossima domanda del nostro “inquisitore”.

  • Mi illudo su ciò che faccio e mi illudo di essere meglio di quello che sono?

La tentazione di sentirsi indispensabili è sempre presente. Perciò è importante fermarsi a fare il punto e chiedersi proprio se la nostra operosità non sia diventata attivismo e se il nostro desiderio di fare del bene non toglie a altri il privilegio di essere utili, di imparare, di prendere il nostro posto. Dobbiamo fare, ma dobbiamo anche insegnare ad altri quello che noi sappiamo fare, in modo da moltiplicarci.

Come sempre, l’esempio viene dal Signore Gesù. Nessuno ha lavorato più di Lui: giorno e notte, quando era stanco e anche quando avrebbe voluto riposare.

Però non faceva quello che altri potevano fare.

Mi spiego. Quando si è trovato più di 10.000 persone da sfamare (erano circa 5000 uomini, più le donne e i bambini) ha fatto quello che sapeva fare solo Lui. Ha moltiplicato cinque pani e due pesci in modo che tutti avessero da mangiare a sufficienza. Ma, li ha fatti distribuire ai discepoli, non li ha fatti cadere miracolosamente davanti, o ancora meglio in bocca, alla gente.

Gesù ha delegato il lavoro a degli aiutanti, i discepoli, e quando tutti avevano mangiato, non fece sparire gli avanzi miracolosamente. Diede l’ordine agli stessi aiutanti di raccoglierli.

Essere esempi di operosità, insegnare a lavorare e, a un certo punto, delegare il lavoro è una gioia grande. Ora, che ora sono vecchia, godo nel vedere quelle che erano le mie “bambine” della Scuola domenicale, mentre servono nelle chiese, fanno studi biblici, consigliano, fanno del bene (spesso meglio di me!) e si danno da fare a evangelizzare.

L’apostolo Giovanni, diceva che non aveva gioia più grande del vedere i suoi “figli” che camminavano nella verità. Lo capisco!

Dio ha preparato delle buone opere per ciascuno di noi perché le mettiamo in pratica. Cerchiamo di riconoscere le “nostre” opere e non cerchiamo di fare anche quelle preparate per altri.

“L’inquisitore” ha un’ultima domanda. Ma la lasciamo per la prossima  volta. Ciao! 
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Scaviamo ancora un po’


Il nostro inquisitore di fine d’anno continua col suo inventario. Ecco le domande di oggi:

  • Parlo come se Gesù fosse presente nella stessa stanza?
  • Sono pronto a non essere notato?
  • Sono pronto a fare e a essere qualsiasi cosa che il Signore mi indichi?

In America molti giovani portano al polso un braccialetto con le lettere WWJD?, che stanno a indicare What Would Jesus Do? (Che cosa farebbe Gesù?)”. È una buona domanda, che dovrebbe aiutarli a comportarsi bene in qualsiasi momento, imitando Gesù. Ce l’aveva al polso una ragazza americana che in Italia è stata trovata uccisa e stuprata. Cosa avrà pensato prima di morire, povera lei? Avrà perdonato i suoi aggressori come ha fatto Gesù?

La pratica della presenza di Cristo, braccialetto o no, è molto importante. Essere consci che Lui è sempre lì, che ci vede e sente ogni nostra parola, dovrebbe metterci sull’attenti. E aiutarci a comportarci meglio.

Succede anche nella vita normale. Quando vediamo un vigile, attraversiamo sulle striscie e non passiamo col rosso. Quando siamo in presenza di persone che rispettiamo, ci esprimiamo con cura, misurando le parole. Quando siamo invitati fuori le nostre maniere  sono più attente: non mettiamo i gomiti sul tavolo e diciamo “grazie” e “per favore”. Perché dovremmo fare diversamente nei riguardi di Gesù? Il male è che il vigile si vede e Gesù, no.

Gesù è sempre presente (in alcune case di credenti c’è perfino un quadro con scritto “Gesù è l’ospite invisibile di questa casa”) eppure il saperlo influisce poco sul nostro modo di parlare. Critichiamo, ci lamentiamo, sputiamo sentenze, passiamo giudizi senza ricordare che “di ogni parola vana gli uomini renderanno conto nel giorno del giudizio” (Matteo 14:36). Cosa mi dice il mio inventario?

La prossima domanda tocca la mia umiltà (e peggio mi sento).

  • Sono pronto a non essere notato?

I complimenti ci piacciono, siamo lusingati se ci dicono che abbiamo fatto bene e, soprattutto, ci rodiamo se è complimentato qualcuno che pensiamo valga meno di noi. Di nuovo, è tutta questione di orgoglio.

“La nostra lode viene da Dio” ammoniva Paolo. Ma quanto ci piace se viene anche dagli uomini! E quanto ci dispiace non essere notati e apprezzati dal datore di lavoro, dal professore, collega o parente. 

  • Infine: “Sono pronto a fare qualsiasi cosa il Signore mi indichi?”

Certamente, in teoria. Ma nella pratica?

Accompagnare una vecchia pensionata a riscuotere la pensione, per esempio. Oppure riassettare la cucina dopo che gli ospiti se ne sono andati, invece di lasciare tutto alla mamma, mettere in ordine il garage, aiutare il fratello più piccolo coi compiti, ascoltare le lamentele di qualcuno o curare una persona che è andata via di testa.

Vorremmo fare lavori che ci piacciono, visitare le persone che ci sono simpatiche, aiutare nei lavori che ci sono congeniali. Ma la vita è fatta di tutti i tipi di situazione. E fa una grande differenza se l’affrontiamo con gioia o brontolando. Per noi e per gli altri.
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Facciamoci male!


L’inventario di oggi ha una lente grossa come la ruota di un’automobile e la rivolge verso di noi. Vuole scavare nel nostro intimo. Cerchiamo di essere onesti nelle risposte, anche se sarà doloroso, almeno in alcuni punti.

  • La prima domanda è: Permetto che dei pensieri sporchi si annidino nella mia mente?

Il nostro cervello immagazzina tutto e non scorda niente. Anche se crediamo di averli dimenticati, all’improvviso i ricordi del passato, specialmente quelli di una brutta esperienza, di una parolaccia sentita, di un rimprovero ricevuto rispuntano quando meno ce lo aspettiamo. Evidentemente erano annidati in un angolo della nostra mente, ma non dimenticati.

Da bambina, ricordo di avere sentito, da un facchino alla stazione, una snocciolata di bestemmie. Non sapevo neppure cosa volessero dire, ma mi hanno fatto male e sono rimaste lì. Ogni tanto me ne ricordo e vorrei che non si riaffacciassero.

Se poi sono pensieri sporchi che coccoliamo, e non consideriamo pericolosi (e che perciò non confessiamo al Signore), è molto possibile che finiscano per portare a azioni molto serie. Mi spiego: fantasticare sul sesso, per esempio, può portare molto presto alla pratica della masturbazione e, poi, forse anche alla schiavitù della pornografia.

L’apostolo Paolo esortava a sottomettere (lui usava l’espressione imprigionare) ogni nostro pensiero a Cristo, esaminandolo con piena onestà, valutandolo e condannandolo, se sbagliato, come peccato (2 Corinzi 10:5). Una confessione sincera al Signore, accompagnata naturalmente dall’eliminazione e l’allontanamento di ciò che produce e favorisce il peccato (letture, computer, compagnie cattive) produrrà il suo perdono, secondo la sua promessa (1 Giovanni 1:9). Se no... i risultati si possono facilmente prevedere.

  • Ho la tendenza all’autocommiserazione?

“Nessuno mi vuol bene, nessuno mi capisce, se sapessero come mi sento, se fossero nei miei panni e se avessero i genitori, il marito, i datori di lavoro che ho io...”. Sentiamo simili lamentele molto spesso.

Dici a uno che ti fa male la testa... e lui risponde che col mal di testa ci vive. Sei stanco? Trovi sempre che la persona a cui lo dici è più stanca di te che ti chiede aiuto. E così via.

L’autocommiserazione è sempre in agguato e rende infelici, miserabili e, lasciatemelo dire, antipatici. Ho conosciuto una ragazza che ha avuto il coraggio di dirmi che nessuno, neppure Cristo, aveva sofferto quanto lei, quando aveva perduto il suo cagnolino.

L’autocommiserazione è un grandioso sintomo di egoismo. Io sto male... io non sono capito... io sono la vittima in ogni situazione... Io... io... io. E ancora e sempre IO.

Il rimedio: comincia a contare le cose buone che abbiamo, col fare un elenco delle benedizioni che ci circondano ogni giorno e facendo qualcosa di buono per fare piacere a qualcuno, senza aspettarsi troppi ringraziamenti e senza pensare: faccio tanto per gli altri e nessuno lo vede.

  • Sono permaloso, pronto a scattare per difendermi?

Certa gente sembra indossare i guanti da pugile appena si alza la mattina e vive tutto il tempo sulla difensiva. Pensano di avere sempre ragione, sono scontenti e vedono nemici da ogni parte. Probabilmente, sono stati trattati ingiustamente e non hanno perdonato, perciò sospettano anche di chi vuol essere loro amico. Dovrebbero chiedere a Dio di cambiare il loro atteggiamento da negativo in positivo e esercitarsi nel vedere il bene negli altri. Sospettare il male non fa parte dell’amore. Anzi, è peccato (1 Corinzi 13:5).

  • Ho l’abitudine di notare più i difetti altrui che le buone qualità?

Non è necessario fare molti commenti su questo punto, perché tutti ne siamo colpevoli.

Come  mamma, trovavo più facile e spontaneo sgridare i miei bambini, anziché lodarli.

Ho sentito dei mariti brontolare se la cena non era pronta e non li ho visti incoraggiare la moglie che era stanca e aveva avuto una giornata pesante.

Ho sentito Pastori che sgridavano dal pulpito i fedeli, perché non erano arrivati in orario alle riunioni (non erano Italiani. Se lo fossero stati e lo avessero fatto, le loro chiese si sarebbero vuotate).

Ci sarebbe anche da domandare alle maestre quante note di biasimo mettono sul diario dei loro alunni e quante di lode. Gli psicologi e gli esperti in pedagogia dicono che una sgridata dovrebbe essere compensata con almeno dieci lodi. I risultati sarebbero incredibilmente positivi. Io ci ho provato e ho dovuto dare loro ragione.

L’inventario non è finito. Restano ancora un paio di scaffali da esaminare. Sarà per la prossima volta. Ciao!
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Niente di scontato


L’inventario di oggi riguarda la nostra vita e la nostra famiglia. Mettendolo al personale, diciamo che riguarda me e la mia famiglia. Di nuovo, non viene da un medico pietoso.

Purtroppo, siamo tutti egoisti per natura. Ci piace stare bene. I nostri comodi vengono prima di quelli degli altri. Il mio benessere è la cosa a cui tengo di più. È stato così dal giorno in cui Adamo e Eva fecero la loro gran frittata e disubbidirono a Dio.

Però, fino a qualche decennio fa, l’egoismo non era considerato una virtù, ma era riprovato.

Oggi, invece, è sbandierato, raccomandato, lodato e difeso come un diritto. Ognuno pensa prima di tutto a se stesso, a quello che crede di meritare e pretende di ricevere dagli altri e che non è pronto a dare. La raccomandazione (se non si vuole chiamarla comando) dell’apostolo Paolo di considerare gli altri più importanti di noi non ha più valore. A volte,  neppure nella chiesa.

Se siamo credenti, invece, l’altruismo dovrebbe essere importante. Soprattutto nelle nostre relazioni di  famiglia, che sono spesso le più trascurate e nelle quali tendiamo a prendere molte cose per scontate. Tipo? La  cortesia, la prontezza a individuare i bisogni, la stanchezza, gli umori e i sentimenti dei nostri cari, con le loro tristezze e preoccupazioni.

Finalmente, arriviamo alle domande.

  • Faccio la mia parte per contribuire al buon andamento della famiglia?

Per esempio, offro di sistemare la cucina dopo un pasto. Metto in ordine il bagno dopo averlo usato. Ovvero non lascio in giro sapone, asciugamano e biancheria da cambiare. Aiuto a fare la spesa. Rifaccio il mio letto prima di uscire, per il  lavoro o la scuola. La mia camera non ha l’aspetto di un posto in cui sia passato Attila, flagello di Dio. Non esco di casa dicendo “Tanto, ci pensa mamma”.

Altro esempio. La moglie lavora fuori e, quando torna a casa, ha mille cose da fare. Il marito la guarda, l’ammira e pensa che assomiglia alla donna dei Proverbi, ma lui non muove un dito per aiutarla. Se ne sta a guardare la TV e dice ai figli di non fare chiasso.
I figli grandi che lavorano contribuiscono alle spese della famiglia? Sì? No? Ci pensano?

  • Ferisco i miei cari con parole dure, aspre o critiche troppo affrettate?

Se c’è un posto in cui cadono le difese e le buone maniere è proprio la famiglia. Siamo cortesi con gli altri e scortesi coi genitori, premurosi con gli amici e indifferenti verso i nostri fratelli, esigenti verso la moglie e gentili con la collega, benevole e comprensive con le amiche e acide col marito. “Tanto” diciamo, “in famiglia ci capiamo e sappiamo che ci vogliamo bene”.

Ma un marito che complimenta la moglie e una moglie che apprezza verbalmente il marito, il loro “bene” lo dimostrano.

  • Chiedo umilmente scusa quando ho offeso uno dei membri della mia famiglia?

È facile essere sgarbati con le persone che amiamo di più. A volte, addirittura, siamo cattivi con loro di proposito perché vogliamo sfogare la nostra rabbia per qualcosa che ci è andato storto o riversare su loro il nostro dispiacere per un insuccesso. Quale bersaglio migliore di chi probabilmente ci sopporterà? L’abitudine di chiedere perdono è da coltivare alla grande.

  • Ricevo le scuse degli altri con gentilezza?

Non rispondiamo: “Finalmente l’hai capita!” o peggio ancora: “Non hai fatto che il tuo dovere”. Qualcuno l’ha fatto con me e mi ha fatto molto male. È difficile chiedere scusa a qualcuno: non rendiamoglielo più difficile.

  • Chiedo ai miei cari più di quello che chiedo a me stesso?

Esigo ordine, mentre io sono disordinato o voglio che i miei bambini mi chiedano qualcosa precedendola con la formula “per favore” e io non lo faccio e mi limito a comandare? Chiedo puntualità, ma quando io ritardo faccio finta di niente? Niente disgusta tanto i figli quanto l’incoerenza dei genitori.

Un padre e una madre sono i leader dei loro figli. Da buoni leader, devo essere dei modelli.  Perciò lavorano più dei loro seguaci, non si fanno pregare, non sbuffano. Piuttosto incoraggiano, lodano, incentivano e premiano. “L’azienda famiglia” funziona a meraviglia se la le ruote lubrificate con l’olio dell’ottimismo di genitori che notano e sanno lodare anche il minimo segno di buon funzionamento.

  • Porto pace o discordia nella mia famiglia? Ai posteri (figli e nipoti) l’ardua sentenza.

  • La mia famiglia è contenta di vedermi in casa?

“Quando viene a trovarci la zia Elena, sembra che venga in casa il sole. Quando invece entra dalla porta la zia Erminia, vado a prendere l’ombrello per ripararmi dalla grandine” dicono i nipoti. Sei sole o grandine?

Alla prossima!
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Anche la regina ha bisogno della vicina...


Lo dice un proverbio ed è vero: i vicini sono indispensabili. A Castel Madama abbiamo avuto dei vicini meravigliosi: gentili, premurosi e per nulla ficcanaso. Uno è arrivato a arrampicarsi sul nostro balcone e smontare il vetro di una finestra, per aiutarci a entrare in casa, dato che avevamo dimenticato le chiavi, all’interno della toppa della porta principale.

Ai nuovi vicini, che Guglielmo e io abbiamo adesso a Roma, intendo regalare un bel calendario biblico in segno di amicizia. Spero che apra la via a una buona relazione.
L’inventario di oggi riguarda proprio i vicini. Per sentito dire, le beghe di condominio non sono una rarità, perciò un esame di coscienza su queso argomento non sarà fuori posto.

  • Restituisco in ordine perfetto ciò che mi è stato prestato?

Una buona domanda, soprattutto se siamo stati scottati qualche volta. Personalmente, ho trovato danneggiato qualcosa da ospiti che abbiamo avuto. È bene, confessare il danno, ripararlo se possibile. Certo non dobbiamo fare finta di niente.

  • Certi vicini mi danno sui nervi?

È possibile. Io ne ho avuta una che non faceva attenzione se avevo il bucato steso e spesso me lo ha sporcato. L’ho conquistata presentandomi con una torta e la richiesta di dare una guardata prima di bagnare le sue piante. Affare fatto.

È sempre una buona idea cercare di non litigare, anche per il bene del bucato.

  • Provo un costante risentimento contro uno dei miei vicini?

Il risentimento è un peccato. Io non ne ho, ma, se ne avessi, lo confesserei a Dio, chiamandolo “peccato” e poi proverei la via della dolcezza, ovvero di una buona torta, presentata con un sorriso.

  • Critico i miei vicini e ne parlo con altri?

“Chi va sparlando svela i segreti, ma chi ha lo spirito leale tiene celata la cosa”  diceva Salomone  (Proverbi 11:13).  

Più si sta zitti sulle faccende altrui e meglio è. Sempre il Libro dei Proverbi dice che le maldicenze (e io aggiungo i pettegolezzi) sono come ghiottonerie che fanno sempre del male. Vivere in pace equivale a farsi i fatti propri e non occuparsi di quelli degli altri, se non per fare del bene.

  • Tradisco le confidenze che mi sono state fatte?

Idem come sopra.

  • Cerco di influenzare altri a fare ciò che pare a me?

Non conosco le manovre di condominio. Purtroppo conosco le manovre in uffici e organizzazioni. Insistere su ciò che è moralmente giusto è un dovere. Lasciare correre su cose poco importanti è un privilegio.

  • Perdo l’interesse per i miei vicini se non fanno ciò he voglio?

Ho cercato di parlare di Dio, di Cristo e della salvezza a molti vicini. Nessuno si è convertito. La mia amicizia non è finita e neppure le mie preghiere. Di più che si può fare?
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Ringraziare sempre!


Oggi, negli Stati Uniti, è il Giorno del ringraziamento.

Ricorda il momento in cui, un anno dopo che erano sbarcati in America, i cosiddetti Padri pellegrini, perseguitati in Europa per la loro fede nella Parola di Dio e rifugiati nel grande nuovo continente, mangiarono i frutti della terra che avevano coltivata, godendo pace e libertà di adorare Dio secondo coscienza.

È una festa bella in cui nelle chiese si celebrano culti per lodare e ringaziare Dio e le famglie consumano il pasto tradizionale composto dal tacchino arrosto, patate bianche, patate dolci e torta di mele. Come succede, oggi per molti ha perso il suo valore spirituale e si riduce a una festa di famiglia, in cui nonni, zii e cugini si ritrovano. Speso fuori nevica e si ripensa ai poveri pellegrini che si scaldavano al focherello avvolti nei loro scialli. E molti morivano assiderati o per malattia.

A me dispiace che in Itala non ci sia niente di simile, mentre si è adottata alla grande la festa di Halloween, che ricorda le potenze occulte e in cui, praticamente, si fa baldoria in onore del diavolo.

Anche se siamo italiani e non abbiamo “un giorno del ringraziamento” fra le feste istituite dal governo, proviamo, almeno per una volta, a ripensare alle molte benedizioni ricevute nell’anno passato e ricordiamoci di ringraziare per...

  • Il fatto che Dio c’è ed è presente nella nostra vita. Se non c’è, apriamogli la porta del nostro cuore. Non ci deluderà.
  • Il dono straordinario della salvezza in Cristo, sperimentata da chi riconosce in Lui l’unico Salvatore e Signore.
  • La presenza dello Spirito Santo, che guida e consola ogni credente.
  • La chiesa che frequentiamo e i fratelli in fede
  • La natura che ci circonda e ci rallegra con i suoi colori che cambiano a ogni stagione.
  • La vita che godiamo ogni giorno.
  • La salute del corpo e, soprattutto, la salute della mente.
  • Il cibo che abbiamo mangiato.
  • La famiglia e gli amici che abbiamo.
  • La libertà di adorare Dio senza paura e persecuzioni.

Adesso, continuate per conto vostro a enumerare le vostre benedizioni, ricordando anche l’ordine di Dio: “Siate riconoscenti”
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E attenzione a non prendere sottogamba la terribile affermazione dell’Apostolo Paolo che ha scritto ai Romani, a proposito della riconoscenza, dicendo che “l’ira di Dio si rivela dal cielo contro ogni empietà e ingiustizia, poiché quel che si può conoscere di Dio è manifesto... Infatti le sue qualità invisibili, la sua eterna potenza e divinità, si vedono chiaramente fin dalla creazione del mondo essendo percepite per mezzo della opere sue: perciò essi sono inescusabili, perché pur avendo conosciuto Dio, non l’hanno glorificato come Dio, né l’hanno RINGRAZIATO, ma si sono dati a vani ragionamenti...”. Di ragionamenti balordi e vani ne sentiamo tutti i giorni. È ora che diamo retta a quelli saggi e veritieri di Dio.

Tutta casa e chiesa


Così, una volta, si descriveva una brava ragazza, del tipo con i capelli ben pettinati, la gonna lunga e lo sguardo che le si vedeva solo il  bianco degli occhi, tanto era devota e distaccata dalle vanità terrene. Oggi le cose sono cambiate e la “bravura” di una ragazza si vede dal fatto che torna a casa prima di mezzanotte, come Cenerentola.

Il nostro inventario di fine anno, siamo al quarto, riguarda la nostra relazione con la chiesa a cui apparteniamo. Non tanto la chiesa universale, di cui fanno parte tutti i credenti in Cristo e che solo Dio conosce, quanto quella locale, piccola o numerosa che sia, che frequentiamo.

Il Nuovo Testamento ha molto da dire in proposito e alcune cose a molti vanno un po’ strette, perchè poco “aggiornate”. E molte cose che ordina le prendiamo troppo sottogamba.

In ogni modo, la prima domanda è abbastanza scottante.

  • Il tempo o la stagione influiscono sulla mia presenza ai culti e soprattutto agli incontri infrasettimanali?

Mentre studiavo all’estero, molti anni fa, sono andata a visitare degli amici in Scozia. Carissimi e gentilissimi, la domenica la chiamavano senza battere ciglio e senza perdere un colpo il “Lord’s Day”, giorno del Signore, e giorno del Signore, era.

Volete sapere come? Ascoltate!

Ore 9. – Scuola domenicale, per tutti, grandi e piccoli. Ore 10. – Culto. Ore 15.30 – Riunione di evangelizzazione all’aperto (pioggia o sole). Ore 16 – Studio biblico. Ore 17.30 – Riunione nei locali di culto a scopo evangelistico.

A ogni riunione tutti cercavano di essere presenti e avevano l’aria felice, perfino i bambini che non si permettevano né di correre nella sala o di parlare a alta voce.

Non so come vadano le cose oggi in Scozia, ma so come vanno da noi.

Oggi, molte chiese la riunione della sera, la domenica, l’hanno abolita. In quelle che non l’hanno abolita, i responsabili devono arrampicarsi sugli specchi, inventando cose nuove e attraenti, per incoraggiare i credenti a frequentarla.

Le  conoscete le scuse, no? Oggi mia zia ha il compleanno e si offenderebbe se... C’è la partita. Piove. Fa caldo e la sala non ha l’aria condizionata. Fa freddo e devo pensare ai miei reumatismi. La  Bibbia la posso leggere anche a casa.

I più volonterosi dicono: “Ci vado per dare un buon esempio...” e sospirano auspicando  modifiche. Non vi dico quali.

Non dico di fare come gli Scozzesi che ho conosciuti, ma che dire dell’esortazione biblica di “non abbandonare la nostra comune adunanza, come alcuni hanno l’abitudine di fare”?

Questo porta alla seconda domanda.

  • Perché vado in chiesa? Per abitudine o per convinzione?
  • La mia lealtà o la mia obbedienza alla denominazione a cui appartengo sono più importanti della mia lealtà e ubbidienza a Dio e alla sua Parola?
  • Quando entro nel locale, prego per i pastore, per gli anziani e i diaconi della chiesa e i membri della comunità oppure mi preoccupo di sapere chi c’è e chi non c’è e salutare gli amici, trascurando altri?

È molto facile che la chiesa diventi una specie di club di gente che vede le cose allo stesso modo, anziché un luogo in cui incoraggiarsi, confortarsi e consolarsi a vicenda in modo veramente spirituale.  Attenzione che non diventi un vivaio di chiacchiere, se non di pettegolezzi.

  • Quando esco dal locale, dopo il Culto o lo studio biblico, sono deciso a mettere in pratica quello che ho sentito? Durante il sermone, ho preso qualche nota da rivedere a casa e su cui meditare? Mi sono fatto un esame di coscienza, mentre ascoltavo la Parola di Dio, oppure ho pensato: “Questo è esattamente quello che ci vuole per...”?
  • Quando mi è chiesto di partecipare a qualche attività di testimonianza o pratica, accetto? Lo faccio di buon grado? Oppure mi dispiace di avere preso un  impegno che mi occupa del tempo prezioso?
  • Da quanto tempo non ho invitato qualcuno a uno studio biblico evangelistico?

Un inventario importante, non vi pare?
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Una nota dolorosa


Il nostro inventario oggi farà male a tutti, cominciando da me. Parla della nostra vita di preghiera. Gli Americani fanno statistiche su tutto e ne hanno fatte anche su quanto tempo i credenti passano in preghiera. Se la statistica dice la verità, pare che la maggioranza dei credenti passi 3 minuti al giorno a pregare e i predicatori ne passino 7.

Spero che sia una statistica fasulla, ma è sicuro che tutti preghiamo troppo poco, anche se si dice che la preghiera sia “il respiro del credente” e “l’arma invincibile della chiesa”.
Sia come sia, ecco le domande dell’inventario. I commenti sono miei.

  • Prego regolarmente ogni giorno? Cerco di vivere ogni giorno in uno spirito di preghiera?

Spero che la nostra risposta sia “sì”.

Una vecchia signora mi ha detto: “Appena mi sveglio faccio una lista di lodi che rivolgo al Signore. Lodo perché mi sono svegliata, posso pensare, vedo i colori del cielo, non mi fanno troppo male le ossa, ragiono abbastanza bene, Dio è con me. In più sono salvata per grazia e so dove mi porta il mio cammino di fede, so che Gesù mi ha salvata e ha pagato ogni mio debito”. Bello, no? Sarebbe quello a cui dovremmo pensare anche noi.

La lode e il ringraziamento devono essere il filo conduttore delle nostre preghiere dalla mattina alla sera. A me piace, ogni tanto, anche ringraziare e lodare “al negativo”.

Facce meravigliate? Ora mi spiego. Per esempio, invece di dire: “Grazie per la mia salute” dico: “Grazie perché non sono malata”. Sembra sciocco, ma prende un grande valore quando le cose vanno un po’ storte o molto storte.

Allora, invece di dire a Dio: “Grazie per il tuo amore” (che in quel momento non riesco a discernere, ma in cui credo), lo ringrazio perché non fa mai niente di cattivo, perché non vuole farmi del male, e perché non è capriccioso. Anche se non lo capisco, gli dico che mi fido di Lui. A me fa bene anche pregare così. È importante essere onesti e non far finta di essere quello che non siamo. Tanto, Dio ci vede fino in fondo.

Vivere in uno spirito di preghiera, vuol dire vedere la mano del Signore in ogni circostanza e ringraziarlo per ogni cosa. Fosse solo perché non abbiamo dimenticato la pentola sul fuoco e non abbiamo bruciato la pietanza, o abbiamo trovato un parcheggio o  abbiamo ritrovato un certo appunto importante che credevamo smarrito.

  • Sono onesto nelle mie preghiere oppure chiedo senza aspettarmi degli esaudimenti?
A me è capitato di chiedere al Signore la conversione di qualcuno e, allo stesso tempo pensare “quello non si convertirà mai!”. Giacomo dice di pregare senza stare in dubbio.

  • Il tempo che passo in preghiera lo uso quasi unicamente per fare delle richieste per me stesso, per il mio lavoro, per i miei bisogni personali e quelli dei miei cari?

Si può essere molto egoisti nel pregare. Pensiamo al nostro bisogno di soldi per pagare il mutuo della casa e preghiamo con fervore. Giustissimo. Ma quanto preghiamo per i credenti in Africa che muoiono di fame e per quelli in Cina o in Corea del Nord che sono in prigione per la loro fede?

Quante volte lo ringraziamo per la libertà di cui godiamo e per le autorità e le leggi del nostro paese che ci permettono di praticare e dichiarare quello che crediamo?

  • Quanto tempo passo nella meditazione sul carattere di Dio? Sulla sua forza, la sua misericordia, la sua tenerezza, la sua santità totale e assoluta, il suo perdono?

Sono sicura che se passassimo più tempo pensando alle caratteristiche del nostro Dio, al suo amore manifestato nel dono del suo Figliolo, e alle sue esigenze, saremmo meno pronti a lamentarci dei nostri problemi e vedremmo nella giusta prospettiva le nostre difficoltà. 
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Dovere, piacere o legalismo?

“Io leggo la Bibbia quando mi sento. Se la leggessi tutti i giorni sarei un ipocrita, perché non mi verrebbe dal cuore” mi ha detto una ragazza. “Non voglio essere come i Farisei che leggevano le Scritture solo per abitudine e dovere. Leggere la Bibbia ogni giorno è puro legalismo”.

Strano e sconcertante. Non ho mai sentito qualcuno, sano di mente, che dicesse: “Non mangio tutti i giorni: sarebbe legalismo”. Oppure: “Oggi non mi faccio la doccia: sarei un ipocrita se mi lavassi, quando non mi sento”.  

Ogni giorno il nostro corpo ha bisogno di essere curato e nutrito, perciò alcune domande sono di obbligo. Questo è il nostro secondo inventario spirituale.

La mia vita e la Parola di Dio
Chiediti con severa onestà...
  • Leggo la Bibbia per dovere, perché è la cosa giusta da fare o perché sono convinto che ne ho bisogno e so che mi fa del bene?
  • Leggo ogni giorno la Parola di Dio per trarne del buon cibo spirituale?
Per avere un corpo sano bisogna mangiare del cibo ben quilibrato. Al ristorante, a volte, vedo delle persone che ordinano una porzione di patate fritte e basta. Non vorrei essere il loro fegato! E quanta energia avremmo per lavorare se al mattino ci limitassimo a  sgranocchiare solo un grissino?

La Parola di Dio nutre la nostra anima. Bisogna leggerla regolarmente, un libro alla volta, capitolo dopo capitolo. Regolarmente, pensando a quello che si legge, meditandolo per assicurarsi di averlo capito e assimilato. Versetto dopo versetto, sistematicamente,
  • Quando leggo la Parola di Dio lo faccio soprappensiero, sorvolando su quello che non capisco, senza preoccuparmi di andare in profondità? Non è possibile capire tutto e subito. Ci sono delle Bibbie con note, ci sono commentari. Ci sono anche dizionari italiani per capire le parole che non capisco. E ci sono credenti più maturi e con maggiore conoscenza, a cui chiedere spiegazioni.
  • Preferisco leggere libri e riviste (anche un po’ di gossip, che male fa?) e trascuro la Parola di Dio? La tentazione è sempre presente. Oppure, quanto tempo passo al computer e davanti alla TV? Per caso, facebook non è mica diventato la mia Bibbia? 
  • Ho l’intenzione di ubbidire a quello che leggo? La Bibbia parla di “ubbidienza della fede” e esorta a non essere un “uditore che dimentica”. Non serve a nulla, anzi è pericoloso, leggere senza l’impegno di mettere in pratica quello che si legge.
  • Ho l’abitudine di parlare con qualcuno di quello che ho letto, capito, sperimentato nella mia lettura della Parola di Dio? 
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Inventario di fine anno — 1


La  verifica  che fa male

Un inventario  serve a capire a che punto sta un’azienda, quanto si è venduto e quanto è rimasto nello stock di un negozio, quanto si è guadagnato, se siamo in rosso e se gli affari sono andati bene o male. E se sono andati male, quanto male?

Gli inventari sono importanti e, dato che ci avviciniamo alla fine dell’anno, è importante anche fare un inventario della nostra vita sprituale. Se un commerciante si rendesse conto di essere in rosso e dicesse che la cosa non ha importanza, sarebbe uno sciocco incosciente. Se non prendesse dei provvedimenti andrebbe verso la bancarotta.

Troppi credenti prendono troppo alla leggera la loro vita spirituale e camminano verso la bancarotta senza rendersene conto.

Come credenti, nel fare il nostro inventario spirituale, dobbiamo essere molto severi con noi stessi. Il medico pietoso fa la piaga puzzolente, dice il proverbio. Noi siamo spesso troppo pietosi e indulgenti, scusiamo le nostre debolezze (che Gesù ha chiamati peccati) e citiamo pure piamente un versetto titpo “lo spirito è pronto e la carne è debole” e ci confortiamo dicendo che la grazia di Dio è più grande del peccato.

Su un vecchio numero della VOCE del VANGELO degli anni ’70 ho trovato una serie di  domande che ci aiuteranno a fare il nostro inventario e ho deciso di condividerle con voi. Ci accompagneranno più o meno fino alla fine del 2011. Io le userò per me stessa (anzi ho già cominciato) e mi faranno un po’ male, perché non sono politicamente corrette. Vanno al dunque senza sfumature e non offrono scappatoie.

Però sono sicura che, se le prenderemo sul serio, faranno sì che nel 2012 riporteremo delle belle vittorie spirituali.
Cominciamo con ...

LA MIA VITA E DIO

- Amo il Signore con tutto il mio cuore (ovvero tutte le mie emozioni), con tutta la mia forza (le mie energie, scopi, impegni, mète) e con tutta la mia mente (i miei pensieri, le mie speranze e i miei piani) ?

Questa domanda si riferisce al comandamento di Dio che richiede la devozione e consacrazione del nostro essere.

- Oppure ho paura che il mio auto-esame mi porti a conoscere Dio più intimamente e disturbi il mio comodo tran-tran di cristiano della domenica mattina? È molto facile accomodarci in un pericoloso cristianesimo abitudinario.

- Provo un vero dolore per il mio peccato? Quando dico una parola acida a mio marito, o mia moglie, a un fratello o una sorella, a un collega o a un compagno di scuola a chi dò la colpa?

- Metto la mia vita, i miei studi, la mia carriera nelle mani di Dio? Viviamo in tempo di crisi: sarei pronto a fare l’imbianchino anche se ho la laurea di architetto e a accettare delle prove, umanamente umIlianti?

- Sto aggrappato alla mia volontà anche dopo che Dio mi ha chiaramente rivelato la sua? Per esempio, continuo a desiderare una famiglia mia, anche se Dio non mi dà un marito o una moglie? Voglio la ricchezza, mentre Dio mi dà il puro necessario per vivere?

- Segretamente vivo nella sconentezza della mia situazione?

- Peggio ancora, mi ribello apertamente a Dio perché non mi dà tutto quello che vorrei? Per esempio, la salute?

- Ho imparato a riposare completamente nell’amore di un Dio savio e misericordioso? Quanto approfondisco, assimilo e credo nella perfezione del suo carattere? Oppure dico: “Questo è troppo... non me lo merito... perché a me?”

- Vivo diligentemente e intensamente per Cristo, consapevole della sua presenza costante? 
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