Ho tanto da fare!


Mia mamma aveva due conoscenti, madre e figlia, che venivano ogni tanto a prendere il tè con lei.  Erano svedesi e a me, che avevo circa sei anni e che ero piccola di statura, sembavano alte come il campanile del Duomo. Quello che mi colpiva era che la figlia portava sempre le calze bianche di cotone e le scarpe nere col passante (le caviglie erano immancabilmente sbaffate di lucido nero), e che la madre diceva sempre sospirando che aveva avuto tanto da fare. Nel dirlo, agitava la mano come se salutasse, e scuoteva la testa come un piccione. Per me, era la signora “ho-tanto-da-fare” e mi domandavo spesso cosa facesse, dato che parlava anche delle sue cameriere e delle loro sventatezze.

Questo succedeva più di ottanta anni fa e oggi di donne “ho-tanto-da-fare” ce ne sono a centinaia. Diciamo pure che lo siamo un po’ tutte.

Abbiamo tutte “tanto-da-fare”. Fra lavoro, casa, bambini da accompagnare a scuola e in palestra, nipotini da curare mentre i loro genitori lavorano, attività sociali e benefiche, impegni in chiesa e corse al supermercato, sembriamo delle trottole o dei cani che cercano di acchiapparsi la coda.   

Il nostro amico che ci aiuta a fare l’inventario oggi ci fa una domanda importante. Eccola.

  • Confondo l’attivismo con l’operosità?

È una buona domanda. Se siete come me, non sapete dire di no, e vi trovate, fra casa e chiesa, con troppi impegni.

Le faccende di casa, sappiamo che le dobbiamo fare e le facciamo. Prendiamo come esempio la donna descritta da Salomone nella Bibbia, Libro dei Proverbi, capitolo 31, e la ammiriamo con invidia e un senso di sconfitta. Ci chiediamo: come faceva a combinare tanto? Non andava mai a dormire? Da dove le veniva tanta energia? (Fra parentesi, ho scritto un libro su di lei e lo potete ordinare sul nostro sito. Il titolo è LA DONNA CHE NON ESISTE e ve lo offro con un buono sconto del 15%, se nell'ordine menzionerete che ve l'ho raccomandato io).

Se mi chiedono di guidare uno studio, di telefonare a una certa persona o visitarla, scrivere un articoletto o una lettera, o parlare con chi ha problemi, di solito, accetto. Trovo difficile delegare. Da una parte, perché mi piace essere ancora utile e attiva e, dall’altra, perché, sotto sotto, penso che certe cose le faccio piuttosto bene. Sempre modesta, eh?

Ma a forza di accettare, mi trovo che non “ho-tanto-da-fare”, ma che “ho-troppo-da-fare”.

E questo porta alla prossima domanda del nostro “inquisitore”.

  • Mi illudo su ciò che faccio e mi illudo di essere meglio di quello che sono?

La tentazione di sentirsi indispensabili è sempre presente. Perciò è importante fermarsi a fare il punto e chiedersi proprio se la nostra operosità non sia diventata attivismo e se il nostro desiderio di fare del bene non toglie a altri il privilegio di essere utili, di imparare, di prendere il nostro posto. Dobbiamo fare, ma dobbiamo anche insegnare ad altri quello che noi sappiamo fare, in modo da moltiplicarci.

Come sempre, l’esempio viene dal Signore Gesù. Nessuno ha lavorato più di Lui: giorno e notte, quando era stanco e anche quando avrebbe voluto riposare.

Però non faceva quello che altri potevano fare.

Mi spiego. Quando si è trovato più di 10.000 persone da sfamare (erano circa 5000 uomini, più le donne e i bambini) ha fatto quello che sapeva fare solo Lui. Ha moltiplicato cinque pani e due pesci in modo che tutti avessero da mangiare a sufficienza. Ma, li ha fatti distribuire ai discepoli, non li ha fatti cadere miracolosamente davanti, o ancora meglio in bocca, alla gente.

Gesù ha delegato il lavoro a degli aiutanti, i discepoli, e quando tutti avevano mangiato, non fece sparire gli avanzi miracolosamente. Diede l’ordine agli stessi aiutanti di raccoglierli.

Essere esempi di operosità, insegnare a lavorare e, a un certo punto, delegare il lavoro è una gioia grande. Ora, che ora sono vecchia, godo nel vedere quelle che erano le mie “bambine” della Scuola domenicale, mentre servono nelle chiese, fanno studi biblici, consigliano, fanno del bene (spesso meglio di me!) e si danno da fare a evangelizzare.

L’apostolo Giovanni, diceva che non aveva gioia più grande del vedere i suoi “figli” che camminavano nella verità. Lo capisco!

Dio ha preparato delle buone opere per ciascuno di noi perché le mettiamo in pratica. Cerchiamo di riconoscere le “nostre” opere e non cerchiamo di fare anche quelle preparate per altri.

“L’inquisitore” ha un’ultima domanda. Ma la lasciamo per la prossima  volta. Ciao! 
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