Non si poteva finire meglio!



Se l’avessi pianificato, non credo che sarebbe mai capitato così bene!

L’ultima qualità del “Bambino”, che è nato a Betlemme per noi e per la nostra salvezza, che è descritto nel capitolo 9 di Isaia e ci ha accompagnati tutto il mese, cade esattamente il 31 dicembre, ed è “Principe della pace”! Che meraviglia!

Facciamo un piccolo ripasso. Un bambino ci è nato, un figlio ci è stato dato, il dominio riposerà sulle sue spalle. Sarà chiamato: Consigliere ammirabile, Dio potente, Padre eterno. E oggi: Principe della pace.    

L’altro giorno, Guglielmo e io guardavamo RAInews e, a un certo punto, ci siamo detti: sembra l’enciclopedia delle disgrazie! Inondazioni, disastri, omicidi, terremoti, arresti di personaggi, corruzione di politici e crolli di autostrade. Possibile che non avessero neppure mezza buona notizia da dare, tanto per mettere una pennellata di rosa nel panorama mondiale?

Veramente non viviamo tempi facili, anche se tutti parlano di pace. Pace in terra. Pace nelle famiglie. Pace a destra e pace a sinistra. Ma la pace non c’è.

Eppure il Bambino nato a Betlemme è venuto nel mondo per fare la pace e rendere possibile la pace. Egli è l’unico che ha potuto farlo!

Prima di tutto, ha reso possibile la pace fra l’uomo e Dio, diventando il nostro sostituto sulla croce. Lì si è caricato di ogni peccato che è stato mai commesso, ed è morto al nostro posto. Sulla croce ha pagato la pena di ogni peccato ed è diventato peccato per noi.

L’Apostolo Paolo, scrivendo a dei pagani, che vivevano a Efeso e si erano convertiti a Cristo, ha detto: “Ricordatevi che … eravate senza Cristo, esclusi dalla cittadinaza di Israele e estranei ai patti della promessa, senza speranza e senza Dio nel mondo (cioè, eravate lontani da Dio e non lo conoscevate. Non conoscevate neppure la legge che Dio aveva data agli Ebrei!). Ma ora, in Cristo Gesù, voi che allora eravate lontani siete stati avvicinati mediante il sangue di Cristo. Lui, infatti è la nostra pace; lui che dei due popoli (Giudei e stranieri) ne ha fatto uno solo … facendo la pace e per riconciliarli tutti e due con Dio in un corpo unico mediante la croce, sulla quale fece morire l’inimicizia.  Con la sua venuta ha annunciato la pace a voi che eravate lontani e la pace a quelli che erano vicini…” (Lettera agli Efesini 2:11-18).

Chi crede in Cristo trova la pace con Dio e gode il favore di Dio, che non ha meritato. In più, dato che Cristo ha pagato per ogni suo peccato, non solo è graziato, ma addirittura Dio lo vede anche giusto. “Giustificati per fede, abbiamo pace con Dio per mezzo di Gesù Cristo, nostro Signore” (Lettera ai Romani 5:1). Incredibile!

Ma non finisce qui! Gesù ha detto ai suoi discepoli, spaventati in vista della sua morte, e dice anche a noi che abbiamo accettato il dono della sua grazia: “Vi lascio pace, vi do la mia pace. Io non do come il mondo dà. Il vostro cuore non sia turbato e non si sgomenti” (Giovanni 14:27).

Troppo bello per essere vero? Eppure è vero!
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Sarà chiamato “Padre eterno”



Come si può chiamare “Padre eterno” un bambino appena nato? In natura non è comprensibile (vi immaginate la meraviglia dei medici e dei genitori se un bambino nascesse con la barba?) e, secondo gli schemi della nostra mente limitata, è inconcepibile. Ma per Dio è possibile.

Il “Bambino” nato a Betlemme, era Dio stesso incarnato ed era “Figlio donato” e “Padre eterno”. Che meraviglioso mistero!

Gesù si è differenziato da suo Padre e ha dichiarato costantemente la sua dipendenza da Lui, ma, allo stesso tempo, ha potuto dire che Lui e il Padre erano (o meglio, sono) uno (Giovanni 10:30). E aggiungeva: “Chi vede me, vede il Padre” (Giovanni 12:45).

Perciò, il Bambino profetizzato poteva benissimo essere chiamato “Padre eterno”, perché era stato da sempre Dio e con Dio e aveva tutte le qualità di Dio.

In Gesù “abita corporalmente la pienezza della Deità” (Colossesi 2:9), ha dichiarato l’Apostolo Paolo e Gesù stesso non ne ha fatto mistero. Non per niente, si è presentato come “l’Eterno” agli Ebrei che lo ascoltavano e ha affermato: “Prima che Abramo fosse nato, IO SONO (cioè esistevo) (Giovanni 8:58). In altre parole, io sono l’Eterno.

E, quando le guardie sono entrate nel giardino per arrestarlo, Egli ha chiesto: “Chi cercate?”.

Alla risposta, che stavano cercando Gesù di Nazaret, il Signore ha detto: “Sono io” (ovvero “Eterno”). E quelle sono cadute dallo spavento.

Isaia dice esattamente questo del Messia: il Bambino sarà Dio, avrà le qualità dell’Eterno dell’Antico Testamento. Sarà il buon pastore, come l’Eterno è il Pastore che “pascerà il suo gregge, raccoglierà gli agnelli in braccio, li porterà sul petto, condurrà le pecore che allattano” (40:11).
“Tu, Signore, sei nostro padre, e il tuo nome, in ogni tempo, è Redentore nostro” (63:16).

Mentre era sulla terra Gesù ha detto “Io sono il buon Pastore”, come mio Padre è pastore. Mio Padre è luce e io sono la luce del mondo. Mio Padre è vita e io sono la vita. Mio Padre è verace e fedele. Io sono la verità, non mento, non cambio.

Mio padre è pietoso e si ricorda che le sue creature sono fragili e ne tiene conto (Salmo 103:13) e io dico a chi è stanco e oppresso: “Vieni a me, e ti darò riposo”.

Mio padre è re e io “darò incremento all’impero e una pace senza fine al trono di Davide e al suo regno, per stabilirlo fermamente e sostenerlo mediante il diritto e la giustizia, da ora e per sempre: questo farà lo zelo del Signore degli eserciti” (Isaia 9:6). Questo, e molto di più, è quello che farà il Bambino nato a Betlemme.
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Un bambino ci è nato: è Dio potente



Nella nostra comunità evangelica da poco è nata un bambina: Clara. Sembra una bambola. Mangia, dorme, sta bene. Ma quanto è piccola!

Gesù è stato così piccolo, inerme, incapace di fare qualsiasi cosa da solo, alla totale mercé di Giuseppe e Maria. Eppure Isaia nel descriverlo lo chiama “Dio potente”.

In quell’esserino c’era la Persona più forte e più potente che sia mai nata. Era Colui che aveva creato l’universo, che con una parola avrebbe calmato la tempesta, risuscitato i morti, fatto camminare i paralitici, fatto diventare secco all’istante un albero rigoglioso e liberato indemoniati incontrollati e incontrollabili.

Ma non basta: un giorno, che noi non abbiamo ancora visto, diverrà il liberatore del suo popolo, Israele.

Oggi, il popolo d’Israele è odiato e osteggiato. Raramente è oggetto di un elogio da parte della stampa. Perfino il terribile olocaustro degli anni ’40 e minimizzato.  

La Bibbia dice che sarà così fino al giorno in cui Israele non si pentirà delle sue infedeltà.

Neemia ne ha parlato in una preghiera riportata nel capitolo 9 del suo libro, scritto poco più di quattro secoli prima della venuta del Messia. Leggila per intero. Ne vale la pena.

Per la sua infedeltà il popolo era stato deportato a Babilonia e finalmente aveva ottenuto il permesso di tornare nel suo paese, non come popolo libero, ma con la possibilità di ricostruirsi il tempio e le mura di Gerusalemme. A ricostruzione terminata lo stato spirituale del popolo, però, non era granché migliorato.   

Neemia ne parla in preghiera al Signore e ricorda le benedizioni ottenute e il benessere goduto. “Per quarant’anni nel deserto, davi loro il pane dal cielo quando erano affamati e facevi scaturire l’acqua dalla roccia quando erano assetati… ma i nostri padri si sono comportati con superbia irrigidendo i loro colli e non ubbidendo ai tuoi comandamenti… ma tu sei un Dio pronto a perdonare, misericordioso, pieno di compassione, lento all’ira e di gran bontà… hai dato loro regni e popoli … sono diventati padroni di città fortificate... sono vissuti in delizie per la tua gran bontà.

“Ma essi hanno disubbidito, si sono ribellati contro di te, si sono buttati la tua legge dietro alle loro spalle, hanno ucciso i loro profeti che li scongiuravano di tornare a te…Perciò tu li hai messi in mano ai loro nemici… E oggi eccoci schiavi!”

Dopo quattro secoli che questa preghiera è stata innalzata da Neemia è nato il Messia promesso, il Liberatore. Ma il Bambino nato a Betlemme è stato respinto.

Nonostante tutto, l’Iddio potente ha ancora preservato il suo popolo. Le sue promesse Lui le mantiene!

Gli Ebrei sono l’unico popolo dell’antichità che ha conservato le sue caratteristiche etniche e religiose. La sua esistenza è, in se stessa, una prova della fedeltà dell’Iddio onnipotente, che continuerà a preservarlo.

Fino a quando? Finché, dopo altre tremende persecuzioni non si adempirà un’altra profezia, quella scritta dal profeta Zaccaria: “Spanderò sulla casa di Davide e sugli abitanti di Gerusalemme lo spirito di grazia e di supplicazone; ed essi guarderanno a me, a Colui che essi hanno trafitto e ne faranno cordoglio come si fa per un figlio unico, e lo piangeranno amaramente come si piange un primogenito” (12:10).

“In quel giorno vi sarà una fonte aperta per la casa di Davide e per gli abitanti di Gerusalemme, per il peccato e l’impurità” (13:1).

“Il Signore sarà re di tutta la terra; in quel giorno il Signore sarà l’unico, e unico sarà il suo nome” (14:9).

Che giorno straordinario sarà! “Il Bambino” che ci è nato, sarà finalmente riconosciuto come Dio potente!
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Un bambino ci è nato. È un consigliere ammirabile



Quando ero bambina mi dicevano spesso: “Tu non puoi capire!”.

Così ho deciso che non avrei chiesto più spiegazioni e me le sarei date da sola. Di conseguenza, per me, un “maresciallo” era uno che stava in mezzo al mare, in piedi su uno scoglio, avvolto in uno sciallo e il bucato non era la biancheria lavata di fresco e pulita, ma un grande lenzuolo con un immenso buco nel mezzo (en passant, non vi pare che sia una buona idea rispondere saggiamente ai vostri bambini e ai vostri nipoti, quando vi chiedono spiegazioni?). Ma andiamo avanti.

Il Bambino, il Messia, nato a Betlemme di cui ha profetizzato Isaia (9:5), è chiamato anche “Consigliere ammirabile”.

Nel post della volta scorsa abbiamo accennato al fatto che Gesù si è “autolimitato” mentre era sulla terra.

Un modo, che non ho nominato e in cui lo ha fatto, è che, crescendo, ha imparato a funzionare come un bambino qualsiasi.

Il Vangelo di Luca dice che quando era piccolo “cresceva e si fortificava; era pieno di sapienza e la grazia di Dio era su Lui” (2:40) e che da adolescente “cresceva in sapienza, in statura e in grazia, davanti a Dio e agli uomini” (2:52).

Non è incredibile? Che figlio fantastico deve essere stato!

Si sviluppava come un ragazzo normale e, allo stesso tempo, era Dio stesso incarnato, nel quale, secondo l’Apostolo Paolo, “erano nascosti tutti i tesori della sapienza e della conoscenza” (Colossesi 2:3). La nostra mente esplode nel pensarci!

Dio è il nostro migliore consigliere. Giobbe diceva: “In Lui stanno la saggezza e la potenza, a Lui appartengono il consiglio e l’intelligenza” (12:13). 

Oggi, Gesù ci consiglia in tre modi: per mezzo della coscienza, della sua Parola e col suo Spirito Santo.

La coscienza ce l’abbiamo tutti ed è una vocetta tranquilla e sommessa. Spesso accende delle piccole luci rosse, per avvertirci quando sbagliamo. Ma, purtroppo,  spesso non l’ascoltiamo e il più delle volte, la nostra coscienza è così distorta dalla mentalità del mondo in cui viviamo, che non ci rendiamo neppure conto che Dio ci stia dicendo qualcosa.

“Lo fanno tutti… i tempi cambiano… la mentalità è diversa…” diciamo e la trascuriamo.

Molto spesso Gesù ci parla, per mezzo della sua Parola.

Mi dici che non la leggi? Beh, se hai letto fin qui questo post, qualcosa della Parola di Dio, lo hai letto!

Oppure, permettimi una domanda: “Dici mai il «Padre nostro»”? Anche quella è Parola di Dio e ti posso dare nome e indirizzo per trovarla nel Vangelo di Matteo.  

Per esempio se dici: “Dacci oggi il pane quotidiano” e mangi pane e companatico, ti ricordi di dire “grazie”?

Oppure reciti: “Perdona i nostri debiti, come noi perdoniamo ai nostri debitori” e ti viene in mente qualcuno a cui dovresti chiedere perdono o che dovresti perdonare. Lo fai?   

Infine c’è un “qualcosa” che, quando sei da solo, ti dice che non sei proprio a posto, che hai bisogno di Dio, che un giorno gli dovrai rendere conto?

Sai chi è che ti parla? È lo Spirito Santo. Gesù ha detto che è il suo sostituto, il quale ha il grande compito di convincere le persone del loro grande bisogno di Dio. Lo ascolti? I suoi consigli sono molto utili e seri!
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Il bambino, che ci è nato, sarà un dominatore



La profezia di Isaia 9:5, di cui abbiamo già parlato da più di una settimana, continua dicendo: “Un bambino ci è nato… il dominio riposerà sulle sue spalle”.

In che senso Gesù sarebbe stato ed è stato un “dominatore”? Lui che, sulla terra, non aveva una casa che potesse dire sua, che non aveva un luogo in cui posare il capo, che ovunque andasse era osannato da alcuni e disprezzato da molti? Lui che la Lettera agli Ebrei afferma che è stato tentato in ogni possibile maniera e che ha sofferto più di chiunque altro (4:15)?

In realtà, è stato un dominatore. Per prima cosa, ha scelto di dominare se stesso, di umiliarsi e di venire sulla terra come un servo, uno schiavo. E non è poco.

Nella Lettera ai Filippesi è detto: “Gesù Cristo, il quale pur essendo in forma di Dio, non considerò l’essere uguale a Dio qualcosa a cui aggrapparsi gelosamente, ma svuotò (annullò) se stesso, prendendo forma di servo, divenendo simile agli uomini facendosi ubbidiente fino alla morte e alla morte sulla croce” (2:6-8). Lasciare la gloria e la perfezione e accettare di vivere in un terra imperfetta, sporca e puzzolente è stato un atto di straordinaria rinuncia ai propri diritti. E lo ha fatto per tutto il tempo in cui è vissuto sulla terra! Nulla lo obbligava: lo ha fatto per te e per me!

Ma non basta: prendendo un corpo ha accettato di crescere come un bambino qualsiasi, di rinunciare alla sua onnipresenza. Si è autolimitato obbligandosi a vivere in quel fazzoletto di terra che era la Palestina, Lui che aveva creato ogni cosa.

Non ha rinunciato alla sua onniscienza, ma non ne ha fatto uno spettacolo. Vedeva esattamente quello che il suoi contemporanei pensavano, e niente gli sfuggiva (sapeva perfino che un certo pesce, in un certo momento avrebbe avuto in bocca una moneta!), ma si è autolimitato anche nella sua onniscienza. Per esempio,  dicendo che solo il Padre conosceva il momento in cui avrebbe stabilito il suo regno sulla terra (Marco 13:32).

Si è autolimitato quando è stato processato, umiliato, deriso, tradito. Non ha aperto la sua bocca.

Quando, dunque, verrà il momento in cui “il dominio riposerà sulle sue spalle”? Quando si avvererà la profezia di Isaia?

Quando lo deciderà insieme a suo Padre. Dopo tutto, è il Signore e fa quello che gli piace. Nel Salmo 2:8,9, Dio parla al Figlio: “Chiedimi e io ti darò in eredità le nazioni e in possesso le estemità della terra. Tu le spezzerai con una verga di ferro: tu le frantumerai come un vaso d’argilla”.

Il giudizio, un giorno, sarà messo nelle mani del Figlio (di quel “Bambino”, nato a Betlemme, cresciuto, morto, risuscitato e glorificato), per giudicare le nazioni e per stabilire il suo regno di giustizia e di pace.

E lo sapete? Con Lui regneranno anche coloro che avranno creduto in Lui come Salvatore, lo avranno riconosciuto come Signore.

Una grandiosa prospettiva, non vi pare? 
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Un figlio ci è stato dato


Verso la fine del suo ministero terreno, Gesù raccontò una parabola a un gruppo di religiosi del suo tempo. Era gente che conosceva molto bene le profezie dell’Antico Testamento, anche quelle di Isaia. Erano uomini che lo odiavano e lo volevano morto.

Ecco la parabola in riassunto. Un padrone diede in affitto la sua vigna a dei vignaioli e poi partì per un lungo viaggio. A un certo punto, mandò dei servi per ricevere il frutto della sua vigna dai coltivatori, ma questi li malmenarono e ne uccisero alcuni.

Mandò altri servi. Stesso trattamento.

“Manderò mio figlio, lo rispetteranno” disse fra sé.

I vignaioli uccisero anche il Figlio.

“Quando verrà il padrone stesso cosa farà?” chiese Gesù retoricamente, concludendo la parabola. La risposta era ovvia. Li punirà e darà la vigna ad altri.

Infatti la conclusione di Gesù fu proprio: “Perciò vi dico che il regno di Dio vi sarà tolto e sarà dato a gente che ne faccia i frutti. Chi cadrà su questa pietra rifiutata (Lui stesso) sarà sfracellato ed essa stritolerà colui sul quale cadrà” (Matteo 21:44,45).

In questa parabola c’era molto della storia del popolo di Israele ribelle e caparbio. Era stato scelto per essere il testimone del vero Dio fra gli altri popoli e aveva una “vigna” in affitto, cioè viveva nella Terra Promessa, da cui avrebbe dovuto diffondere la Parola di Dio.

Ma fu ribelle nei riguardi di Dio e dei suoi servi, i profeti e coloro che predicavano la legge del Signore. Quando, in un momento preciso della storia, Dio mandò sulla terra, in Palestina, suo Figlio stesso. Lo uccisero.

Isaia aveva appena scritto “un bambino ci è nato”. Lo Spirito Santo lo spinse a aggiungere subito “un figlio ci è stato dato” (9:5). Secoli prima che accadesse, scrisse quello che l’evangelista Giovanni ha raccontato e che Gesù ha confermato, dicendo a un religioso del suo tempo: “Iddio ha tanto amato il mondo che ha dato il suo unigenito Figlio, affinché chiunque crede in Lui non perisca, ma abbia vita eterna” (Giovanni 3:16).

Paolo lo conferma: “Quando giunse la pienezza del tempo (ovvero quando i tempi furono maturi), Dio mandò suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge, per riscattare quelli che erano sotto la legge” (Galati 4:4).

Gesù venne sulla terra. Con la sua vita perfetta dimostrò di essere Dio, compì tutto ciò che la legge di Dio ordinava, adempì le profezie che erano state scritte su Lui in passato. Chiamò il suo popolo al ravvedimento e fu respinto.

Morì al posto dell’umanità peccatrice e oggi estende il suo invito alla salvezza a chiunque si rivolge a Lui con fede.

“Venite a me voi tutti…” dice. Lo senti? Non lo respingere.
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“Un bambino ci è nato”



So che il Papa ha scritto un libro sull’infanzia di Gesù, ma non l’ho letto. Non so cosa si sarà potuto inventare, dato che i Vangeli dicono ben poco al riguardo.

Tutto quello che si sa è che Gesù è nato a Betlemme, è stato circonciso quando aveva otto giorni, come prescriveva la legge di Mosè, è andato in Egitto con Giuseppe e Maria, per sfuggire a quella che poi è stata chiamata “la strage degli innocenti”, voluta da Erode, per sbarazzarsi di un possibile contendente al trono.

Si sa che Gesù è cresciuto come un bambino qualsiasi, che è vissuto a Nazaret e che a 12 anni è andato a Gerusalemme e ha avuto un incontro molto interessante con i dottori della legge nel tempio. Che fino all’età di 30 anni è stato “il figlio del falegname”.

È vero che ci sono delle leggende che anch’io ho sentito raccontare a scuola dalle mie maestre. Ma non penso che il Papa, nonostante la sua età avanzata, ci creda!

Per esempio? Si racconta che, mentre fuggiva in Egitto, delle guardie romane fermarono Giuseppe, che guidava l’asino su cui Maria cavalcava, tenendo Gesù in braccio.

“Che cosa hai lì?” chiesero minacciose.

“Fiori!” rispose Maria (ve la immaginate la Madonna immacolata che dice una bugia, anche se, natualmente, a fin di bene?).

“Fa’ vedere!” urlarono.

Maria aprì il mantello ed ecco: c’era un magnifico mazzo di fiori!

“Potete andare!“ dissero le guardie.

Maria richiuse il mantello e i fiori diventarono… “Gesù Bambino”. Santa innocenza!

Poi c’è la storia di Gesù che fece diventare vivi e capaci di volare degli uccellini di creta che aveva formati per gioco, per difenderli dalle unghie, se ricordo bene, di un gatto.

Ma torniamo a Isaia, capitolo 9, che è meglio!

Isaia 9:5 dice: “Un bambino” ci è nato” (v. 5). Gesù era maschio e anche questo ha un peso.

Il primo uomo creato da Dio, Adamo, ha peccato e, a causa della sua disubbidienza all’ordine di Dio, “Il peccato è entrato nel mondo, e per mezzo del peccato la morte. Così la morte è passata su tutti gli uomini, perché tutti hanno peccato” spiega  l’Apostolo Paolo nella sua lettera ai Romani (5:12).

Era necessario che un altro uomo diventasse un salvatore, “perché se per la trasgressione di uno solo molti sono morti, a maggior ragione la grazia di Dio e il dono della grazia proveniente da un solo uomo, Gesù Cristo, sono stati riversati abbondantemente su molti” (5:15).

Doveva essere, però, un uomo perfetto e senza peccato.

Sempre Paolo afferma: “Come per una sola trasgressione la condanna si è estesa a tutti gli uomini, così pure con un solo atto di giustizia, la giustificazione che dà la vita si è estesa a tutti gli uomini… affinché come il peccato regnò mediante la morte, così pure la grazia regni mediante la giustizia a vita eterna, per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore” (5:18,21).

Non potrebbe essere più chiaro: il primo uomo, Adamo, è stato lo strumento che ha portato la morte e il peccato nella razza umana. Un secondo uomo perfetto, il Figlio di Dio, Gesù Cristo, è stato lo strumento per portare la grazia e la vita alla razza umana decaduta.  

“Un bambino è nato” precisa ancora Isaia.

Gesù era contemporaneamente Dio e uomo. In quanto uomo, ha potuto morire. Come Dio, ha potuto offrirsi come sacrificio perfetto al posto dell’uomo e risuscitare.

Infine, Isaia afferma: “Un bambino ci è nato”. È nato per salvare ogni individuo che compone l’umanità. È nato per te e per me. L’opera di salvezza di Gesù ha valore  universale, ma deve essere accolta per mezzo della fede da ogni individuo.
 
Tu lo hai fatto? Io sì.
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Un bambino ci è nato!



Nessuno sa la data precisa della nascita di Gesù. Forse ha avuto luogo in primavera, forse in autunno. Si sa solo, dal Vangelo di Luca, che è avvenuta nell’anno del censimento ordinato dall’Imperatore Cesare Augusto, al tempo in cui Quirinio governava la Siria.

Dato che non c’è stata mai sicurezza sulla data di nascita di Gesù, la chiesa ufficiale ha scelto arbitrariamente la data del 25 dicembre e attorno a tutto l’evento si è sviluppata una cornice di tradizioni e leggende popolari sdolcinate e quasi  strappalacrime. Come il freddo, il gelo, il bue e l’asino, le cornamuse, i presepi. Il tutto accompagnato da cibi speciali. Alberi decorati, luci e comete, luminarie. E chi più ne ha, più ne metta.

Per reazione a tante tradizioni inventate, alcuni gruppi di evangelici e alcune sette hanno deciso che di Natale non si deve neppure parlare. Così da una esagerazione si è caduti faclmente in un’altra.

Sia come sia, il fatto unico, reale e straordinario che Dio si è incarnato miracolosamente nel corpo di Maria, si è sviluppato in lei come qualsiasi altro feto ed è nato come qualsiasi altro bambino dopo nove mesi di gestazione, rimane.

La sua data di nascita non è importante.  È, però, straordinariamente importante che sia nato!

Se non fosse nato, non ci sarebbe salvezza per noi. Gesù è venuto per cercare e salvare ciò che era perito e per dare la sua vita per noi, per morire al nostro posto e rendere possibile la riconciliazione fra Dio e gli uomini. Se non avesse avuto un corpo umano, non avrebbe potuto morire. Se non fosse stato Dio non avrebbe potuto offire un sacrificio perfetto.

La sua venuta non è stata un fatto improvviso e imprevisto. Era stata prevista da tutta l’eternità e annunciata da Dio stesso, subito dopo la caduta di Adamo e Eva nel peccato. Vari profeti ne hanno parlato attraverso i secoli, indicando con precisione il luogo in cui sarebbe nato, il tipo di morte che avrebbe subito, e il tipo di ministero  che avrebbe avuto.

Isaia, vissuto circa 800 anni prima della nascita di Gesù, nel capitolo 9 del suo libro,  per ispirazione di Dio, ha scritto una delle profezie più belle, più complete e più dettagliate sul carattere del “Bambino”, Figlio di Dio, che sarebbe nato e sulle prerogative che avrebbe avuto. Noi parleremo per tutto il mese su ognuna di esse!

Il momento storico in cui Isaia pronunciò questa profezia era difficile (come è difficile quello in cui noi viviamo).

Il peccato dilagava in Israele e il popolo viveva lontano da Dio (esattamente come succede oggi da noi).

Il giudizio di Dio sul suo peccato si stava avvicinando (come Dio afferma che farà anche oggi) .

Le tenebre spirituali erano pesanti (come accade oggi fra la gente che pensa a tutto fuorché a Dio).

Ma la speranza di un Messia liberatore persisteva, perciò il profeta annunciava che “Il popolo che camminava nelle tenebre vede una gran luce; su quelli che abitavano il paese nell’ombra della morte la luce risplende” (v. 1). Stava per nascere un Liberatore.

Come poteva usare il verbo al presente otto secoli prima? Per Dio il tempo, come lo intendiamo noi, calcolato in giorni, ore e minuti, non esiste. Quello che per noi è un secolo, per Lui è un istante. Egli vive in un eterno presente. Perciò, anche se Gesù sarebbe nato sulla terra molto tempo dopo, Dio poteva dire: ”Un bambino ci è nato… la luce risplende… il popolo vede una gran luce”. 

Oggi noi viviamo dopo l’adempimento di questa profezia. Possiamo  constatarne l’assoluta esattezza. Gesù è venuto come luce del mondo, ha portato la salvezza.

Ma, nonostante questa nostra posizione privilegiata, conosciamo davvero personalmente il Salvatore che è nato, è vissuto come un uomo qualsiasi, è morto per la nostra salvezza, è risuscitato trionfante sulla morte per darci la vita eterna?

Spero di sì. In ogni modo, meditare sulla descrizione del Bambino annunciato da Isaia, ci aiuterà a godere più che mai la bellezza del Natale. 
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Se la mia salvezza non dipende in nessun modo da me …da cosa dipende?



Dalla grazia di Dio!

Nel mio post precedente, ho detto che avrei lasciato la parola all’Apostolo Paolo. Ascoltalo: ha perseguitato i cristiani e ha bestemmiato Dio prima di conoscerlo. Ma è  stato “graziato”. Ora ti parla dalle pagine della Sacra Bibbia.

“È per grazia che siete stati salvati, mediante la fede: e ciò non viene da voi: è il dono di Dio. Non è in virtù di opere, affinché nessuno se ne vanti” (Lettera agli Efesini 2:8,9).

“Egli (Gesù) ci ha salvati non per opere giuste da noi compiute, ma per la sua misericordia, mediante il lavacro della rigenerazione (la nuova nascita) e del rinnovamento dello Spirito Santo” (Lettera a Tito 3:5).

“Iddio mostra la grandezza del proprio amore per noi, in quanto che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi” (Lettera ai Romani 5:8).

“Colui che non ha conosciuto peccato (Gesù), Dio Padre l’ha fatto diventare peccato per noi, affinché noi diventassimo giustizia di Dio in Lui” (Seconda lettera ai Corinzi 5:21).

Non posso aggiungere nulla a un’opera già perfetta. Devo solo crederci!

Come? Non solo con la mente, ma di cuore.

  • Per cominciare, devo credere a quello che dice il Vangelo e solo a quello. Non è possibile essere salvati senza conoscere e credere al Vangelo puro e semplice.
    Gesù ha detto: “Chi ascolta la mia Parola e crede a Colui che mi ha mandato (Dio Padre), ha vita eterna, e non viene in giudizio, ma è passato dalla morte (ovvero la separazione da Dio) alla vita” (Evangelo di Giovanni 5:24).  
  • Poi, devo essere abbastanza umile da ammettere di essere un peccatore senza speranza. Devo credere che il mio peccato mi separa da Dio e che la paga del peccato è la morte eterna. Non sarà un annientamento finale, ma la separazione eterna da Dio nell’inferno. “La paga del peccato è la morte” (Lettera ai Romani 6:23).
  • Perciò devo arrendermi senza condizioni e stendere la mano come un mendicante per ricevere il dono di Dio.

“La paga del peccato è la morte, ma il dono di Dio è la vita eterna in Cristo Gesù, nostro Signore” (Romani 6:23)

L’Apostolo Giovanni ha scritto nel suo Vangelo: “A tutti quelli che lo hanno ricevuto (cioè che hanno accolto Gesù Cristo credendo in Lui e ciò che ha fatto) Egli ha dato il diritto di diventare figli di Dio, a quelli cioè che credono nel suo nome” (1:12).

Gesù stesso ha detto: “Colui che viene a me, non lo  caccerò fuori” (Evangelo di Giovanni 6:37) e “Venite a me voi tutti che siete affaticati e oppressi, e io vi darò riposo. Prendete su voi il mio giogo e imparate da me, perché io sono mansueto e umile di cuore; e voi troverete riposo per le vostre anime, poiché il mio giogo è dolce e il mio carico è leggero” (Evangelo di Matteo 11:28).


  • Per finire, un ammonimento molto serio: “Come scamperemo noi, se trascuriamo una così grande salvezza?” (Lettera agli Ebrei 2:3).
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La salvezza non è neppure…



Siamo arrivati alla seconda tornata di ciò che la salvezza NON è e da che cosa NON dipende. Ci siamo lasciati, la volta scorsa, che dovevamo parlare di come Dio si comporta coi cattivi, dal momento che non può prendere con sé i “buoni”, perché contaminati dal peccato. Che ne fa di loro?
  •  La salvezza NON dipende dall’aver vissuto una vita buona, onesta e morale.
Quando era sulla croce, Gesù soffriva pene fisiche terribili e il peso di ogni peccato mai commesso sulla terra era su di Lui, innocente e perfetto Figlio di Dio. Come ha detto l’Apostolo Paolo “è stato fatto peccato” per noi.

Altri due delinquenti erano crocifissi ai suoi lati e lo prendevano in giro. Se era davvero quello che diceva di essere perché non scendeva dalla croce e non liberava anche loro due?

Poco tempo dopo, però, uno dei due delinquenti, mosso da timore di Dio, ha cominciato a ragionare diversamente. Si stava rendendo conto che quell’uomo che stava morendo con loro non aveva fatto niente di male e che era veramente innocente, mentre loro erano colpevoli e degni di condanna. Perciò si rivose verso Gesù e gli disse: “Ricordati di me, quando sarai venuto nel tuo regno”.

E Gesù pronunciò la parola più chiara possibile: “Io ti dico che oggi tu sarai con me in Paradiso” (Luca 23:40-43.

Era stato un delinquente, ma moriva salvato. Quanta vita morale aveva vissuta? Poca o niente.
  • La salvezza NON dipende neppure dalla buona volontà e dai nostri sforzi.
Allora, si deduce, che anche chi sale la Scala Santa a Roma, chi si flagella fino a sanguinare come fanno molti all’avvicinarsi della Pasqua nelle Filippine, chi è pronto a qualsiasi sacrificio e sofferenza pur di guadagnarsi un posto in cielo, si sforza inutilmente? Sì. Infatti, come potrebbe mai sapere se si è sacrificato abbastanza?

Nella Lettera scritta ai Romani che soffrivano la persecuzione a causa della loro fede, Paolo ha detto che la salvezza: “Non dipende né da chi corre né da chi vuole, ma…”.

“Da che cosa, allora?”                                                               

“…da Dio che fa misericordia!” (Romani 9:16).
  • Per finire, la salvezza NON dipendende neppure dall’aver seguito la religione giusta.
Nel suo sermone sul monte il Signore Gesù pronunciò delle parole terribili: “Non chiunque mi dice: Signore, Signore! Entrerà nel regno dei cieli. Molti mi diranno in quel giorno: «Signore, Signore, non abbiamo noi profetizzato in nome tuo e in nome tuo cacciato demoni e fatto in nome tuo molte opere potenti?». Allora, dichiarerò loro: «Io non vi ho mai conosciuti; allontanatevi da me, malfattori!»” (Matteo 7:21-23).

Ma, allora, se non dipende dalle mie buone opere, dalla mia religiosità, dalla buona volontà che ci metto, da cosa dipende la salvezza?
  •  La salvezza dipende UNICAMENTE dalla grazia di Dio, cioè dal favore immeritato che Dio mi offre per i meriti di Cristo.  
Ne parliamo la prossima volta. Anzi ve ne parlerà direttamente S. Paolo.
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La salvezza non è…



Oggi si dice che in ogni religione c’è del buono, perciò scegli quella che ti piace di più. Vivi e lascia vivere. Non vale la pena parlarne.

Invece, vale la pena parlarne, perché non è possibile che tutte le religioni siano giuste dato che si contraddicono fra loro, e tutte, d’altra parte, affermano di voler aiutare gli uomini a arrivare a conoscere Dio.

Naturalmente ognuno è libero di fare le sue scelte e le sue ricerche, ma per amore di chiarezza e per sgombrare la strada da equivoci, ecco cosa dice la Bibbia su che cosa NON procura la salvezza. 
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  •  La salvezza NON dipende da un miglioramento morale o dalla conoscenza della verità.
Un uomo molto religioso e integro (lo ha dimostrato in varie occasioni, prima di prendere una posizione per Cristo), Nicodemo, andò da Gesù di notte. Era un membro della setta dei farisei, che osservava puntigliosamente tutti i dettagli della Legge di Mosè.

Iniziò un bel discorsetto rivolgendosi a Gesù, chiamandolo profeta venuto da Dio e riconoscendo la grandezza dei suoi miracoli. Ma Gesù tagliò corto dicendogli con franchezza: “Ti dico che se uno non è nato di nuovo, non può vedere il regno di Dio… Quello che è nato dalla carne è carne; e quello che è nato dallo Spirito è spirito. Non ti meravigliare se ti ho detto che bisogna nascere di nuovo” (Giovanni 3:3,6).

In breve, Gesù gli voleva dire che un miglioramento della sua condotta e una maggiore conoscenza della persona di Gesù non gli avrebbero giovato. La natura carnale, con la quale era nato, sarebbe rimasta sempre la stessa e non avrebbe potuto essere migliorata. A meno che non fosse trasformata con un miracolo: una rigenerazione, una nuova natura.

La natura umana, peccatrice e fallibile, non può stare davanti a Dio.
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  •  La salvezza NON è un processo graduale, un “cammino” come alcuni insegnano.
È un momento preciso. Nessuno passa la vita “nascendo” o nasce per gradi. A un certo momento preciso, un bambino viene al mondo e entra a fare parte di una famiglia. Comincia a respirare e a vivere.

Chi ha sperimentato solo la nascita naturale è vivo fisicamente, ma è morto spiritualmente e tale rimane. Ha in sé il seme del peccato. E nessun battesimo, praticato da un sacerdote cattolico o da un pastore protestante, glielo può togliere. Deve nascere spiritualmente. Deve nascere di nuovo.

Se non è “nato di nuovo”, non può fare parte della famiglia di Dio.
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  •  La salvezza NON dipende dalla mia condotta e dalle mie opere buone.
Tutto quello che potrei fare di buono per meritare la salvezza non sarebbe sufficiente, perché Dio esige la perfezione. Gesù ha detto: “Siate perfetti, come è perfetto il Padre vostro che è nei cieli” (Matteo 5:48).       

“Ma è impossibile!” ha obiettato una persona a cui l’ho detto. Giusto! Ma anche logico. Quale chirurgo permetterebbe a un assistente con le scarpe sporche di entrare nella sua sala operatoria, mentre sta operando?

Dio è perfetto e puro, perciò vuole con sé gente perfetta e pura. 

  • La salvezza NON dipende dalla nostra religiosità.
A Roma abbiamo la Scala Santa e la gente la sale in ginocchio per diminuire le sue pene in purgatorio (del quale la Bibbia non dice parola) e quelle dei suoi cari già morti. È una vera tortura a cui i fedeli si sottopongono e che, purtroppo, non serve loro a nulla. Le pratiche religiose non hanno mai salvato nessuno.

Il libro degli Atti degli Apostoli racconta, per esempio, che l’Apostolo Pietro fu mandato da Dio da un certo Cornelio, un Centurione romano, che era religioso e buono. Era uno che pregava, faceva elemosine e di cui tutti dicevano un mondo di bene. Dio gli aveva addirittura parlato, dicendogli: “Manda a chiamare Pietro perché ti parlerà di cose per le quali sarai salvato tu e la casa tua” (Atti 11:14).

E così fu: Pietro andò da lui e gli parlò di Cristo e della sua opera. Cornelio e la sua famiglia, ascoltarono e credettero a ciò che Pietro diceva. Dopo di che, furono salvati! La loro devozione non era stata sufficiente per salvarli.     

“Ma Cornelio era buono e Dio lo ha ricompensato, per i suoi meriti!” mi dite.

Beh, allora la volta prossima parleremo di un cattivo!

Ci sentiamo!
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NON LO FARE!



“È tanto bravo e serio: si direbbe che sia un credente e mi ascolta quando gli parlo del Signore!”

Me lo diceva una ragazza non molto tempo fa, parlandomi della sua simpatia per un compagno di liceo.

“A parte il fatto che uno che ti volesse conquistare ti starebbe a ascoltare, o farebbe finta di essere interessato, anche se gli parlassi dell’influenza della poesia di Ariosto sul gioco del tennis, cioè su qualcosa di anche assolutamente cretino e inesistente” le ho risposto, “fai attenzione. Ancora meglio: scordatelo!”.

“Ma è interessato davvero…”

“Allora proponigli di parlare della fede con qualcun altro, come tuo padre, o il pastore della tua chiesa, o un fratello in fede affidabile.”

“Ma perché sei così dura?” mi ha chiesto la ragazza con gli occhi lucidi.

“Perché ho visto troppi disastri cominciare proprio così e perché se nella Bibbia c’è un comando chiaro rivolto ai credenti, è proprio quello di non sposare una persona che non è nata di nuovo.”

Spero che mi dia retta.

La Bibbia dice categoricamente: “Non vi mettete con gli infedeli sotto un giogo che non è per voi; infatti che rapporto c’è fra la giustizia e l’iniquità? O quale comunione fra la luce e le tenebre? E quale rapporto fra Cristo e Belial? Quale relazione fra il fedele e l’infedele?” (2 Corinzi 6:14,15).

La differenza fra un credente e un non credente è troppo grande. Un credente in Cristo appartiene alla famiglia di Dio e lo Spirito Santo abita in lui, ha la mente di Cristo, cioè pensa secondo quello che dice la Parola di Dio, è nato di nuovo e possiede la natura divina (sembra incredibile, comunque non vuol dire che è divenuto quasi un dio). Un non credente è tutto il contrario. Non ha lo Spirito Santo, perciò pensa in maniera carnale, non comprende le cose di Dio e, Gesù ha detto, addirittura pari pari, che non è un figlio di Dio, ma è figlio del diavolo. 

Dalla mia esperienza ho visto che in un matrimonio cosiddetto “misto” tutte le relazioni, molto presto, diventano traballanti e sono a rischio.

La relazione verticale con Dio è a rischio, perché fra i coniugi non c’è una vera unione. Non possono pregare insieme, andare in chiesa insieme, leggere la Bibbia insieme. E chi ne soffre? Non il partner non credente!

Chi ne soffre è il credente che, per cominciare, prova rimorso di aver disubbidito a Dio e sa di essersi rovinato con le proprie mani. Quando prega, non è sicuro che Dio lo ascolti. In realtà, Dio lo ascolta, ma lui, o lei, ha paura di non essere ascoltato. Poi, non sa come educare i figli e spesso si trova in contrasto con le idee del coniuge (anche se da fidanzati la promessa era stata che il credente sarebbe stato assolutamente libero di professare la sua fede e di educare i figli secondo la sua coscienza). In più, di solito, nella mischia famigliare si intromettono anche i parenti del non credente che vorrebbero questo e quello. A cominciare da battesimi e prime comunioni.

Così la fede del credente è ferita, comincia a vacillare e si intiepidisce. Se non si spegne del tutto.

La relazione orizzontale col coniuge si incrina. Certo, si possono ancora fare molte cose insieme e goderle: praticare uno sport, vedere un film, andare a un concerto, fare all’amore. Ma c’è sempre quel certo importantissimo elemento che manca: l’unità della fede.

Così sorgono tensioni di vario tipo, come per esempio l’uso dei soldi. Uno vorrebbe sostenere le spese della chiesa, o donare all’opera missionaria e l’altro pensa che si deve comprare qualcosa che l’altro considera uno spreco.

Poi, si discute e si litiga su cosa permettere ai figli. Ecco, allora, un’altra relazione orizzontale che rischia di rovinarsi. I figli, con molta probabilità, tenderanno a seguire il non credente. Perché permetterà di più, perché sarà più indulgente, perché farà meno storie e non vieterà ogni tanto una serata in discoteca o una notte fuori casa da amici. Già i figli sbuffano davanti ai paletti messi dai genitori credenti che fanno fronte unico! Figuriamoci se vedranno delle incrinature! E chi vìncerà?

Dio l’aveva già detto a Mosè nell’Antico Testamento. Perciò Mosè aveva ordinato agli Ebrei di non sposare donne pagane perché “distoglierebbero da me i tuoi figli che servirebbero dèi stranieri e l’ira del Signore si accenderebbe contro di voi. Egli ben presto vi distruggerebbe” (Deuteronomio 7:4).

Perciò diamo retta a Colui che ne sa molto più di noi. Il matrimonio è una cosa troppo seria per prenderlo alla leggera e cominciarlo con una disubbidienza. “Meglio andare sul sicuro” dice un proverbio americano, “che doversi pentire di ciò che si è scelto”.

Ecco perché ho detto a quella ragazza sull’orlo di mettersi su un sentiero pericoloso: “Non lo fare!”. Lo ripeto: spero che mi dia retta.
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Insieme a tavola



Quando i figli erano ancora a casa abbiamo cercato di mangiare insieme almeno un pasto al giorno. Mio marito e io eravamo convinti che fosse importante non perdere questa buona abitudine.

Non è stato sempre facile, ma abbiamo deciso che il pasto di mezzogiorno (o dell’una o delle due!) ci avrebbe trovati riuniti. Perciò abbiamo detto ai figli di non prendere impegni per quell’ora e anche noi genitori abbiamo fatto lo stesso.

Così abbiamo aspettato che tutti i figli fossero presenti per metterci a tavola. Chi arrivava prima si metteva a fare i compiti, mentre mia figlia mi aiutava in cucina (spesso era una vera mano santa!), dato che anch’io avevo impegni all’ufficio della VOCE del VANGELO e arrivavo a casa col fiatone.

Durante il pasto la TV restava spenta (posso ricordare solo qualche strappo in occasioni ultraspeciali, come le Olimpiadi o alcune catastrofi mondiali).

Cercavamo di non usare il tempo del pasto per fare sgridate o commenti su letti che avrebbero potuto essere fatti meglio o roba lasciata troppo in giro e di non parlare di prof e di voti. Certi tasti è meglio toccarli in altri momenti. Incoraggiavamo piuttosto i figli a raccontare quello che avevano fatto visto e sentito a scuola e cercavamo di ridere delle battute dell’ineffabile “Pierino” che allora andava alla grande. A volte si parlava pure di politica o di cose studiate di recente e, dato che erano gli anni ’60-70, c’era un bel po’ da commentare (con quello che succede oggi e si vede in TV, i commenti sarebbero gli stessi!).   

Alla fine del pasto, leggevamo la Bibbia  e pregavamo insieme. Allora si parlava al Signore anche dei compagni un po’ bulletti e della prof troppo esigente. Erano momenti importanti.

Siamo sempre riusciti nel nostro intento di mangiare insieme? In generale, direi di sì.

I figli a volte sbuffavano un poco, perché pensavano ai compiti da fare o alla partita di pallacanestro. Ma oggi ricordano quei momenti insieme con piacere.

Mi rendo conto che per riuscire nel nostro intento di stare insieme almeno per un pasto al giorno ci sono voluti deteminazione, pianificazione e disciplina. Ma ne è valsa la pena.

Mi rendo conto anche che la vita oggi è molto cambiata e anche gli orari. Papà e mamma spesso lavorano tutti e due, gli uffici hanno turni diversi, le attività extra-scolastiche e perfino quelle della chiesa tendono a separare le famiglie. Si vive un po’ a scappa e fuggi.

Però un piccolo sforzo, almeno tre o quattro volte alla settimana si potrebbe fare.

Altrimenti si rischia che la casa non sia più una “casa”, e diventi una specie di recapito in cui si va a dormire o in cui il postino mette la posta. 
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Diamoci un taglio!



Abbiamo parlato la volta scorsa di trucchi per perdere le cattive abitudini. Eccone alcuni altri.

Cominciamo da quello più importante e utile, che non è affatto un trucco: prega con tutta onestà che il Signore ti aiuti a cambiare.

Ho parlato di onestà, perché io stessa ho fatto, e ho sentito fare, preghiere disoneste. Per esempio, quelle che cominciano con “se è la tua volontà”, “sarebbe meglio che”, “vorrei tanto che, ma tu sai che la carne è debole”. In altre parole, non cercare scuse. Se abbiamo capito che una cosa è sbagliata, diamoci un taglio! Chiediamo al Signore l’aiuto per fare quello che è giusto.

Prega e rileggi spesso i passi che ti hanno convinto della necessità di un cambiamento. E ringrazia il Signore per anche il minimo miglioramento, Dà a Lui la gloria dei tuoi successi.

Ma torniamo al pratico. Per esempio, alla convinzione della necessità di alzarsi a un’ora ragionevole per non cominciare la giornata come una gallina impazzita.

Una mia amica che si è fatta una lista delle ragioni per cui un cambiamento in questo senso le avrebbe portato dei vantaggi. Li ha messi nero su bianco e la cosa l’ha aiutata.

Alcuni suoi motivi erano: darò un buon esempio ai miei figli. Avrò più tempo per leggere la Bibbia. La mia vita sarà più regolata. Avrò un atteggiamento più calmo. Arriverò in orario al lavoro e agli appuntamenti e non mi verranno le fresche se ci saranno degli ingorghi e dei rallentamenti nel traffico.

Se fai fatica a alzarti la mattina e a mettere i piedi fuori da sotto le coperte (ora che comincia a fare fresco la cosa è normale!) i tre seguenti passi, molto pratici, sono stati efficaci per me.

Uno, non regolare la sveglia in modo che suoni 15 minuti prima del momento in cui dovresti alzarti. Mettila all’ora giusta. Quei 15 minuti di grazia sono molto pericolosi, perché rischi di riaddormentarti. Regola la sveglia sull’ora in cui devi assolutamente alzarti.

Due, colloca quella famigerata sveglia lontano dal comodino in modo che dovrai per forza alzarti per farla smettere. Se hai una di quelle sveglie dal suono che diventa via via sempre più cattivo e insopportabile, tanto meglio. Ti alzerai più celermente

Tre, vai subito a lavarti la faccia, o corri in cucina a farti il caffè. Se dormi in un letto a una piazza, rifallo al più presto. La tentazione sarà vinta e il tuo corpo piano piano si abituerà a un altro ritmo.

È anche utile chiedere a qualcuno di controllarti, con gentilezza, ma anche con molta fermezza. Non sceglierti come referente un tipo troppo comprensivo e pronto a “capirti”. Sapere che devi ammettere i tuoi fallimenti potrà essere molto efficace.

Altra cosa importante: datti qualche piccola ricompensa. Che ne so, una serata di evasione con tuo marito o un amica/o che non vedi da molto tempo, la lettura di un libro che non riesci mai a inziare. Se sei a dieta NON ti ricompensare con un gelato, e se vuoi toglierti il vizio del fumo, NON dare neppure una tirata alla sigaretta di un collega. Certe ricompense sono estremamente pericolose!

Non ti scoraggiare e persevera. Le vittorie si vincono con la pazienza e la determinazione. Ripetiti il versetto: “Io posso ogni cosa in Cristo che mi fortifica” e dà a Lui la gloria di ogni tuo miglioramento. 
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