Guglielmo e io, ogni tanto andiamo a visitare una piccola
comunità di credenti in un villaggio vicino a Roma, uno di quei paesini
arroccati attorno a un bel castello medioevale con una torre che si vede da molto
lontano. Molto pittoresco, ma poco incoraggiante per certi versi.
Quelle case appiccicate una all’altra, parlano di chiusura
al nuovo e al diverso. E tutte quelle salite, gradinate e vicoletti, parlano di
fierezza e autodifesa.
Lì abita e testimonia il gruppetto di credenti. Pochi adulti,
ma con una bella masnada di bambini, per cui, forse, si può più parlare di
“chiesa del futuro” che di “chiesa del presente”. E la giovane coppia che se ne
occupa è da ammirare per la tenacia con cui testimonia e cura il gruppo di
giovani convertiti. È un bell’esempio di perseveranza nel servizio.
Per servire il Signore ci vuole una buona dose di zelo,
condito da entusiasmo e energia (ne abbiamo parlato la volta scorsa), ma ci
vuole anche una dose infinita di perseveranza e di tenacia.
Secondo me, il segreto per servire e per continuare a
servire, dipende da tre ingredienti, a cui non si pensa spesso, ma che si
dovrebbero tenere sempre presenti.
Il primo si trova nella lettera di Paolo ai Romani, nel
penultimo capitolo. L’apostolo parla della “grazia
che mi è stata fatta da Dio, di essere un ministro di Cristo Gesù tra gli
stranieri, esercitando il sacro servizio del Vangelo di Dio” (15:15).
Troppo spesso pensiamo che, quando facciamo qualcosa “per il
Signore”, ci acquistiamo qualche merito. Gli facciamo un favore, per cui è
giusto che riceviamo un premio. Niente di tutto questo! Questo è il concetto di
chiunque non ha capito niente del Vangelo e della religione vera.
Il servizio non è una nostra benevolenza nei riguardi del
Signore, ma è una “grazia”, cioè un
favore immeritato che Lui ci concede. Il Signore potrebbe facilmente fare a
meno di noi e della nostra collaborazione, ma si degna di usarci e ci chiama a
essere suoi collaboratori.
Egli dice “andate”,
“servite”, “fate discepoli” e ci promette il suo aiuto e la sua
collaborazione. “Senza di me non potete fare nulla” ha affermato.
La consapevolezza che il servire è una grazia, dovrebbe
toglierci ogni orgoglio.
Come secondo ingrediente, io vedo la fiducia: “Per mezzo dell’amore servite gli uni gli
altri. Non ci scoraggiamo nel fare il bene, perché se non ci stanchiamo,
mieteremo a suo tempo. Così dunque, finché ne abbiamo l’opportunità, facciamo
del bene a tutti, ma specialmente ai fratelli in fede” (Galati 5:13; 6:9,10).
Quello che di buono seminiamo, una volta o l’altra, porterà
frutto. L’importante è non mollare. Mia suocera amava tanto un versetto del Salmo
126 e io l’ho adottato come sprone e incoraggiamento: “Quelli che seminano con lacrime, mieteranno con canti di gioia. Se ne
va piangendo colui che porta il seme da spargere, ma tornerà con canti di
gioia, quando porterà il suoi covoni” (vv. 5,6). Bello, no?
Come ultimo ingrediente, io vedo l’ottimismo. E di nuovo, il
grande stimolatore è l’Apostolo Paolo, con due meravigliose affermazioni: “Colui che ha cominciato in voi un‘opera
buona, la condurrà a compimento fino al giorno di Cristo Gesù” (Filippesi
1:6). Dio opera instancabilmente in noi e negli altri credenti. Diamogli
fiducia!
Perciò “fratelli miei
carissimi, state saldi, incrollabili, abbondanti sempre nell’opera del Signore,
sapendo che la vostra fatica non è vana nel Signore” (1 Corinzi 15:58).
Allora, rimbocchiamoci le maniche, mettiamoci il grembiule e via!
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