L’Apostolo Paolo sapeva molte lingue, ma non si esprimeva
mai in “politichese corretto”. Chiamava,
senza mezzi termini, il male male e il bene bene. Esattamente come faceva il Signore Gesù, che non
aveva nessun problema perfino a chiamare i religiosi ipocriti, che lo osteggiavano,
con l’appellativo di “figli di Satana”.
Una cosa che mi spaventa è che, oggi, a forza di essere
politicamente corretti e di non voler offendere nessuno, si finisce per verniciare
il male con una patina di tolleranza e per considerarlo un “non male”, se non
proprio un “bene”. Per esempio, su un giornale protestante, poche settimane fa,
l’omosessualità, che la Bibbia
assolutamente non approva, era chiamata “omoaffettività”. Se questo non è
politichese…
Nella sua lettera ai Romani, Paolo dice chiaramente: “L’amore
sia senza ipocrisia. Aborrite il male e attenetevi fermamente al bene” (12:9). “Aborrire”, secondo il dizionario italiano,
significa “detestare” e ”avere in orrore”. Dunque: dobbiamo “detestare il
male”.
Questo non significa volere il male di chi pecca e mettere
al rogo le streghe, come si faceva nel Medioevo, ma significa detestare, senza
attenuanti, le azioni sbagliate che noi stessi compiamo e non imitare, o scusare,
quelle che altri compiono.
Al contrario, bisogna “attenersi fermamente al bene”, cioè
aggrapparsi a ciò che è bene. A ciò che è giusto e che Dio chiama “giusto”.
Come si fa?
Per prima cosa, è una questione di scelta. Non tanto di
sforzarci a fare quello che noi pensiamo sia il “bene”, ma di scegliere l’unità
di misura che Dio ci fornisce, nella sua Parola. Quello che la Bibbia dice che
è male, dobbiamo considerarlo sbagliato, anche se gli psicologi oggi lo definirebbero
in modo diverso. Punto e basta.
Chi pecca deve essere amato e aiutato a non peccare, ma ciò
che fa non può e non deve essere approvato. Alla donna adultera (altro peccato
che oggi si considera quasi normale e addirittura “in”!), Gesù ha detto: “Non
peccare più” (Giovanni 8:11). Gesù non approva il peccato, ma perdona chi
l’abbandona.
Poi bisogna avere il coraggio di chiamare il peccato per
quello che è: un’offesa a Dio. Un qualcosa che ci separa da Lui.
Una mia bugia (anche una mezza verità) offende Dio e mette
una barriera fra me e Lui. Un pensiero di vendetta offende Dio e mi separa da
Lui. Il peccato è una cosa di molto serio.
A questo punto, non devo solo lavorare di logica e, magari,
decidere che sarebbe una buona idea cambiare vita. In realtà, è lo Spirito
Santo che mi sta convincendo del mio stato di peccato e mi aiuta a riconoscere
che l’unico rimedio è quello che Gesù ha indicato a Nicodemo, un brav’uomo
religioso e onesto, ma ancora perduto: “Devi nascere di nuovo”. Devo ammettere
che sono un peccatore senza scampo e che solo un miracolo, il miracolo della
nuova nascita, può trasformare la mia vita.
Infine, quando mi arrendo alla sua convinzione, lo Spirito
Santo continua a operare e mi indica in Cristo l’unico mezzo di salvezza, crea
in me la fede in Lui e io mi arrendo. È il momento della mia nuova nascita e da
quel momento, una nuova forza mi permetterà di “attenermi fermamente al bene”.
Non diventerò perfetto e perfetto non sarò mai. Sperimenterò
ancora debolezze e avrò cadute da confessare e di cui pentirmi, ma avrò
iniziato una nuova strada con una nuova forza. La strada di una “nuova creatura”
che vorrà (e potrà) “attenersi fermamente al bene”.
Ne parliamo anche la prossima volta.
.
Nessun commento:
Posta un commento