Dio detesta 7 cose...



Siamo arrivati all’ultima delle sette cose che Dio odia (almeno di quelle che Salomone ha elencate!). È l’ultima, ma non meno importante delle precedenti. Eccola.

Dio odia “chi semina discordie fra fratelli”.

“È vero che sono adottato?” mi ha chiesto piangendo uno dei miei figli quand’era piccolo.  

“Ma cosa ti viene in mente?” ho risposto.  

“Me lo dicono i miei fratelli... e mi fanno piangere!”

“Stai tranquillo, fanno solo per scherzare. Tu sei nostro figlio come gli altri!”

“Ma io piango anche perché mi dicono che da grande sarò tutto pelato!”

I ragazzi possono essere molto stupidi, per non dire molto cattivi. Godono nel fare dispetti. Fra fratelli, bisticciano, a scuola tormentano i compagni timidi e bonaccioni, nei giochi fanno brutti tiri. Chi dice che i bambini sono innocenti, si illude. Nascono con un cuore malvagio. I litigi e le discordie sono all’ordine del giorno.

Dio detesta chi semina discordie. C’è chi lo fa nelle famiglie, negli uffici, nelle scuole e nelle chiese. E, purtroppo, molto spesso chi le comincia non è un adolescente sprovveduto, ma sono persone grandi e grosse che dovrebbero darsi una calmata.

Ho sentito professori che dicevano male di colleghi, naturalmente non presenti. Ho visto impiegati che criticavano altri impiegati e mettevano uno contro l’altro. Ho sentito accusare persone che abitavano nello stesso palazzo per qualche dissapore nel condominio.

“Sono gente normale, umana... Cosa pretendi? Ogni occasione è buona per litigare” mi dite.

Sono umani e passi! Ma nelle chiese le cose vanno meglio? Non sempre.

Un sistema perfetto per creare problemi e seminare discordie è fare regole e pretendere che tutti le approvino.  Si canta, in piedi. Si prega da seduti. Nella Santa Cena il pane deve essere servito in un certo modo e il vino deve essere così e così. Bicchierini o calice. Pane tagliato o spezzato. E si discute con chi la pensa diversamente, si citano versetti, spesso a sproposito, per puntigli senza valore.

Non si va d’accordo. Non si accettano critiche. E si finisce con malumori e separazioni. E Satana se la gode. Se i credenti discutono e si scaldano e litigano (alcuni dicono addirittura che stanno difendendo l’onore di Dio!) anziché pregare, lui ci va a nozze.

Le critiche dividono. Quello predica troppo a lungo, un altro racconta troppi aneddoti, un terzo è arido come un limone spremuto. Bisogna predicare così. No, bisogna predicare cosà.

C’era una chiesa, descritta nel Nuovo Testamento, che era una vera catastrofe. Era la chiesa di Corinto, dove i credenti avevano formato dei gruppetti faziosi, che litigavano, sul chi fosse il predicatore da seguire. Alcuni dicevano :“Noi siamo di Apollo (“Nessuno predica come lui! Si sa, ha studiato a Alessandria...”), altri ribattevano “noi di Paolo (“è l’Apostolo  designato da Dio, lui sì che conosce la dottrina!”). Altri ancora: “Noi siamo di Pietro (mica l’ha scelto per niente fra i primi, il Signore”). Infine, gli ultimi, che probabilmente si sentivano i meglio di tutti, e dicevano: “Noi siamo di Cristo”. E c’era un brutto caos, che Paolo ha dovuto riprendere con fermezza. Può succedere, e succede, anche oggi.

Le maldicenze dividono. Anche se piamente mascherate da soggetti di preghiera.
 
Il rimedio è semplice e alla portata di tutti. Sta nel ravvedimento personale di chi crea problemi, di chi li appoggia e di chi ne parla o sparla e nell’applicazione delle parole scritte da Paolo ai cristiani di Colosse, che qualche problema dovevano averlo pure loro: “Sopportatevi gli uni gli altri e perdonatevi a vicenda, se uno ha di che dolersi d’un altro. Come il Signore vi ha perdonati, così fate anche voi. Al di sopra di tutte queste cose, vestitevi dell’amore, che è il vincolo della perfezione. E la pace di Cristo, alla quale siete stati chiamati per essere un solo corpo, regni nei vostri cuori; e siate riconoscenti” (3:13-15).
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La verità e nient’altro che la verità



“Ma, mamma, era quasi la verità!” mi ha detto uno dei miei figli, quando era ancora piccolo, con un tono fra il contrito e lo sfidante.  Lo avevo rimproverato perché mi aveva detto una bugia. La sua era stata, in realtà, una mezza verità, che nascondeva una bugia!

È terribilmente facile non dire la verità, o dirne solo una parte, o alterarne qualche particolare. Dio non lo vuole.  Egli odia “il falso testimonio che proferisce menzogne” (Proverbi 6:19).

Dio è verità.  Gesù è la verità. Lo Spirito Santo insegna la verità. La Parola di Dio è verità. I credenti devono camminare nella verità e dire la verità. Punto e basta. “Bandita la menzogna, ognuno dica la verità” ordinava l’Apostolo Paolo (Efesini 4:25).

Con le sue parole, Salomone indicava specialmente chi mente per fare del male a un altro.

È classico  l’esempio di Stefano, il primo martire della chiesa cristiana. I capi religiosi lo accusarono  di aver bestemmiato contro Mosè e contro Dio, cosa assolutamente falsa, e lo portarono davanti al loro tribunale, il Sinedrio. Lo condannarono alla lapidazione, sebbene egli nella sua difesa, avesse dimostrato la sua totale innocenza e la sua aderenza alle Scritture (la sua storia si trova nei capitoli 6 e 7 del libro degli Atti degli Apostoli). Morì perdonando i suoi falsi accusatori.

Anche contro Gesù i religiosi portarono accuse false e distorsioni della verità. Molte ingiustizie sono state compiute in questo modo.

Il rischio di diventare falsi testimoni è sempre presente. Tipo? Diciamo qualcosa che pensiamo sia vera, ma di cui non siamo sicuri.  Riportiamo cose sentite senza verificare se siano vere. Buttiamo là giudizi che possono fare del male e travisare la realtà.  Sputiamo sentenze senza avere verificato i fatti. Non ci vuole niente per rovinare la reputazione di qualcuno.

Troppo spesso una “piccola” bugia sembra gentile, quando non vogliamo offendere o confermare un giudizio negativo.  O anche quando ci sembra “comodo” nascondere un nostro errore o sbaglio, che, in tanto, “non ha danneggiato nessuno”.  Usare una bugia per la nostra comodità è sempre metterci dalla parte di Satana, “padre della menzogna” e metterci contro Cristo, che è la verità.

Ci sono anche dei falsi testimoni che sembrano brave persone, ma che dobbiamo evitare a tutti i costi: sono coloro che spargono false dottrine. Pensi subito ai Testimoni di Geova?  

Ma non sono gli unici ingannatori. Chiunque altera, nega, amplia, aggiunge o toglie delle parti alla Bibbia è un falso testimone. Chi riconosce dei capi umani come fonte della verità e, perciò, attendibili, all’infuori di Gesù Cristo, è un falso testimone. Chi dà a altri scritti o tradizioni lo stesso valore della Bibbia è un falso testimone. Chi predica la salvezza per opere è un falso testimone.

Come mai Dio li lascia fare? Per ora, Dio li lascia agire e molti di loro prosperano. Un giorno Dio li metterà a tacere. Loro e i loro seguaci. Non essere nel loro numero!
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Dove ti portano i tuoi piedi?



Si avvicinava la Pasqua e le cose, a Gerusalemme,  stavano precipitando. I Farisei e gli Scribi volevano a tutti i costi sbarazzarsi di Gesù e Satana fu ben felice di aiutarli. Come? “Entrò in Giuda, chiamato Iscariota, che era nel numero dei dodici apostoli” (Luca 22:3).                                        

Giuda era stato scelto dal Signore e per tre anni lo aveva seguito, ma era una persona poco affidabile.  Amava il denaro, teneva la borsa comune e ne approfittava per portare via dei soldi. Le sue uniche parole riportate nei Vangeli, sono le critiche per Maria che aveva sparso sul capo del Signore un profumo preziosisimo, le sue proposte ai Farisei per aiutarli a arrestare Gesù e la domanda fatta a Gesù stesso, che aveva affermato che uno dei suoi discepoli lo avrebbe tradito: “Sono forse io, Rabbi?” (Matteo 26:25). Che faccia di bronzo!

Quando fece questa domanda, era già andato dai capi religiosi e si era messo d’accordo che, alla prima occasione propizia, avrebbe consegnato il  Signore nelle loro mani. Aveva anche accettato la loro ricompensa di 30 denari.

Ora è con gli altri discepoli e col Signore, che stanno per celebrare la Pasqua. L’atmosfera è piuttosto pesante. Ci sono brutti presagi e Gesù parla sempre più spesso della sua morte.

Nella stanza preparata per celebrare la Pasqua, il Signore lava i piedi ai discepoli e dà loro una grande lezione di umiltà, ribadendo il concetto che chi voleva essere il primo di tutti doveva essere il servo di tutti. Poi cita un salmo premonitore: “Colui che mangia il mio pane, ha levato contro di me il suo calcagno” (Giovanni 13:18). Con quelle parole dice chiaramente che uno di loro lo avrebbe tradito.

I discepoli si domandano chi sia e Giovanni lo chiese specificatamente al Signore  (vv. 22,25)

Gesù gli rispose: “È quello  a cui darò il boccone dopo che l’avrò intinto”. Dà il boccone a Giuda e gli dice: “Quel che fai, fallo presto” (vv. 26,27).

Giuda, “preso il boccone , uscì subito; ed era notte” (v. 30). Andò in fretta a prendere accordi per fare arrestare Gesù. “Prendete quello che bacerò” disse. Il che avvenne la mattina dopo. Tutti conosciamo il resto della storia.

Fra le cose che Dio odia, elencate nel cap. 6 del libro dei Proverbi, e di cui abbiamo già parlato, la quinta è “i piedi che corrono frettolosi al male” (v. 18).   Facendo in fretta il male, si riesce a farlo prima che la coscienza possa intervenire per fermarlo.

Giuda architettò il tradimento e l’arresto di Gesù. Lo fece di notte. Lo fece in fretta, dopo essere stato a tavola col Signore in un momento molto significativo, in cui Egli istituì quella che oggi chiamiamo “la santa cena”. Giuda se ne pentì più tardi e, dal rimorso, si tolse la vita. “Sarebbe meglio se non fosse mai nato” aveva detto in precedenza il Signore (Matteo 26:24).

Non è mai giusto fare un gesto violento in preda alla collera, ma può capitare. Sia che si tratti di uno schiaffo a un figlio che ha risposto male o buttare per terra un piatto o sbattere una porta quando qualcosa ci ha veramente irritati. Quando succede, è importante non autogiustificarsi, ma  pentirsene e chiedere perdono.

Però c’è di peggio: si può architettare a freddo un piano malvagio e metterlo in atto. Questo è orribile e diabolico, perché dimostra l’intenzione di colpire, di ferire, di fare del male. In più, porta sempre conseguenze tremende, rovina la testimonianza e macchia per sempre una reputazione.

Nel caso specifico, Giuda si rese conto del male fatto, tradendo Gesù, e mise fine alla sua vita col suicidio. Gesù stesso lo chiamò “figlio della perdizione” (Giovanni 17:12).  

Il re Davide, invece,  era un buon credente. Eppure orchestrò l’uccisione del marito di una donna di cui si era invaghito. Dopo un certo tempo se ne pentì, ma non evitò tre conseguenze gravi. La cattiva testimonianza, la morte di un piccolo innocente  e la “spada” che  non si allontanò più dalla sua casa. 

Anania e Saffira, nel Nuovo Testamento, pianificarono un imbroglio e  ci rimisero la pelle (Atti 5:1-10). Sono solo tre esempi, ma se ne potrebbero citare altri, sempre dalla Bibbia.

E noi credenti? Non illudiamoci. L’impulso a fare del male, anche se non provocati, può sempre scaturire dalla nostra natura bacata e dal fatto che in noi, fondamentalmente, “non abita nessun bene”.  

Ci dispereremo, quando dovesse succedere? No.

Piuttosto ci rivolgeremo immediatamente a Dio e, per fede, crederemo che la vittoria in noi è possibile, per mezzo della  potenza dello Spirito Santo che vive in noi. Confesseremo immediatamente a Dio il nostro orribile proponimento, senza addurre attenuanti, e gli chiederemo perdono. Dopo di che,  altrettanto immediatamente, afferreremo il perdono di Dio e crederemo alla possibilità di  vincere il male col bene, cioè di fare del bene a chi abbiamo pensato di voler ferire.

Meglio ancora, faremo un piano preciso per farlo. È difficile? Io direi che è impossibile se vogliamo riuscirci con la nostra forza. Ma se lo chiederemo a Dio, dato che lo ordina, ci aiuterà a farlo.
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Tu sei quello che pensi



“Il tale mi ha fatto questo e questo. Perciò io gli farò così e così e gli dirò così e così. Glielo farò vedere io chi ha ragione! ... E se non lo capisce con le parole, passerò ai fatti...”.

La  quarta delle sette cose che Dio odia è  “il cuore che medita disegni iniqui” (Proverbi 6:18).

Il cuore è importante. Nel linguaggio biblico,  è il centro del nostro essere e la sede dei nostri sentimenti. La Bibbia dice del cuore umano che “è ingannevole più di ogni altra cosa e insanabilmente maligno” (Geremia 17:9) e Gesù ha affermato che “dal cuore vengono pensieri malvagi, omicidi, adulteri, fornicazioni, furti, false testimonianze, diffamazioni” (Matteo 15:19).

Come Gesù ha inteso dire, ciò che pensiamo si traduce in azioni. Se coltiviamo e accarezziamo pensieri malvagi, compiremo azioni malvagie. È il principio di causa ed effetto.  

Un esempio classico si trova nei primi capitoli della Genesi.

Adamo e Eva erano stati allontanati dal  bel giardino in cui Dio li aveva messi al principio, perché avevano disubbidito all’ordine di Dio di non mangiare del frutto dell’albero della conoscenza del bene e del male.  Però, prima di allontanarli, Dio aveva insegnato loro, in maniera grafica, che per ottenere il suo perdono era necessario il sacrificio di una vittima che moriva al loro posto (il che prefigurava, già allora, il sacrificio di Cristo sulla croce). Infatti, aveva rivestito Adamo e Eva con le pelli di due animali uccisi al loro posto.

Adamo e Eva, evidentemente, avevano insegnato questa verità ai loro due figli, Abele e Caino, che crescendo, cominciarono a offrire anche loro dei sacrifici a Dio. Ma non nello stesso modo. Abele offrì un agnello, che Dio gradì, mentre Caino offerse i frutti della terra che lui aveva coltivata.

Dio non gradì l’offerta di Caino (quando Dio detta delle regole precise, bisogna tenerne conto e ubbidirle!) e, racconta l’autore della  Genesi,  “Caino ne fu molto irritato e il suo volto abbattuto. Il Signore disse a Caino: Perché sei irritato? E perché hai il volto abbattuto? Se agisci bene non rialzerai il volto? Ma se agisci male, il peccato sta spiandoti alla porta e i suoi desideri sono rivolti contro di te; ma tu dominalo!” (4:6,7).

L’irritazione e il cruccio, invece, rimasero nel cuore di Caino.  Pensieri di odio e di vendetta si fecero strada e albergarono nel cuore di lui. Finché “un giorno Caino parlava con suo fratello Abele, e trovandosi nei campi, Caino si avventò contro Abele, suo fratello, e l’uccise” (v. 8). I pensieri negativi di Caino, che Dio chiama, nel passo dei Proverbi, “disegni iniqui” erano diventati azione tragica e violenta.

Non è possibile evitare che dei pensieri malvagi assalgano la nostra mente e scendano nel nostro cuore, anche se siamo credenti. Si spera che rimarranno solo pensieri, ma saranno ugualmente pericolosi, perché avranno l’effetto di un tarlo velenoso.

Perciò, per prima cosa, dovranno essere chiamati col loro giusto nome: peccato e dovranno essere confessati a Dio col desiderio e l’intenzione di abbandonarli.

Poi, se per esempio, siamo stati offesi dalle azioni di qualcuno, dobbiamo perdonare chi l’ha fatto. Questo ci aiuterà a vincere il rancore, o la rabbia o il desiderio di rivincita, sia che ci chieda perdono o no.  Il perdono è sempre ordinato da Dio e è un’ubbidienza. In più, ci fa del bene.

In terzo luogo, se possibile, dovremo cercare la riconciliazione. Vada come vada, avremo fatto la nostra parte. E, almeno, non avremo nel nostro cuore dei pensieri che Dio detesta. E sarà già molto.
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Mani sporche di sangue



Dio odia l’orgoglio e la lingua bugiarda. Sono le prime due cose nell’elenco delle cose che Dio detesta, ricordate nel Libro dei Proverbi 6:17. La terza cosa che Dio odia sono “le mani che spargono sangue innocente”.

L’orgoglio e la menzogna ci hanno toccati sul vivo. Sono peccati in cui rischiamo di cadere facilmente, ma nessuno di noi, probabilmente si sente colpito da questa “terza cosa”. Nessuno di noi è un assassino!

Di violenza nelle nostre strade ce n’è tutto il tempo. Di delitti nelle famiglie, di vendette, di regolamenti di conti sentiamo parlare ogni giorno e ne sono pieni i giornali e i notiziari in TV. E non c’è bisogno di menzionare le guerre e le stragi che dilagano.

Ma noi, con i delitti non c’entriamo. Siamo credenti e la Bibbia è il nostro codice.  Anche il palazzo dove abitiamo è abitato da brava gente.  Il nostro quartiere è tranquillo. Tutto bene, insomma.

Però mi sono venute in mente tre cose che ci dovrebbero far pensare, e spingere a esaminarci se anche le nostre mani non siano, per caso, un po’ sporche di sangue.

La prima viene proprio dalla bocca del Signore Gesù e si trova nel Vangelo di Matteo. “Voi avete udito che fu detto agli antichi: Non uccidere, e chiunque avrà ucciso sarà sottoposto al tribunale; ma io vi dico: Chiunque si adira contro il suo fratello sarà sottoposto al tribunale e chi avrà detto a suo fratello «raca» (stupido) e chi gli avrà detto pazzo sarà sottopposto alla geenna del fuoco” (5:21,22).

Questo non ci parla di un delitto materiale e cruento, ma di rabbia contro un fratello, di collera e di voglia e di intenzione di ferire. Ho paura che in questa categoria ci entriamo un po’ tutti. Non uccidiamo materialmente, ma moralmente e spiritualmente, sì. Una parola detta con rabbia, forse con livore, indica un cuore malato e pieno di peccato. Fa tanto male quanto una pugnalata e Dio la detesta e non la tollera.

Il rimedio? Gesù lo indica subito: “Va’ a riconciliarti col tuo fratello... fa presto amichevole accordo con i tuo avversario, mentre se ancora per via con lui... (vv. 23,25). La richiesta di perdono lava le nostre mani sporche di sangue invisibile.

La seconda cosa viene dal Libro del profeta Ezechiele e parla della nostra responsabilità di avvertire chi pecca del pericolo che corre se non si converte a Dio. Il profeta non usa mezzi termini: “Quando avrò detto all’empio: «Empio, per certo tu morrai» e tu non avrai parlato per avvertire l’empio che si allontani dalla sua via, quell’empio morirà per la sua iniquità, ma io domanderò conto del suo sangue alla tua mano” (33:8). Una grossa responsablità.

Mi rendo conto della mia responsabilità  di avvertire i miei parenti, i vicini, i colleghi di lavoro, i compagni di scuola del pericolo che corrono se non si ravvedono? Se il tuo palazzo andasse a fuoco, ti sbrigheresti a dare l’allarme, no? Purtroppo il fuoco dell’inferno aspetta tutti coloro che non si ravvedono. 
Ma come si ravvedranno se nessuno li avvisa?

Nel salutare i credenti di Efeso, che non avrebbe più rivisti, l’Apostolo Paolo  disse: “Io vi dichiaro  quest’oggi di essere puro del sangue di tutti; perchè non mi sono tirato indietro dall’annunziarvi tutto il consiglio di Dio” (Atti 20:26,27). Evidentemente aveva preso sul serio le parole di Ezechiele.

La terza cosa a cui ho pensato è la leggerezza con cui valutiamo i peccati oggi considerati normali e legali. L’aborto per esempio. 

Una ragazza credente mi ha detto: ”Non deve essere poi così male se la legge lo permette!”.

Ma ci rendiamo conto che un aborto è un omicidio? Che i dottori che lo praticano sono dei veri e propri assassini? Che quello che buttano in un secchio non è solo un grumo di sangue, ma che, in quel grumo, c’è un essere come te e me, con un sistema nervoso già formato e un DNA particolare? E capiamo che, se noi non alziamo un dito per dire che l’aborto è un crimine partecipiamo al crimine di chi lo provoca? E che, perciò, anche le nostre mani sono sporche di sangue innocente?
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Le bugie mi vengono spontanee...



Dio ama di un amore immenso le sue creature, ma odia il peccato. Nel Libro dei Proverbi sta scritto: “Sei cose odia il Signore, anzi sette gli sono in abominio” (6:16,17). La prima cosa che Dio detesta sono gli occhi alteri, che sono sintomo di orgoglio. Ne abbiamo parlato la volta scorsa.

La seconda cosa che Dio odia e detesta è “la lingua bugiarda”. Un nostro amico, che si professava credente, ha detto a mio marito, che lo esortava a dire la verità: “Che vuoi mai, a me le bugie vengono spontanee...” . Non ha fatto progressi spirituali nella sua vita.  Anzi.

Il diavolo è stato definito da Gesù come “padre della menzogna” (Giovanni 8:44) e, nella pratica, non fa altro che mentire e spingere alla menzogna. Ha cominciato quando ha tentato Eva e continua fino a oggi. Con le sue bugie tenta e convince i sapienti e gli ignoranti, i buoni e i cattivi. Il suo compito è convincere la gente che le sue bugie sono migliori delle promesse e dei comandi di Dio.

A volte usa tutta la sua cattiveria e spinge a nefandezze tremende. Altre volte si presenta come un  “angelo di luce”, religioso e benevolo.  Ma diavolo sempre è.  

Ha ispirato filosofie anti-Dio, ha fatto formulare ai religiosi la casistica di peccati veniali (tipo bugie bianche dette a fin di bene) e peccati mortali, ha inventato ogni tipo di setta e di religione. Usa, per spargere le sue menzogne, i politici e i religiosi, gli studiosi e la gente che ha studiato poco o niente.

La sua influenza è mondiale, L’Apostolo Giovanni ha dichiarato che “tutto il mondo giace sotto il potere del maligno” (1 Giovanni 5:19), ma ha anche affermato che Gesù, il Figlio di Dio, “è stato manifestato per distruggere le opere del diavolo” (1 Giovanni 3:8). Infatti, la sua vittoria si è determinata per mezzo della sua morte sulla croce e della sua resurrezione. 

Ma come mai il diavolo è ancora tanto potente? Lo è solo perché Dio glielo permette. Un giorno lo rinchiuderà nell’inferno per sempre. Per ora, ai credenti il Signore dà la capacità di individuare le sue astuzie e di vincere le sue tentazioni. Come? Per mezzo del suo Spirito Santo e della Parola di Dio.

“Allora, se siamo credenti, siamo in una botte di ferro e non corriamo nessun pericolo?” domandate.

No, il pericolo c’è sempre. Il diavolo non ci darà pace. Anche se siamo credenti, cercherà sempre di farci cadere, anche nel campo delle bugie. 

L’Apostolo Pietro lo descrive come un leone ruggente alla ricerca di qualcuno da divorare e Paolo ha messo i cristiani in guardia dicendo: “Bandita la menzogna, ognuno dica la verità al suo prossimo” (Efesini 4:25). La possibilità di mentire c’è sempre.

Tipo? Dire che si è fatto tardi perché l’autobus non passava, quando invece siamo usciti di casa troppo tardi. Dire a un’amica che il suo vestito ci piace, quando non lo metteremmo neppure se ce lo regalassero. Raccontare qualcosa di cui non siamo sicuri su qualcuno. Far finta di lavorare in ufficio, quando invece mandiamo sms agli amici. Dire che non abbiamo potuto finire un lavoro perché ... (fate voi!), mentre abbiamo fatto altre cose non necessarie. La lista potrebbe continuare.

Oppure omettere di dire la verità. Come, ad esempio, non ammonire qualcuno che si comporta male e fare finta di niente. Stare zitti quando si dovrebbe difendere qualcuno. Non dire una parola giusta e utile quando ci vorrebbe.

Il pericolo di mentire è sempre in agguato. Dobbiamo chiedere al Signore, come faceva un salmista, di mettere una guardia davanti alla nostra bocca, e poi cercare di camminare costantemente alla luce della Parola di Dio e confessare a Dio e, se necessario a qualcuno a cui non abbiamo detto la verità, la nostra mancanza di sincerità.

Ce n’è abbastanza per stare in campana. Non vi pare?
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Dio odia... gli occhi alteri



“Mi sento come un tappetino rispetto a tutti voi...” diceva uno a un gruppo di amici. Aveva l’aria sincera e i suoi occhi sembravano esprimere tutta l’umiltà possibile.

“E se uno camminasse sul tappetino?...” gli ha detto ridendo un amico che, sotto sotto, lo conosceva bene.

“Non lo sopporterei!” è stata la risposta.

Colpito e affondato!

Nessuno di noi è, per natura, umile. Anzi: l’orgoglio è proprio il materiale di cui siamo fatti. Dio lo sa e lo detesta. Infatti, delle sette cose che Dio odia e che sono elencate nel cap. 6 del Libro dei Proverbi, la prima è proprio l’orgoglio. Per la precisione, “gli occhi alteri”.

Il Signore Gesù, nel Vangelo di Marco, ha affermato che la “lampada del corpo è l’occhio” cioè i nostri occhi riflettono i nostri pensieri e dimostrano esattamente quello che siamo e che pensiamo. Le abbiamo viste tutti certe persone che ti guardano come se ti volessero spogliare (brutto sintomo!), altre ti osservano dall’alto in basso con aria di sufficienza, altre ancora hanno una specie di luce allegra che gli si accende in fondo alle pupille quando ti incontrano. Bello! Altre hanno lo sguardo spento e senza vita, mentre altre ti penetrano fino in fondo e leggono i tuoi pensieri. Dagli occhi capisci se uno ti prende in giro o se ti prende sul serio. Se ti inganna o se è sincero.

Gli occhi alteri e lo sguardo maligno sono detestabili, sono addirittura un peccato, secondo la valutazione di Gesù (Proverbi 21:4: Marco7:22), perché rivelano un cuore egoista, sicuro di sé, pronto a calpestare chiunque si metta per traverso sulla sua strada.

L’orgoglio è il sentimento che ha spinto l’angelo più potente a pensare: “Io salirò in cielo, innalzerò l mio trono al di sopra delle stelle di Dio... salirò sulla sommità delle nubi, sarò simile all’Altissimo” (Isaia 14:13,14). Dio lo scacciò dalla sua presenza e lo condannò alle tenebre insieme coi suoi seguaci (Giuda 6).  

L’orgoglio ha spinto Adamo e Eva a peccare e a sperare di essere “come Dio”, secondo le parole del serpente, che li tentava (Genesi 3:4). Dio li ha dovuti allontanare dalla sua presenza.

L’orgoglio ha spinto la gente, dopo il diluvio universale, a tentare di costruirsi una torre con cui arrivare al cielo (Genesi cap. 11). Dio l’ha punita confondendo i loro linguaggi e disperdendoli sulla terra.

Di esempi di gente orgogliosa nella Bibbia ce ne sono a decine. Per esempio, Nabucodonosor, re di Babilonia, per il suo orgoglio e il suo vanto, fu punito da Dio, divenne simile a una bestia dei campi e, finché non si pentì, non poté tornare a regnare (Daniele 5).

L’orgoglio domina ogni persona che viene al mondo. Dall’orgoglio vengono le guerre, le contese, gli odi fra i popoli, le angherie e le oppressioni di ogni tipo. Dal cuore orgoglioso scaturiscono ribellioni, vendette e dolori e “sguardo maligno”! (Marco 7:31,32).

Come vincerlo? Umanamente, non è possibile. L’unico rimedio valido è la nuova nascita, che equivale a un vero e proprio trapianto spirituale di cuore. Il profeta Ezechiele ne parla, riferendosi al ravvedimento futuro del popolo d’Israele: “Io darò loro un medesimo cuore, metterò dentro di loro un nuovo spirito, toglierò dal loro corpo il cuore di pietra e metterò in loro un cuore di carne, perché camminino secondo le mie prescrizioni e osservino le mie leggi e le mettano in pratica; essi saranno il mio popolo e io sarò il loro Dio” (11:19,20).

È il trapianto che Gesù indicò a Nicodemo, il dottore della legge, che era andato a trovarlo di notte. È il trapianto che subì Saulo da Tarso, quando Dio lo stese sulla via di Damasco e lui si arrese a Gesù che aveva perseguitato. È il trapianto di cui ho avuto bisogno io e di cui, se non l’hai già sperimentato, hai bisogno anche tu. È il trapianto che si ottiene quando ci si rende conto di averne un disperato bisogno e ci si arrende totalmente alla grazia di Dio.

Dopo di che, si diventa perfetti? Neppure per sogno. L’orgoglio fa sempre capolino, ma lo potremo confessare e dominare. E succederà una cosa bella: il nostro sguardo non sarà più altero, ma benevolo. E Dio sarà contento e ci benedirà. Se non ci credi, leggi Proverbi 22:9. 
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Gesù è Dio. È la mia giustizia



Con le profezie bisogna andarci con prudenza. Molte, già adempiute, si sono verificate alla lettera e noi ci meravigliamo della loro precisione. Altre, che parlano di avvenimenti ancora futuri, si adempiranno, ma non ci è dato di sapere quando e come (per la cronaca, sono vissuta abbastanza a lungo per aver sentito vari credenti che affermavano che Mussolini, Hitler e Mao Tse Tung erano l’Anticristo. Per certi versi, quei personaggi gli assomigliavano, ma non erano l’Anticristo vero che sarà molto peggio di loro!). Per questo, ripeto, ci vogliono prudenza e umiltà nelle nostre interpretazioni.

Ultimamente ho letto una profezia, che, quando è stata pronunciata, riguardava  specialmente il popolo d’Israele, in quel momento esiliato a Babilonia. Si trova nel capitolo 23 del Libro di Geremia. L’ho trovata interessante alla luce dei nomi di Dio su cui stiamo meditando.

Essa parla chiaramente del tempo in cui il Messia d’Israele, il Signore Gesù Cristo, stabilirà il suo regno sulla terra e regnerà sul suo popolo eletto, raccogliendolo da ogni parte della terra. “Ecco, i giorni vengono” dice il Signore, “in cui farò sorgere a Davide un germoglio giusto, il quale regnerà da re e prospererà, eserciterà il diritto e la giustizia nel paese. Nei suoi giorni Giuda sarà salvato e Israele sarà sicuro nella sua dimora; questo sarà il nome con cui sarà chiamato: Signore, nostra giustizia (ebr. Iahvé - tsikenu). Per cui si dirà «il Signore ha portato fuori e ha ricondotto la discendenza della casa d’Israle dal paese di settentrione e da tutti i paesi nei quali io li avevo cacciati ed essi abiteranno nel loro paese»” (vv. 5,6,8).

Le profezie, come insegnano gli studiosi di Bibbia, possono avere però anche degli  adempimenti parziali, prima che venga il tempo del loro adempimento completo.  Per esempio, proprio nella profezia di Geremia, il “Germoglio”, appartenente alla famiglia di Davide è già venuto sulla terra una prima volta. È nato da Maria vergine, al tempo di Cesare Augusto, e i suoi contemporanei hanno potuto verificare che era  “giusto”, cioè perfetto e santo. In un’occasione, Egli ha domandato ai religiosi che lo contrastavano: “Chi di voi mi convince di peccato?”e nessuno lo ha potuto accusare.  

Però, Gesù non ha regnato come un sovrano umano e non ha stabilito la sua giustizia sulla terra, come ha profetizzato Geremia. Questo avverrà nel futuro.

Ma Gesù ha adempiuto anche un’altra parte importantissima della profezia.

Gesù è diventato “Signore-giustizia”, quando è stato messo sulla croce e si è caricato di tutte le colpe mai commesse dagli uomini, comprese le tue e le mie, ed è morto come Sostituto di tutta l’umanità. Il sacrificio infinito del Figlio di Dio ha pagato per il peccato infinito degli uomini. Il trionfo della sua resurrezione ha dimostrato la sua vittoria infinita.

Ora, la giustizia di Cristo, diventa “mia giustizia”, quando mi pento personalmente del mio peccato e credo in Cristo come mia unica e possibile via di salvezza.

La Parola di Dio lo dichiara categoricamente, in 1 Corinzi 1:30,31: 

“Gesù Cristo è stato fatto per noi sapienza (cioè ci ha rivelato il pensiero e i piani di Dio),  

“giustizia (ha soddisfatto la santità di Dio morendo sulla croce al nostro posto),

“santificazione (ci ha purificati e appartati per Dio),

“redenzione (ha pagato con la sua vita il prezzo del nostro riscatto),

“affiché come è scritto, chi si vanta si vanti nel Signore”  (non pensi di avere qualche merito personale e si affidi e creda unicamente alla grazia di Dio).

Un grandioso adempimento, non ti pare? Cristo è anche la “tua giustizia”?
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Gesù è Dio - “shalom”. Per me e per te



Dopo la morte di Giosuè, non c’era pace in Israele. La gente si era allontanata dal Signore. L’anarchia e il disordine regnavano. Ogni tanto, Dio suscitava per il suo popolo un “giudice” che portava un po’ di ordine e di fede fra la gente. Ma era sempre cosa di poca durata.

Naturalmente, le popolazioni confinanti approfittavano di questa situazione, facevano scorrerie nel territorio degli Ebrei, seminando il terrore fra la gente e razziando raccolti e bestiame.

Un giorno, un uomo di nome Gedeone, proprio per paura di eventuali predoni, stava trebbiando il suo grano per nasconderlo poi in un luogo protetto, forse una specie di tunnel. A ogni rumore,  sussultava. Fosse mai un nemico...

Ad un tratto, gli appare l’Angelo dell’Eterno, che lo chiama e gli dice: “Il Signore è con te, uomo forte e valoroso!” Che?! Lo stava prendendo in giro? L’atteggiamento di Gedeone era  tutto fuorché quello di un uomo forte e valoroso. Era un poveraccio  che cercava solo di nascondere del grano per sé e per la sua famiglia. 

Ma Dio guardava lontano e sapeva esattamente cosa aveva intenzione di fare per mezzo di lui. Infatti gli disse: “Va’ con questa tua forza e salva Israele dalla mano di Madian: non sono io (l’IO SONO) che ti mando?”.

“Ma Signore... io non valgo niente... non sono un guerriero... la mia famiglia non è importante” obiettò Gedeone.

Il Signore gli rispose: “Io sarò con te e tu sconfiggerai i Madianiti, come se fossero un uomo solo...” Poi, con un segno miracoloso, rassicurò Gedeone e gli disse: “Sta’ in pace, non temere...” 

Gedeone capì con chi aveva a che fare e “costruì un altare al Signore e lo chiamò «Eterno pace»” (Iahvé-shalom).

E così fu: con la forza di Dio, Gedeone  riportò grandi vittorie e liberò la sua gente.  (La sua storia entusiasmante  è nell’Antico Testamento, nel Libro dei Giudici (capp. 6-8) e la potete leggere per conto vostro. Vi piacerà).

L’Eterno, il Signore onnipotente, è “shalom”: Dio di pace. Chi crede in Lui sperimenta la vera pace. “Gran pace hanno coloro che amano la tua legge” diceva un salmista (119:165) e, la profezia di Isaia, riguardante il Bambino che sarebbe nato a Natale afferma: “Un bambino ci è nato, un figlio ci è stato dato, e il dominio riposerà sulle sue spalle; sarà chiamato Consigliere ammirabile, Dio Potente, Padre eterno, Principe della pace...” (Isaia 9:5). Infatti, quando Gesù nacque, gli angeli dissero ai pastori proprio questo: “Pace in terra agli uomini che Egli gradisce!”.

Gesù è la nostra pace, come diceva l’Apostolo Paolo. Infatti, morendo al nostro posto e subendo il  nostro castigo, ha reso possibile la nostra riconciliazione, la nostra pace con Dio. A chi lo riconosce come l’unica via di salvezza e crede di cuore in Lui, Egli dona la pace. Una pace che dura per sempre.  

Durante il suo ministero terreno ha parlato a lungo della sua pace e ha donato la pace a molti. Per esempio, a una povera donna, ricordata in tre vangeli.

Aveva speso tutto quello che aveva nei dottori, ma questi  non erano riusciti a guarirla. La sua malattia la rendeva debole, impura secondo la legge ebraica e quindi praticamente intoccabile dalla famiglia e dagli amici. Era sola e disperata.

Un giorno sentì che Gesù era nelle vicinanze. Guariva i malati, cacciava i demoni, toccava i lebbrosi e li sanava. Tutta la gente ne parlava. Chi ne diceva bene, chi ne diceva male.

“Non ho più niente da perdere” deve aver pensato. “Lo so, non dovrei andare dove c’è gente, ma io ci vado lo stesso. Non mi faccio vedere, gli tocco un lembo della tunica. Basterà per guarirmi... io ci provo, io ci credo...”

Così è andata, si è mischiata nella folla e con la mano tremante ha toccato la veste del Signore. Ha sentito subito qualcosa di nuovo: una nuova forza. Ha capito di essere guarita! Stava per ritirarsi, confondendosi fra la folla, quando Gesù si fermò di botto: “Chi mi ha toccato?”.

La poveretta si sente morire: il Maestro la svergognerà davanti a tutti perché era impura? La  denuncerà ai religiosi?

La donna si ferma, si butta ai suoi piedi e ammette quello che aveva fatto. Gesù non aveva nessuna intenzione di svergognarla. Piuttosto la voleva rassicurare non solo riguardo alla salute fisica, ma anche alla sua anima: “Figliola, la tua fede ti ha salvata; va’ in pace e sii guarita del tuo male” (Marco 6:34). Che meraviglia! Gesù, l’Iddio incarnato, il Dio-shalom, oltre alla salute, aveva anche messo pace (“shalom”) per sempre, nel suo cuore.
 
 Tu hai creduto in Lui? Hai la sua pace? Egli è il tuo Dio-shalom?
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