Si avvicinava la
Pasqua e le cose, a Gerusalemme, stavano precipitando. I Farisei e gli Scribi
volevano a tutti i costi sbarazzarsi di Gesù e Satana fu ben felice di
aiutarli. Come? “Entrò in Giuda,
chiamato Iscariota, che era nel numero dei dodici apostoli” (Luca 22:3).
Giuda era stato scelto dal Signore e per tre anni lo aveva
seguito, ma era una persona poco affidabile. Amava il denaro, teneva la borsa comune e ne
approfittava per portare via dei soldi. Le sue uniche parole riportate nei
Vangeli, sono le critiche per Maria che aveva sparso sul capo del Signore un
profumo preziosisimo, le sue proposte ai Farisei per aiutarli a arrestare Gesù e
la domanda fatta a Gesù stesso, che aveva affermato che uno dei suoi discepoli
lo avrebbe tradito: “Sono forse io,
Rabbi?” (Matteo 26:25). Che faccia di bronzo!
Quando fece questa domanda, era già andato dai capi religiosi
e si era messo d’accordo che, alla prima occasione propizia, avrebbe consegnato
il Signore nelle loro mani. Aveva anche
accettato la loro ricompensa di 30 denari.
Ora è con gli altri discepoli e col Signore, che stanno per
celebrare la Pasqua. L’atmosfera
è piuttosto pesante. Ci sono brutti presagi e Gesù parla sempre più spesso
della sua morte.
Nella stanza preparata per celebrare la Pasqua, il Signore lava i
piedi ai discepoli e dà loro una grande lezione di umiltà, ribadendo il
concetto che chi voleva essere il primo di tutti doveva essere il servo di
tutti. Poi cita un salmo premonitore: “Colui
che mangia il mio pane, ha levato contro di me il suo calcagno” (Giovanni
13:18). Con quelle parole dice chiaramente che uno di loro lo avrebbe tradito.
I discepoli si domandano chi sia e Giovanni lo chiese
specificatamente al Signore (vv. 22,25)
Gesù gli rispose: “È
quello a cui darò il boccone dopo che l’avrò
intinto”. Dà il boccone a Giuda e gli dice: “Quel che fai, fallo presto” (vv. 26,27).
Giuda, “preso il
boccone , uscì subito; ed era notte” (v. 30). Andò in fretta a prendere
accordi per fare arrestare Gesù. “Prendete quello che bacerò” disse. Il che avvenne
la mattina dopo. Tutti conosciamo il resto della storia.
Fra le cose che Dio odia, elencate nel cap. 6 del libro dei
Proverbi, e di cui abbiamo già parlato, la quinta è “i piedi che corrono frettolosi al male” (v. 18). Facendo in fretta il male, si riesce a farlo
prima che la coscienza possa intervenire per fermarlo.
Giuda architettò il tradimento e l’arresto di Gesù. Lo fece
di notte. Lo fece in fretta, dopo essere stato a tavola col Signore in un
momento molto significativo, in cui Egli istituì quella che oggi chiamiamo “la santa
cena”. Giuda se ne pentì più tardi e,
dal rimorso, si tolse la vita. “Sarebbe
meglio se non fosse mai nato” aveva detto in precedenza il Signore (Matteo
26:24).
Non è mai giusto fare un gesto violento in preda alla
collera, ma può capitare. Sia che si tratti di uno schiaffo a un figlio che ha
risposto male o buttare per terra un piatto o sbattere una porta quando qualcosa
ci ha veramente irritati. Quando succede,
è importante non autogiustificarsi, ma pentirsene
e chiedere perdono.
Però c’è di peggio: si può architettare a freddo un piano
malvagio e metterlo in atto. Questo è orribile e diabolico, perché dimostra l’intenzione
di colpire, di ferire, di fare del male. In più, porta sempre conseguenze
tremende, rovina la testimonianza e macchia per sempre una reputazione.
Nel caso specifico, Giuda si rese conto del male fatto,
tradendo Gesù, e mise fine alla sua vita col suicidio. Gesù stesso lo chiamò “figlio della perdizione” (Giovanni
17:12).
Il re Davide, invece, era un buon credente. Eppure orchestrò
l’uccisione del marito di una donna di cui si era invaghito. Dopo un certo
tempo se ne pentì, ma non evitò tre conseguenze gravi. La cattiva
testimonianza, la morte di un piccolo innocente e la “spada” che non si allontanò più dalla sua casa.
Anania e Saffira, nel Nuovo Testamento, pianificarono un
imbroglio e ci rimisero la pelle (Atti
5:1-10). Sono solo tre esempi, ma se ne potrebbero citare altri, sempre dalla
Bibbia.
E noi credenti? Non illudiamoci. L’impulso a fare del male,
anche se non provocati, può sempre scaturire dalla nostra natura bacata e dal
fatto che in noi, fondamentalmente, “non
abita nessun bene”.
Ci dispereremo, quando dovesse succedere? No.
Piuttosto ci rivolgeremo immediatamente a Dio e, per fede, crederemo
che la vittoria in noi è possibile, per mezzo della potenza dello Spirito Santo che vive in noi. Confesseremo
immediatamente a Dio il nostro orribile proponimento, senza addurre attenuanti,
e gli chiederemo perdono. Dopo di che, altrettanto immediatamente, afferreremo il
perdono di Dio e crederemo alla possibilità di vincere il male col bene, cioè di fare del
bene a chi abbiamo pensato di voler ferire.
Meglio ancora, faremo un piano preciso per farlo. È
difficile? Io direi che è impossibile se vogliamo riuscirci con la nostra
forza. Ma se lo chiederemo a Dio, dato che lo ordina, ci aiuterà a farlo.
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