La prima evangelista è stata lei!

Gesù aveva circa quaranta giorni e Maria e Giuseppe lo avevano portato al tempio perché fosse presentato al Signore e per offrire, allo stesso tempo, il sacrificio di purificazione per Maria, come prescritto dalla legge. Non potendosi permettere di offrire un agnello, essi avevano portato due tortore o due piccioni, che era il sacrificio dei poveri (se Maria fosse stata concepita senza peccato, come insegna la Chiesa ufficiale, non avrebbe dovuto offrire nessun sacrificio di purificazione. Gesù che era davvero santo e senza peccato non offrì mai i sacrifici prescritti dalla legge di Mosè).

Mentre erano nel tempio, un uomo di Dio, Simeone, a cui Dio aveva rivelato che non sarebbe morto se non avesse visto prima il Messia, prese in braccio il bambino e ringraziò il Signore, proclamando che il piccolo sarebbe stato la salvezza di Israele, la luce del mondo e la gloria del popolo di Dio. Aggiunse anche che sarebbe stato motivo di salvezza e di giudizio e che i pensieri più profondi degli individui sarebbero stati rivelati per mezzo di Lui (Luca 2:29-35).

Maria e Giuseppe ascoltavano meravigliati senza capire il significato di quelle parole. Avevano già dimenticatp quello che l’angelo Gabriele aveva detto e quello che Dio aveva rivelato in sogno a Giuseppe?

Poi si avvicinò ai genitori col bambino una donna di ottantaquattro anni, Anna. Era vedova e stava nel tempio giorno e notte, per pregare, digiunare e servire il Signore. Aveva perso il marito dopo sette anni di matrimonio e da allora aveva consacrato la sua vita al Signore. Non sembra che avesse figli.

L’ho già detto: essere vedova non è mai facile. Ma, a quei tempi, era addirittura grave. Se non c’erano figli o parenti a cui appoggiarsi, lo stato non provvedeva alle vedove alcun aiuto e anche ciò che comandava in loro favore la legge di Mosè era trascurato. Lo si capisce da vari passi dell’Antico Testamento e anche dalle raccomandazioni dell’Apostolo Paolo alla chiesa, riguardo alla loro assistenza.

Anna però non si era scoraggiata. La sua fiducia era in Dio e Dio le parlava in modo speciale. Infatti, è chiamata “profetessa”, appellativo riservato a chi riceveva dei messaggi mirati dal Signore. Insieme con Simeone, lodava il Signore per la venuta di quel Bambino speciale e ne parlava con tutti.

In questo, Anna può essere considerata la prima evangelista. Cosa avrà detto di Lui?

Non lo sappiamo, ma probabilmente avrà citato le promesse contenute nel libro di Isaia, dicendo che si stavano adempiendo finalmente: “Un fanciullo ci è nato... un figlio ci è stato dato... il dominio riposerà sulle sue spalle; sarà chiamato Consigliere ammirabile, Dio potente, Padre eterno, principe della pace.... Che bel messaggio!

C’è molto da imparare da lei.

La sua età non la scoraggiava.

La sua condizione non la limitava.

Lodava Dio: i vecchi si lamentano molto e si rallegrano poco. Spesso fanno fatica a contare le loro benedizioni e notano e enumerano soprattutto le loro difficoltà.

Anna parlava del bambino a tutti quelli che aspettavano la redenzione di Gerusalemme.

Lei aveva visto solo un piccino di quaranta giorni. Noi conosciamo tutta la storia di Gesù, la sua vita, la sua morte e la sua resurrezione. Conosciamo il suo piano di salvezza e abbiamo la speranza sicura del suo ritorno. Quanto ne parliamo?
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È stata la prima a vederlo!

Di Maria Maddalena si sa pochissmo. Come si capisce dal suo nome, veniva da Magdala, una località sulla riva nord–ovest del Lago di Gallea. Gesù l’aveva liberata da sette demoni che la tormentavano e, da quel momento, aveva cominciato a seguire il Signore nei suoi spostamenti, assistendo Lui e i suoi seguaci, insieme a altre donne.

È stata confusa, da alcuni commentatori, con la peccatrice che ha unto i piedi del Signore in casa di Simone, il fariseo, di cui abbiamo parlato ai primi di gennaio. Ma non è probabile. Gesù non ha mai toccato, per quanto ne sappiamo dai Vangeli, un indemoniato. Ai demoni ha solo parlato e ordinato di uscire dai poveretti che possedevano. ll Figlio santo di Dio non poteva avere contatto con chi apparteneva al regno delle tenebre. Gesù non avrebbe, perciò, permesso a un’indemoniata di toccarlo, di offrigli dell’unguento e di ungergli i piedi.

Sia come sia, di lei non si parla in modo specifico fino al momento della crocifissione del Signore a Gerusalemme. Matteo (27:55,56) racconta che con altre donne osservava da lontano il martirio del Signore, Marco (15:47) scrive che, con Maria, madre di Iose, osservò, verso sera, dove Giuseppe d’Arimatea e Nicodemo deponevano il corpo del Signore, avendo ottenuto da Pilato il permesso di seppellirlo.

Passato il sabato, all’alba Maria Maddalena va alla tomba con altre donne, per imbalsamare il corpo del Signore. Con leggerezza, per non chiamarla incoscienza prettamente femminile, esse, strada facendo, si chiedevano come avrebbero potuto rotolare la pietra che chiudeva la tomba e chi avrebbe potuto farlo (Marco 16:3). O non avevano pensato a chiedere a qualcuno di accompagnarle o i discepoli erano troppo disperatamente tristi e spaventati per mettere il naso fuori di casa.

Fatto sta che, appena arrivano alla tomba, Maria Maddalena dà un’occhiata e vede che la tomba è vuota. Senza aspettare neppure un momento, lascia le sue compagne e si precipita verso la città. Va a avvisare Pietro e Giovanni che il corpo non c’era più.

I discepoli, di corsa, vanno al sepolcro. Arriva prima Giovanni, che non entra nella tomba. Poi arriva Pietro che osserva senza capire cosa sia successo. In seguito, Giovanni rientra nel sepolcro, guarda con attenzione, vede e crede. I verbi usati nel testo greco, che esprimono varie sfumature del verbo guardare, fanno capire tutti questi atteggiamenti (Giovanni 20:1-8).

I discepoli tornano a casa perplessi, ma Maria resta a piangere alla tomba. Dove avevano portato il Signore? Due angeli le appaiono e le chiedono perché piange.

“Hanno portato via il corpo del Signore e non so dove l’hanno portato!”

Poi si volta, vede un altro uomo che le dice: “Donna, perché piangi? Cosa cerchi?”

Maria pensa che sia il giardiniere (forse i suoi occhi erano così pieni di lacrime che non le permettevano di vedere bene e, d’altra parte, il nuovo corpo del Signore era, per certi versi, cambiato) e lo supplica di dirle se sa dove sia il corpo del Signore.

Poi una voce famigliare la chiama: “Maria!”

Lei la riconosce: “Maestro!”

È il Signore! Lei vorrebbe toccarlo, ma Lui le dice di non farlo. Prima doveva salire da suo Padre e dal suo Dio. Maria capisce che Gesù era risorto. Non doveva più cercarlo. Lo aveva visto e udito e era stata la prima a cui Lui si era rivelato (Marco 16:9).

Più tardi, anche altre donne lo videro. La sera apparve ai discepoli.

Cosa è successo di Maria Maddalena dopo la resurrezione? Non se ne sa più nulla. In ogni modo, la sua storia è bella e si può considerare come una parabola del piano della salvezza.

È stata liberata dalla potenza delle tenebre e dalla schiavitù del peccato. Ha creduto in Gesù. È vissuta servendolo umilmente. Lo ha visto morire per i peccati del mondo. Lo ha visto risuscitato e trionfante. Ora è nella beatitudine del cielo.

Che cosa avrebbe potuto desiderare di più? Nulla.

Ma anch’io sono una parabola vivente della grazia del Signore. E lo sei anche tu, come pure qualsiasi credente, se hai riconosciuto di essere morto spiritualmente nel peccato, hai visto in Lui il tuo unico Salvatore e Signore e ti sei affidato a Lui come l’unico mezzo di salvezza. Lo hai fatto?
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Gesù ha preso l’iniziativa

Quando Gesù arriva alle porte della cittadina di Nain, accompagnato dai discepoli e da molta gente, gli si presenta una scena straziante. Un gruppo di persone sta portando al cimitero la salma di un ragazzo. Sua mamma è vedova. Cammina sorretta da qualcuno è circondata da amici, ma “dentro” è orrendamente sola. Col figlio, il suo unico, porta anche a seppellire ogni sua speranza di sostegno morale e materiale, conforto, aiuto, ogni ragione di vivere.

Le vedove, a quel tempo, non avevano pensioni di riversibilità, aiuti, mutue. Rimanevano assolutamente senza appoggio e erano alla mercé di parenti e amici. La vedova di Nain, col figlio, aveva perduto tutto.

Il Vangelo di Luca non lo dice, ma possiamo immaginare che dal corteo si levavano grida di dolore e lamenti, come si usava fare a quel tempo e spesso vediamo fare anche oggi. La povera mamma singhozzava.

Gesù le si avvicina e le dice una parola strana: “Non piangere!”. Come poteva non piangere? La perdita di un figlio è sempre terribile. Se poi ad essa si unisce una situazione disperata, come non piangere?

Ma Gesù non era insensibile. Piuttosto provava per quella mamma una pietà immensa. Un sentimento che era fatto di comprensione, di sofferenza, di dolore, di pietà e di tenerezza davanti alla tragicità della morte. La morte è il risultato del peccato. Non era stata programmata da Dio alla creazione. Era stata causata dalla disubbidienza di Adamo e Eva e ogni essere vivente ne porta e ne subisce le conseguenze.

Profeticamente, dicendole di non piangere, Gesù voleva affermare a quella madre la realtà della vittoria che avrebbe riportata sul peccato, e che era lo scopo della sua venuta sulla terra. Voleva proclamare a tutti che la morte sarebbe stata inghiottita nella vittoria. E, forse, voleva anche farle capire che il suo dolore si sarebbe trasformato in gioia.

La madre non capisce. Non dice nulla. Gesù ferma il corteo, tocca la bara e poi si rivolge verso il corpo senza vita. “Ragazzo, dico a te, alzati!”

Il corpo si muove, il ragazzo si mette a sedere e parla! Meraviglia generale.

Gesù lo consegna alla mamma. Non fa discorsi, non si autoproclama come Messia e non si fa pubblicità. Una bella differenza dai guaritori moderni!

Poi, prosegue per la sua strada.

La folla è ammutolita dallo spavento, dal timore e dallo stupore. Una cosa così non era più successa da quando Elia e Eliseo avevano risuscitato altri due ragazzi, molti secoli prima. Qualcuno esclama: “Un grande profeta è sorto fra noi!”.

Ma Gesù era molto più grande di un profeta: era Dio!

Il racconto finisce qui. Possiamo immaginare la gioia della madre, il chiacchierare che si è fatto nel paese, i commenti della gente. Non sappiamo se la donna e il ragazzo siano diventati seguaci di Gesù. Speriamo di sì.

Quella che risalta è soprattutto la compassione di Gesù. Il fatto che il miracolo non gli sia stato richiesto, ma che Lui lo abbia compiuto per soccorrere una donna in grande sofferenza e senza speranza, dimostra il suo amore infinito. E ci dimostra il suo cuore pieno di tenerezza.

È Lui che ha preso l’iniziativa per aiutare la vedova. È Lui che ha anche preso l’iniziativa della nostra salvezza, che prende l‘iniziativa nel cercarci e attirarci a sé. Nella pratica, anche dopo che siamo diventati suoi figli, Dio vede le nostre necessità e interviene. La sua promessa è che non saremo mai provati al di là delle nostre forze e che nella prova e nelle difficoltà sarà con noi. Egli sa di che cosa abbiamo bisogno.

Tu, ci credi?
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Una richiesta azzardata

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Anni fa, Pavarotti, durante una rappresentazione del Don Carlos di Verdi, fece una brutta stecca e fu fischiato sonoramente. Aveva cantato fino a quel momento, come in altre decine di opere, alla perfezione. È bastata una nota presa male per adombrare la sua gloria. Uno sbaglio ti può rovinare la reputazione.

È successo più o meno così per Salome, madre di Giacomo e Giovanni e moglie di Zebedeo. Verso la fine del ministero terreno di Gesù, essa fece al Signore una richiesta fuori posto e, da allora, attraverso i secoli è stata considerata intrigante e traffichina. Invece, sembra di capire, da quel poco che ne dicono i Vangeli, che fosse una gran brava credente.

Per esempio, è ricordata fra le donne che, almeno per alcuni periodi, seguirono Gesù, sopperendo ai suoi bisogni materiali e a quelli dei suoi discepoli. A differenza di molti, seguì il Signore fino alla fine, e osservò la sua morte lenta e atroce sulla croce. E questo, date le circostanze, non è poco.

Anche suo marito doveva essere un buon ebreo credente. Per quanto se ne sa, non si oppose a che sua moglie seguisse Gesù nei suoi spostamenti e lo sostenesse anche finanziariamente e neppure obbiettò che i suoi figli lasciassero barca e mestiere di pescatori per seguire l’Uomo di Nazaret. Inoltre, da come i figli stessi furono fedeli e seguirono prima Giovanni Battista e poi Gesù, rimanendo fedeli fino alla morte, sembra chiaro che devono essere cresciuti in un ambiente in cui regnava il timore di Dio. E questo, spesso, dipende dalla guida del padre.

Allora, in che cosa ha sbagliato Salome e i suoi figli con lei?

I Vangeli di Matteo e Marco raccontano che, verso la fine del suo ministero, Gesù, mentre saliva verso Gerusalemme per compiere l’estremo sacrificio espiatorio per i peccati degli uomini, parlò in maniera molto chiara della sua morte, dicendo: “Ecco, noi saliamo a Gerusalemme e il Figlio dell’uomo sarà dato nelle mani dei capi dei sacerdoti e degli scribi; essi lo condanneranno a morte, e lo consegneranno ai pagani perché sia schernito, flagellato e crocifisso; e il terzo giorno risusciterà” (Marco 20:18,19).

Come spesso succedeva, non fu capito. Oppure, chi sa?, alcuni ebbero l’idea che sì, sarebbe stato ucciso, ma che alla sua resurrezione avrebbe stabilito il suo regno su Israele come un grande trionfatore. Forse Salome aveva interpretato così quelle parole. Fatto sta che lei e i figli si avvicinarono a Gesù, facendo una richiesta assurda, ma che ai tre sembrava ragionevole: “Di’ che questi miei due figli siedano uno alla tua destra e uno alla tua sinistra nel tuo regno” (Marco 20:20,21). Dopo tutto, non facevano parte della cerchia ristretta dei discepoli che Gesù prediligeva? Non avevano forse assistito alla resurrezione della figlia di Iairo e alla trasfigurazione? Un posto speciale se lo sarebbero meritato!

Gesù, con gentilezza, rispose che non spettava a Lui assegnare posti nel suo regno e che, in ogni modo, prima di quel momento, avrebbero dovuto bere un calice amaro di sofferenza (infatti, Giacomo fu fatto decapitare da Erode e Giovanni morì da vecchio in un esilio duro e penoso).

Poi, agli altri discepoli, che si erano indignati per la richiesta di Salome e figli, e che forse si dispiacevano di non averla fatta loro, Gesù disse con grande serietà: “Non è così tra voi; anzi chiunque vorrà essere grande tra di voi, sarà vostro servitore; e chunque tra voi vorrà essere primo, sarà vostro servo; appunto come il Figlio dell’uomo non è venuto per essere servito, ma per servire e per dare la sua vita come prezzo di riscatto per molti” (vv. 26-28).

Per i seguaci del Signore, quello era un momento di grande confusione, incertezza e incomprensione dei fatti che si stavano svolgendo e stavano precipitando. Salome ha pensato di fare la cosa giusta e cercare di assicurare un buon futuro ai suoi figli (le mamme che da noi hanno manovrato per trovare un buon posto statale ai figli non si contano!) e ha sbagliato. Quello che deve importare è solo una cosa: che i figli crescano nel timore di Dio e lo servano. Il resto passa in seconda linea.

Per il resto, Salome è stata un buon esempio. Ha servito, ha dato generosamente e, vicino alla croce, con Maria, la madre di Gesù e le altre donne c’è stata anche lei, insieme a Giovanni, suo figlio. Tutti gli altri discepoli, invece, erano andati a nascondersi.
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Ha dato più di tutti

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Al Signore Gesù non sfuggiva nulla. Un giorno, mentre insegnava al popolo nel pressi del tempio e lo metteva in guardia dai religiosi di professione, diceva: “Passeggiano volentieri in lunghe vesti, amano essere salutati nelle piazze e avere i primi posti nelle sinagoghe e nei conviti; essi divorano le case delle vedove e fanno lunghe preghiere per mettersi in mostra. Costoro riceveranno una condanna maggiore” (Luca 20:45-47).

Seduto, poi, vicino alla cassa delle offerte per il tempio, osservava la gente che ci metteva dentro del denaro. Alcuni ricchi davano molto e lo facevano con ostentazione. Forse facevano cadere le monete in modo che si vedesse quanto davano e che suonassero nel cadere. Il Signore vedeva esattamente quanto e con che spirito donavano.

A un certo punto, arriva una vedova (forse una di quelle sfruttate dai religiosi, di cui aveva parlato poco prima?) e mette nella cassa due spiccioli. Era poco, pochissimo. Niente in confronto a quello che avevano donato i ricchi. Ma Gesù la vede e la cita a esempio ai discepoli: “Ha dato più di tutti, perché ha dato tutto quello che aveva per vivere, mentre gli altri hanno dato solo del loro superfluo, senza nessun sacrificio”.

È un fatto che l’opera di Dio spesso è sostenuta da chi ha poco o niente, come la vedova notata da Gesù. Ricordo che molti anni fa, nel nostro mensile La VOCE del VANGELO, abbiamo pubblicato un articolo su un’opera evangelica svolta in India fra i lebbrosi. Pensavamo che fosse giusto aprire gli occhi dei credenti italiani sulla condizione di quei poveretti emarginati. Non ci crederete, ma la prima offerta in favore di quei lebbrosi indiani, seguita poi da molte altre, è venuta da una piccola chiesa locale, nel sud d’Italia, composta da gente molto povera, che viveva nelle condizioni più modeste immaginabili. Chi è povero capisce i bisogni dei poveri.

Oggi, ci sono ospedali missionari in Africa che chiudono per mancanza di fondi e di personale, ci sono opere di evangelizzazione che stentano a andare avanti per mancanza di aiuti. Ci sono credenti che non riescono a pagare l’affitto del locale in cui si riuniscono per adorare il Signore, perché molti di loro preferiscono comprarsi un paio di scarpe nuove e trovano difficile mettere un’offerta nella cassetta appesa all’uscita del locale, su cui è scritto che Dio ama un donatore gioioso. Se manca la gioia, perché donare?

Cerchiamo di non diventare, naturalmente nelle dovute proporzioni, come chi, ricoperto da un manto lussuoso e con una tiara piena di gemme, raccomanda spesso di ricordarsi dei poveri e di chi soffre, senza, per quanto se ne sa, dare nulla del suo.

A proposito: l’opera fra i lebbrosi in India continua e le offerte possono essere mandate all’Associazione Verità Evangelica, che penserà a inoltrarle a chi di dovere! Conto Corrente Postale n. 90302001. Indicare sulla causale: "Per i lebbrosi".
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Se fosse profeta...

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Non si sa perché avesse invitato Gesù a mangiare da lui, ma probabilmente voleva studiare da vicino chi fosse quel Maestro così seguito e ricercato. Probabilmente sperava di coglierlo in fallo e dimostrare a se stesso e agli altri che era un ciarlatano.

Gli offerse un lettino su cui sdraiarsi, come si usava a quei tempi fra i commensali, ma non chiamò nessun servo per lavargli i piedi e non lo salutò con un abbraccio e un bacio, come era abitudine. Un trattamento davvero poco cortese.

Mentre mangiano, entra una donna. Era ben conosciuta, anche dal fariseo, come “una di quelle” (così le chiamava mia nonna con sufficienza).

La donna si avvicina a Gesù, piange a dirotto e, da dietro, comincia a bagnare di lacrime i piedi del Signore, glieli asciuga coi suoi capelli e li cosparge di unguento profumato. Lo fa ripetutamente senza dire una parola. Esprime il suo amore verso il Signore, compiendo quello che nessun servo aveva fatto.

Il fariseo alza il sopracciglio e dice fra sé: “Se costui fosse un profeta, saprebbe bene con chi ha a fare! Altro che Maestro venuto da Dio, non si rende neppure conto che è una peccatrice!”.

Ma a Gesù non sfugge nulla, né quello che diciamo né quello che pensiamo, e si rivolge al fariseo, che si chiamava Simone, e gli dice: “Devo dirti qualcosa”. Simone ascolta.

Il Signore gli racconta una parabola di due debitori ai quali lo stesso creditore condona il debito. A uno condona poco, perché il debito era piccolo, e all’altro condona molto perché il debito era considerevole. E poi gli chiede: “Quale dei due debitori lo amerà di più?”.

“Suppongo quello che aveva il debito maggiore” risponde Simone.

“Giusto.”

Poi si rivolge verso la donna e dice a Simone: “Vedi questa donna? Tu non mi hai lavato i piedi e lei me li ha lavati con le sue lacrime e asciugati coi suoi capelli. Tu non mi hai dato un bacio quando sono entrato e lei non ha fatto che baciarmi i piedi. Tu non mi hai messo del profumo sul capo e lei ha usato il suo profumo per ungermi i piedi.

“Ti dico che i suoi molti peccati (Gesù non li ignorava) le sono perdonati perché ha molto amato. Ma chi di peccati ne ha pochi ama poco”.

E dice alla donna: “I tuoi peccati sono perdonati”.

C’è stupore e sconcerto fra gli altri commensali che cominciano a parlottare fra loro: “Ma chi è questo maestro che perdona pure i peccati?”. Non capivano, o non volevano capire, chi fosse Gesù.

A questo punto, nella nostra mente, sorge spontanea una domanda: basta amare per ricevere il perdono dei nostri peccati? Tutti quelli che amano Dio, in qualsiasi modo e maniera, sono a posto davanti a Lui? Possono essere certi della loro salvezza? E ancora: se amano molto, possono continuare a peccare molto?

L’amore è un segno di riconoscenza. Le lagrime sono un segno di pentimento. L’esternazione del pentimento e i doni che possiamo fare a Dio dimostrano la nostra gratitudine e sono da apprezzare. Ma non bastano.

Le parole che Gesù rivolse alla donna, alla fine di questo episodio, dissipano con precisione qualsiasi dubbio: “La tua fede ti ha salvata; va’ in pace”.

Evidentemente, la donna aveva capito e creduto che Gesù era il Messia atteso, il suo Salvatore, il suo Redentore. La fede in Lui l’aveva salvata e Gesù l’aveva compresa.

Chi è per te Gesù?
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Ha fatto quello che poteva

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È una settimana prima della pasqua e Gesù, coi suoi discepoli, è a Betania in casa di Marta, Maria e Lazzaro, che era stato da poco risuscitato dal Signore.

Si faceva un gran parlare di quel miracolo e molta gente voleva vedere Lazzaro. Vedendolo, credeva in Gesù e nella sua potenza, cosa che rodeva molto ai religiosi, che meditavano non solo di uccidere Gesù, ma anche Lazzaro, per farla finita una buona volta!

L’atmosfera era perciò un po’ pesante, anche perché il Signore stesso aveva chiaramente parlato della sua morte imminente. In ogni modo, come sempre, Marta si dava da fare per servire e vedere che tutti fossero a loro agio e trattati nel migliore dei modi.

Mentre, tutti erano a tavola, Maria si alza e va a cercare qualcosa. Quando torna stringe al petto un vaso di alabastro. Lo spezza e versa l’olio profumatissimo sui piedi del Signore, che, poi, unge e asciuga coi suoi capelli. Tutta la casa è impregnata del profumo sparso. Era un atto di grande affetto, adorazione e consacrazione, di donazione totale a Gesù.

Spesso, infatti, quel tipo di profumo, tenuto in un vaso sigillato, era conservato dalle ragazze come parte del loro corredo di nozze. Probabilmente era quanto Maria aveva di più prezioso.

I discepoli si meravigliano e pensano che quel gesto sia un grandissimo spreco. Giuda esprime il pensiero di tutti dicendo: “Perché non si è venduto quest’olio per trecento denari e non si sono dati ai poveri?”. In realtà a lui non importavano affatto i poveri e Giovanni lo sapeva. Nel suo Vangelo, scriverà poi che “era ladro, teneva la borsa e ne portava via quello che vi si metteva dentro” (12:7).

Ma è anche vero che, in ogni occasione, qualcuno che critica c’è sempre.

Il Signore interviene in difesa di Maria, lo aveva già fatto quando aveva dichiarato che aveva fatto bene a fermarsi a ascoltarlo, anziché preoccupasi d’altro. Questa volta, però, la sua difesa è molto più circostanziata e precisa. Dice: “Lasciala stare; ella lo ha conservato per il giorno della mia sepoltura. Perché i poveri li avete sempre con voi; ma me non mi avete sempre” (12:7,8).

Gesù aveva visto chiaro nel cuore di Maria e Maria aveva visto chiaro riguardo al futuro. Aveva capito che Gesù sarebbe morto, ma aveva anche capito che sarebbe risuscitato. Perciò l’olio che avrebbe potuto servire per imbalsamare il corpo del Signore, lo offerse mentre era vivo. Dopo la morte non sarebbe più servito!

L’evangelista Marco lo dice molto chiaramente, riportando le parole del Signore: “Ha fatto un’azione buona verso di me... Ha fatto ciò che poteva; ha anticipato l’unzione del mio corpo per la sepoltura. In verità vi dico che in tutto il mondo, dovunque sarà predicato il vangelo, anche quello che costei ha fatto sarà raccontato in memoria di lei” (14:6,8,9)

Maria, mi pare, è stata l’unica persona che ha creduto davvero alla resurrezione del Signore, prima che questa si verificasse. Lo aveva visto risuscitare suo fratello e sapeva che Lui aveva dichiarato: “Io sono la resurrezione e la vita, chi crede in me, anche se muore, vivrà. E chunque vive e crede in me non morirà mai” (Giovanni 11:25,26). Perciò aveva voluto onorare il Vivente! E ciò che ha fatto è una testimonianza anche per noi.

Non possiamo ripetere il suo gesto, ma quello che Gesù ha detto di lei è molto importante anche per noi: “Ha fatto ciò che poteva”.

Oggi noi possiamo testimoniare, aiutare, incoraggiare, confortare, spandere la Parola di Dio con le parole e i fatti, secondo le nostre possibilità. Non tutte possiamo andare in Africa o in Cina a testimoniare, ma possiamo farlo sotto casa. Le nostre non saranno forse azioni eclatanti, ma il Signore ne terrà conto. Basta che possa dire anche di noi: “Ha fatto quello che poteva”.
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“Signore, non ti importa?...”

Marta non ce la faceva più: stava lì trafelata ai fornelli. Il sudore le imperlava la fronte. C’era da cuocere la carne, la verdura da lessare, i servi da sorvegliare perché non bruciassero il pane. Voleva preparare anche la frutta secca e tirare fuori la tovaglia dei giorni buoni.

Gli invitati erano parecchi e uno era specialmente importante. Era Gesù di Nazaret, il grande Maestro. Tutto doveva essere perfetto per Lui.

Marta lo aveva invitato con grande piacere e si sentiva estremamente onorata di averlo a casa sua. Ma una cosa le rodeva. Sua sorella Maria non l’aiutava. Era lì seduta ai piedi di Gesù e lo ascoltava. La solita santina! Mica muoveva un dito per rendersi utile con tutto quello che c’era da fare!

Ad un certo punto, Marta sbotta: “Signore, non t’importa che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire?” Era furiosa con la sorella, ma, sotto sotto, ce l’aveva anche col Signore: “Signore, non ti importa?....”

Ed è spesso così. Quando qualcosa ci va storto ce la prendiamo con questo e con quello, ma, soprattutto, diciamo: “Ma perché Dio mi manda anche questo inciampo? Non lo sa che questa non ci voleva? Non capisce che sto lavorando per Lui e che non è giusto che ci siano tanti ostacoli e che sia io l’unica che si dà da fare?”

Era la situazione di Marta. Voleva fare e fare bene, ma ce l’aveva con la sorella.

Il Signore l’ha rimproverata dolcemente dicendo: “Marta, tu ti affanni e sei agitata per tante cose, ma una sola cosa è necessaria. E Maria ha scelto la parte buona che non le sarà tolta”.

Era un po’ come se le dicesse: “Marta, io non ho bisogno di un gran pranzo. Mi basterebbe un panino. Io sto dicendo delle cose importanti e sarei più contento di vedere anche te, seduta vicino a tua sorella, a ascoltarmi. Tua sorella ha scelto la cosa più importante”.

Era una questione di priorità. Quando il Signore parla, bisogna ascoltare e bisogna essere presenti quando la sua Parola è predicata. Senza trovare scuse di lavoro, di stanchezza, di affari di famiglia o commissioni urgenti..

Marta faceva bene a essere una brava massaia, ma avrebbe fatto meglio a semplificare pasto e cerimonie e a trovare, invece, il tempo per mettersi tranquilla a imparare le cose che avevano un valore eterno.

Mio suocero era un pastore evangelico in Michigan, e predicava molto nelle campagne. La cosa che gli faceva più dispiacere era che, a volte, certe donne non andavano al Culto, ma rimanevano a casa per preparargli un bel pranzo.

“Quelle donne hanno tanto bisogno della Parola di Dio quanto i loro mariti!” diceva. “Il loro cibo è buono e mi piace, ma il cibo spirituale è più importante!”

Gesù amava Marta, Maria, sua sorella, e Lazzaro, suo fratello. In un altro episodio, è detto che Marta serviva e non è stata affatto rimproverata.

Dobbiamo imparare a gestire bene il nostro tempo e ordinare con sapienza le nostre priorità. Fare in modo di essere organizzate per poter andare alle riunioni in chiesa, trovare il tempo per il nostro raccoglimento personale e valutare ciò che è davvero importante.

Se lo facciamo, anche tutti i nostri lavori e impegni di donne di casa riusciranno meglio.

Leggi questa storia nel capitolo 10 del vangelo di Luca e confrontala coll’inizio del capitolo 12 di Giovanni, di cui parleremo la prossima volta.
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“Neppure io ti condanno”

Gesù è nel tempio e insegna, dopo aver passato la notte sul monte degli ulivi. La gente lo circonda e lo ascolta. Alcuni scribi e farisei si fanno avanti e gli portano una donna colta in adulterio. Cercavano un buon motivo per accusare Gesù.

“Questa donna è stata colta in flagrante adulterio” gli dicono. “Mosè ha detto che tali donne devono essere lapidate. Tu che ne dici?”

Gesù sapeva esattamente cosa avessero in mente e non dice nulla. Anzi, fa una cosa strana: si mette a scrivere in terra. Cosa scriveva? Qualcuno ha pensato che scrivesse i dieci comandamenti, ma è solo un’ipotesi.

“Che ne dici? Che ne dici?” continuavano a insistere

Finalmente Gesù risponde: “Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra”.

I religiosi se ne vanno ad uno ad uno, a cominciare dai più vecchi. Nessuna pietra è scagliata.

Gesù e la donna rimangono da soli. “Donna, dove sono i tuoi accusatori? Nessuno ti ha accusata?”

“Nessuno, signore”.

“Neppure io ti condanno...”

L’adulterio era condannato dalla legge di Mosè. Gesù non ha applicato la legge. Ha piuttosto voluto sottolineare il fatto, a quei religiosi ipocriti, che “non c’è nessun giusto neppure uno”. Ha voluto, mi pare, ribadire che era venuto per salvare e non per condannare. Per portare la grazia e non per punire. Ha voluto ribadire, col suo atteggiamento, quello che aveva già detto nel sermone sul monte, e cioè: “Mosè vi ha detto che... ma io vi dico che....”.

Ha voluto sottintendere che non sono solo le azioni, che uno compie, quelle che dimostrano che uno è un peccatore, ma che anche i sentimenti profondi del cuore provano che ognuno è in essenza un peccatore ed è perciò degno di condanna.

Così si spiega perché ha affermato che “se uno guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore... Chiunque si adira contro suo fratello, chi gli avrà detto “Pazzo!” sarà condannato alla geenna...” Per questo ha ordinato di non odiare i nemici, ma di fare piuttosto loro del bene e ha concluso tutto il suo sermone, dichiarandoci tutti colpevoli: “Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste”(Matteo 6:27,21,22,44, 48).

Nel dire a quei religiosi: “Chi di voi è senza peccato (attenzione! Gesù ha detto “peccato” e non “peccati”, il che indica che stava parlando della natura umana peccatrice e non solo delle azioni peccaminose che la dimostrano) scagli per primo la pietra”, ha predicato il più grande sermone di evangelizzazione possibile. Ha mostrato a tutti quegli accusatori che erano dei peccatori di fondo e li ha costretti a riconoscerlo. Proprio dall’affermazione che ogni uomo è peccatore e degno di condanna, deve cominciare l’annuncio della salvezza per grazia resa possibile dal sacrificio di Gesù sulla croce.

“Ma, allora, Gesù ha assolto la donna adultera? Ha indicato che l’adulterio non è grave?” chiedete. Niente affatto. Alla donna ha assicurato il perdono: “Neppure io ti condanno”, ma ha anche spiegato con le parole “Va’ e non peccare più” che la vita cristana è una cosa seria. Che chi è stato perdonato deve vivere una vita che evita il peccato e piace a Dio.

È logico. Chi ama il suo coniuge non lo tradisce. Chi vuole far piacere a Dio non dice bugie. “Chi rubava non rubi più, ma si affatichi piuttosto a lavorare onestamente con le proprie mani, affinché abbia qualcosa da dare a chi è nel bisogno” ha detto l’apostolo Paolo ai credenti di Efeso.

E l’apostolo Pietro ha esortato tutti: “Come Colui che vi ha chiamati è santo, anche voi siate santi in tutta la vostra condotta, poiché sta scritto “Siate santi, perché io sono santo”.

Un grosso impegno, da non prendere alla leggera.
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