Adesso parliamo di noi...


Quando Paolo ha lanciato l’esortazione a ricuperare il tempo e a approfittare delle occasioni, si rivolgeva ai credenti. Cosa facciamo per seguire questa buona esortazione?

È vero che la nostra vita è, di solito, piena: lavoro, casa, appuntamenti, figli, marito, vecchi genitori da curare... Personalmente, a volte, mi sembra di essere un cane che vuol correre dietro alla sua ombra! Difficilmente riesco a fare tutto quello che ho pianificato, anche se, la sera, prima di andare a letto, cerco di scrivere almeno tre cose essenziali che intendo fare il giorno dopo.

Ma parlamo delle cose da recuperare...

Per esempio, quanta importanza diamo e quanto tempo dedichiamo alla preghiera e alla lettura seria della Parola di Dio? Ho sentito, ultimamente, uno che citava una statistica, abbastanza spaventosa  su quanto tempo i credenti evangelici dedicano in media ogni giorno alla preghiera personale: tre minuti i credenti “normali”, sette minuti i predicatori. Sarà vero? Se sì, c’è da mettersi le mani nei capelli, soprattutto pensando a certe frasi del nostro gergo pio. Tipo: la preghiera è il respiro dei credenti, è l’arma potente e invincibile, è il filo diretto col Padre Celeste e così via. Abbiamo molto da “ricuperare” in questo campo!

Mio marito e io cerchiamo di ricuperare un po’ mentre viaggiamo in macchina. Io prego e lui guida. Altre volte lui guida e prega (e io prego che tenga anche gli occhi ben aperti!). Passiamo dei bei momenti. Nostra figlia aveva l’abitudine di pregare mentre accompagnava i bambini a scuola in macchina e anche i bambini pregavano per compagni e maestri. Era un modo per viaggiare tranquilli e ricuperare il tempo che non avevano trovato prima di uscire di casa (o perché c’erano stati degli imprevisti o perché i loro piedi non avevano voluto lasciare il calduccio delle coperte).

Ma c’è un altro tasto doloroso: come va con la lettura della Bibbia? Spero che non ci limitiamo a leggere il foglietto del calendario e che abbiamo un piano di letture preciso. Un libro dell’Antico o del  Nuovo Testamento, che leggiamo, da cima a fondo, un pezzetto per volta e un piccolo quaderno su cui annotiamo le nostre riflessioni. Personalmente non sono mai riuscita a leggere la Bibbia in un anno. Se devo essere onesta, mi pare che dieci versetti letti bene, valgano di più di tre capitoli letti frettolosamente. Ora sto rileggendo i Vangeli. Che meraviglia! Quanto tempo da recuperare!

Vogliamo farci ancora un po’ di male? E allora confessiamoci:  quanto tempo inutile passiamo davanti al computer, navigando su facebook (a proposito: grazie per la valanga di auguri per il mio compleanno!  Li ho apprezzati e spero non vi abbiano preso troppo tempo!), mandando messaggi su internet, chiacchierando al telefonino, guardando la TV?  Forse, in questo senso, ci  sarebbe molto tempo da “ricuperare” e da non sprecare. Pensiamoci.

Da quanto tempo non leggiamo un buon libro che ci arricchisce la mente e fa del bene alla nostra vita spirituale? Non sapete che leggere? Visitate il nostro nuovo bellissimo sito (www.istitutobiblicobereano.org)  e troverete qualche indicazione utile!

Poi ci sono persone sole da visitare, e anche armadi da riordinare, cassetti da svuotare...

Insomma, fate un po’ voi. Solo non trovate scusanti, pensatci e ricuperate più tempo che potete! Alla prossima!

Ma perché non torna?


“Chi ha tempo, non aspetti tempo”, ho detto la volta scorsa. In altre parole, il tempo che hai usalo bene e non buttare via le buone occasioni che ti si presentano.

Prima di tutto, se non hai ancora pensato a fare sul serio col Signore riguardo alla tua salvezza eterna, datti una mossa, perché domani forse non avrai più il tempo di farlo. A questo proposito, Gesù ha accennato a Noè che per 120 anni, mentre costruiva l’arca, prima che venisse il diluvio, parlò del giudizio di Dio, senza essere ascoltato da nessuno.

Anche l’Apostolo Pietro ha parlato di Lui, con la saggezza pratica del vecchio popolano e per ispirazione dello Spirito Santo: “Sappiate questo, prima di tutto: che negli ultimi giorni verranno schernitori beffardi, i quali si comporteranno secondo i propri desideri peccaminosi e diranno: ‘Dov’è la promessa della sua venuta? Perché dal giorno in cui padri si sono addormentati, tutte le cose continuano come dal principio della creazione’... Ma voi, carissimi, non dimenticate quest’unica cosa : per il Signore un giorno è come mille anni e mille anni sono come un giorno... Il giorno del Signore verrà come un ladro...” (2 Pietro 3:3,4,10). Perciò non c’è da scherzarci su.

È vero che, ogni tanto, come nella primavera passata, spunta un cretino che dice di sapere che, in un certo giorno, ci sarà la fine del mondo e ne dà pure la data e poi è smentito dalla realtà. Ma il fatto rimane che è importante fare oggi quello che non si sa se si potrà fare domani. Nessuno di noi sa quando il Signore metterà la parola “fine” alla nostra vita o sarà il momento del suo ritorno. Qui sulla terra si decide il nostro destino eterno.

Se oggi siamo ancora nel tempo in cui la grazia è offerta a tutti, Pietro ce ne spiega la ragione. “Il Signore non ritarda l’adempimento della sua promessa, come pretendono alcuni, ma è paziente verso di voi, non volendo che qualcuno perisca, ma che tutti giungano al ravvedimento” (v.9).

Ecco perché il Signore non torna ancora a prendere coloro che gli appartengono e non scatena ancora i suoi giudizi, che saranno peggiori del peggiore tsunami conosciuto e dei peggiori cataclismi mai avvenuti. Egli allunga la sua pazienza, ritarda la sua venuta e aspetta che altri si ravvedano. È paziente e, dato che vive in un eterno presente, non calcola il tempo come noi. Ma, ad un certo punto, interverrà nel tempo e dirà basta. 

Perciò: chi ha tempo, non aspetti tempo!

Chi ha tempo, non aspetti tempo...


Me le diceva sempre mio padre, che non sopportava i fannulloni e i pigri.

Per certi versi, gli assomiglio perché mi piace fare piani, organizzarmi e non rimandare a domani quello che posso fare oggi (altro proverbio!).

Per altri versi, sono contenta di non essere come lui, perché papà era eccessivamente pignolo. Per esempio, la sera e OGNI sera, faceva i conti di quello che aveva speso e finché i conti non quadravano non c’era verso che andasse a dormire.

Anche la Bibbia esprime l’idea di usare bene il tempo, dicendo che dobbiamo “ricuperare il tempo, perché i giorni sono malvagi”.

Sembra un po’ un controsenso, perché il tempo che è passato non torna più. Ma, probabilmente, vuol dire: “Se hai perso del tempo, non ne perdere dell’altro. Usa doppiamente bene quello che hai adesso.”

In parole semplici, non bisogna sprecare il tempo, quando ne abbiamo ancora a disposizione, tanto più che i tempi in cui viviamo sono difficili e non promettono niente di buono. Il tempo che abbiamo a disposizione è oggi. Non sappiamo se avremo un domani. L’oggi è importante. Tanto più che il mondo non migliora e il domani sarà peggiore di oggi e l’umanità corre sempre più verso la sua rovina.

Il quadro che prevedeva l’apostolo Paolo, parlando dei “tempi malvagi”, era buio e assomigliava molto al nostro, con la differenza che il suo mondo era circoscritto al mondo greco-romano, mentre il nostro è globale e la cattiveria umana è cresciuta in maniera esponenziale. I disastri dell’Australia li conosciamo in tempo reale e le guerre che si combattono lontano, hanno ripercussioni anche qui. 

Eco la descrizione dell’apostolo, riportata nella sua seconda lettera scritta a Timoteo. “Gli uomini saranno egoisti, amanti del denaro, vanagloriosi, superbi, bestemmiatori, ribelli ai genitori, ingrati, irreligiosi, insensibili, sleali, calunniatori, senza amore per il bene, traditori, sconsiderati, orgogliosi, amanti del piacere anziché di Dio, aventi l’apparenza della pietà, mentre ne hanno rinnegata la potenza”.  Brutto, eh?

Egoismo, corsa al denaro, ribellione in famiglia e, ovunque, mancanza di morale, desiderio di soddisfare i propri piaceri. Il tutto spesso verniciato di religione, ma senza sostanza. Sembra di leggere il giornale o di guardare la TV. Non vi pare?

In che senso dobbiamo ricuperare il tempo, in un mondo simile? Tornare indietro non si può. Ma si può usare bene quello che abbiamo.

Per esempio, se non abbiamo mai capito seriamente di essere dei peccatori e non abbiamo mai aperto il cuore “all’amore della verità”, cioè all’offerta di salvezza che Cristo ci fa, sarà bene che ci diamo una mossa e mettiamo un freno a mano nella nostra vita sbandata e indifferente ai richiami di Dio.

Gesù ha parlato molto vividamente di un tempo passato, in cui un uomo, che sarà sembrato molto strano a tutti e addirittura pazzo, stava costruendo un barcone, lontano dal mare, sulla terra ferma. E, mentre costruiva, diceva a tutti che Dio avrebbe mandato un diluvio per giudicare i malvagi. E esortava la gente a ravvedersi.

Ecco le parole di Gesù: “Come nei giorni prima del diluvio si mangiava e si beveva, si prendeva moglie e si andava a marito, fino al giorno in cui Noè entrò nell’arca e la gente non si accorse di nulla, finché venne il diluvio che portò via tutti quanti, così avverrà alla venuta del Figlio dell’uomo”.

Noè ha predicato per 120 anni e nessuno se l’è filato. Chissà: forse alcuni avranno guardato il cielo ogni mattina. Il sole era alto come sempre e avranno pensato a quel matto che parlava di pioggia. E avranno detto fra sè: “Anche se fosse vero, oggi il cielo è sereno... facciamoci i fatti nostri. Oggi non rischiamo nulla e non c’è da preoccuparsi. Lasciamolo alle sue profezie di sciagure. Forse domani ci penseremo”.

Il Signore Gesù ha promesso di tornare e tornerà. In un batter d’occhio porterà via tutti quelli che hanno creduto in Lui come Signore e unico Salvatore. E lascerà gli altri per il giudizio. Oggi, Gesù non è ancora tornato, ma non è detto che non torni stanotte o domani. Meglio essere pronti. In un’altra occasone Gesù ha detto: “Anche voi siate pronti, perché nell’ora che non pensate, il Figlio dell’uomo tornerà”. Sei pronto? Sei pronta? Datti una mossa e smettila di fare il sordo.
 
Ma c’è dell’altro. Ne parliamo la prossima volta.
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Ubriacarsi: mai!

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Mangiare troppo: che male c’è?

Sono stata in America per un mese e mezzo con mio marito e sono tornata ai primi di giugno. Quando siamo arrivati, nevicava, ma poi è scoppiata la primavera. Gli alberi fioriti erano una meraviglia e le distese infinite della campagna, che si risvegliava, avevano ogni gradazione di verde. Da quello scuro degli abeti a quello tenerissimo delle gemme. Bello. Bellissimo!

Durante la nostra permanenza, abbiamo visitato molti credenti e rivisto amici e parenti. Bello, anche questo. In una chiesa, ho ascoltato un predicatore che tuonava contro l’uso del vino. Non era una sorpresa, perché In America l’ubriachezza è diffusa e i credenti evangelici, per la maggior parte, non bevono. In ogni paese, le chiese evangeliche hanno dei principi (per non chiamarle fisse) a cui tengono molto.

Lo so: noi in Italia capiamo tutto. Perciò sappiamo che la Bibbia non condanna l’uso del vino, ma ne condanna l’abuso che porta all’ubriachezza. Perciò non siamo come quei peccatori americani che non sanno neppure fare la giusta esegesi dei passi!

Però, nell’ascoltare quella predica, ho pensato che qualche ammonimento dello stesso tipo non sarebbe fuori posto anche da noi. Quasi ogni giorno sentiamo di ubriachi che investono gente che cammina tranquilla per strada, di ragazzi che si ammazzano per avere preso una sbornia, dopo aver passato la notte in discoteca. Quando ero bambina, abitavo coi miei genitori nella Venezia Giulia e di alcolizzati ce n’erano già molti. Immaginate che molti genitori facevano assaggiare la grappa anche ai loro bambini fin da piccoli, a tre o quattro anni! Roba da criminali.

Bere troppo vino fa male e dà alla testa, annebbia la vista e toglie la capacità di ragionare.

Non così il cibo: puoi mangiare finché scoppi, ma il cervello ti continua a ragionare. Sarà per questo che non si sente mai (o per lo meno io non l’ho mai sentita) una predica sul peccato di eccedere nel mangiare? Né in America, né in Europa.

In America gli obesi si sprecano e chi si considera obeso da noi sarebbe giudicato più che accettevole dalla maggioranza. Vai al Centro Commerciale e vedi gente obesa di tutte le età. Vecchi che non riescono più a camminare e si muovono su carrozzine elettriche, adulti che si portano a spasso quintali di ciccia e ragazzi che pesano troppo. Ci puoi contare: parecchi di loro mangiano camminando. Si devono sostenere, poverini.

Nelle chiese è lo stesso. A cominciare dal pastore, spesso i membri sono molto troppo grossi. Fanno fatica a salire sul pulpito e alcuni devono sedersi di traverso nelle panche, per starci comodi. E non è bello vedere un direttore del coro (peggio ancora se è una direttrice!) che assomiglia a un elefante.

“Ma quella è l’America!” dite. “L’America è il paese delle esagerazioni!”

Un momento: sarà che noi abbiamo la nostra cara dieta meditarranea che ci aiuta a tenerci in forma, sarà che la vita è meno sedentaria... Però anche da noi spesso si mangia troppo e nei nostri pasti in comune in chiesa, nelle agapi, ci sono troppi cattivi esempi. C’è troppo cibo a disposizione ed è facile perdere un po’ la tramontana.

“Questo mi fa male ... ma per una volta... non ci resisto” dice una vecchietta.

“Sono pieno, ma alle polpette della sorella Tale, non si resiste” dice un altro strizzando l’occhio.

“Non voglio fare torti a nessuno, perciò prendo un po’ di tutto. Domani mi metto a dieta” ribatte un altro. “Tanto, le diete cominciano sempre di lunedì.”

Mangiare troppo danneggia il nostro corpo, che è il tempio dello Spirito Santo, ed è un peccato. Esagero? Allora, ascoltate cosa dicevano Paolo e Pietro ai credenti della chiesa primitiva, per ispirazione dello Spirito Santo.

“Comportiamoci onestamente, come in pieno giorno, senza gozzoviglie e ubriachezze, senza contese e gelosie...” (Romani 1:13). Incredibile! Il mangiare troppo è messo allo stesso livello dell’ubriachezza e dell’immoralità.

“Le opere della carne sono ... invidie, ubriachezze, gozzoviglie e simili ... Chi fa tali cose non erediterà il regno di Dio” (Galati 5:19-21). Mamma mia!

“Essi (i falsi insegnanti) trovano il loro piacere nel gozzovigliare in pieno giorno, sono macchie e vergogne...” (2 Pietro 2:13).

“Ma come si fa?” chiedete. “Non si vuole offendere...”

Il rimedio c’è ed è semplice: si offre meno cibo, ci si serve moderatamente, si impara a dire di no con gentilezza e si tiene presente che uno spicchio del frutto dello Spirito Santo è l’autocontrollo (Galati 5:22). Non vi pare che basti?
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Tutti fratelli: su quale base?

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Spesso mi domando che Bibbia leggono in certe chiese.

Nel mese di aprile, mentre andavo con mio marito a prendere il caffè al nostro solito bar, vicino all’ufficio, mi ha colpita un’insegna, con un manifesto, molto ben disegnato, che diceva:

SCHIAVE, TRANS E PROSTITUTE
via i pregiudizi
siamo tutti fratelli e sorelle d’Italia.

Seguiva in calce l’invito discreto a versare l’8x1000 alle Chiese Valdesi e Metodiste.

Non ci potevo credere. Rispetto chi pensa e agisce diversamente da me. Non per niente sono di terza generazione evangelica e fin da bambina mi hanno insegnato l’importanza di pensare con la mia testa e del diritto di chiunque altro di pensare con la sua. Ognuno fa esattamente quello che è convinto che sia giusto e ognuno risponderà di se stesso a Dio.

Però sorge una domanda.

Siamo sempre pronti a dire che la Chiesa Romana ha sbagliato, perché ha aggiunto sacramenti, tradizioni e dottrine che non hanno niente a che fare con la Bibbia, ma perché non muoviamo un dito per dire che troppi hanno strappato molte pagine dalle loro Bibbie e le hanno sostituite con chissà che?

Chi ha ideato quel manifesto, per esempio, che cosa ha fatto del versetto 12 del primo capitolo del Vangelo di Giovanni che dice: “Gesù è venuto in casa sua e i suoi non l’hanno ricevuto, ma a tutti quelli che l’hanno ricevuto Egli ha dato il diritto di diventare figli di Dio, a quelli cioè che credono nel suo nome, i quali ... sono nati da Dio”? Non ha capito che figli di Dio si diventa credendo in Cristo e seguendolo come unico Salvatore e Signore?

Magari andassero nelle chiese dove si predica il Vangelo tanti che vivono come se Dio non esistesse! Qualunque fosse la loro posizione civile e morale, ascolterebbero il messaggio della grazia e avrebbero la possibilità di credere nel Salvatore morto per loro e essere salvati! Allora sì, diventerebbero davvero dei nostri fratelli in Cristo.

Ma chiamare e considerare fratello o sorella, anche se seguito dalle parole “d’Italia”, frase ambigua e fuorviante, chi non conosce e non ha accolto nella sua vita la grazia di Dio, significa illuderlo e ingannarlo crudelmente. E questo non va bene.

A meno che la lingua non abbia più alcun significato, biblicamente è fratello o sorella spirituale solo chi ha creduto di cuore in Cristo e nella sua opera. Chi appartiene semplcemente al genere umano deve essere considerato “prossimo” come ha insegnato Gesù e amato come tale.

O non sarà che l’8x1000 fa piacere a chiunque e che il denaro non ha colore o odore?
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Se continua e non cambia...

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Cara Silvana dispiaciuta e scoraggiata, continuiamo il discorso, incominciato la volta scorsa, riguardo a tuo marito che chiede perdono e non cambia e ricasca nello stesso, chiamiamolo così, peccato. Che si fa?

Ci sarebbe da chiedersi un paio di cose oltre a essere pronti a perdonare.

Di che tipo è il peccato? Se è del tipo che fa arrabbiare tante donne, del tipo “lascia in giro i classici calzini” o non mette il tappo al dentifricio, io non farei storie. Invece di brontolare, prenderei su i calzini e li butterei nel cestone e metterei il tappo al tubetto. È molto meno faticoso che discutere. Ed è anche molto più utile per la pace familiare.

Se ha qualche altra abitudine dello stesso tipo, lascia perdere.

Se si tratta dell’abitudine noiosissima di arrivare sempre in ritardo si potrebbe trovare un espediente per migliorare la situazione. Che ne so, presentarsi all’appuntamento puntuali e se lui non arriva, andare a prenderti un caffè al bar, senza farti vedere, e farlo aspettare un bel po’. Forse capirà che “aspettare e non venire è una cosa da morire”!

Se il “peccato” fosse l’infedeltà, le cose diventano più serie. Purtroppo, molti uomini sono farfalloni. In quel caso, se afferma di essere un vero credente, sarebbe il caso di fargli un bel discorsino, di chiedergli se intende fare sul serio con te e col Signore e, poi, affermare che, se non cambia ed è membro della chiesa, chiederai al pastore o agli anziani di richiamarlo e di prendere provvedimenti. Naturalmente, non dovresti limitarti a minacciare, dovresti agire. Se non è credente, gli farei lo stesso il discorsino serio e gli chiederei anche che cosa non gli basta nel tuo modo di fare per aver voglia di trovare una sostituta. E, secondo la sua risposta, mi metterei una mano sulla coscienza e cercherei, se necessario, di rimediare. È un fatto che, se uno ha una Mercdes in garage, non va a cercarsi una Mini.

Se poi si trattasse di chiedergli di essere più presente a casa, di occuparsi dei figli, di essere più leader spirituale in famiglia, di andare a parlare ogni tanto coi professori, di non spendere soldi stupidamente (molto uomini e donne sono maestri in questo!), prega, prega, e prega ancora. Al minimo segnale di miglioramento ringrazialo, lodalo e digli che è il migliore marito che hai mai avuto... se non proprio del mondo.

Come si dice sempre, un complimento al giorno toglie i difetti di torno (oltre al medico per curarti l’ulcera e la depressione!). Fammi sapere come va. Anche privatamente.
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Perché perdonare se...

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“Perché devo perdonare mio marito se mi chiede perdono per la stessa cosa in cui ricasca sempre?” mi ha chiesto una moglie che, per amore di privacy, chiamerò Silvana. La risposta è semplice: perché ti chiede perdono e il perdono non si può né si deve rifiutare.

Come sarebbe se Dio ci dicesse: “Ti ho già detto mille volte che non devi preoccuparti e tu continui a arrovellarti per questo e per quello: «Avremo abbastanza soldi per pagare il mutuo? Mio figlio si farà male giocando a calcio? Mio marito che è precario perderà il lavoro?» E così avanti con una lista infinita. La prossima volta che ti preoccupi non ti perdonerò più. Mi son stancato”.

Dio non lo fa, perché è un “gran pedonatore” e avrebbe tutti i diritti di farlo, perché è anche un “giusto giudice”. La lettera ai Colossesi dice che dobbiamo perdonare come Dio ci ha perdonati. Nessuno di noi meritava di essere perdonato, e Dio Padre ha fatto cadere su Gesù la colpa di ogni nostro peccato. Ora può perdonare chi comprende di essere un paccatore senza speranza e gli chiede perdono. Non credo che potremmo essere più giusti e più santi di Dio, ma a volte ci comportiamo come se lo fossimo. E sbagliamo e pecchiamo di orgoglio.

Quando io non perdono accumulo una forte dose di rancore e di rabbia nel mio cuore e il rancore non fa stare male chi mi ha offeso, ma fa stare male me. Mi rode, si ingrandisce, mi fa venire l’ulcera, mi rende ostile e sempre sulla difensiva. Se non perdono, pecco. Come ho letto anni fa su Selezione, “chi non perdona è come uno che beve veleno e aspetta che l’altro muoia” .

Sappiamo molto bene come è andata fra Pietro e il Signore. Pietro ha chiesto al Maestro quante volte avrebbe dovuto perdonare uno che peccasse contro di lui e gli facesse un torto. Sette volte, sarebbe stata una quantità accettevole? Probabilmente a Pietro sembrava già il colmo della magnanimità

“Non sette volte” ha risposto Gesù, “ma settanta volte sette”. In poche parole, sempre.

Come si chiede perdono e come si concede il perdono? Il processo è molto semplice, ma è poco praticato.

Chi ha sbagliato va dalla persona che ha offesa, ferita, maltrattata e dice: “Ho fatto questo e questo e ti prego di perdonarmi” (Oggi si dice “Ti chiedo scusa”. Non è giusto. La parola scusa, implica una giustificazione. Il perdono si deve chiedere senza cercare attenuanti).

La persona offesa non dice: “Non importa, non ci pensare, va bene lo stesso”. Dice: “Ti perdono, perché hai fatto questo e questo”. Dopo di che, la faccenda è fatta e finita. Non ci si torna più sopra.

Questo è il perdono biblico. Chi lo pratica con serietà, si trova bene. È un processo che ha salvato molti matrimoni, molti colleghi e molte famiglie. Prova anche tu, Silvana, per rendertene conto!
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Mi ha ferita!

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Un’amica, che mi ha sentita durante una trasmissione da Perugia, mi ha scritto che ha involontariamente ascoltato una telefonata in cui suo marito diceva a un amico delle cose poco lusinghiere su di lei.

“Sono stufo, mi assilla, non ne posso più delle sue critiche: devi fare, non devi fare, devi vestirti meglio, mangi troppo, dovresti occuparti dei figli...”. La moglie dice che lei lo fa per essergli d’aiuto, ma capisce che il marito non la rispetta, se parla male di lei a quel modo.

La sua domanda è: che devo fare? La risposta semplice è: cambia tattica!

Ma non è tutto lì, perché il problema è un altro.

In inglese c’è un verbo che descrive l’atto di insistere, assillare e esortare con insistenza. Il verbo è “to NAG”. Mi pare che descriva anche onomatopeicamente l’azione: nag, nag, nag,

Se Salomone avesse saputo l’inglese, avrebbe usato quel verbo per descrivere una donna brontolona che sembra il gocciolare di un rubinetto e così noiosa che chiunque preferirebbe abitare sull’angolo di un tetto piuttosto che con lei.

Purtroppo è un’abitudine abbastanza comune fra noi donne. Insistiamo, ripetiamo, diciamo, “nagghiamo”. E i mariti si annoiano... e fanno peggio per ripicca.

Nessun marito ama le prediche, soprattutto se vengono dalla moglie. Nessuno vuole essere sposato con “una Billy Graham”. O con una psicologa o una maestra d’asilo. Nessun marito è migliorato o è cambiato ascoltando le prediche di sua moglie. Chi si è sposata pensando: “Dopo sposati, cambierà. Ci penserò io a cambiarlo” è riuscita solo a promuovere incomprensioni o tristezze. Se non separazioni o tempeste.

Il nostro compito di mogli è un altro. Siamo degli aiuti “adatti”, secondo la definizione biblica, e un aiuto efficace non assilla né annoia. Prende provvedimenti su un altro fronte.

Prima di tutto, prega per il marito. Non per parlare al Signore dei suoi difetti, (a quelli ci pensa già tutto il tempo Satana, che è il grande accusatore dei credenti, secondo l’Apocalisse), ma ringraziando il Signore per quello che di bene il marito fa. E poi esprime la sua gratitudine verbalmente anche al marito.

Poi lo loda, ogni volta che fa qualcosa di bene. A meno che non sia un incrocio fra Caligola e Cagliostro, del bene ne fa. Ed è importante notarlo davanti a lui e davanti ai figli.

Invece di dare consigli, chiede consigli e opinioni. Discute cortesemente, ringrazia, incoraggia e sostiene. Dimostra affetto e esprime calore.

Nel caso specifico della donna che ha sentito la telefonata del marito – cosa che avrebbe rattristato chiunque – penso che farebbe molto bene se facesse la cosa più difficile al mondo: chiedere perdono, senza trovare scuse, attenuanti o accuse.

Ripeto che sarebbe difficile, ma dovrebbe dire: “Ho sentito quello che hai detto e ti chiedo perdono, perché evidentemente ti ho fatto dispiacere. Pensavo di fare bene, ma ho sbagliato. Sono ferita, ma voglio cambiare”. Penso che un discorso di questo tipo sorprenderebbe e smuoverebbe anche una cariatide.

Naturalmente, dopo un discorso così, niente più “nag”. Solo parole che incoraggiano, una cucina meno pesante, se lui ha la tendenza a mangiare troppo, delle belle camicie ben stirate messe in vista per invitarlo a indossarle, appese, per caso, accanto a un maglioncino intonato, se lui si veste con poco gusto.

E poi? Si aspetta, si prega e si loda ogni volta che c’è anche il minimo segno positivo.

Quanto tempo ci vuole? Forse un mese, un anno, o una vita. Ma l’importante e non “nag” mai più.
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Che ne sarà di loro?

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“Non posso pensare che tutti quei naufraghi dalla Tunisia e dalla Libia siano andati all’inferno, solo perché non erano dei credenti in Cristo” mi ha detto un’amica con gli occhi pieni di lacrime.

“È davvero terribile” ho risposto. È terribile pensare a tanta gente piena di speranza, annegata fra le onde. E che ora, probabilmente, non ha più nessuna speranza.

Davanti alle stragi delle guerre o delle inondazioni o dei terremoti, come è successo di recente del Giappone, si rimane senza fiato. E ci si domanda: “Tutta quella gente dove si trova adesso? Avrà almeno avuto la possibilità di conoscere il messaggio della salvezza?”.

Non possiamo saperlo, anche se ora, su internet, c’è molto vangelo che può raggiungere molte più persone di prima. Solo il Signore sa quello che c’è nel cuore di ognuno, vede esattamente quello che uno pensa e sa, se uno ha creduto in Lui o no.

D’altra parte, non è giusto farsi illusioni o fabbricarsi delle teorie personali.

Se la Bibbia è vera (ed è vera) ogni persona che viene al mondo nasce condannata all’inferno (salvo, naturalmente, i bambini che non sono responsabili delle loro azioni, anche cattive, non avendo consapevolezza di ciò che è peccato. Adesso, per favore, non chiedetemi: “Fino a che età?”. Non lo so e nessuno lo sa. Solo Dio lo sa).

Ma torniamo al punto da cui siamo partiti. Ogni essere umano nasce separato da Dio, con una natura peccaminosa, perciò non può andare in cielo con Dio, così com’è. Anche se si comporta bene, fa del bene e crede in un qualche dio, non basta. E se Gesù ha detto la verità, e l’ha detta, ha affermato che NESSUNO può vedere Dio se non nasce di nuovo e ha detto – Lui che è amore è venuto per salvare l’umanità e ha resa possibile la salvezza, morendo Lui stesso al posto dei peccatori – “Io sono la via, la verità e la vita, NESSUNO viene al Padre se non per mezzo di me” (Giovanni 14:3).

Non è possibile essere più chiari. “Nessuno” vuol dire... nessuno.

Allora che si fa? Pregare per i morti non si deve e non serve. Si può pregare il Signore che cessino le guerre, ma anche quelle non cesseranno, finché Lui non stabilirà il suo regno sulla terra. Si può pregare che gli uomini migliorino, ma la Bibbia dice che andranno sempre di male in peggio. Allora che si fa?

Ci si dà una mossa. Ci si rende conto che il rispettabile vicino di casa, che salutiamo ogni giorno, se non crede in Cristo e non riceve come un mendicante il dono della salvezza, è tanto perduto, quanto quei poveretti che sono annegati nel Canale di Sicilia o un gruppo di sciatori travolti da una slavina. E gli si regala un Vangelo, gli si offre la nostra amicizia per poi regalargli un calendario e avere la possibilità di spiegargli la via della salvezza. La nostra vita è il Vangelo che, per prima cosa, potrà leggere.

Noi non siamo responsabili per chi muore senza Cristo in Cina o dove noi non possiamo arrivare. Ma abbiamo la responsabilità di dare alle persone che incontriamo, e che sono il nostro vero “prossimo”, la possibilità di conoscere la salvezza.
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