Samuele, il servo bambino

.
La sua storia è una delle più belle e commoventi dell’Antico Testamento.

Durante una visita al tempio a Silo, Anna, sua mamma, lo aveva chiesto piangendo disperatamente in preghiera al Signore e aveva promesso che, se fosse stata esaudita, glielo avrebbe consacrato perché lo servisse per tutta la vita.

Anna era sterile e la sterilità, a quel tempo, non era solo un motivo di dolore, come lo è per qualsiasi donna, ma era considerata anche una specie di maledizione divina. Il Signore la esaudì e le diede un piccolo Samuele, che lei allevò con grande cura e amore.

Quando fu grandicello, ella mantenne la sua promessa. Insieme col marito, lo portò a quello che allora era considerato il tempio, e lo lasciò alle cure del sacerdote Eli.

Nel farlo, Anna diede una bella testimonianza al sacerdote. È riportata nel primo libro di Samuele, nell’Antico Testamento. Eccola: “Mio signore, io sono quella donna che stava qui vicino a te, a pregare il Signore. Pregai per avere questo bambino, il Signore mi ha concesso quello che gli avevo domandato. Perciò anch’io lo dono al Signore; finché viva sarà donato al Signore” (1:26-28). Poi si prostrò davanti all’Eterno e intonò un magnifico canto di lode.

Il bambino rimase col sacerdote e i genitori tornarono a casa. È sempre difficile separarsi da un figlio. Se poi è piccolo è più difficile ancora. Lasciarlo nelle mani di Eli deve essere stato difficilissimo. Fu un incredibile atto di fede.

Infatti, Eli era un brav’uomo, ma era debole di carattere, ma il problema vero stava nei suoi figli, che erano sacerdoti e servivano con lui nel tempio, e che erano dei perfetti delinquenti. La Bibbia li descrive come degli “scellerati”, che non conoscevano il Signore.

Ecco come agivano: “Quando qualcuno offriva un sacrificio, il servo del sacerdote veniva nel momento in cui si cuoceva la carne; teneva in mano una forchetta a tre punte, la piantava nella caldaia o nel paiuolo o nella pentola o nella marmitta e quello che la forchetta tirava su, il sacerdote lo prendeva per sé. Così facevano a tutti gli Israeliti che andavano là”. Se qualcuno protestava, il sacerdote rispondeva che lo avrebbe preso per forza. “Il peccato di quei giovani era dunque grandissimo agli occhi del Signore, perché disprezzavano le offerte fatte al Signore” (1 Samuele 2:12-17).

La fede dei genitori di Samuele fu onorata. Nonostante l’ambiente “Samuele faceva il servizio davanti al Signore; era ancora un bambino e indossava un efod di lino” (v.18). È chiaro che aveva imparato dal padre e dalla madre il timore di Dio, la fedeltà e l’ubbidienza.

Non l’avrebbe mai imparata da Eli, che non aveva saputo inculcarla ai figli e che non si imponeva per fermare la loro condotta malvagia e immorale. Si limitava a dire loro: “Perché fate queste cose? Perché odo tutto il popolo parlare delle vostre azioni malavagie. Non fate così, figli miei, perché quello che odo di voi non è buono; voi traviate il popolo di Dio” (vv. 22-25). Parole giuste, che il vento però portava via.

Ogni anno Anna saliva al tempio e portava una nuova tunica al figlio, che “continuava a crescere e era gradito sia al Signore che agli uomini” (v.26), servendo Eli.

La Bibbia non dice quanti anni avesse quando Dio lo chiamò per nome al suo servizio, ma probabilmente era un adolescente. Una chiamata alla quale Samuele fu fedelissimo.

“Tutto Israele... riconobbe che Samuele era stabilito come profeta del Signore. Il Signore continuò ad apparire a Silo, poiché a Silo il Signore si rivelava a Samuele, mediante la sua parola. Samuele non lasciò andare a vuoto nessuna delle sue parole” (3:1-21). Egli fu l’ultimo dei giudici di Israele e vide, con dispiacere, instaurarsi la monarchia.

C’è molto da imparare da lui. Ebbe la forza, da ragazzo, di non seguire i cattivi esempi che lo circondavano e di non usare la cattiva condotta dei compagni come un alibi per giustificare o scusare le proprie marachelle.

Continuò a servire fedelmente il vecchio Eli, ormai cieco e allettato, compito piuttosto ingrato per un giovane, fino a che non morì, dopo aver udito la notizia che i suoi figli erano morti in battaglia e che l’arca del Signore era caduta nelle mani dei Filistei .

Quando udì la voce di Dio che lo chiamava, fu ubbidiente e non si tirò indietro.

C’è molto da imparare anche dai suoi genitori. Fecero sul serio con Dio. Gli consacrarono il loro bambino e mantennero la promessa fatta nonostante tutte le circostanze poco favorevoli. Lo affidarono alla sua cura e alla sua protezione, allevandolo, mentre lo avevano a casa sia pure per pochi anni, “nella disciplina e nell’istruzione del Signore” come ha insegnato a fare l’apostolo Paolo. Non è mai troppo presto per inculcare nei nostri bambini il timore di Dio, l’ubbidienza alle sue leggi e la gioia di servirlo, senza accontentarsi di averlo “presentato al Signore” in chiesa e di averlo mandato regolarmente alla scuola domenicale o ai campi per ragazzi, che sono altri alibi dietro ai quali è facile nascondersi.
.

Nessun commento:

Posta un commento