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Quando ero bambina, mio padre era un ufficiale nell’esercito e aveva alle sue dipendenze un “attendente”, cioè un soldato che lo assisteva in varie capacità. Una era lucidargli gli stivali neri guarniti da speroni. Onestamente non ho la minima idea se gli attendenti ci siano ancora, o se una tale mansione sia considerata ora troppo umile e degradante. Fatto sta che io guardavo affascinata quel bel giovanottone in divisa, mentre stendeva il lucido, lo lasciava seccare e poi lucidava il tutto energicamente con la spazzola e un panno di lana. Roba da specchiarcisi.
Io immagino che Timoteo sia stato un po’, per certi versi, l’attendente di Paolo. Gli avrà portato i bagagli, lavato le tuniche, fatto le spese, rifatto il letto e comprato i biglietti per i vari viaggi sulle navi. In più avrà seguito l’apostolo nei suoi spostamenti, gli avrà lavato i piedi stanchi. Lo avrà sorretto nel cammino aiutandolo a evitare pietre e buche, dato che non ci vedeva molto bene. Forse gli ha anche curato le vesciche e le piaghe dolorose, provocate dalle frustate che riceveva da Ebrei e pagani. Però forse a quelle ci pensava Luca.
Paolo dice di Timoteo: “Spero nel Signore Gesù di mandarvi presto Timoteo per essere io pure incoraggiato nel ricevere vostre notizie. Infatti non ho nessuno di animo pari al suo, che abbia sinceramente a cuore quello che vi concerne. Poiché tutti cercano i loro propri interessi e non quelli di Cristo Gesù. Voi sapete ch’egli ha dato buona prova di sé, perché ha servito con me alla causa del Vangelo, come un figlio con il proprio padre” (Filippesi 3:19-22). Inoltre ha ascoltato con attenzione intensa tutti gli insegnamenti di Paolo, assorbendoli e facendoli propri. Gli sarebbero serviti in futuro.
Timoteo aveva un padre pagano. Ma era stato istruito fin da piccolo nella legge di Dio da sua mamma e sua nonna. Molto probabilmente, si era convertito a Listra, dove era nato, quando Paolo vi aveva fatto sosta durante il suo primo viaggio missionario. Aveva certamente visto le angherie che Paolo aveva subite da parte degli Ebrei e la lapidazione a cui era stato sottoposto. E da cui si era miracolosamente ripreso.
Quando Paolo tornò a Listra, durante il suo secondo viaggio missionario, trovò Timoteo che era già considerato, dagli altri credenti, un discepolo di Cristo, di cui tutti dicevano un gran bene. Si unì all’apostolo e ai suoi collaboratori e iniziò la sua carriera missionaria. Salutò la mamma e partì. Possiamo immaginare le raccomandazioni: “Copriti... mangia.. non fare imprudenze... prendi la tisana che ti fa bene... non prendere freddo...”.
Doveva essere piuttosto fragile di salute, ma non si è scoraggiato né sottratto alle difficoltà. Ha avuto incarichi importanti nella chiesa nascente e solo da qualche accenno di Paolo nelle sue lettere si ha l’impressione che abbia avuto qualche momento di scoraggiamento e di stanchezza spirituale. E chi non ne avrebbe avuti?
Ogni volta che ha potuto e ne ha avuta l’occasione ha accompagnato Paolo nel suo ministero e ha imparato a servire. Ha curato varie chiese e, timido com’era, ha dovuto fronteggiare gli attacchi di falsi insegnanti, che volevano minare l’unità delle chiese nascenti. È anche andato in prigione.
Nessuno di noi può immaginare i disagi e le difficoltà che i servitori di Dio incontravano a quei tempi. Ed è bello immaginare Paolo e Timoteo, mentre faticavano, si stancavano, si incoraggiavano, si esortavano e si spronavano a vicenda. Mentre uno insegnava e l’altro imparava e la sera con i credenti che incontravano e quelli che si erano convertiti di recente, lodavano il Signore, spiegavano le Scritture e correggevano errori e risolvevano problemi e insicurezze.
E poi stendevano una coperta e si mettevano a riposare esausti, dicendo “ebenezer”, fino qui il Signore ci ha soccorsi.
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