Dio gli ha detto: “no”.

Oggi in alcuni ambienti carismatici si predica “il vangelo del benessere”. Si afferma che i credenti dovrebbero godere sempre di buona salute, essere ricchi, prosperare negli affari e non avere problemi. Chi si ammala e ha delle difficoltà dimostra che Dio non lo sta benedicendo.

C’è da domandarsi che Bibbia leggono certe perone e cosa direbbe loro l’apostolo Paolo se gli capitasse di frequentare uno dei loro convegni.

Qualcuno ha detto che, probabilmente, quando arrivava in una città, che non conosceva, la cosa di cui si informava immediatamente era dove fosse la prigione, dato che con tutta probabilità ci sarebbe finito!

Nella sua seconda lettera ai credenti di Corinto, egli fa la lista delle sue sofferenze. “Dai Giudei, cinque volte ho ricevuto quaranta colpi meno uno, tre volte sono stato lapidato, tre volte ho fatto naufragio; ho passato un giorno e una notte negli abissi marini. Spesso in viaggio in pericolo sui fiumi, in pericolo per i briganti, in pericolo da parte di miei connazionali, in pericolo da parte degli stranieri, in pericolo nelle città, nei deserti, sul mare, in pericolo fra falsi fratelli; in fatiche, in pene, spesse volte in veglie, nella fame e nella sete, spesse volte nei digiuni, nel freddo e nella nudità. Oltre a tutto questo sono assillato ogni giorno dalle preoccupazioni che mi vengono dalle chiese...” (11:24-28). Come vangelo del benessere non c’è male!

Per di più, Paolo era malato di qualcosa che non lo abbandonava mai e che veramente gli pesava. Non sembra che abbia mai chiesto al Signore di esentarlo dalle difficoltà che derivavano dal suo servizio di apostolo. Evidentemente sapeva che erano problemi che venivano col territorio. Ma confessa di avere pregato con insistenza di essere liberato dal male che lo affliggeva.

Avrà pensato: se fossi sano potrei servire più facilmente... sarei più pronto a testimoniare... sarei meno di disturbo ai credenti che mi ospitano... mi potrei spostare senza tanto dolore... Egli racconta: “Mi è stata messa una spina nella carne, un angelo di Satana per schiaffeggiarmi affinché io non insuperbisca. Tre volte ho pregato il Signore affinché l’allontanasse da me, ed Egli mi ha detto: «La mia grazia ti basta, perché la mia potenza si dimostra perfetta nella debolezza»” (2 Corinzi 12:7-9).

Un credente fedele come Paolo era malato e ha chiesto a Dio la liberazione. Non è stato esaudito. Come pure non sono esauditi, anche oggi, molti credenti. Ne ho conosciuti alcuni che hanno sofferto per anni. Una donna, per esempio, era ridotta a un mucchietto di ossa ratrappite. Soffriva giorno e notte. Perché? Dio ha i suoi piani. A volte guarisce e altre volte decide diversamente. Quella donna lo sapeva e lodava Dio costantemente. Un bell’esempio.

Paolo ha chiesto la liberazione con fede e fiducia nella potenza di Dio. Dio avrebbe potuto guarirlo in un istante, ma non lo ha fatto. E gli ha anche spiegato il perché: “La mia potenza si dimostra perfetta nella debolezza”. Quando siamo malati dipendiamo da chi ci cura, dobbiamo essere aiutati, sorretti. A volte anche umiliati. Capiamo la nostra fragilità.

Paolo l’ha capito e dice che l’angelo, cioè il messaggero, di Satana doveva essere lo strumento per aiutarlo a non diventare orgoglioso e superbo, a causa delle grandi rivelazioni spirituali che Dio gli aveva date. L’orgoglio spirituale è il peggiore nemico dei credenti ed è sempre in agguato. Dio ha dei metodi molto efficaci per tenerlo imbrigliato.

Perciò Paolo ha concluso: “Perciò molto volontieri (cioè con gioia e non con la pia rassegnazione di chi sospira e si lamenta tutto il tempo) mi vanterò piuttosto delle mie debolezze, affinché la potenza di Cristo risposi su me. Per questo mi compiaccio in debolezze, in ingiurie, in necessità, in persecuzioni, in angustie per amore di Cristo; perché quando sono debole, allora sono forte” (vv. 9,10).

Paolo ha implorato Dio di liberarlo dalla malattia. Quando Dio gli ha detto “no” non si è ribellato, non ha fatto l’offeso, non ha preteso miracoli eclatanti, ma ha visto la mano buona di Dio all’opera per il suo bene. Quando abbiamo un piccolo bubù pensiamo a lui e cerchiamo di fare come lui.
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