Quando Dio ti dice: “Muoviti!” che fai?

Un altro personaggio biblico che ha discusso e lottato alla grande con Dio è stato Mosè. La sua storia inizia nel libro dell’Esodo, il secondo libro dell’Antico Testamento e comincia in Egitto. Come mai un Ebreo era finIto in quel paese pagano?

Giacobbe, anni prima, vi si era stabilito con i figli e le loro famiglie. Erano circa una sessantina di persone. Ci era venuto, a causa di una carestia e perché invitato da uno dei suoi dodici figli, Giuseppe, il quale, attraverso varie vicissitudini, era diventato potente e addirittura vicere d’Egitto. Il Faraone regnante lo amava e lo rispettava, dato che proprio Giuseppe aveva agito con grande sapienza e salvato con i suoi consigli il paese dalle sofferenze della carestia.

Col passare degli anni, dopo che Giacobbe, Giuseppe, i suoi fratelli e il Faraone erano morti, gli Israeliti, in Egitto, si erano moltiplicati ed erano diventati molto numerosi. Il nuovo Faraone, sucessore di quello che regnava al tempo di Giuseppe, li temeva.

Andando per le spicce, aveva cercato di eliminarli. Prima aveva ordinato alle levatrici ebree di ammazzare i maschi che nascevano, e, dato che quelle gli disubbidirono, ordinò che i maschi fossero buttati nel Nilo. Ci avrebbero pensato i coccodrilli.

Le bambine potevano essere tenute in vita. Avrebbero sposato degli Egiziani e si sarebbero identificate col popolo. Gli adulti Ebrei, residenti in Egitto, furono tutti condannati ai lavori forzati e angariati. Ne morirono molti.

Proprio in quel periodo, in una famiglia, discendente da Levi, uno dei figli di Giacobbe, nacque un bellissimo bambino, che i genitori tennero nacosto e che poi fu adottato dalla figlia stessa di Faraone, che lo chiamò Mosè, e crebbe a corte fino circa all’età di 40 anni (i particolari di tutta la vicenda sono nel cap. 2 dell’Esodo e ben conosciuti).

A 40 anni Mosè decise di uscire dal palazzo reale e di andare a trovare i suoi fratelli e connazionali ebrei. Vide un Egiziano che maltrattava gli Ebrei, lo uccise e ne nascose il corpo. Il giorno dopo, vide due Ebrei che litigavano e si picchiavano e disse a quello che aveva torto: “Perché percuoti il tuo compagno?”.

E quello: “Vuoi ammazzare anche me come l’Egiziano ieri?”.

Mosè ebbe una gran paura e fuggì, anche perché aveva saputo che il Faraone era venuto a conoscenza di ciò che aveva fatto e voleva farlo morire. Andò a vivere nel deserto di Madian, vi prese moglie e vi rimase per circa 40 anni. Curava le greggi di suo suocero, Ietro. Un gran cambiamento: dagli agi della corte d’Egitto era sceso alla cura delle pecore.

Intanto tutti gli Israeliti soffrivano e gemevano. Dio ne ebbe pietà e decise di liberarli. Lo avrebbe fatto proprio per mezzo di Mosè.

Un giorno, questo pascolava le pecore e vide un cespuglio che ardeva senza consumarsi. Andò a vedere cos’era e Dio gli parlò dal cespuglio che bruciava, dicendo: “Io sono l’Iddio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe... Ho visto l’afflizione del mio popolo, e ho udito il grido che gli strappano i suoi oppressori... sono sceso per liberarlo... Or dunque va’, io ti mando dal Faraone, perché tu faccia uscire dall’Egitto il mio popolo, i figli d’Israele...”

E qui comincia il tira e molla.

Mosè: “Chi sono io per andare da Faraone?...”

Dio: “Va’ perché sarò con te”.

Mosè: “Quando sarò andato dai figli di Israele... e dirò: «L’Iddio dei vostri padri mi ha mandato», se essi dicono: «Qual è il suo nome?», che dirò?”.

Dio: “Dirai così ai figli d’Israele: «L’IO SONO (l’Eterno) mi ha mandato da voi»”.

Mosè: “Ma non mi crederanno!”.

A quel punto, Dio incoraggia Mosè facendogli compiere due miracoli e gli promette che ne avrebbe fatti degli altri. Ma Mosè non molla: “Ahimè, Signore, io non sono un oratore... sono lento di parola e di lingua...”

Dio: “Va’, io sarò con la tua bocca e ti insegnerò quello che dovrai dire!”.

Mosè: “Ti prego, Signore, manda il tuo messaggio con chi vorrai!” E intende: “Manda chi ti pare, ma non me!”

La collera del Signore allora esplode: “Non c’è forse Aronne, tuo fratello? Lui parla bene. Parlerà al posto tuo e dirà quello che gli dirai tu! Falla finita, prendi il bastone e muoviti!”.

Davanti a un Dio in collera, Mosè ubbidisce. Diventerà il condottiero, il liberatore, che porterà il popolo fino ai confini della Terra Promessa. E lo farà per altri 40 anni!

Quanto assomigliamo anche noi a Mosè nella sua reticenza!

Il Signore ci dice di essere i suoi testimoni e noi ci ritiriamo. Diciamo che siamo timidi e impreparati. Dobbiamo pensare alla famiglia e agli affari.

Dio dice che siamo i suoi ambasciatori e noi restiamo chiusi in casa. Troppo faticoso!

Afferma che dobbiamo sostenere la sua opera coi nostri beni e noi usiamo i nostri soldi per comprarci un paio di scarpe di cui potremmo fare a meno.

Ci dice di andare e noi puntiamo i piedi. Ci dice di star fermi e noi scappiamo. Di resistere al peccato e noi cadiamo.

E se poi perde la pazienza, e usa le maniere forti, siamo sorpresi e diciamo: “Ma che male ho fatto?”.

Meglio ubbidire!
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