Quando l’egoismo fa capolino

Giacomo, il fratello del Signore Gesù, ha scritto una lettera piuttosto severa a dei credenti molto difficili, litigiosi, maldicenti, ipocriti. A un certo punto, dice: “Domandate e non ricevete, perché domandate male per spendere nei vostri piaceri” (4:3).


È possibile pregare così? Certamente. Per natura siamo tutti egoisti e a volte nascondiamo il nostro egoismo con grande abilità. Tipo? Chiediamo che i nostri figli abbiano un buon lavoro, e, sotto sotto, pensiamo che, così, ci aiuteranno quando saremo vecchi. Preghiamo che un affare vada in porto, perché un bel conto in banca ci dà molta sicurezza. Chiediamo un lavoro statale, perchè ci interessa la pensione. La provvidenza del Signore è grande, ma un posto governativo è ancora più sicuro!

Niente di male chiedere al Signore di provvedere, ma attenzione ai nostri motivi di base.

Un giorno, due discepoli, Giacomo (non il Giacomo citato più sopra) e Giovanni andarono dal Signore con una richiesta: “Concedici di stare seduti uno alla tua sinistra e uno alla tua destra nella tua gloria”. Volevano sistemarsi nell’eternità. Era una richiesta egoista, che il Signore non ha esaudita (Marco 10:35-37).

Un’altra volta, un discepolo ha suggerito al Signore che sarebbe stata una buona idea far scendere il fuoco dal cielo per distruggere la gente di un villaggio che aveva rifiutato di dare loro ospitalità. Il Signore, naturalmente, non ha approvato la proposta, che era senz’altro dettata dalla rabbia (Luca 9:54).

Gesù non ha accontentato uno che gli chiedeva di intervenire nella spartizione di un’eredità (Luca 12:13). Era una richiesta motivata dalla cupidigia o da una lite famigliare. Gesù voleva stare alla larga da certe questioni!

Io so che una donna pregava che suo figlio fosse eletto alla posizione di anziano della chiesa, “così metteva a posto tutti”. Non so come sia andata a finire. Spero che non sia stata esaudita.

Una ragazza chiedeva un marito a tutti i costi. Dato che non trovava un credente, ha sposato un incredulo. Ha trovato l’inferno.

L’egoismo è sempre in agguato e influenza le nostre preghiere. Ma come riuscire a pregare senza egoismo?

Per cominciare, dobbiamo fare quello che dice il Salmo 37:4: “Trova la tua gioia nel Signore e Egli appagherà i desideri del tuo cuore”. Il nostro desiderio profondo deve essere quello di far piacere a Lui e convincerci che in Lui solo c’è la fonte della nostra felicità. Lui saprà darci quello che è il nostro bene vero.

Poi dobbiamo credere che il Signore sa esattamente quali siano le vere necessità della nostra vita e che Lui provvederà (Matteo 6:33).

Devo anche credere che Lui ha in mano la mia salute, le mie finanze, il mio futuro e anche tutto quello che riguarda i miei cari. Non ha mai promesso di esentarci da problemi, ma di essere presente con noi nei nostri problemi (2 Corinzi 12:7-10).

Infine, devo credere, ma credere proprio di cuore, che Lui è sempre buono, perfetto, savio e amorevole e giusto. E con questo in mente, la mia fiducia avrà il sopravvento sul mio egoismo, la mia rabbia, la mia avidità e tante altre emozioni negative che non lo onorano.

Allora, quando preghiamo con rabbia, invidia, preoccupazione possiamo essere sicuri di una cosa: non saremo esauditi. Il nostro egoismo e la nostra avidità metteranno una barriera fra noi e Dio. Una brutta prospettiva.

Il perdono è anche riconciliazione?

Coloro che hanno messo in croce Gesù e tutta la gente che lo scherniva, che Gesù ha chiesto al Padre di perdonare, sono andati in cielo? Ce lo siamo chiesti la volta scorsa.


È un problema di cui mi ha parlato Serena, un’amica perplessa. Mi ha raccontato: “Una mia amica mi ha fatto molto del male. L’ho perdonata di cuore, le voglio ancora bene. Vuol dire che devo trattarla come prima, come se fra noi non fosse successo niente? Lei non mi guarda neppure”.

Cosa fare con chi ci ha offeso e che abbiamo perdonato di cuore? Come ci si deve comportare nei loro confronti? È un problema di molti.

Il perdono nostro non equivale a una riconciliazione. Il perdono è un affare personale. Una persona mi ha offesa, mi ha fatto un torto. Io ne soffro, ma non le serbo rancore. La perdono, come il Signore mi ordina di fare. In preghiera, e con tutto il cuore, dico a Dio: “Il tale, la tale o cicchessia mi ha fatto molto male. Ha detto, ha fatto, ha rubato... e, Signore, come tu hai ordinato di fare, io la (o lo) perdono. Togli ogni amarezza dal mio cuore. E, con la tua forza, aiutami a non parlarne in giro e a non ricamarci su. Lascio la cosa nelle tue mani. Amen”.

Questo è il perdono personale. È il primo passo essenziale, ma non è tutto.

Se è possibile, è bene cercare poi di parlare, di chiarire, di spiegarsi e capirsi con la persona che ci ha fatto del male. A volte, è un processo delicato, perché chi è nel torto, spesso, è sulla difensiva. È importante evitare discussioni che potrebbero peggiorare la situazione per sempre.

Se la persona che ha offeso, a sua volta, chiede perdono, questo deve essere concesso senza esitazione. Le relazioni potranno riprendere anche se, a volte, da principo non saranno sempre facili. Allora sarà possibile la riconciliazione.

Il padre del figlio prodigo è stato offeso terribilmente dal figlio ribelle. Ma ha continuato a amarlo e non c’è dubbio che nel suo cuore lo ha perdonato, mentre il figlio era lontano e si dava alla bella vita. Come si capisce? Dal fatto che, appena il figlio è tornato a casa e gli ha chiesto perdono, lo ha riaccolto, abbracciato e ha ordinato che si facesse festa.

Un particolare interessante: Gesù alla fine di due parabole simili, quella della moneta smarrita e quella della pecora perduta, che precedono quella del figlio prodigo, ha fatto una riflessione: “Ci sarà grande gioia in cielo per un peccatore che si ravvede” (Luca 15).

Il paradiso assomiglierebbe a una festa di paese con fuochi d’artificio e musiche di banda, se tanti credenti, figli di Dio, perdonati e riscattati, si chiedessero perdono di tante offese e cattiverie che devastano a volte la vita delle chiese.

Per quello che riguardava la gente sotto la croce, non possiamo dire molto. Un centurione sembra che si sia ravveduto. Gli altri se non hanno chiesto perdono, sono rimasti con la loro colpa. Lo sapremo in cielo!

Alla prossima! Parleremo di almeno altri due ostacoli all’esaudimento delle preghiere.

I “se” di Dio

“Quando vi mettete a pregare SE avete qualcosa contro qualcuno, perdonate...”


“SE voi non perdonate, neppure il Padre vostro che è nei cieli perdonerà le vostre colpe...”

Non sono dei “se” di poco conto, dato che sono dei “se” di Dio. Li trovate, per esempio, nel Vangelo di Marco, cap. 11:24,25. Però pochi credenti li prendono davvero sul serio.

Ricordo una signora, colta, credente e impegnata nella sua comunità, che papale papale mi ha detto, dopo che le avevo parlato di perdono: “Nella nostra cultura noi non perdoniamo”. Complimenti! Volevo chiederle se non aveva paura di trovarsi il morto sotto casa.

Il perdono è l’essenza del Cristianesimo. Senza il perdono di Dio, pagato alla croce da Cristo a prezzo della sua vita, tutti (e quando dico tutti, voglio dire proprio tutti) saremmo senza speranza, senza Dio nel mondo e incamminati sulla via dell’inferno eterno. Mentre siamo in vita, se non perdoniamo, non vale neppure la pena che ci mettiamo a pregare: la nostra preghiera non sarà ascoltata e la nostra disubbidienza costruirà una barriera fra noi e Dio.

Il perdono è un ordine.

“Via da voi ogni amarezza, ogni cruccio, ira e clamore e parola offensiva con ogni sorta di cattiveria (ovvero non serbate rancori e non litigate)! Siate invece benevoli e misericordiosi gli uni verso gli altri, perdonandovi a vicenda come anche Dio vi ha perdonati in Cristo” (Efesini 4:31,32).

Non ci sono scappatoie, il nostro perdono deve essere simile a quello di Cristo per noi. Egli è morto al nostro posto, prima che nascessimo e prima che gli chiedessimo di salvarci. Il suo è stato un perdono per grazia, cioè immeritato. È stato un perdono che è scaturito dal piano d’amore eterno, concepito da Dio, verso gente lontana da Lui, ribelle e peccatrice.

Il perdono dipende da una decisione della volontà.

Gesù non aveva il desiderio di morire sulla croce. Sapeva che sarebbe stato un supplizio atroce e che gli sarebbe costato l’abbandono temporaneo da parte di suo Padre. Il suo perdono è risultato da un atto della sua volontà, di ubbidienza al Padre. Ha detto: “Non la mia, ma la tua volontà sia fatta”. Il nostro perdono è un atto di ubbidienza e di sottomissione alla volontà di Dio. Non ho voglia di perdonare? Perdono perché Dio me lo comanda.

Il perdono deve essere incondizionato.

Qualcuno dice: “Se viene a chiedermi perdono, lo (o la) perdonerò”. Questo non è il perdono biblico. Esso non dipende dal pentimento di chi mi ha offeso, da una riparazione, da un baratto di colpevolezze.

Il perdono deve essere totale.

“Gli perdono il danno che mi ha recato, ma non posso perdonarlo per...”. Neppure questo è perdono. Il Salmista lodava Dio dicendo: “Anima mia, benedici il Signore... Egli perdona tutte le tue colpe...”

Il perdono deve essere concesso, senza riserve mentali.

“Lo perdono per questa volta, ma se me lo fa di nuovo, se lo può scordare”. Dio non ha mai messo qualcuno in quarantena. Non abbiamo il diritto di farlo noi. E Gesù ha detto a Pietro che doveva perdonare 70 volte sette. Il che significava, sempre.

Un’offesa perdonata non esiste più, nel senso che non la si tira più fuori, non si rivanga e non la si riporta in superficie.

Dio ha gettato i nostri peccati in fondo al mare. Per Lui sono dimenticati. Mica vogliamo cercare di avere una memoria migliore di quella di Dio!

Il perdono deve essere concesso anche a chi non lo merita. Gesù sulla croce ha chiesto al Padre di perdonare la gente che lo aveva crocifisso e lo insultava, mentre moriva. Era una richiesta di perdono che partiva dal suo cuore. Vuol dire che tutti i suoi carnefici sono andati in Paradiso?

Ne parliamo la prossima volta. Ciao!

Prego... Ma a che serve?

Me lo diceva una ragazza l’altro giorno.


“Chiedo al Signore di darmi più voglia di studiare e non mi risponde. Vorrei questo e quello, e Lui sembra sordo... Come lo spieghi?”

La spiegazione classica è che a volte Dio dice: “No”, altre: “Sì” e altre ancora: “Aspetta, perché non è ancora il momento”.

Molti consulenti si fermano a questo punto e dicono bene. Ma chi ha fatto la domanda rimane spesso al punto in cui era prima di averla formulata. Tutti siamo d’accordo che la preghiera è importante, ma all’atto di pregare non proviamo nessuna soddisfazione, perché non sappiamo se Dio ci ascolta davvero e se vuole darci retta o no.

Questo è il problema di cui voglio parlare. Come faccio a sapere se Dio è d’accordo con me? Come mi devo regolare? Ci sono degli ostacoli fra me e Lui, per cui non mi esaudisce?

Proprio degli ostacoli alle nostre preghiere voglio parlare per alcune volte. E spero che sarà utile.

Un primo ostacolo alle mie preghiere, che io ho riscontrato nella mia vita, è la presenza di qualche peccato non confessato e non individuato. Ora vedo dei sopraccigli che si alzano e sento dei sospiri? O sono delle obiezioni?

Calma: mi spiego. Lo so. Siamo tutti peccatori, perciò se dovessimo aspettare di essere puri e perfetti per pregare non pregheremmo mai. Il problema a cui penso è diverso. Penso a qualche peccato che non consideriamo veramente come un peccato, e che ci teniamo dentro di noi. Forse non ne parliamo con nessuno e non ne vogliamo neppure parlare col Signore. Che ne so? Forse è l’abitudine alla critica... la facilità a mormorare e a lamentarmi... un risentimento contro un parente... un’antipatia verso un collega...

Fate un po’ voi.

“Ma è una cosa che non fa male a nessuno! È una cosa solo mia!” mi dite. Forse non fa male in modo ovvio agli altri, per il momento, ma certamente fa male a me e a te, se li coviamo e coltiviamo dentro di noi.

Nel Salmo 66:18, l’autore dice: “Se nel mio cuore avessi tramato il male, il Signore non mi avrebbe ascoltato”. Un’altra traduzione dice “Se nel mio cuore avessi avuto di mira l’iniquità, il Signore non mi avrebbe ascoltato.

Sia per tramare il male, sia per rimuginare sull’iniquità, bisogna usare la mente. E la nostra mente lavora. Se siamo onesti, dobbiamo ammettere che il ricordo di un commento acido fatto da qualcuno, su un lavoro che noi avevano fatto con impegno, di una battuta sarcastica, di un grazie che non ci è tato dato, hanno l’effetto di un tarlo. Ci tornano alla mente, e si riaffacciano soprattutto mentre preghiamo. Dico bene? Sì, dico bene.

Beh, il collega, l’amico, il parente e il fratello della chiesa che mi hanno ferito o che io trovo antipatici e insopportabili, forse hanno usato la “loro” iniquità per ferirmi, ma hanno anche svegliato e stimolato l’iniquità e il male che sono in me. E a questo io devo provvedere. I sentimenti negativi che provo verso di loro (a torto o a ragione!) sono mia responsabilità, sono i miei “male” e “iniquità”, ovvero i miei “peccati”.

Il profeta Isaia (59:1,2) diceva che le nostre iniquità ci “separano da Dio ... gli hanno fatto nascondere la faccia da noi, per non darci più ascolto. Mi sembra chiaro, no?

Basta un granello di polvere per fermare un orologio e basta un nulla (o meglio, un quacosa che noi consideriamo un nulla) per sciupare e, forse, addirittura interrompere la nostra comunione con Dio.

Il rimedio è semplice: chiamare il mio sentimento, la mia tendenza alla critica, il mio rancore, col loro vero nome: PECCATO. Senza riversarne la colpa su altri.

Secondo 1 Giovanni 1:9, una mia confessione onesta a Dio, nominando specificatamente la cosa che mi ha ferita e la mia reazione negativa ad essa (definendola, senza mezzi termini, come un peccato dettato dalla mia natura peccaminosa), e la mia richiesta di perdono, mi portano la certezza del perdono di Dio. Lui è fedele e giusto e mi perdona. Così si ristabilisce la mia relazione di armonia con Lui. Oltre a questo....

Ne parliamo la prossima volta! Per oggi c’è già abbastanza materiale su cui pensare e agire di conseguenza.

Mai più soli

Gesù è stato solo, esistenzialmente solo, mentre viveva sulla terra. Non era capito, era disprezzato, si stancava, non aveva una casa sua, faceva del bene e non era apprezzato. Non era capito neppure dalla gente che gli stava vicino.

La sera prima del suo arresto, parlò ai suoi discepoli e disse delle parole molto solenni: “L’ora viene, anzi è venuta, che sarete dispersi, ciscuno per conto suo, e mi lascerete solo. Ma io non sono solo, perché il Padre è con me. Vi ho detto queste cose, perché abbiate pace in me. Nel mondo avrete tribolazione, ma fatevi coraggio, io ho vinto il mondo” (Ev. di Giovanni 16:32,33).

Questo è il primo segreto per cui Gesù non si sentiva e non era solo. Il Padre era con Lui e era dentro di Lui. Questo è vero anche per me e per te, se abbiamo accolto Gesù nella nostra vita e lo abbiamo riconosciuto come l’unico nostro Salvatore . La sua promessa è: “Io sarò con voi fino alla fine dell’età presente”.

A questa realtà dobbiamo tornare, non coi nostri sentmenti, ma con la nostra mente.

Gesù l’ha promesso, perciò è vero. Punto e basta. Posso essere solo fisicamente, ma Dio è con me. Se lo ha detto, lo fa. Non può mentire. Se dicesse una sola piccola bugia, non sarebbe più Dio.

Il secondo segreto di Gesù si trova, sempre nel Vangelo di Giovanni (8:29): “Colui che mi ha mandato (Dio Padre) è con me; Egli non mi ha lasciato solo, perché faccio sempre le cose che gli piacciono.

Gesù ubbidiva, faceva solo quello che Dio gli aveva comandato, diceva quello che il Padre gli aveva detto. Perciò non ci può essere, per noi, una vera unione, armonia, compagnia con Dio se non c’ da parte nostra ubbidienza a quello che Lui ordina nella sua Parola. Egli è Dio e deve essere ubbidito.

Perciò, la Bibbia non deve essere per me un libro da aprire la domenica o quando “mi sento”. Devo credere alla Bibbia, leggerla, meditarla e metterla in pratica.

Questo non sarà sempre facile perché vorrà dire perdonare chi mi fa del male, chiedere perdono quando pecco io, sottomettermi alla sua autorità e ubbidire senza discutere e senza dire che Dio è troppo esigente.

Devo credere alle promesse di Dio e alle sue condizioni che Lui detta. Dio sarà assolutamente sufficiente per riempire la mia solitudine, via via che io mi sottometterò a Lui e gli permetterò di guidarmi.

E, cosa stupenda, Dio promette di darmi la forza di credere e ubbidire. Più di così...

Qualcuno ti capisce

Chi è solo, spesso dice: “Nessuno mi capisce”.

È giusto: nessuno ci capisce davvero.

Per di più, se una volta cerchiamo di confidarci con qualcuno, per tutta risposta ci sentiamo dire: “Come ti capisco! Sapessi io!” E giù una sfilza di lamenti che ti tolgono tutta la voglia di spiegare i tuoi sentimenti (e ti fanno capire che, a volte, la solitudine può essere una vera benedizione).

Ma non è neppure vero che nessuno ci capisce. C’è un uomo che ha provato le peggiori solitudini che ci siano; però non si sentiva solo, anche se ne avrebbe avuto tutti i motivi. Era l’unico veramente buono in mezzo a gente cattiva. Era l’unico giusto in mezzo a gente ingiusta. Era l’unico che amava davvero, ma trovava ingratitudine. Parlava di Dio, diceva la verità e gli dicevano che era un diavolo.

Materialmente, non aveva una casa sua, aveva dei compagni che, il più delle volte, non capivano quello che diceva e che lo abbandonarono nel momento di maggiore bisogno. Aveva una famiglia, madre e fratelli, che lo considerava fuori di testa.

In più, non avrebbe avuto nessun bisogno di fare quello che stava facendo. Era ricco di ricchezze infinite e si è fatto povero. Era potente e si è fatto servo di tutti. È venuto in casa sua e non è stato ricevuto. È venuto per essere il Salvatore dell’umanità perduta nel peccato e lo hanno inchiodato su una croce.

Lo hai capito: sto parlando di Gesù, il Figlio perfetto di Dio, Dio stesso.

Per trentatre anni visse sulla terra, facendo solo del bene. Alla fine, gli fecero un processo ridicolo e lo condannarono a morte ingiustamente, per invidia, accusandolo di avere detto che era Dio. Il che era la pura verità.

Sulla croce, Egli provò la solitudine più atroce possibile: fu abbandonato perfino da suo Padre, da Dio stesso. Non perché avesse peccato, ma perché sulla croce espiava tutti i peccati di ogni essere umano e Dio non può guardare il peccato. Perciò distolse lo sguardo da suo Figlio.

Gesù era diventato peccato e è morto al mio e al tuo posto. Gridò: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” La sua armonia, la sua unione col Padre Celeste, per alcune ore, furono interrotte. Fu solo nella maniera più assoluta.

Ma , ad un certo momento, disse: “È compiuto” e spirò. L’opera di espiazione era completata. La comunione col Padre poteva essere ristablita. Dio lo ha risuscitato e ora Egli è nella gloria. Giorno e notte intercede per coloro che hanno creduto in Lui e li benedice.

È possibile che tu ti senta solo, o sola, perché la tua vita è vuota, perché sei morto spiritualmente e non hai la vita di Dio in te. Se non hai accolto Gesù nella tua vita, se non hai creduto di cuore che Lui è l’unico Salvatore, se non hai accettato il dono della sua salvezza e non lo segui come unico Signore, è normale che tu ti senta solo, orrendamente e disperatamente solo. È una solitudine che ho provato anch’io, prima di diventare credente,

E ti dico un’altra cosa, ancora più seria. Sarai orrendamente solo per tutta l’eternità, in mezzo alla moltitudine di tutti coloro che, mentre sono in vita, respingono la grazia e sarai eternamente separato da Dio che ti ha tanto amato da dare suo Figlio a morire al tuo posto. Perciò, pensaci e credi.

“Dio ha tanto amato il mondo che ha dato il suo unigenito Figlio, affinché chiunque crede in Lui, non perisca, ma abbia vita eterna” (Ev. di Giovanni 3:16).

In tutti i casi, Gesù ha rivelato come Lui vinceva la sua solitudine, mentre era sulla terra. Ne parleremo la prossima volta e ti assicuro che funziona.

Soli: non è bello!

“Sono troppo sola” mi diceva una persona sul treno (lo scompartimento di un treno sembra, a volte, diventare un confessionale. Tutti ti raccontano tutto. Forse lo fanno perché vogliono sfogarsi e sanno che, probabilmente, non ti incontreranno più).

Chi mi parlava era una donna ben vestita. Da come si esprimeva, si capiva che aveva studiato e aveva tutta l’aria di non essere malata. Ma era sola.

Mi ha raccontato che i figli erano lontani e il marito viaggiava molto per lavoro. Lei non sapeva come ammazzare il tempo.

Non è la sola a sentirsi... sola. Siamo esseri sociali, e siamo fatti per stare con altri come noi. Mogli, mariti, vedovi, divorziati, figli, genitori si sentono soli. A volte sembra di essere soli perfino in mezzo a una folla. Anche in chiesa.

Abbiamo bisogno di qualcuno. Perfino, nella perfezione del paradiso terrestre, nel gardino di Eden, Adamo si è sentito un po’ solo. C’erano attorno a lui piante magnifiche, piene di frutti, animali perfetti. Ma... Dio lo vide e disse: “Non è bene che l’uomo sia solo. Gli farò un aiuto adatto a lui”.

Quando gli presentò Eva, Adamo scoppiò di gioia: “Finalmente, ecco una che è ossa delle mie ossa e carne della mia carne! Una simile a me!”. Gli animali ruggivano, belavano, ragliavano... Ma quella parlava ! Che gioia!

Il loro fu un matrimonio perfetto, un’unione meravigliosa. Amore e amicizia fra marito e moglie. Amicizia e armonia con Dio.

Fino a che non vennero la tentazione, la disubbiedienza all’ordine di Dio e la separazione da Dio. Allora cominciò quel senso di insoddisfazione, di solitudine anche, a volte, vicino alla persona più cara. Adamo subito accusò Eva e Eva cominciò a sentire la durezza del maschio (il maschilismo iniziò in quel momento).

La Bibbia racconta di molte persone che si sono sentite terribilmente sole.

Giacobbe che aveva paura e fuggiva da suo fratello, che aveva ingannato.

Anna, che non aveva figli e avrebbe tanto volto avere un suo bambino.

Davide che cercava di fuggire dall’odio del Re Saul.

Elia che temeva la collera di una regina perfida e credeva di essere l’unica persona fedele a Dio in mezzo a un popolo infedele.

L’apostolo Paolo che era solo in prigione a Roma, in attesa della condanna a morte, e senza amici.

Io stessa conosco delle persone molto, ma molto, sole. Donne abbandonate da un marito, che se n’è andato con una più giovane. Mariti credenti con una moglie che non condivide la loro fede. Figli che tirano avanti nella vita senza la comprensione dei genitori e genitori che non si sentono amati dai figli. Vedove. Vedovi. Perfino bambini, che, a volte, diventano disubbidienti e difficili perché troppo soli.

Ne ricordo uno che si è arrampicato sulle ginochia di mio marito e non voleva scendere per nessun motivo.

“Perché non vai a giocare con gli altri bambini?” gli abbiamo chiesto.

“Perché questo è un papà” ha risposto.

Il suo papà aveva lasciato la famiglia e non si era più fatto vedere.

Queste persone come vivono?

Spesso molto male. Alcuni cercano di superare il problema: invitano a casa amici, viaggiano, telefonano, mandano messaggini. Altri si ammazzano lavorando. Altri passano la vita lamentandosi. Altri, un po’ a denti stretti, la buttano in ridere e citano il proverbio: “Meglio soli che male accompagnati”. Per ritrovarsi di nuovo soli.

Ma non è necessario continuare per sempre così. Ne parliamo la prossima volta.

Vecchio è bello?

Nessuno ha piacere di invecchiare, però per Doris Haddock la vecchiaia non esisteva.

È morta il 9 marzo scorso a 100 anni e aveva 16 pronipoti. La chiamavano “Granny D”, cioè Nonna D.

Io non ne avevo mai sentito parlare, ma ho letto queste notizie sulla rivista americana TIME, perciò, data la serietà della pubblicazione, sono attendibili. A quanto pare, Doris, in politica, era una gran piantagrane, ma migliaia di Americani la sostenevano nelle sue campagne, perché approvavano le sue idee.

Una delle sue frasi era: “La democrazia non è una cosa che si ha, ma una cosa che si fa” . E lei ... faceva. Quando aveva 88 anni, per promuovere una campagna per la riforma finanziaria, che lei proponeva, cominciò a percorrere a piedi l’America.

Una fatica immane, alla sua età. Le facevano male i polmoni e le ginocchia le dolevano ancora di più, ma dopo 5.150 kilometri, arrivò a Washington, acclamata dai suoi fan. La sua proposta di legge fu approvata.

Quando aveva 94 anni, inaspettatamente, fu nominata come candidato dello Stato del New Hampshire per il Senato. La campagna, contro un altro aspirante alla carica, fu durissima, ma lei non mollò. Fortificata da spuntini a base di pancetta (e pare fra un pisolino e l’altro), ottenne la nomina.

Per paura, a causa della neve, di non arrivare in tempo a Washington D.C. alla data fissata percorse gli ultimi 145 kilometri sugli sci. Per una vecchietta di 94 anni, niente male.

Oggi l’età media delle persone si sta allungando. Le riviste, ad nauseam, portano articoli su cosa mangiare, quanto dormire, quanto camminare per manteneresi in forma e campare più a lungo. A volte, a me, sembra quasi un’esagerazione. Dio sa esattamente quant anni e giorni darci. D’altra parte, se si deve arrivare a 100 anni, senza dubbio è meglio fare attenzione e cercare di arrivarci lucidi e sani, come ci è arrivata Doris.

I medici, i dietologi, gli scienziati si congratulano fra loro per le loro scoperte e per le medicine che aiutano a vivere più a lungo. E noi ci congratuliamo con loro.

Però farebbero anche bene a ringraziare il Signore che ha permesso loro di studiare, scoprire e ha dato loro i mezzi per arrivare dove sono arrivati con i loro studi. Non ci sono arrivati da soli e quello che fanno è esattamente secondo il piano di Dio. Se conoscessero la Bibbia, saprebbero di stare facendo proprio quello che Dio aveva predetto e previsto da sempre.

Il profeta Isaia, vissuto circa 800 anni prima di Cristo ha scritto, profetizzando riguardo al tempo in cui Dio stabilirà il suo regno sulla terra: “Non ci sarà in avvenire bimbo nato per pochi giorni, né vecchio che non compia il numero dei suoi anni; chi morirà a cent’anni morirà giovane... costruiranno case e le abiteranno; pianteranno vigne e ne mangeranno il frutto... non pianteranno più perché un altro ne mangi...” (Profezia di Isaia cap. 65).

“Ma quando succederà?” chiedete. Non lo sappiamo. Ma potrebbe essere prima di quello che pensiamo.

Per oggi, la sola cosa che importa è avere accolto Gesù nel nostro cuore, avere accettato il suo dono della salvezza e vivere facendogli piacere. Per il resto, è affare suo!

Ma che amore è?

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L’amore è sempre stato piuttosto egoista, perché per natura egoisti lo siamo tutti. È egoista, sotto sotto, sia l’amore dei genitori per i figli, del marito per la moglie e quello della moglie per il marito. E così avanti, l’amore per il lavoro, per lo studio, per la società. Facciamo le cose per tornaconto e vorremmo fare solo le cose che ci piacciono. Non parliamo, poi, di quello che i politici chiamano amore per il popolo che governano o vorrebbero governare.

Ma oggi sono totalmente sbalestrata nel pensare quello che la gente riesce a chiamare amore.

Una ragazza, per due volte, cerca di trovare, pagandolo, qualcuno che le ammazzi il padre, perché lo considerava troppo severo e le vietava alcune cose che non approvava. Quando il tentativo di omicidio non è riuscito, l’hanno presa e messa in prigione. Speriamo che ci resti.

Ma quello che mi ha colpita è sentire in TV il suo avvocato (donna, naturalmente) che diceva che la sua assistita aveva mandato a dire al padre che gli chiedeva scusa (mai “perdono”, sempre “scusa”!) e che gli voleva bene. Volere e cercare la morte di qualcuno, che amore è? Non so quale sia stata la reazione del padre.

Una mamma mi ha detto che non sgridava mai il suo bambino (un piccolo incrocio fra un terremoto, un uragano e uno tsunami) perché le dispiaceva troppo vederlo piangere. Ma che amore è?

Un padre manda una lettera di insulti alla maestra dell’asilo, che gli aveva inviato una nota per avvisarlo che il figlio era indisciplinato. Suo figlio è piccolo e deve essere capito!

Un altro padre sa che il figlio si fa le canne e commenta: “Però è un bravo ragazzo”. E per quello che ne so, non prende provvedimenti.

Ogni volta, davanti a cose simili, la domanda si pone: ma che amore è?

La risposta è semplice: non è amore. È puro egoismo. La figlia, pronta a pagare un sicario, non voleva restrizioni per la sua condotta da parte del padre. La mamma, che non voleva far piangere il bambino, non punisce perché ama, ma perché educare un bambino è faticoso, prende tempo e richiede perseveranza. Il padre del bambino all’asilo e quello del figlio che si fa le canne non intervengono perché non vogliono brighe e scocciature.

L’amore vero è pronto a dare tempo, attenzione e cura. L’apostolo Paolo dice che i figli bisogna allevarli in disciplina (fermezza e ordine) e ammonizione del Signore (insegnamento di quello che Dio vuole) senza irritarli, il che significa non chiedere l’impossibile, amarli e esigere quello che è giusto.

Un compito immane. Ma possibile e bellissimo se si comincia dal primo giorno della loro vita.