Quali sono le differenze fra voi e noi?

Finiamo l’anno prendendo una piccola grande lezione di evangelizzazione personale dal Signore Gesù, nel suo colloquio con una donna samaritana. È un episodio ben conosciuto e non mi soffermerò su tutti i particolari. Ci sarebbe da scriverci su molto.

Gesù è stanco e si ferma vicino a un pozzo, mentre i suoi discepoli vanno in un villaggio a comprare del cibo. Sono in Samaria, una zona in cui i Giudei non erano apprezzati.

Arriva una donna accaldata. Porta una brocca per attingere acqua. È una donna poco benvista nel suo villaggio, perché ha una vita immorale. Ha avuto cinque mariti e ora convive. Se vivesse oggi, probabilmente troverebbe un posto di spicco in una rivista di gossip e sarebbe assolutamente à la page. Ma allora le opinioni erano diverse, anche se il gossip probabilmente non mancava nei suoi riguardi.

Il Signore Gesù inizia una conversazione chiedendole da bere e le parla di un’acqua meravigliosa che le toglierebbe ogni sete spirituale. Lei si meraviglia e gliene chiede.

Gesù le dice di punto in bianco: “Va a chiamare tuo marito”.

Lei confessa il suo stato e, quando si rende conto che il discorso va sul religioso e si fa profondo e serio, cerca di deviare la conversazione.

In questo, le cose non sono cambiate. Quando oggi noi testimoniamo della nostra fede nella Parola di Dio e in Gesù come unico Salvatore, la domanda classica che ci viene rivolta è: “Che differenze ci sono fra voi e noi?”. Se si butta in religione, si va su un terreno neutrale. Le tue idee vangono quanto le mie!

Preciso: la Samaritana chiede: “Ma si deve adorare a Gerusalemme o qui sul nostro monte?”. Quali sono le differenze?

Gesù le spiega molto gentilmente che le cose stavano cambiando: non ci sarebbe più stato bisogno di adorare in un tempio in muratura, ma i veri adoratori avrebbero adorato in Spirito (cioè per mezzo della potenza dello Spirito Santo) e secondo la verità della Parola di Dio e della nuova realtà che il Messia, avrebbe instaurata. Poi le dice molto chiaramente che il Messia era Lui.

La Samaritana, a quel punto, molla tutto, secchia, pozzo, conversazione e corre al villaggio per raccontare che aveva incontrato il Messia. Era una donna trasformata!

Allora: dove sta la lezione di evangelizzazione personale di Gesù?

In due punti principali. Gesù ha parlato chiaramente alla donna, anche se molto gentilmente, del suo peccato. Se non abbiamo il coraggio di dire alle persone che sono peccatori senza speranza, non vale la pena parlare loro della salvezza. Se non si rendono conto che sono perduti e sulla via dell’inferno, da che cosa dovrebbero desiderare di essere salvati?

Poi, secondo punto, Gesù non si è impantanato in discussioni sui vari templi, i sacrifici, le tradizioni ebraiche e quelle samaritane (oggi non vale molto parlare di Papa, santi e Madonne, a cui pochissimi danno importanza), ma ha presentato se stesso come Messia, liberatore e Salvatore.

Parliamo di Lui e mettiamo in risalto quello che ha detto e fatto. Diciamo che era ed è Dio, che si è incarnato, è nato a Betlemme, che non ha commesso peccato, che è morto per i nostri peccati e è risuscitato. Se lo facciamo con amore e con compassione, il Signore ci userà per il bene di parenti e amici.

A proposito, sta per uscire la nuova edizione di “MA DIMMI UN PO’... esistono ancora differenze fra cattolici e protestanti?”. È un libretto, che ho scritto anni fa, semplice e pratico. Spiega le differenze di fondo fra la Bibbia e la religione ufficiale del nostro paese e qualsiasi altra religione. Chiedetemelo. Costa poco: solo € 3,50.

Finalmente poteva guardare in su

Tempo fa, in una strada vicina al nostro ufficio, ho visto una donna, curva fino all’incredibile, che stava attraversando sulle strisce.

“Signora, la posso aiutare?” le ho chiesto.

“Grazie, ci sono abituata” mi ha risposto. E ha continuato, incapace di vedere attorno a sé e incurante dei pericoli del traffico.

Mi ha fatto venire alla mente una donna nominata nel Vangelo di Luca (13:10-17), malata da diciotto anni, curva e incapace di raddrizzarsi.

Entra, un sabato, nella sinagoga dove Gesù stava insegnando. Sapeva che Dio voleva che gli Ebrei ascoltassero la legge di Dio e lei era fedele nel frequentare quel luogo consacrato. Era faticoso andarci, ma lei voleva fare la cosa giusta. Poteva vedere solo il pavimento, ma poteva ascoltare la Parola di Dio. (Un buon esempio per chi, se solo ha un piccolo bubù evita di andare a ascoltare la Parola di Dio e a adorare, la domenica! Troppa fatica muoversi. Tanto, si può pregare anche a casa!).

Gesù la vede fra tutta la gente, la chiama, mette le sue mani su di lei e le dice: “Donna, tu sei liberata dalla tua infermità”.

Lei Immediatamente si rizza e esplode in una lode a Dio. Da diciotto anni era storpia; ora le sue ossa prendono il loro giusto posto, le giunture si sciolgono. Che meraviglia!

C’era da aspettarsi un’esplosione generale di lodi da parte di tutti. Invece solo una parte dei presenti si rallegra.

I religiosi trovarono da ridire: guarire una persona è un lavoro e Dio non vuole che si lavori di sabato. Il sabato è sacro! Il capo della sinagoga è furioso: “Ci sono sei giorni per lavorare: venite a farvi guarire in quelli, e non di sabato!”. Certa gente è maestra nell’usare la Bibbia secondo i suoi comodi. Quei religiosi odiavano e invidiavano Gesù e cercavano di colpirlo con le armi della Legge, citando la Bibbia per ferirlo.

Ma Gesù taglia corto: “Ipocriti! Non portate a bere il vostro bue di sabato, come permette la legge? Legarlo e condurlo all’abbeveratoio non è forse un lavoro? E questa donna, figlia di Abramo, cioè ebrea, fedele e credente, che è stata legata per diciotto anni da Satana con una malattia deformante, non poteva essere slegata di sabato?”.

Nessuna replica dai religiosi, solo vergogna.

Ciò che colpisce è che, in una sinagoga affollata, Gesù abbia individuato proprio quella donna bisognosa, l’abbia chiamata personalmente e, forse, abbia perfino interrotto il suo insegnamento importante per occuparsi di lei. Sapeva da quanto tempo era in quella condizione, vedeva nel suo cuore, sapeva tutto.

Fa lo stesso con me, con te e con tutti gli esseri umani. Legge dentro di noi, vede le nostre debolezze, i difetti e i peccati. Ci chiama individualmente, ci offre la sua grazia e interviene secondo il bisogno. “Venite a me, voi tutti che siete affaticati e oppressi, e io vi darò riposo” dice.

Se tutti gli esseri umani si mettessero a pregare tutti insieme, ascolterebbe ogni individuo e risponderebbe a ognuno. Hai permesso a Gesù di “raddrizzarti”? Sai che ti conosce a fondo?
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Umile e insistente

Nella sua umanità, Gesù si stancava. La gente lo pressava da tutte le parti di giorno e Lui spesso passava la notte pregando e parlando con suo Padre nel cielo. Ogni tanto, voleva ritirarsi e starsene in pace coi discepoli.

Già una volta aveva cercato di farlo e si era invece trovato davanti una folla di più di diecimila persone, che lo voleva ascoltare ed era pronta a farlo re.

Lui aveva dato da mangiare a tutti. Un bel tipo di riposo!

Nell’episodio di oggi, è in Siria, nel territorio di Tiro e Sidone. Si chiude in una casa con i discepoli e vorrebbe restare in incognito. Impossibile!

Una donna pagana lo viene a sapere. La sua bambina è tormentata da un demonio e lei corre da Gesù per chiedere aiuto. Glielo grida a perdifiato. I discepoli la vogliono scacciare, forti del fatto che Gesù aveva detto loro di essere venuto solo per le pecore perdute di Israele, ma lei non se ne va.

Chiedono al Signore di farla smettere. Ma quella insiste, si butta ai piedi del Maestro e continua la sua supplica.

Gesù non l’accontenta subito; evidentemente la vuole mettere alla prova (non è l’unica persona con cui l’ha fatto). Le rivolge delle parole che potevano sembrare dure: “Lascia che prima siano saziati i figli, perché non è bene prendere il pane dei figli per buttarlo ai cagnolini” (Marco 7:27). I figli erano gli Ebrei, i cani erano i pagani. La donna avrebbe potuto offendersi, ma il suo bisogno è troppo grande. Perciò non demorde.

È vero: non è Ebrea, è solo una pagana. Non può vantare diritti, come invece potevano accampare coloro che appartenevano al popolo di Dio. Perciò chiede solo di essere trattata come un cane e di godere almeno dei privilegi di un cane. I cani non mangiano a tavola col padrone, ma si accontentano delle briciole che cadono sul pavimento. Una briciola di grazia le bastava.

Gesù esclama: “Donna, grande è la tua fede: ti sia fatto come vuoi. Per questa parola, va’; il demonio è uscito da tua figlia”.

La donna torna a casa. La sua bambina è guarita e dorme tranquilla.

Noi le assomigliamo. Come peccatori non abbiamo nessun diritto da far valere davanti a Dio. Nessuna opera meritoria ci può rendere graditi a Lui. Se non fosse per la sua grazia, saremmo tutti senza speranza. Perduti e condannati all’inferno.

Ma la sua grazia è offerta a tutti. L’hai accettata?

Puoi leggere questa storia in Matteo 15:21-28 e Marco 7:24-30.
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Guarita e rassicurata

Gesù è a Capernaum e una folla gli si accalca attorno. È appena tornato da Gerasa, all’altro lato del Mar di Galilea, dove aveva guarito un indemoniato indomabile.

Gli si avvicina uno dei capi della sinagoga e lo supplica di andare a casa sua. La sua bambina è malata e sta per morire. Gesù si avvia con lui e con alcuni discepoli. La folla lo segue. La strada è stretta e la calca è incredibile.Non si sa quasi dove mettere i piedi per camminare.

Ad un tratto, Gesù si ferma.

“Chi mi ha toccato?” chiede.

“Maestro, qui ti spingono da tutte le parti... Come si fa a chiedere chi ti ha toccato...”

“No, ho sentito che una potenza è uscita da me!”

Silenzio. Nessuno fiata.

Finalmente una donna, tremando, gli si avvicina e confessa ogni cosa.

Era malata da dodici anni di un male che la rendeva impura. Si trattava di una perdita di sangue, che nessun medico era riuscito a curare. Lei aveva speso tutto ciò che aveva per curarsi, ma stava peggio che mai.

Allora si era detta: “Se solo tocco il lembo della veste di quel rabbino di Nazaret, sarò guarita”. Aveva preso coraggio, si era confusa nella folla e, appena toccato il Signore, aveva sentito immediatamente che il suo male era sparito.

Gesù le disse una parola rassicurante: “Figliola, la tua fede ti ha salvata. Vattene in pace”.

Non solo il suo corpo era stato guarito, ma anche la sua anima era salva.

Perché Gesù l’ha obbligata a una confessione pubblica? Non ha rischiato di svergognarla davanti a tutti?

Certamente no. Non lo ha mai fatto con chi si è avvicinato a Lui con umiltà e fede.

Sono convinta piuttosto che ha voluto rassicurarla anche spiritualmente. Il suo corpo era guarito, ma avrebbe potuto ammalarsi di nuovo. Era importante che sapesse che la sua anima era al sicuro per sempre.

La salute del corpo è un gran bene, ma quella dello spirito lo è molto di più. Perciò mi domando perché nelle nostre riunioni di preghiera in chiesa si parla tanto di malattie fisiche e si chiedono tante guarigioni e non si parla mai di guarigioni spirituali. Perché non si prega che smettano i pettegolezzi e le maldicenze, le invidie e gli scoraggiamenti? E che si concedano dei perdoni dovuti da anni e finiscano tanti sospetti?

Siete d’accordo? Fatemi sapere.

Questa storia si trova in Matteo 9:20-22; Luca 8:43-48.
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Guarita per servire

Era successo un fatto inaudito: Gesù era entrato nella sinagoga con Pietro, Andrea, Giacomo e Giovanni e si era messo a insegnare. La gente lo aveva ascoltato meravigliata. Mai avevano sentito un altro rabbino parlare con tanta autorità. Altro che i soliti predicatori noiosi, monotoni e soporiferi! Questo parlava come Dio!

Per di più, proprio nella sinagoga, c’era un uomo posseduto da un demonio che gridava come un pazzo: “Che c’è fra noi e te, Gesù di Nazaret? Sei venuto a mandarci in perdizione? Sappiamo chi sei: Sei il Santo di Dio!” Un chiasso incredibile.

“Sta zitto!” comandò Gesù (mai Egli ha accettato la testimonianza di un demone, anche se veritiera). “Esci da quest’uomo!”

Il demone ubbidì e uscì da quell’uomo, straziandolo (forse con un attacco di convulsioni), fra lo stupore generale. Che emozione! Tutto il villaggio immediatamente lo venne a sapere e ne parlò. Gesù, con i quattro discepoli, uscì dalla sinagoga e andò a casa di Pietro.

Era una casa semplice, da operaio. Probabilmente era composta da una grande stanza, con un focolare e alcuni semplici mobili, come erano le case di allora. Forse nell’angolo più lontano c’erano dei letti.

“Gesù, la suocera di Pietro è molto malata, ha un febbrone terribile... devi scusare se c’è disordine e non c’è niente di pronto... devi avere pazienza...” dissero sottovoce al Signore.

Gesù immediatamente si avvicinò alla donna e la prese per mano. Scottava. Si chinò su lei e, come racconta l’evangelista Luca, “sgridò la febbre”. La febbre sparì immediatamente.

La donna aprì gli occhi, fresca come una rosa, si mise a sedere, saltò giù dal letto e si mise immediatamente a servire il Signore e i suoi accompagnatori. Avrebbe potuto fare una lunga tirata sui suoi mali, le sue sofferenze e raccontare per filo e per segno ogni suo disturbo (ai malati piace farlo), invece non disse nulla. Non una sua parola è ricordata. Solo è detto che si mise a servire.

Ci sono alcune cose importanti da notare: appena i parenti e gli amici parlarono di lei al Signore, Egli intervenne. La guarì.

Quando ci rivolgiamo al Signore, Lui ci ascolta sempre e interviene. Se gli chiediamo umilmente il perdono e la grazia della salvezza, riconoscendo che siamo dei peccatori immeritevoli, Lui ce li concede immediatamente. “Chi viene a me, io non lo caccerò fuori” promette. E non può mentire.

Per altre richieste, a volte, ci fa aspettare o ci esaudisce secondo quello che è per il nostro bene. Ma ci ascolta sempre.

Ma c’è di più. Se abbiamo creduto in Lui, se siamo stati guariti dal nostro peccato, se siamo stati perdonati, non abbiamo altra scelta, se non quella di servirlo, secondo le nostre capacità e possibilità, come fece la suocera di Pietro. Se non lo facciamo siamo dei perfetti ingrati. Quella donna avrà acceso il fuoco, arrostito dei pesci, preparato la tavola. Avrà lavato i piedi ai suoi visitatori e servito il pasto con gli occhi che le sprizzavano di gioia per la salute ritrovata e un grande sorriso riconoscente. Cose semplici che sapeva fare.

E da duemila anni, cioè da quando i Vangeli di Matteo, Marco e Luca sono stati scritti, la sua azione è ricordata e ci serve da esempio. Che gioia stare bene e servire! Bene nel profondo del cuore, soprattutto!

Questa storia si trova in Matteo 8:14-17; Marco 1:29-31; Luca 4:38,39.
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Una mamma come noi

Quando i miei figli erano in America all’Università, non c’era Skype, i telefoni non facevano tariffe speciali per l’estero. Si comunicava con le lettere. Noi ci scrivevamo una volta alla settimana. Io spesso mi preoccupavo: si copriranno abbastanza quando fa freddo? Mangeranno cose giuste o andranno avanti solo a patatine? E se Deborah incontrasse un tipo cattivo quando torna a casa la sera? E se... e se... e se?

Non era una bello. Finché non ho capito che non aiutavo nessuno preoccupandomi. Avrei fatto meglio a trasformare le mie preoccupazioni in preghiere.

Maria di Nazaret è stata un esempio di sottomissione e di ubbidienza (lo abbiamo detto la volta scorsa) nelle cose grandi. Ma in altri casi, si preoccupava, come una mamma qualsiasi, per suo Figlio. Anche nell’episodio di Gesù a 12 anni, nel tempio di Gerusalemme, la vediamo che rimprovera il ragazzo, che lei e Giuseppe avevano cercato per tre giorni, e gli dice: “Figlio, perché ci hai fatto così? Tuo padre ed io ti cercavamo, stando in gran pena!”

I Vangeli non dicono nulla sui circa 20 anni che seguirono. Evidentemente la famiglia di Giuseppe e Maria viveva normalmente a Nazaret, come una qualsiasi famiglia di artigiani. Forse Maria ha continuato a preoccuparsi per tutti i suoi figli, anche se Gesù non le dava pensiero (Giovanni 2:51).

Quando ebbe circa 30 anni, Gesù andò a farsi battezzare da Giovanni Battista e iniziò il suo ministero di insegnamento, di predicazione e di guarigioni miracolose. Le folle lo seguivano entusiaste.

A Cana, in Galilea, in occasione di un matrimonio a cui partecipavano Maria, Gesù e i suoi discepoli, Maria si accorge che il vino era finito. Bisognava provvedere!

Forse ha pensato: “Gesù è stato sempre bravo, servizievole e capace... Gli dico che faccia qualcosa!”. Forse pensava che si sarebbe precipitato in paese per provvedere dell’altro vino?

Ne parla a Gesù e Lui le fa capire che avrebbe preso ordini solo da suo Padre. Però essa dà, in ogni modo, ai servi un ordine: “Fate quello che vi dirà”.

Dopo poco, Gesù cambia dell’acqua in un vino di ottima qualità. È il suo primo miracolo.

Maria aveva dato un ordine giusto: “Fate quello che vi dirà”. Lo darebbe di nuovo, se oggi fosse viva. Direbbe: “Se Lui vi dice di credere, credete! Se afferma di essere l’unica via di salvezza e l’unico mediatore fra Dio e gli uomini, credetegli! Se dice che nessuno arriva al Padre se non per mezzo di Lui, credetegli! Se dice che chi non crede in Lui perirà nell’inferno, credetegli!”.

Ma torniamo al racconto dei Vangeli e alla tendenza di Maria a preoccuparsi.

Agli inizi del suo ministero pubblico, Gesù era assediato dalla folla. Gli portavano i malati e Lui li guariva. Cacciava demoni dagli indemoniati. Sanava i lebbrosi. La pressione era tanta che né Gesù né i discepoli avevano il tempo di mangiare. In più c’erano molti religiosi, lividi di invidia, che insinuavano che Gesù facesse tutti quei miracoli con l’aiuto di Satana. Un’accusa grave.

Maria e gli altri suoi figli, preoccupati e forse in agitazione, decidono di intervenire in favore di Gesù: “È fuori si sé” dicevano (Marco 3:21). “Bisogna fare qualcosa... si deve riposare... se va avanti così schiatterà... Quello che è troppo è troppo. Esagera... è diventato matto...”

Si avvicinano alla casa in cui era Gesù e lo fanno chiamare.

“Gesù, ci sono là fuori tua madre, i tuoi fratelli e le tue sorelle che ti cercano!” gli dicono alcuni. Di nuovo, Gesù prende le distanze: “Chi è mia madre? E chi sono i miei fratelli?... Chiunque avrà fatto la volontà di Dio mi è fratello, sorella e madre” (Marco 3:33,35).

È chiaro che né Maria né i fratelli di Gesù avevano capito la portata del ministero di Gesù e l’importanza della sua venuta. Giovanni l’evangelista, tre anni dopo questo episodio, dirà: “Neppure i suoi fratelli credevano in Lui” (7:5). Come era possibile una simile dimenticanza, dopo l’annuncio degli angeli, la nascita miracolosa, il coro angelico che inneggiava al Bambino? Forse, dopo trent’anni di vita normale, anche le esperienze più straordinarie possono diventare meno vivide... Non sembra che in famiglia capissero che Gesù era il Messia. D’altra parte, se il Messia doveva essere un trionfatore e Gesù era così poco apprezzato, qualche dubbio poteva venire. Perfino Giovanni Battista aveva dubitato....

Maria, è nominata solo altre due volte nei Vangeli. Una alla croce e un’altra dopo l’ascensione di Gesù. Nel frattempo, sarà tornata a Nazaret? Non si sa.

Alla croce, Maria vede suo Figlio torturato, appeso fra cielo e terra, e ne osserva l’agonia straziante. Gesù la vede, vicina a Giovanni, e trova la forza di affidarla a quel discepolo tanto amato. Giovanni, da quel momento la prende con sé, come un figlio. Non è ricordata nessuna parola di lei. Forse il dolore l’aveva resa muta.

Poi, nel Libro degli Atti degli Apostoli, Maria è nominata, mentre con i discepoli, altre donne e i fratelli di Gesù, circa centoventi persone, prega e aspetta la discesa dello Spirito Santo.

Viene la Festa della Pentecoste, Gerusalemme è piena di gente venuta per adorare nel Tempio. Lo Spirito Santo scende e riempie quei centoventi fedeli. Pietro predica e si convertono 3000 persone. È l‘inizio della chiesa cristiana e dell’espansione del Vangelo.

Così si chiude tutto quello che si sa su Maria. A noi resta l’esempio di una donna sottomessa a Dio, ubbidiente, normale nei suoi sentimenti e l’ascolto del suo unico ordine: “Fate tutto quello che Gesù vi dirà”. Lo fai?
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“Fate tutto quello che vi dirà”

Quando ho cominciato a leggere la Bibbia per conto mio, sono rimasta colpita dalla gentilezza e il rispetto con cui Gesù, mentre era sulla terra, trattava le donne. Queste non contavano molto, a quei tempi, in Palestina. Tanto che gli uomini, al mattino, avevano l’abitudine di pregare così: “O Dio, ti ringrazio perché non sono donna!”. Mica male, eh?

Perciò penso che sarà interessante per tutti noi fare una carrellata degli incontri di Gesù con alcune donne, come sono descritti nei Vangeli.

Certamente fra loro la più importante è stata Maria di Nazaret, scelta da Dio per mandare ad effetto il grande miracolo dell’incarnazione del Figlio di Dio.

Però, se potesse vedere quello che oggi si fa in suo onore, ne sarebbe rattristata e indignata, perché, durante la sua vita, non ha mai cercato né onori né fama. Ha sempre lasciato a suo Figlio il primo posto. Ora chiedete perché dico “se potesse vedere”?

Ve lo dico subito. In nessun passo della Bibbia è detto che i morti vedano quello che succede sulla terra e che Maria sia impegnata in cielo a intercedere per i vivi presso suo Figlio, come insegna la chiesa di Roma. Non è la mediatrice di tutte le grazie, la regina gloriosa del paradiso. La sua anima è in cielo, come quella di qualsiasi altro credente che ha accettato il dono della salvezza acquistata da Cristo alla croce, e gode la presenza di suo Figlio che lei stessa ha chiamato “Dio, mio salvatore”!

Maria non è nata senza peccato, il suo corpo non è stato assunto in cielo, ma è ancora sepolto non si sa dove, e aspetta la resurrezione. Maria non ha nessuna posizione privilegiata.

Di lei, i Vangeli parlano poco. Viveva a Nazareth, era vergine, fidanzata di Giuseppe, un falegname. Era una discendente del Re Davide e un giorno un angelo le disse che lo Spirito Santo l’avrebbe avvolta e, miracolosamente, le avrebbe dato di concepire un bambino, il Messia atteso dagli Ebrei. Un onore immenso, per cui in tutte le età sarebbe stata ammirata.

Dopo un momento di timore e sorpresa, “Va bene” disse all’angelo, “io sono la serva del Signore. Mi sia fatto come Dio vuole”.

Fu un atto di sottomissione fiduciosa, ma piena di rischi. Giuseppe avrebbe potuto denunciarla come infedele alla sua promessa di fidanzata. I religiosi avrebbero potuto anche lapidarla. Lei, però, piena di riconoscenza per il grande onore che le era stato fatto, intonò un cantico magnifico, in cui esaltava la misericordia del Signore, che finalmente stava per mandare nel mondo un Messia, un potente Salvatore, adempiendo le promesse dei profeti (Luca 1:46-55). La sottomissione fu una caratteristica della sua vita.

Sposò Giuseppe, diede alla luce Gesù in un stalla, insieme con Giuseppe andò in Egitto per scampare alla persecuzione del re Erode.

Tornati a Nazaret, Giuseppe e Maria ebbero altri figli, Giacomo, Giuseppe, Simone, Giuda e alcune figlie (Matteo 13:55). Gesù crebbe con loro e imparò il mestiere di falegname. Visse come un ragazzo qualsiasi.

Ogni anno la famiglia saliva a Gerusalemme per adorare il Signore. Quando aveva 12 anni, in occasione di quella visita annuale, Gesù si allontanò dai genitori e rimase a discutere con i dottori della Legge nel tempio. Maria e Giuseppe lo cercarono preoccupati e lo rimproverarono perché li aveva fatti stare in pensiero.

Il ragazzo disse loro, con rispetto, ma anche con autorità: “Perché mi cercavate? Non sapevate che mi dovevo trovare nella casa del Padre mio?”.

Poi, di Maria, non si sa più nulla, fino al momento in cui Gesù iniziò il suo ministero all’età di 30 anni. Ne parleremo la prossima volta. Per oggi impariamo da lei la meravigliosa qualità della sottomissione e dell’umiltà. E non è poco!
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Di lei, i Vangeli parlano poco. Viveva a Nazareth, era vergine, fidanzata di Giuseppe, un falegname. Era una discendente del Re Davide e un giorno un angelo le disse che lo Spirito Santo l’avrebbe avvolta e, miracolosamente, le avrebbe dato di concepire un bambino, il Messia atteso dagli Ebrei. Un onore immenso, per cui in tutte le età sarebbe stata ammirata.

Dopo un momento di timore e sorpresa, “Va bene” disse all’angelo, “io sono la serva del Signore. Mi sia fatto come Dio vuole”.

Fu un atto di sottomissione fiduciosa, ma piena di rischi. Giuseppe avrebbe potuto denunciarla come infedele alla sua promessa di fidanzata. I religiosi avrebbero potuto anche lapidarla. Lei, però, piena di riconoscenza per il grande onore che le era stato fatto, intonò un cantico magnifico, in cui esaltava la misericordia del Signore, che finalmente stava per mandare nel mondo un Messia, un potente Salvatore, adempiendo le promesse dei profeti (Luca 1:46-55). La sottomissione fu una caratteristica della sua vita.

Sposò Giuseppe, diede alla luce Gesù in un stalla, insieme con Giuseppe andò in Egitto per scampare alla persecuzione del re Erode.

Tornati a Nazaret, Giuseppe e Maria ebbero altri figli, Giacomo, Giuseppe, Simone, Giuda e alcune figlie (Matteo 13:55). Gesù crebbe con loro e imparò il mestiere di falegname. Visse come un ragazzo qualsiasi.

Ogni anno la famiglia saliva a Gerusalemme per adorare il Signore. Quando aveva 12 anni, Gesù si allontanò dai genitori e rimase con i dottori nel tempio. Maria Giuseppe lo cercarono preoccupati e lo rimproverarono perché li aveva fatti stare in pensiero. Il ragazzo disse loro, con rispetto, ma autorità: “Perché mi cercavate? Non sapevate che mi dovevo trovare nella casa del Padre mio?”

Poi più nulla, fino al momento in cui Gesù iniziò il suo ministero all’età di 30 anni.

Ma di Lui e di Maria parleremo anche la prossima volta. Per oggi impariamo da lei la meravigliosa qualità della sottomissione e dell’umiltà. E non è poco!
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Vedere la mano di Dio: un’abitudine importante

Maria Teresa, da quando ho scoperto il suo blog passo a leggerla volentieri però devo dire che il post di oggi mi suscita non poca invidia: non posso testimoniare niente del genere e vivo notevoli difficoltà.... Dio pare sordo alle mie accorate richieste di aiuto: avrà dei figli preferiti? forse sono una figlia non meritevole? La saluto con simpatia, Simona
Cara Simona, perdonami se non ti ho risposto prima, ma non ci sono riuscita. Grazie perché mi leggi e grazie del tuo commento al mio post “Un abito su misura e una pranzo ai Castelli Romani”.

Mi dispiace molto che tu abbia, in questo momento, dei problemi e che tu abbia l’impressione che Dio sia un po’ troppo silenzioso con te. Purtroppo, una volta o l’altra, succede a tutti.

Però, devo subito mettere dei puntini sulle i.

  1. Dio non ha figli preferiti e non funziona secondo i meriti dei suoi figli. Se avesse dei figli preferiti, non sarebbe giusto e se noi fossimo benedetti per i nostri meriti, dove andrebbe la grazia? Noi riceviamo la salvezza perché crediamo in Cristo come nostra unica speranza e unico Signore, Salvatore e Mediatore. Infatti, l’apostolo Paolo ha detto che non siamo salvati per opere buone che abbiamo fatte, ma per la misericordia di Dio (Tito 3:5). Quindi togliti dalla testa l’idea dei “meriti”, come mezzi per ricevere le benedizioni del Signore.
  2. Dio è sovrano e fa e decide quello che è bene per ognuno di noi. Non ha il dovere di spiegarci tutti i suoi “perché”, né di rivelarci i suoi piani. Probabilmente molte volte non li capiremmo, in ogni modo, dato che Lui ha un modo di valutare le cose diverso dal nostro e che ha dei “tempi” suoi per la nostra vita. Quello che invece dobbiamo fare è vivere nella fiducia. Sia che quello che ci succede ci piaccia o no.
  3. Personalmente, sono persuasa che l’unico modo per funzionare felicemente nella nostra vita terrena, come suoi figli, sia approfondire la nostra conoscenza del suo carattere, secondo quanto insegna la Parola di Dio.
La Bibbia dice che Dio è buono e perciò credo che non farà mai delle cattiverie nei riguardi dei suoi figli. Pensa a quanti di loro permette che patiscano la fame in questi giorni, quanti sono perseguitati e quanti sono malati in tutto il mondo. Non li ama? No: li ama tutti.

La Bibbia dice anche che Dio è giusto, perciò credo non fa ingiustizie. È santo, perciò non pecca. È fedele perciò non viene meno alle sue promesse. È misericordioso perciò ci capisce e ha pietà di noi. E così via e così avanti.

Dato che ha detto che i suoi pensieri non sono i miei pensieri e le sue vie non sono le mie vie, io mi devo radicare in queste verità, anche se non le capisco.

E devo anche abituarmi a discernere la sua mano non solo nelle grandi cose, ma anche nelle piccole, piccolissime cose della vita. Come indicarmi un negozio che fa i prezzi migliori e ha la verdura più fresca o fa cessare la pioggia quando devo scendere dalla macchina. O mi fa ritrovare una banconota che era stata dimenticata in un cassetto.

Questa abitudine mi permette di vivere nella gratitudine. Due settimane fa, sono scivolata e distorta malamente una caviglia. L’ho ringraziato mille volte che non mi sono rotta un femore (cosa che è piuttosto normale per chi cade alla mia età) e ho sperimentato la sua cura.

Però, ora voglio farti anche una domanda: hai veramente creduto nel Signore Gesù come unico tuo Salvatore e Signore? Hai accettato il dono della sua salvezza? Vivi nella consapevolezza che tu dipendi da Lui e ti sottometti alla sua volontà? Questo è essenziale per partire col piede giusto e sapere per esperienza di essere trattata da Lui come una figlia. Scrivimi ancora, se ti fa piacere. Ciao!
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GESUMMARIA!

Ve la ricordate la moglie del Principone che, nel romanzo “Il Gattopardo”, esclamava “Gesummaria!” e si faceva il segno della croce, quando il marito le si accostava sotto le coperte? Beh, penso che di “mogli di principoni” ne ho conosciute molte, anche se oggi di sesso si parla apertamente, volgarmente e spudoratamente in tutte le salse. Ma se ne parla male, i ragazzi lo sperimentano da giovanissimi e quello che Dio ha stabilito, come qualcosa di bello e di sacro, è considerato un gioco, uno sfizio, uno sfogo.

Ma non deve essere così e i genitori invece di lasciare alla scuola il compito di fare l’educazione sessuale dei loro figli, dovrebbero pensarci loro, parlandone con grande rispetto e trasparenza. Dopo tutto, il sesso è un dono di Dio, come il gusto, l’olfatto e il tatto.

Nel romanzo “Il Gattopardo”, la moglie si ritirava in buon ordine nella sua cuccia, davanti alle avances del marito e il Principone andava a consolarsi con prostitute meno religiose e più comprensive. Ma sbagliava da un’altra parte.

Purtroppo, anche fra coniugi che si amano, anche fra coniugi credenti che conoscono la Bibbia e hanno letto il Cantico dei Cantici, il Libro dei Proverbi e il Capitolo 7 della prima lettera ai Corinzi, le relazioni intime possono essere un grosso motivo di litigio, oltre a essere fonte di tristezza, insoddisfazione e incomprensione.

“Ma gli ho già dato due figli!” mi ha detto una volta una donna. “Cosa vuole di più?”

“Vuole te, cara” le ho risposto. “Per fare due figli, bastano due volte! Ma il matrimonio dura tutta la vita. Le relazioni intime non hanno solo lo scopo di fare figli, come insegna la Chiesa Cattolica, ma sono un modo di dimostrare l’amore, la fiducia, il dono di sé che gli sposi dedicano l’uno all’altro. Significano ti amo, sono tua, tu sei mio. Siamo una cosa sola, indissolubile e completa. Insieme, noi due, per la vita”.

La volta scorsa, nel post in cui abbiamo parlato di dialogo, abbiamo visto l’importanza di parlare, dialogare, capirsi. Anche del lato intimo del matrimonio bisogna parlare col marito. Dirgli quello che ci piace e quello che non apprezziamo. Spiegarsi e venirsi incontro. Dirgli che ci piace se si fa la barba e si mette il deodorante. Dirgli tutto, insomma, senza vergogna o falsi pudori. E lui lo aprezzerà.

C’è, però, una cosa che può rovinare – e l’ho visto coi miei occhi – i matrimoni e i ragazzi con cui parliamo, e le nostre figlie lo devono sapere e devono essere avvisate. Sperimentare, fare all’amore alla leggera prima del matrimonio, fosse pure col fidanzato che si sta per sposare, è il modo perfetto per rovinare il futuro. Lui pensa: “Con quanti altri sarà andata, se ha ceduto con me?” e lei rimugina: “Se mi avesse davvero amata, mi avrebbe rispettata”.

E l’ombra rimane. Se non si dissipa col perdono reciproco, sarà sempre fonte di litigi.

Perciò è molto meglio poter dire, la prima notte, dopo che invitati e parenti se ne sono andati e si crolla dalla stanchezza in un bell’albergo: “Tu sei l’unico”.
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