“Non mi sta a sentire... dice che non ha tempo... che non vale la pena parlare, perché non ci capiamo in ogni modo... se poi parliamo finiamo in un bisticcio...”
Quante coppie mi hanno detto che non riescono a parlare e se lo fanno litigano! Da fidanzati non era così, ma ora da sposati è tutta un’altra cosa.
Io vorrei dire subito almeno due cose. O tre. O quattro. Insomma, statemi a sentire!
La prima cosa, di cui non teniamo abbastanza conto, è la differenza fondamentale che esiste fra uomini e donne. Nel loro modo di fare e di funzionare.
Noi donne siamo emotive e intuitive, perciò vorremmo che gli uomini - mariti, fratelli, datori di lavoro, anziani e membri di chiesa – capissero al volo quello che intendiamo, leggessero nel nostro pensiero i nostri desideri e capissero le nostre emozioni. Scordiamocelo!
Gli uomini, dal canto loro, sono riflessivi, razionali e realistici. Capiscono solo quello che diciamo loro, e che viene espresso in maniera ordinata e logica. E brevemente.
Questo porta alla seconda cosa: noi donne parliamo troppo e la facciamo troppo lunga quando ci dobbiamo esprimere. Certe donne che mi parlano, se chiudo gli occhi, mi ricordano quelle maschere barocche che sputano acqua a ventaglio dentro a una fontana. Parlano, parlano, parlano senza quasi tirare il fiato. E se le interrompi, ricominciano da capo.
Altro problema (e questo è il n. 3): interrompiamo chi ci parla, perché crediamo già di capire quello a cui l’altro vuole arrivare e offriamo una soluzione non richiesta. Questo è un mio difetto su cui sto lavorando, ma che non ho ancora debellato del tutto. Il fatto è anche che gli uomini amano prendere le cose da lontano e, prima di arrivare al dunque, ce ne vuole. E noi abbiamo la pentola sul fuoco!
La quarta cosa è che noi donne, quando siamo su di giri, piangiamo facilmente. Questo spaventa gli uomini, che, non sapendo che pesci prendere, tendono a perdere la pazienza. Per autodifesa, tagliano corto, se ne vanno o si chiudono nel mutismo. O esplodono.
Allora, se si vuole il dialogo, bisogna imparare a dialogare. Il dialogo non è un monologo. Dialogo significa “discorso fra due o più persone”. E dialogare è un’arte, nella quale quando uno parla, l’altro ascolta. Dopo di che si invertono le parti e chi ha parlato prima non interrompe colui che ora parla (sarebbe molto bello se i politici in TV andassero un po’ a scuola di dialogo, invece di fare a chi grida più forte e interrompe di più!).
Infine, per essere capiti, bisogna cercare anche di parlare logicamente. Non bisogna partire con arroganza o belligeranza, come per vincere una partita di boxe, ma con la determinazione a capire il punto di vista dell’altro e trovare possibilmente un accordo. E, fra coniugi, l’accordo si deve trovare!
E direi ancora di più: si deve ascoltare con l’intenzione di prendere sul serio le “fisime” dell’altro. Sì, dico proprio fisime, perché il più delle volte, le cose di cui marito e moglie si lamentano sono troppo stupide per essere vere. Le matite sulla scrivania lui le vuole così e lei, quando spolvera, gliele mette cosà. Orrore!
A lei piace la camomlla e perciò la prepara anche per lui. A lui la camomilla fa ricordare i clisterini che gli faceva sua mamma quando da bambino era stitico. Ma lei insiste: “Caro la camomlla ti fa bene, ti rilassa... bevine almeno un po’...”.
La carta igienica si appende così. No, si appende dall’altro lato.
“Bisogna punire il figlio per questo” dice lui. “Ma lascia perdere, è giovane...” ribatte lei.
Dopo di che si arriva ai “tu sei sempre” e “tu non fai mai”, che guastano, spesso per sempre, la comunicazione.
Li avete visti – sì o no? – quei vecchi che vivono sotto lo stesso tetto e non si parlano più? Non hanno imparato da giovani l’arte di dialogare, accompagnata dalla pazienza e dalla determinazione a farsi piacere reciprocamente, a venirsi incontro e trovare un accordo.
E così, per difesa o ripicca, le donne si attaccano al telefono e gli uomini accendono la TV.
C’e un bel libro che mio marito ha scritto: “Liberami, Signore, dal divorzio nascosto!” che parla anche di questo problema. Leggilo tu, se fa al tuo caso, e poi dimenticalo nel soggiorno, in modo che tuo marito lo veda e si incuriosisca. Non si può mai sapere....
Ciao, alla prossima!
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Fronte unico, a tutti i costi.
“Non lo diciamo a papà, se no si arrabbia” dice la mamma che di nascosto lascia che il figlio vada in birreria con gli amici e gli dà i soldi necessari per farlo. “Solo fai attenzione a non tornare tardi, mi raccomando. A papà ci penso io. Non esagerare!”
“Dov’è Mauro?” chiede il padre, quando torna dal lavoro.
“Aveva dei compiti speciali e è andato da un amico a farli” risponde la mamma. Il padre abbocca.
Quello su cui spesso non si va d’accordo e si litiga facilmente è l’educazione dei figli. Come succede? Il padre è, secondo la madre, troppo severo. O troppo assente. Se non menefreghista. La madre è, secondo il padre, troppo apprensiva. O troppo indulgente. O con una mentalità all’antica. E ognuno crede di far meglio dell’altro.
I figli sentono che fra i genitori c’è dissenso, e ne approfittano, naturalmente mettendosi dalla parte di chi è più permissivo. E vengono su falsi, abituati a mentire, a fare sotterfugi. Così si preparano a diventare delinquenti.
È successo nella famiglia di certi parenti di mio padre. Il padre diceva e ordinava. La mamma disfaceva, chiudeva un occhio e copriva le marachelle del figlio più giovane. È finito molto male e se non è andato in galera, è dipeso da avvocati molto capaci.
Sull’educazione dei figli bisogna fare fronte unico e i figli devono sapere che la legge è una sola. Altrimenti sono guai. Le liti fra genitori su come gestire i figli portano solo dissapori e molte lacrime. E grande confusione.
Che fare?
I genitori ne devono parlare. Meglio se ne parlano già seriamente da fidanzati, si mettono d’accordo e procedono di conseguenza.
E non è sempre facile.
Per esempio: quando i nostri figli erano adolescenti, è venuta la moda delle minigonne. L’ideatrice aveva detto apertamente, che l’aveva creata per rendere più facili i rapporti sessuali fra giovani. Grazie mille!
“Perché non la posso mettere? La figlia del pastore della chiesa la porta!”
“Perché non possiamo andare in discoteca? I nostri amici ci vanno e non gli succede niente.”
“Perché dobbiamo andare in giro coi capelli come dei Marines, mentre i compagni se li fanno crescere?”
Era l’epoca dei capelloni, della liberazione femminile, della contestazione, del “fate l’amore, non fate la guerra”.
Mio marito ed io ci siamo dovuti mettere d’accordo e poi parlare (anche ore!), spiegare, ragionare, arrivare a compromessi accettevoli coi figli e, soprattutto, tenere tutti e due la stessa linea. Non c’era altro modo.
Non abbiamo detto mai: “Questo non si fa, perché i credenti non lo fanno”. Abbiamo piuttosto cercato di ragionare, letto libri, parlato di tipi di musica, di ambienti sbagliati, di principi biblici. Ci è andata bene e il merito va soprattutto alla grazia di Dio e alla pazienza di mio marito, che, di solito, ha ottenuto dai figli l’ubbidienza, anche se non sempre volonterosa e gioiosa.
Oggi le cose per i genitori sono molto più difficili, perché l’immoralità dilaga, quello che i ragazzi facevano di nascosto ora si fa in pubblico. Quello che era considerato immorale, oggi è accettato, approvato e sbandierato.
Ma i principi biblici di moralità, onestà, pudore e autodisciplina, volere o volare, sono rimasti gli stessi. E i figli lo devono sapere e accettare. Lo accetteranno se li avremo abituati all’ubbidienza e al rispetto da piccoli, piccolissimi. Un giorno, cercheranno di fare come, o meglio, dei loro genitori.
Ma in che mondo vivranno i giovani fra dieci anni? Non ci voglio pensare.
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“Dov’è Mauro?” chiede il padre, quando torna dal lavoro.
“Aveva dei compiti speciali e è andato da un amico a farli” risponde la mamma. Il padre abbocca.
Quello su cui spesso non si va d’accordo e si litiga facilmente è l’educazione dei figli. Come succede? Il padre è, secondo la madre, troppo severo. O troppo assente. Se non menefreghista. La madre è, secondo il padre, troppo apprensiva. O troppo indulgente. O con una mentalità all’antica. E ognuno crede di far meglio dell’altro.
I figli sentono che fra i genitori c’è dissenso, e ne approfittano, naturalmente mettendosi dalla parte di chi è più permissivo. E vengono su falsi, abituati a mentire, a fare sotterfugi. Così si preparano a diventare delinquenti.
È successo nella famiglia di certi parenti di mio padre. Il padre diceva e ordinava. La mamma disfaceva, chiudeva un occhio e copriva le marachelle del figlio più giovane. È finito molto male e se non è andato in galera, è dipeso da avvocati molto capaci.
Sull’educazione dei figli bisogna fare fronte unico e i figli devono sapere che la legge è una sola. Altrimenti sono guai. Le liti fra genitori su come gestire i figli portano solo dissapori e molte lacrime. E grande confusione.
Che fare?
I genitori ne devono parlare. Meglio se ne parlano già seriamente da fidanzati, si mettono d’accordo e procedono di conseguenza.
E non è sempre facile.
Per esempio: quando i nostri figli erano adolescenti, è venuta la moda delle minigonne. L’ideatrice aveva detto apertamente, che l’aveva creata per rendere più facili i rapporti sessuali fra giovani. Grazie mille!
“Perché non la posso mettere? La figlia del pastore della chiesa la porta!”
“Perché non possiamo andare in discoteca? I nostri amici ci vanno e non gli succede niente.”
“Perché dobbiamo andare in giro coi capelli come dei Marines, mentre i compagni se li fanno crescere?”
Era l’epoca dei capelloni, della liberazione femminile, della contestazione, del “fate l’amore, non fate la guerra”.
Mio marito ed io ci siamo dovuti mettere d’accordo e poi parlare (anche ore!), spiegare, ragionare, arrivare a compromessi accettevoli coi figli e, soprattutto, tenere tutti e due la stessa linea. Non c’era altro modo.
Non abbiamo detto mai: “Questo non si fa, perché i credenti non lo fanno”. Abbiamo piuttosto cercato di ragionare, letto libri, parlato di tipi di musica, di ambienti sbagliati, di principi biblici. Ci è andata bene e il merito va soprattutto alla grazia di Dio e alla pazienza di mio marito, che, di solito, ha ottenuto dai figli l’ubbidienza, anche se non sempre volonterosa e gioiosa.
Oggi le cose per i genitori sono molto più difficili, perché l’immoralità dilaga, quello che i ragazzi facevano di nascosto ora si fa in pubblico. Quello che era considerato immorale, oggi è accettato, approvato e sbandierato.
Ma i principi biblici di moralità, onestà, pudore e autodisciplina, volere o volare, sono rimasti gli stessi. E i figli lo devono sapere e accettare. Lo accetteranno se li avremo abituati all’ubbidienza e al rispetto da piccoli, piccolissimi. Un giorno, cercheranno di fare come, o meglio, dei loro genitori.
Ma in che mondo vivranno i giovani fra dieci anni? Non ci voglio pensare.
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Parenti... Croce e delizia
“Vado più d’accordo con mia suocera, che con mia mamma” mi diceva una sposina.
“Come mai?”
“Ma che ti devo dire... mia mamma sta sempre a soffiarmi sul collo: «Hai mangiato? Quanto hai speso? Hai bisogno di me? Ricordati di spegnere il gas». È asfissiante: crede di avere a che fare con una figlia di tredici anni. E poi mi domanda: «Diego ti tratta bene?» vuole sapere tutto, e quando dico tutto è proprio tutto. Non la reggo!”.
“E tua suocera?”
“Quella è una santa donna. Si fa i fatti suoi e ci lascia vivere. Pensa che chiamo lei per chiederle come si cucina qualcosa. Se lo chiedessi a mia mamma, arriverebbe con la spesa fatta e il grembiule per prepararmelo lei.”
Certi genitori possono essere la rovina dei figli quando si sposano e mettono su famiglia. Si intromettono sulle spese, sulle compere, sull’educazione dei nipotini. Vogliono fare le vacanze insieme, mangiare insieme tutte le domeniche, sapere la “rava e la fava” di tutti i componenti. E, se non sono accontentati, fanno gli offesi. Per forza, finiscono per creare frizioni, dispiaceri, incomprensioni. La loro mentalità patriarcale (o, forse più precisamente, patriarcale) prende il sopravvento.
I giovani vorrebbero vivere insieme e a modo loro, ma spesso i genitori hanno contribuito finanziariamente per aiutarli a mettere su casa, con il mutuo o altro. Allora, i due (peggio ancora se una sola coppia di genitori è stata generosa!) si sentono obbligati a mostrare riconoscenza, non vogliono né offendere né agire male.
E dopo un po’ cominciano a litigare fra loro. “Tuo padre si impiccia... tua madre vuole e pretende... i tuoi genitori sono oppressivi... Ma i tuoi sono così e così...” . Fino a che non si comincia a parlare di incomunicabilità e di incomprensioni di fondo.
La Bibbia dice delle cose importanti a questo riguardo e i genitori devono capirle.
Nella Genesi, quando Dio ha creato la prima coppia (che non aveva genitori, ma che presto avrebbe avuto dei figli) disse: “L’uomo LASCERÀ suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una stessa carne”, cioè gli sposi diventeranno una cosa sola, formeranno un nuovo nucleo, staccato e indipendente dai genitori. Il cordone ombellicale dovrà essere definitivamente tagliato.
Perciò bisogna lasciare che i figli vivano la loro vita, si facciano il loro rodaggio, prendano le loro abitudini e si creino, piano piano, le loro tradizioni.
Sbagliano? Dovranno imparare.
Fanno scelte che a noi genitori non sembrano giuste? Se chiedono un consiglio, diamolo. Se non lo seguono, evitiamo la frase micidiale: “Ve lo avevamo detto”.
Educano i loro bambini diversamente da come abbiamo fatto noi? Sono i figli loro. Preghiamo e stiamo a guardare, a meno che non facciano cose pericolose o immorali.
Se abbiamo fatto bene come genitori, probabilmente faranno bene anche loro.
Però, c’è un’altra cosa, che, secondo me, è essenziale e preparerà la strada a relazioni felici quando i figli metteranno su famiglia. Via via che crescono, mentre sono ancora a casa, abituiamoli all’indipendenza, nel senso che sappiano vivere come individui, e non siano degli eterni “mamma-papà-dipendenti”. Che sappiano amministrare i loro soldi (fossero anche i pochi euro della loro paghetta di bambini), tenere la loro camera in ordine (maschi o femmine indistintamente), studiare seriamente, contribuire alle spese di casa, se lavorano, prendere decisioni ragionevoli per conto loro. Se vogliono comprarsi qualcosa di speciale e soddisfare qualche sfizio, facciano pure. Ma se lo dovranno guadagnare e pagare coi loro risparmi. Se no, aspetteranno fino a quando se lo potranno permettere.
Duretta la mamma, eh? Duretta sì, ma anche savia. Mio marito e io abbiamo fatto così.
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“Come mai?”
“Ma che ti devo dire... mia mamma sta sempre a soffiarmi sul collo: «Hai mangiato? Quanto hai speso? Hai bisogno di me? Ricordati di spegnere il gas». È asfissiante: crede di avere a che fare con una figlia di tredici anni. E poi mi domanda: «Diego ti tratta bene?» vuole sapere tutto, e quando dico tutto è proprio tutto. Non la reggo!”.
“E tua suocera?”
“Quella è una santa donna. Si fa i fatti suoi e ci lascia vivere. Pensa che chiamo lei per chiederle come si cucina qualcosa. Se lo chiedessi a mia mamma, arriverebbe con la spesa fatta e il grembiule per prepararmelo lei.”
Certi genitori possono essere la rovina dei figli quando si sposano e mettono su famiglia. Si intromettono sulle spese, sulle compere, sull’educazione dei nipotini. Vogliono fare le vacanze insieme, mangiare insieme tutte le domeniche, sapere la “rava e la fava” di tutti i componenti. E, se non sono accontentati, fanno gli offesi. Per forza, finiscono per creare frizioni, dispiaceri, incomprensioni. La loro mentalità patriarcale (o, forse più precisamente, patriarcale) prende il sopravvento.
I giovani vorrebbero vivere insieme e a modo loro, ma spesso i genitori hanno contribuito finanziariamente per aiutarli a mettere su casa, con il mutuo o altro. Allora, i due (peggio ancora se una sola coppia di genitori è stata generosa!) si sentono obbligati a mostrare riconoscenza, non vogliono né offendere né agire male.
E dopo un po’ cominciano a litigare fra loro. “Tuo padre si impiccia... tua madre vuole e pretende... i tuoi genitori sono oppressivi... Ma i tuoi sono così e così...” . Fino a che non si comincia a parlare di incomunicabilità e di incomprensioni di fondo.
La Bibbia dice delle cose importanti a questo riguardo e i genitori devono capirle.
Nella Genesi, quando Dio ha creato la prima coppia (che non aveva genitori, ma che presto avrebbe avuto dei figli) disse: “L’uomo LASCERÀ suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una stessa carne”, cioè gli sposi diventeranno una cosa sola, formeranno un nuovo nucleo, staccato e indipendente dai genitori. Il cordone ombellicale dovrà essere definitivamente tagliato.
Perciò bisogna lasciare che i figli vivano la loro vita, si facciano il loro rodaggio, prendano le loro abitudini e si creino, piano piano, le loro tradizioni.
Sbagliano? Dovranno imparare.
Fanno scelte che a noi genitori non sembrano giuste? Se chiedono un consiglio, diamolo. Se non lo seguono, evitiamo la frase micidiale: “Ve lo avevamo detto”.
Educano i loro bambini diversamente da come abbiamo fatto noi? Sono i figli loro. Preghiamo e stiamo a guardare, a meno che non facciano cose pericolose o immorali.
Se abbiamo fatto bene come genitori, probabilmente faranno bene anche loro.
Però, c’è un’altra cosa, che, secondo me, è essenziale e preparerà la strada a relazioni felici quando i figli metteranno su famiglia. Via via che crescono, mentre sono ancora a casa, abituiamoli all’indipendenza, nel senso che sappiano vivere come individui, e non siano degli eterni “mamma-papà-dipendenti”. Che sappiano amministrare i loro soldi (fossero anche i pochi euro della loro paghetta di bambini), tenere la loro camera in ordine (maschi o femmine indistintamente), studiare seriamente, contribuire alle spese di casa, se lavorano, prendere decisioni ragionevoli per conto loro. Se vogliono comprarsi qualcosa di speciale e soddisfare qualche sfizio, facciano pure. Ma se lo dovranno guadagnare e pagare coi loro risparmi. Se no, aspetteranno fino a quando se lo potranno permettere.
Duretta la mamma, eh? Duretta sì, ma anche savia. Mio marito e io abbiamo fatto così.
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Un abito su misura e un pranzo ai Castelli Romani
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Eravamo giovani, mio marito ed io, quattro bambini, pochi soldi e tanta fiducia che il Signore ci avrebbe aiutati e dato sempre il necessario. Ma, ogni tanto, ci veniva voglia di uno strappetto al solito trantran. Che ne so... un cibo che non fosse solo polpettone (a quei tempi la macinata costava veramente poco), e un vestito che non venisse solo dal mercatino dell’usato, una visita a un museo o un concerto. Poi, dato che mio marito parla spesso in pubblico, un abito nuovo e su misura gli avrebbe fatto comodo. Ma non era neppure il caso di pensarci. Non abbiamo neppure pregato per questi sfizii!
Un giorno riceviamo una lettera dall’America: “Caro fratello Bill, ho un vestito nuovo e il Signore mi ha detto di mandarlo a lei. Spero che le farà piacere”.
“Ma si può essere più strani?” ha commentato mio marito. “Non mi conosce, non sa se sono grasso o secco, alto o basso... e mi manda un abito! È proprio vero che nella vita ci si può aspettare di tutto!”
Non ci abbiamo più pensato. Finalmente arriva una scatola dall’America. Ne esce un abito. Non ci crederete, ma era perfetto di misura, di colore, di taglio. Esattamente quello che ci voleva. Siamo rimasti a bocca aperta! Il Signore aveva provveduto con l’esattezza di un orologio svizzero, per mezzo di un credente che aveva sentito solo parlare di uno che evangelizzava a Roma!
Ma non finisce quì. Un’altra volta, mio marito aveva voglia di portarmi in un bel ristorante ai Castelli Romani. Ma non gli sembrava possibile e giusto fare una spesa così stravagante.
Telefona una signora, mai conosciuta prima: “Mi chiamo così e così... ho sentito parlare di voi da amici... sono sola e vorrei visitare i dintorni di Roma. Sarete miei ospiti per pranzo e poi, se per voi va bene, mi fate fare un giro fino a Castel Gandolfo e mi raccontate del vostro lavoro. Vi va?”. Se ci andava? Eccome!
Un pranzo delizioso, gratis e un pomeriggio molto piacevole in giro per i Castelli... Che si può chiedere di più?
Il Signore aveva esaudito un desiderio legittimo, ma non necessario, per mezzo di una signora sconosciuta. A volte sembra impossibile che Lui pensi anche a cose così. Ma non per niente è un buon Padre Celeste.
La prossima volta, però, continueremo a parlare di perché si litiga nella vita matrimoniale. Spero che, nel frattempo… (mi avete già capita!) Ciao!
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Eravamo giovani, mio marito ed io, quattro bambini, pochi soldi e tanta fiducia che il Signore ci avrebbe aiutati e dato sempre il necessario. Ma, ogni tanto, ci veniva voglia di uno strappetto al solito trantran. Che ne so... un cibo che non fosse solo polpettone (a quei tempi la macinata costava veramente poco), e un vestito che non venisse solo dal mercatino dell’usato, una visita a un museo o un concerto. Poi, dato che mio marito parla spesso in pubblico, un abito nuovo e su misura gli avrebbe fatto comodo. Ma non era neppure il caso di pensarci. Non abbiamo neppure pregato per questi sfizii!
Un giorno riceviamo una lettera dall’America: “Caro fratello Bill, ho un vestito nuovo e il Signore mi ha detto di mandarlo a lei. Spero che le farà piacere”.
“Ma si può essere più strani?” ha commentato mio marito. “Non mi conosce, non sa se sono grasso o secco, alto o basso... e mi manda un abito! È proprio vero che nella vita ci si può aspettare di tutto!”
Non ci abbiamo più pensato. Finalmente arriva una scatola dall’America. Ne esce un abito. Non ci crederete, ma era perfetto di misura, di colore, di taglio. Esattamente quello che ci voleva. Siamo rimasti a bocca aperta! Il Signore aveva provveduto con l’esattezza di un orologio svizzero, per mezzo di un credente che aveva sentito solo parlare di uno che evangelizzava a Roma!
Ma non finisce quì. Un’altra volta, mio marito aveva voglia di portarmi in un bel ristorante ai Castelli Romani. Ma non gli sembrava possibile e giusto fare una spesa così stravagante.
Telefona una signora, mai conosciuta prima: “Mi chiamo così e così... ho sentito parlare di voi da amici... sono sola e vorrei visitare i dintorni di Roma. Sarete miei ospiti per pranzo e poi, se per voi va bene, mi fate fare un giro fino a Castel Gandolfo e mi raccontate del vostro lavoro. Vi va?”. Se ci andava? Eccome!
Un pranzo delizioso, gratis e un pomeriggio molto piacevole in giro per i Castelli... Che si può chiedere di più?
Il Signore aveva esaudito un desiderio legittimo, ma non necessario, per mezzo di una signora sconosciuta. A volte sembra impossibile che Lui pensi anche a cose così. Ma non per niente è un buon Padre Celeste.
La prossima volta, però, continueremo a parlare di perché si litiga nella vita matrimoniale. Spero che, nel frattempo… (mi avete già capita!) Ciao!
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I soldi basterebbero se...
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...lei sapesse fare la spesa e cercasse di risparmiare... lui non buttasse i soldi per comprarsi tanti aggeggi inutili per la macchina... lei non volesse sempre qualcosa di nuovo da mettersi addosso, anche se dice che compra solo dai Cinesi... se lui perdesse quella mania di andare allo stadio a vedere la partita. Ogni tanto va bene, ma senza esagerare! Dobbiamo pensare al mutuo per la casa, all’assicurazione per la macchina, alle bollette... E in bolletta ci siamo già!
Secondo le statistiche, una delle ragioni principali per cui si litiga in famiglia sono proprio i soldi e il modo in cui spenderli. C’è chi è tirato e chi è spendaccione. Chi ha sangue genovese nelle vene (come me!) e chi è abituato a vivere alla giornata. Come mettersi d’accordo?
Buona parte dei dispiaceri dipende dal fatto che molti si sposano senza fare dei conti realistici e pensano che, in un modo o l’altro, ce la faranno a sbarcare il lunario. Ma perfino Gesù ha detto che chi vuole costruirsi una torre deve fare i conti di quanto gli costerà, prima di cominciare a innalzarla, facendo capire che non vale la pena essere sprovveduti. Confidare nella provvidenza, magari quella dei genitori, suona molto bene, ma all’atto pratico è pericoloso.
A certe cose è bene pensare prima di sposarsi. Quanto è lo stipendio di lui? Se lei lavora, quanto guadagna? Si deve fare un po’ di matematica e ragionare. Quanto ci vuole per la casa, per la luce, per il gas, per la macchina e per l’assicurazione, per l’abbonamento ai mezzi, per le medicine, il cibo e i vestiti? E così via.
Si dovrà anche pensare agli imprevisti e lasciarsi, possibilmente, un po’ di cuscinetto per le vacanze e qualche svago. Se verranno dei bambini, quanto di più ci vorrà per loro?
Non ultimo, se siamo credenti, c’è da mettere in conto che a Dio spetta una parte dei nostri beni (“secondo la prosperità concessa” dice la Bibbia. Il che significa che, se si guadagna molto, si darà molto per sostenere l’opera di Dio e la propria chiesa e, se si guadagna poco, si darà il più possibile, donando regolarmente almeno una parte di quanto si guadagna).
Ma fare dei proponimenti e dei conti ragionevoli non basta: bisogna proporsi e essere determinati a restare dentro al preventivo che si è fatto, non spendere mai più di quello che si ha e essere anche pronti a delle rinunce e a dei sacrifici. Bisognerà a volte dimenticare la fettina e mangiare macinata o fagioli. Fare la colazione col pane invece che col cornetto o la merendina. Funzionare con meno paia di scarpe e dimenticare che il collega si è comprato (facendo debiti) l’ultimo iPod.
Dio onora chi è savio e prudente, chi non fa debiti e impara a accontentarsi di quello che ha. L’Apostolo Paolo l’ha detto molto bene: “La pietà (cioè il desiderio di fare piacere a Dio e il timore di Dio), con animo contento del proprio stato, è un gran guadagno. Infatti non abbiamo portato nulla nel mondo, e neppure possiamo portarne via nulla, ma avendo di che nutrirci e coprirci, saremo di questo contenti. L’amore del denaro è radice di ogni specie di mali e alcuni che vi si sono dati, si sono sviati dalla fede e si sono procurati molti dolori” (1 Timoteo 6:6-8,10).
E vi prometto, per esperienza, che con questo programma e questi proponimenti, presi di comune accordo, non litigherete con vostro marito o con vostra moglie e, ogni tanto, ci scapperà anche qualche piccola pazzia o addirittura una sorpresa, come è capitato una volta a noi. Ve lo racconto la prossima volta.
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...lei sapesse fare la spesa e cercasse di risparmiare... lui non buttasse i soldi per comprarsi tanti aggeggi inutili per la macchina... lei non volesse sempre qualcosa di nuovo da mettersi addosso, anche se dice che compra solo dai Cinesi... se lui perdesse quella mania di andare allo stadio a vedere la partita. Ogni tanto va bene, ma senza esagerare! Dobbiamo pensare al mutuo per la casa, all’assicurazione per la macchina, alle bollette... E in bolletta ci siamo già!
Secondo le statistiche, una delle ragioni principali per cui si litiga in famiglia sono proprio i soldi e il modo in cui spenderli. C’è chi è tirato e chi è spendaccione. Chi ha sangue genovese nelle vene (come me!) e chi è abituato a vivere alla giornata. Come mettersi d’accordo?
Buona parte dei dispiaceri dipende dal fatto che molti si sposano senza fare dei conti realistici e pensano che, in un modo o l’altro, ce la faranno a sbarcare il lunario. Ma perfino Gesù ha detto che chi vuole costruirsi una torre deve fare i conti di quanto gli costerà, prima di cominciare a innalzarla, facendo capire che non vale la pena essere sprovveduti. Confidare nella provvidenza, magari quella dei genitori, suona molto bene, ma all’atto pratico è pericoloso.
A certe cose è bene pensare prima di sposarsi. Quanto è lo stipendio di lui? Se lei lavora, quanto guadagna? Si deve fare un po’ di matematica e ragionare. Quanto ci vuole per la casa, per la luce, per il gas, per la macchina e per l’assicurazione, per l’abbonamento ai mezzi, per le medicine, il cibo e i vestiti? E così via.
Si dovrà anche pensare agli imprevisti e lasciarsi, possibilmente, un po’ di cuscinetto per le vacanze e qualche svago. Se verranno dei bambini, quanto di più ci vorrà per loro?
Non ultimo, se siamo credenti, c’è da mettere in conto che a Dio spetta una parte dei nostri beni (“secondo la prosperità concessa” dice la Bibbia. Il che significa che, se si guadagna molto, si darà molto per sostenere l’opera di Dio e la propria chiesa e, se si guadagna poco, si darà il più possibile, donando regolarmente almeno una parte di quanto si guadagna).
Ma fare dei proponimenti e dei conti ragionevoli non basta: bisogna proporsi e essere determinati a restare dentro al preventivo che si è fatto, non spendere mai più di quello che si ha e essere anche pronti a delle rinunce e a dei sacrifici. Bisognerà a volte dimenticare la fettina e mangiare macinata o fagioli. Fare la colazione col pane invece che col cornetto o la merendina. Funzionare con meno paia di scarpe e dimenticare che il collega si è comprato (facendo debiti) l’ultimo iPod.
Dio onora chi è savio e prudente, chi non fa debiti e impara a accontentarsi di quello che ha. L’Apostolo Paolo l’ha detto molto bene: “La pietà (cioè il desiderio di fare piacere a Dio e il timore di Dio), con animo contento del proprio stato, è un gran guadagno. Infatti non abbiamo portato nulla nel mondo, e neppure possiamo portarne via nulla, ma avendo di che nutrirci e coprirci, saremo di questo contenti. L’amore del denaro è radice di ogni specie di mali e alcuni che vi si sono dati, si sono sviati dalla fede e si sono procurati molti dolori” (1 Timoteo 6:6-8,10).
E vi prometto, per esperienza, che con questo programma e questi proponimenti, presi di comune accordo, non litigherete con vostro marito o con vostra moglie e, ogni tanto, ci scapperà anche qualche piccola pazzia o addirittura una sorpresa, come è capitato una volta a noi. Ve lo racconto la prossima volta.
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L’amore non è bello se non è litigarello
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Sapete qual è il peggior modo per andare d’accordo? Secondo mio marito, è litigare.
Almeno, dice lui, litigando viene fuori quello che non va e che si cova dentro. Litigando si sa quello che l’altro pensa, si mette sul tavolo quello che dispiace, e si può capire che cosa facciamo che il nostro partner non gradisce.
Però, dice ancora mio marito, si può litigare bene e litigare male.
Si litiga bene se si ha l’intenzione di capire meglio l’altro e trovare soluzioni e accordi. E si può litigare male per ferire e innalzare barriere a volte insormontabili.
Per litigare bene bisognerebbe non alzare la voce, ascoltare l’altro, cercare di capire il suo punto di vista e essere pronti e decisi a trovare un accordo.
Per litigare male basta dire due parole: “sempre” (tipo, tu sei sempre dispettoso e maleducato) e “mai” (tu non fai mai... non dici mai... non vuoi mai…) e stare sempre sulla difensiva, senza ammettere di avere torto, almeno qualche volta.
Non esiste una coppia che non abbia mai litigato. Chi afferma di essere andato sempre liscio e d’accordo con la moglie o il marito non me la racconta giusta. O ha perso la memoria o è scemo o non dice la verità. Di lì non si scappa.
Non è possibile che in una coppia non ci siano delle differenze di opinione, degli screzi o delle incomprensioni. E non è possibile che un peccatore che sposa una peccatrice non si trovi davanti alla somma dei peccati di tutti e due. Tutti e due sono egoisti, vogliono avere ragione, vogliono far valere i loro diritti, non vogliono cedere e si portano dietro un bagaglio di esperienze diverse. Spesso poco buone, per giunta.
E, in più, si trovano davanti a delle sorprese. Il marito non è più quel tesoro di fidanzato, premuroso e conciliante, pieno di attenzioni, che rideva facilmente e che aveva sempre la battuta pronta. E la moglie non è più come quella fidanzata che lo ascolava rapita, quando lui le parlava del suo lavoro e dei suoi progetti. Che sembrava essere sempre ragionevole e appassionatamente innamorata. La realtà è spesso un po’ più cruda. Lui è abituato a essere servito e lei è piuttosto viziata e pigra. E come cambia di umore!
Risultato: si litiga. Un po’ all’inizio. E poi, sempre un po’ di più. Particolarmente, se non si prendono le “opportune” misure.
Per tornare alle parole d’oro di mio marito, litigare può essere un modo per trovare un accordo, anche se è il modo peggiore a nostra disposizione. Ma non è la fine del mondo, purché non diventi un’abitudine e purché ci sia fra i due litiganti un sottofondo di vero amore e la determinazione a non farsi del male.
Ma perché si litiga? Ne parliamo la prossima volta.
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Sapete qual è il peggior modo per andare d’accordo? Secondo mio marito, è litigare.
Almeno, dice lui, litigando viene fuori quello che non va e che si cova dentro. Litigando si sa quello che l’altro pensa, si mette sul tavolo quello che dispiace, e si può capire che cosa facciamo che il nostro partner non gradisce.
Però, dice ancora mio marito, si può litigare bene e litigare male.
Si litiga bene se si ha l’intenzione di capire meglio l’altro e trovare soluzioni e accordi. E si può litigare male per ferire e innalzare barriere a volte insormontabili.
Per litigare bene bisognerebbe non alzare la voce, ascoltare l’altro, cercare di capire il suo punto di vista e essere pronti e decisi a trovare un accordo.
Per litigare male basta dire due parole: “sempre” (tipo, tu sei sempre dispettoso e maleducato) e “mai” (tu non fai mai... non dici mai... non vuoi mai…) e stare sempre sulla difensiva, senza ammettere di avere torto, almeno qualche volta.
Non esiste una coppia che non abbia mai litigato. Chi afferma di essere andato sempre liscio e d’accordo con la moglie o il marito non me la racconta giusta. O ha perso la memoria o è scemo o non dice la verità. Di lì non si scappa.
Non è possibile che in una coppia non ci siano delle differenze di opinione, degli screzi o delle incomprensioni. E non è possibile che un peccatore che sposa una peccatrice non si trovi davanti alla somma dei peccati di tutti e due. Tutti e due sono egoisti, vogliono avere ragione, vogliono far valere i loro diritti, non vogliono cedere e si portano dietro un bagaglio di esperienze diverse. Spesso poco buone, per giunta.
E, in più, si trovano davanti a delle sorprese. Il marito non è più quel tesoro di fidanzato, premuroso e conciliante, pieno di attenzioni, che rideva facilmente e che aveva sempre la battuta pronta. E la moglie non è più come quella fidanzata che lo ascolava rapita, quando lui le parlava del suo lavoro e dei suoi progetti. Che sembrava essere sempre ragionevole e appassionatamente innamorata. La realtà è spesso un po’ più cruda. Lui è abituato a essere servito e lei è piuttosto viziata e pigra. E come cambia di umore!
Risultato: si litiga. Un po’ all’inizio. E poi, sempre un po’ di più. Particolarmente, se non si prendono le “opportune” misure.
Per tornare alle parole d’oro di mio marito, litigare può essere un modo per trovare un accordo, anche se è il modo peggiore a nostra disposizione. Ma non è la fine del mondo, purché non diventi un’abitudine e purché ci sia fra i due litiganti un sottofondo di vero amore e la determinazione a non farsi del male.
Ma perché si litiga? Ne parliamo la prossima volta.
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Vivere nell’abbondanza
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Circa 40 anni fa, ho visto un nostro amico che, sull’altro lato della strada (menomale, perché così non ho dovuto mostrare che lo conoscevo!), saltava, anziché camminare. Non era esattamente un’andatura nomale... Era un meraviglioso credente, che, dopo qualche anno a Roma, è andato a predicare il Vangelo in Israele. Ora è in cielo e “salta” ancora di più per le strade d’oro del Paradiso.
Quando l’ho incontrato in chiesa gli ho chiesto: “Ma perché saltavi camminando?”.
“Mi hai visto?”
“Sì.”
“Pensavo a quanto ero ricco nel conoscere il Signore e mi è venuto in mente il salmo che dice: “Saltate di gioia” e mi sono messo a saltare”. Quando si parla di applicazione letterale delle Scritture...
Una cosa è, in ogni modo, certa: dovremmo saltare di gioia, almeno dentro di noi, nel renderci conto di quanto siamo ricchi e dovremmo saltare di gioia per il privilegio di potere seguire le orme di Gesù.
L’apostolo Pietro ne parla dicendo: “A questo siete stati chiamati, perché anche Cristo ha sofferto per voi, lasciandovi un esempio, affinché seguiate le sue orme” (1Pietro 2:21-25).
Ecco come.
“Egli non commise peccato” – siamo chiamati a vivere una vita pura.
“Nella sua bocca non si è trovato inganno” – non dobbiamo mai dire bugie di nessun tipo, neppure quelle che chiamano “bianche”. La mia vicina le chiama “rosa”, tanto per essere originale!
“Oltraggiato non rendeva gli oltraggi” – non si rivoltava e non rendeva pan per focaccia.
“Soffrendo, non minacciava” – non covava sentimenti di vendetta.
“Ma si rimetteva nelle mani di Colui che giudica giustamente” – lasciava a Dio il compito di vendicarlo. E Dio Padre lo sa fare mooooolto meglio di chiunque.
“Egli ha portato i nostri peccati nel suo corpo, sul legno della croce” – ha reso possibile la nostra salvezza, è stato pronto a dare la sua vita per noi. Noi non possiamo salvare nessuno, ma possiamo parlare della salvezza e usare il nostro tempo per parlarne.
“Affinché morti al peccato, vivessimo per la giustizia” – ci dà la forza di vivere una vita giusta per mezzo del suo Spirito. Sarà una buona testimonianza!
“e mediante le sue lividure siete stati guariti” – tulle le ferite provocate dal nostro peccato e dal male che altri ci hanno fatto, sono state guarite. Confortiamo e aiutiamo chi soffre.
“Poiché eravate erranti come pecore” – Cristo ci ha trovati confusi, feriti, malridotti. Aiutiamo i confusi che incontriamo.
“Ma ora siete tornati al pastore e guardiano delle vostre anime” – abbiamo una guida sicura, e uno che ci protegge e non ci perde mai di vista. Parliamone.
Se dopo questa lista non ci mettiamo a saltare anche noi, come il mio amico, siamo proprio fatti o di gelatina o di coccio.
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Circa 40 anni fa, ho visto un nostro amico che, sull’altro lato della strada (menomale, perché così non ho dovuto mostrare che lo conoscevo!), saltava, anziché camminare. Non era esattamente un’andatura nomale... Era un meraviglioso credente, che, dopo qualche anno a Roma, è andato a predicare il Vangelo in Israele. Ora è in cielo e “salta” ancora di più per le strade d’oro del Paradiso.
Quando l’ho incontrato in chiesa gli ho chiesto: “Ma perché saltavi camminando?”.
“Mi hai visto?”
“Sì.”
“Pensavo a quanto ero ricco nel conoscere il Signore e mi è venuto in mente il salmo che dice: “Saltate di gioia” e mi sono messo a saltare”. Quando si parla di applicazione letterale delle Scritture...
Una cosa è, in ogni modo, certa: dovremmo saltare di gioia, almeno dentro di noi, nel renderci conto di quanto siamo ricchi e dovremmo saltare di gioia per il privilegio di potere seguire le orme di Gesù.
L’apostolo Pietro ne parla dicendo: “A questo siete stati chiamati, perché anche Cristo ha sofferto per voi, lasciandovi un esempio, affinché seguiate le sue orme” (1Pietro 2:21-25).
Ecco come.
“Egli non commise peccato” – siamo chiamati a vivere una vita pura.
“Nella sua bocca non si è trovato inganno” – non dobbiamo mai dire bugie di nessun tipo, neppure quelle che chiamano “bianche”. La mia vicina le chiama “rosa”, tanto per essere originale!
“Oltraggiato non rendeva gli oltraggi” – non si rivoltava e non rendeva pan per focaccia.
“Soffrendo, non minacciava” – non covava sentimenti di vendetta.
“Ma si rimetteva nelle mani di Colui che giudica giustamente” – lasciava a Dio il compito di vendicarlo. E Dio Padre lo sa fare mooooolto meglio di chiunque.
“Egli ha portato i nostri peccati nel suo corpo, sul legno della croce” – ha reso possibile la nostra salvezza, è stato pronto a dare la sua vita per noi. Noi non possiamo salvare nessuno, ma possiamo parlare della salvezza e usare il nostro tempo per parlarne.
“Affinché morti al peccato, vivessimo per la giustizia” – ci dà la forza di vivere una vita giusta per mezzo del suo Spirito. Sarà una buona testimonianza!
“e mediante le sue lividure siete stati guariti” – tulle le ferite provocate dal nostro peccato e dal male che altri ci hanno fatto, sono state guarite. Confortiamo e aiutiamo chi soffre.
“Poiché eravate erranti come pecore” – Cristo ci ha trovati confusi, feriti, malridotti. Aiutiamo i confusi che incontriamo.
“Ma ora siete tornati al pastore e guardiano delle vostre anime” – abbiamo una guida sicura, e uno che ci protegge e non ci perde mai di vista. Parliamone.
Se dopo questa lista non ci mettiamo a saltare anche noi, come il mio amico, siamo proprio fatti o di gelatina o di coccio.
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Vita esuberante... Occhio alle scivolate!
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Un pastore predicava con grande foga sulla bellezza della vita esuberante e della pienezza dello Spirito Santo. A un certo punto, ha alzato gli occhi piamente verso l’angolino del soffitto della sala di culto e ha detto: “Fratelli, vi confesso che da quando ho capito i principi della vita esuberante, non ho più peccato!”.
Silenzio. Solo la moglie, seduta in prima fila, ha sussurrato: “Attento, che ci sono quì io!”.
È un fatto che tutti parliamo della nostra pochezza, della nostra fragilità, della nostra umanità, ma ci sentiamo anche molto sicuri della nostra santità. È vero, non ci piove sul fatto che la nostra salvezza è assicurata dalla potente mano di Cristo che ci sostiene. Ma i pericoli delle scivolate ci sono sempre. E dobbiamo farci attenzione.
L’apostolo Pietro, che quanto a scivolate aveva una certa esperienza, ha scritto: “Siate sobri, vegliate: il vostro avversario, il diavolo, va attorno come un leone ruggente cercando chi possa divorare. Resistetegli...” (1 Pietro 5:8).
La vita cristiana è un cammino accidentato e in salita. Fin dall’inizio, nella chiesa primitiva, ci sono state persone che hanno cercato di attaccare la verità del vangelo. E non era sempre gente che veniva da fuori, che combatteva la verità. Spesso usciva dalla comunità dei credenti stessi. “Se qualcuno vi annuncia un vangelo diverso da quello che avete ricevuto, sia anatema (che significa maledetto)” diceva l’apostolo Paolo ai Galati (1:9), e li metteva in guardia da religiosi che predicavano la salvezza per opere.
A Timoteo scriveva di evitare di far compagnia con due tipi, Imeneo e Fileto, che propagavano idee sbagliate sulla resurrezione e avevano deviato dalla verità (2 Timoteo 2:16-18). Agli anziani che guidavano la chiesa di Efeso disse che dovevano fare attenzione ai “lupi rapaci” che avrebbero cercato di sviare i credenti. Ai credenti di Colosse scrisse dicendo: “Guardate che nessuno faccia di voi sua preda con la filosofia e con vani raggiri secondo la tradizione degli uomini e gli elementi dl mondo e non secondo Cristo” (2:8).
Gesù, mentre era sulla terra, aveva già parlato di falsi Cristi e falsi profeti. E quanti ce ne sono anche oggi!
Proprio a me e mio marito, tempo fa, si è accostato un tipo ben vestito che ci ha confidato che stava andando dai suoi seguaci perché lui era Gesù Cristo. È chiaro: era un matto. Ma aveva chi lo ascoltava.
Oggi, per esempio, va di moda “il vangelo del benessere”. “Chi è credente deve stare bene e essere ricco!” si dice. Ma dove sta scritto, quando Gesù ha detto, invece, che nel mondo avremo tribolazioni? E poi si crede alle sciocchezze del Codice Da Vinci, o alle profezie e alle rivelazioni di questo o di quel guaritore. E poi ci sono le sette e i movimenti spirituali. E guardate: cominciano tutti con gente che ha conosciuto il Vangelo, ma lo ha sovvertito con le sue idee bacate. Leggete 2 Pietro capitolo 2, se non ci credete!
Allora che fare, come difendersi?
Per prima cosa, badare a avere una vita pulita, limpida e santa. Molte volte, se non sempre, i falsi profeti e i lupi rapaci sottilmente spingono verso l’immoralità e i compromessi morali. E questi, a volte, fanno molto comodo.
La Bibbia parla dell’importanza di avere una coscienza pulita e limpida, priva di ombre morali o dottrinali e Paolo nomina alcuni che avevano rinunciato a avere “una buona coscienza” e che, di conseguenza, avevano “fatto naufragio quanto alla fede”.
In secondo luogo, la buona coscienza si deve mantenere, confrontando sempre quello che si sente, si legge e si ascolta con la Parola di Dio. Esattamente come facevano i credenti della chiesa di Berea, che non si fidavano neppure dell’apostolo Paolo, ma verificavano quello che diceva con le Scritture “per vedere se le cose stavano così”.
Vi pare che ripeta sempre le stesse cose? Può darsi, ma lo farò finché campo. Ciao!
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Un pastore predicava con grande foga sulla bellezza della vita esuberante e della pienezza dello Spirito Santo. A un certo punto, ha alzato gli occhi piamente verso l’angolino del soffitto della sala di culto e ha detto: “Fratelli, vi confesso che da quando ho capito i principi della vita esuberante, non ho più peccato!”.
Silenzio. Solo la moglie, seduta in prima fila, ha sussurrato: “Attento, che ci sono quì io!”.
È un fatto che tutti parliamo della nostra pochezza, della nostra fragilità, della nostra umanità, ma ci sentiamo anche molto sicuri della nostra santità. È vero, non ci piove sul fatto che la nostra salvezza è assicurata dalla potente mano di Cristo che ci sostiene. Ma i pericoli delle scivolate ci sono sempre. E dobbiamo farci attenzione.
L’apostolo Pietro, che quanto a scivolate aveva una certa esperienza, ha scritto: “Siate sobri, vegliate: il vostro avversario, il diavolo, va attorno come un leone ruggente cercando chi possa divorare. Resistetegli...” (1 Pietro 5:8).
La vita cristiana è un cammino accidentato e in salita. Fin dall’inizio, nella chiesa primitiva, ci sono state persone che hanno cercato di attaccare la verità del vangelo. E non era sempre gente che veniva da fuori, che combatteva la verità. Spesso usciva dalla comunità dei credenti stessi. “Se qualcuno vi annuncia un vangelo diverso da quello che avete ricevuto, sia anatema (che significa maledetto)” diceva l’apostolo Paolo ai Galati (1:9), e li metteva in guardia da religiosi che predicavano la salvezza per opere.
A Timoteo scriveva di evitare di far compagnia con due tipi, Imeneo e Fileto, che propagavano idee sbagliate sulla resurrezione e avevano deviato dalla verità (2 Timoteo 2:16-18). Agli anziani che guidavano la chiesa di Efeso disse che dovevano fare attenzione ai “lupi rapaci” che avrebbero cercato di sviare i credenti. Ai credenti di Colosse scrisse dicendo: “Guardate che nessuno faccia di voi sua preda con la filosofia e con vani raggiri secondo la tradizione degli uomini e gli elementi dl mondo e non secondo Cristo” (2:8).
Gesù, mentre era sulla terra, aveva già parlato di falsi Cristi e falsi profeti. E quanti ce ne sono anche oggi!
Proprio a me e mio marito, tempo fa, si è accostato un tipo ben vestito che ci ha confidato che stava andando dai suoi seguaci perché lui era Gesù Cristo. È chiaro: era un matto. Ma aveva chi lo ascoltava.
Oggi, per esempio, va di moda “il vangelo del benessere”. “Chi è credente deve stare bene e essere ricco!” si dice. Ma dove sta scritto, quando Gesù ha detto, invece, che nel mondo avremo tribolazioni? E poi si crede alle sciocchezze del Codice Da Vinci, o alle profezie e alle rivelazioni di questo o di quel guaritore. E poi ci sono le sette e i movimenti spirituali. E guardate: cominciano tutti con gente che ha conosciuto il Vangelo, ma lo ha sovvertito con le sue idee bacate. Leggete 2 Pietro capitolo 2, se non ci credete!
Allora che fare, come difendersi?
Per prima cosa, badare a avere una vita pulita, limpida e santa. Molte volte, se non sempre, i falsi profeti e i lupi rapaci sottilmente spingono verso l’immoralità e i compromessi morali. E questi, a volte, fanno molto comodo.
La Bibbia parla dell’importanza di avere una coscienza pulita e limpida, priva di ombre morali o dottrinali e Paolo nomina alcuni che avevano rinunciato a avere “una buona coscienza” e che, di conseguenza, avevano “fatto naufragio quanto alla fede”.
In secondo luogo, la buona coscienza si deve mantenere, confrontando sempre quello che si sente, si legge e si ascolta con la Parola di Dio. Esattamente come facevano i credenti della chiesa di Berea, che non si fidavano neppure dell’apostolo Paolo, ma verificavano quello che diceva con le Scritture “per vedere se le cose stavano così”.
Vi pare che ripeta sempre le stesse cose? Può darsi, ma lo farò finché campo. Ciao!
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Ancora, sulla vita esuberante
Maria Teresa, quello che hai scritto sulla vita esuberante mi ha aiutata. Desidero con tutto il cuore piacere al Signore e avere una vita esuberante. Io però sono un tipo molto emotivo e mi butto giù molto facilmente. Vuol dire che mi manca qualcosa? Per favore, aiutami. —Paola
Paola, la tua nota è arrivata proprio a cece, perché avevo già intenzione di parlare della parte che abbiamo noi nello sperimentare la vita di Gesù ad esuberanza.
Prima di tutto, è importante che tu ti ricordi di essere donna e noi donne siamo, per natura, emotive. Se le cose vanno bene ci sentiamo eccitate e felici; se vanno male, il nostro stomaco diventa un malloppo duro e la testa ci fa male. Metti nel conto questa realtà che non ha niente a che fare con l’esperienza di una vita ad esuberanza.
Solo se questa tendenza alla tristezza fosse una costante che domina la tua vita, dovresti esaminarti bene se stai bene in salute, oppure – che ne so – se c’è un perdono che non hai concesso, o un peccato ricorrente che non sai dominare, o un rancore che non hai ancora risolto. Se coviamo dei sentimenti negativi, la vita ad esuberanza è impossibile.
Però, pensando a una situazione “normale”, e spero che la tua lo sia, io vedo l’importanza di alcune cose per sperimentare una gioia costante e profonda, che, secondo me, è il sintomo di una relazione buona col Signore e di una vita piena e felice con Lui.
La prima è non trascurare la preghiera, accompagnata da un atteggiamento totale di sottomissione al Signore. È inutile avvicinarci a Lui con dei “ma”, dei “se” o dei “però” o, peggio di tutto, dei “perché?”.
Se crediamo che Dio sia giusto, buono e santo, i “perché” li conosce Lui. Non è una questione di fatalismo, ma è un’abitudine ad avere fiducia nella sua bontà, nella sua santità e nella sua giustizia. Io chiedo le cose al Signore, ma non le pretendo. Gli dico quello che vorrei, ma non gli dò ordini e non faccio l’offesa se non me lo concede. Lui sa quello che è il mio bene e quello dei miei cari.
La seconda cosa è la lettura onesta, regolare e sistematica della Parola di Dio e la determinazione a metterla seriamente in pratica. Giacomo esortava i credenti a “ricevere la Parola con mansuetudine”. Se non abbiamo intenzione di sottometterci, scordiamoci la vita esuberante. Le obbiezioni a Dio non fanno parte della vita cristiana.
Terza cosa è camminare nella luce, cioè vivere cercando di mettere in pratica la Parola di Dio, confessando ogni peccato e vivendo nella trasparenza con Dio. Il Salmista chiedeva, nel Salmo 139: “Prova e conosci i miei pensieri, vedi se c’è in me qualche via iniqua e guidami per la via eterna”. Il Signore ci può convincere di peccati occulti, e di cose che non consideriamo peccati, ma che lo sono. Ascoltiamolo.
Quarta cosa, vivere praticando la presenza di Dio. Questo non vuol dire pregare tutto il tempo o cantare inni a squarciagola (anche se cantare ci fa bene!), ma essere conscie che Gesù è accanto a noi tutto il tempo e in ogni momento ci vede.
Quando siamo con una persona che rispettiamo, certamente ci comportiamo al meglio. Se vediamo che c’è un vigile, non passiamo col rosso. Se siamo convinti che Gesù ci sta guardando, faremo le cose giuste.
Questo, per me, è il modo per realizzare la vita esuberante nel Signore. Forse ti sembro troppo facilona. Ma, per me, funziona. Fammi sapere!
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