Piangono anche loro!

Quando sono stata in Inghilterra da ragazza, per imparare l’inglese, ho lavorato in una scuola privata per ragazze inglesi di buonissima famiglia. C’erano, fra le allieve, perfino tre nipoti dell’Imperatore di Etiopia. Potete immaginare il grado di etichetta. Tutto “very proper”, come si dice in inglese. O “tutto per benino” come diceva mia mamma.

Il primo giorno di scuola la direttrice ha fatto un bel discorso alle allieve e la prima delle raccomandazioni è stata che in nessun modo dovevano mostrare e esternare le loro emozioni, buone o cattive che fossero. Dovevano ridere, piangere, arrabbiarsi, rattristarsi, rallegrarsi solo “dentro”. “Esternare le emozioni è la cosa più disdicevole che ci sia” ha detto. “Tutt’al più si può sorridere”.

Le poverette dovevano perfino guardare la partita della loro scuola contro un’altra scuola, altrettanto “proper”, senza gridare, sbracciarsi o saltare. Solo le nipoti dell’Imperatore non ci badavano e si esibivano in quella che gli Africani, allora, chiamavano una “fantasia”, cioè un balletto rituale.

“Questione di cultura” ha commentato la direttrice con sufficienza e piuttosto disgustata.

Anche da noi, in Italia, una volta si diceva che un “vero uomo non piange” e si insegnava ai maschietti che non dovevano mai piangere in pubblico.

Sembra che oggi le cose siano molto cambiate. Vediamo in TV uomini che si commuovono e chi mai avrebbe la lagrima più facile del Presidente Clinton?

Anche gli Inglesi cambiano. Un’inchiesta condotta fra 2000 uomini inglesi ha rivelato che:
  • il 77% ha ammesso che si poteva piangere in pubblico, per ragioni accettevoli,
  • il 50% ha affermato di avere pianto durante la proiezione di un film commovente,
  • il 17% ha ammesso di avere pianto sulle proprie miserie,
  • il 9% ha confessato di avere pianto a un matrimonio.
Un grosso cambiamento, senza dubbio. Pare che una delle ragioni di questo cambiamento sia che gli uomini interagiscono molto di più in maniera confidenziale con le donne, al lavoro e nella società in generale, e hanno imparato a essere più trasparenti.

Io ho visto mio padre piangere molto compostamente, quando mi ha detto che sua mamma, la mia nonna Maria, era morta. E l’ho visto piangere, quando sono partita per andare a studiare fuori casa. L’ho trovato bello, perché mi ha fatto capire che aveva un cuore molto tenero dietro a una crosta piuttosto severa.

Il Signore Gesù ha pianto per la morte di Lazzaro, ha pianto sulla durezza di cuore di Gerusalemme e nel giardino di Getsemani ha esternato il suo turbamento e la sua angoscia. L’Apostolo Paolo ha pianto e ha ricordato le lacrime di Timoteo. Gli Efesini hanno pianto quando hanno salutato Paolo per l’ultima volta. Perché non dovremmo piangere noi?

A volte, ci facciamo un vanto perché piangiamo poco o niente. Ricordo che la signora Ciampi una volta ha detto a una giornalista che la intervistava: “Cocca mia, Franca Ciampi non piange!”

È bella la forza d’animo, ma quanto fa bene una bella piangiata!
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