Pasti felici e non

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Un modo perfetto per rovinare l’atmosfera di un pasto è iniziare una discussione a tavola, per risolvere dei problemi. Non mi riferisco a problemi come l’inquinamento mondiale o le conseguenze dell’eruzione del vulcano in Islanda. Quelli sono problemi che sappiamo risolvere tutti e in cui è facile trovare un accordo. Esattamente come quando tutti ci caliamo nel ruolo di commissari tecnici e parliamo delle partite o delle scorrettezze degli arbitri. Oppure, in veste di assessori comunali, ci sentiamo chiamati a risolvere i problemi del traffico nel centro di città come Roma o Milano. Queste sono cose da niente, soprattutto se tutti tifiamo per la stessa squadra, e se tutti non dobbiamo prendere troppi metro e bus.

Parlo piuttosto di discussioni su cose di famiglia. Tipo: la camera lasciata in disordine, la nota sul diario che dice che i temi del Sergio sono “slegati e scorretti” o il lavandino in cui sono stati lasciati dei capelli (un attento esame del DNA ha stablito che sono della Zia Cloe, che è venuta a abitare da noi perché è rimasta vedova). In questi casi, le cose sono veramente serie e si diventa tutti eccitati e belligeranti. E la gioia del pasto va a farsi benedire.

A volte, succede anche, a mio marito e a me, di essere invitati da qualche famiglia, che sembra convinta che fra un piatto di pasta e due fettine panate, possiamo sistemare il figlio adolescente ribelle, la figlia che vuole andare in discoteca e il padre che è troppo preso dal lavoro. È sempre una situaizione imbarazzante. Ne vengono fuori discussioni, musi e battibecchi assurdi e, soprattutto, inutili, per i quali noi, estranei, non possiamo fare assolutamente niente.

A tavola, bisognerebbe andarci animati da spiriti buoni. Pronti a complimentare la cuoca, desiderosi di parlare e ascoltare, senza criticare e senza tirare fuori soggetti delicati e scabrosi. C’è sempre qualcosa da raccontare. Basta pensarci.

Quando poi ci sono dei problemi, che riguardano tutti, si affrontano nella maniera giusta.

A casa nostra, è successo che, alla fine del pasto, mio marito abbia dovuto parlare di qualche situazione per la quale era importante pregare. Che si dovesse parlare di qualche decisione seria e si voleva sentire parere dei figli, che si dovessere decidere su orari da osservare o altre responsabilità.

Erano momenti importanti in cui tutti imparavamo a ascoltare, a cedere o a trovare compromessi e in cui qualcuno doveva anche abbozzare, come si dice a Roma.

Ricordo un caso, in cui mio marito ha dovuto comunicare ai figli che i nostri soldi erano pochi e che bisognava chiedere al Signore di provvedere in modo straordinario. D’altra parte, dovevamo ricordare di spegnere le luci quando uscivamo da una stanza, rinunciare alla carne e mangiare più fagioli, non comprare cose inutili, e forse, rinunciare alle vacanze.

I ragazzi non erano abituati a un discorso così serio. Perciò le loro preghiere, a fine pasto, furono più ferventi del solito.

Dopo qualche giorno, al ritorno dal lavoro, mio marito poté annunciare: “Non ci potete credere: ma abbiamo avuto, nella posta, un bel dono che ci aiuterà a arrivare alla fine del mese e forse anche un po’ più in là!”.

Gioia generale. Solo un figlio è rimasto serio e ci ha guardati tutti un po’ meravigliato.

“Non sei contento?”

“Certo che sono contento. Ma avevamo pregato, no?”

Dal più piccolo era venta una lezione di vera fede. Che problema c’era, quando si prega?
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