NON HANNO AVUTO PAURA

Vecchia come sono, spesso mi trovo a dire; “Me lo ha insegnato mia mamma... mia mamma lo cucinava così... mia mamma diceva... mio padre non me lo permetteva...”

L’influenza dei genitori, e quella soprattutto della mamma nei primi anni di vita di un bambino, buona o cattiva che sia, è incredibilmente forte. Se ci fate caso, una mamma solare, in genere ha figli ottimisti. Una mamma negativa spesso ha figli che vedono più il lato nero delle situazioni che quello luminoso.

La Bibbia parla di alcune mamme che ebbero una grossa influenza sui loro figli.

Una di loro era ebrea e viveva in schiavitù in Egitto con la sua famiglia. Era un momento difficile. Il Faraone che era vissuto in precedenza aveva trattato gli Ebrei molto bene. Aveva riservato loro una zona del paese, dove avrebbero potuto esercitare la pastorizia e prosperare. Poi gli era succeduto un altro re molto meno benevolo e molto preoccupato del fatto che gli Ebrei diventavano troppo numerosi.

Che fare? Semplice: i bambini ebrei maschi che venivano al mondo nel paese dovevano morire. (La storia si ripete: in Cina fino a poco tempo fa, il governo aveva deciso che nascevano troppe bambine. Di conseguenza l’ordine era che si dovevano abortire o uccidere appena partorite.)

Le levatrici ebree non ubbidirono all’ordine del re, tennero in vita i bambini e allora fu emanato l‘ordine di eliminare i maschietti, buttandoli nel Nilo. Ci avrebbero pensato i coccodrilli.

A quel tempo a Amram e Jokebed, una coppia ebrea, della tribù di Levi, nacque un maschietto bellissimo. Lo tennero nascosto per tre mesi, ma, alla lunga, sarebbero stati scoperti e puniti. E il bambino sarebbe stato ucciso.

“Jokebed, che facciamo? Il bambino cresce e non lo possiamo più tenere nascosto. Ma buttarlo nel fiume... mai!”

“Amram, io avrei un’idea...”

L’uomo ascolta, poi dice: “Va bene e che Dio ci aiuti. In ogni modo, all’ordine del re noi non ubbidiremo, costi quel che costi. Nostro figlio non lo ammazziamo”.

E Jokebed manda a effetto il suo piano. Prende un canestro, lo rende impermeabile con pece e bitume, ci adagia il bambino, lo copre bene, lo porta al fiume, e lo mette in un canneto, in modo che la corrente non lo porti via. La figlia più grandicella rimane a fargli la guardia da lontano. Possiamo immaginare le preghiere di quella mamma perché il piccolo sia protetto. E, mentre prega, le guance le si rigano di lacrime e lo stomaco le diventa come un nodo. Ma ha fede che Dio opererà.

Il piccino è nel canestro e la figlia del Faraone, con le sue serve va a fare il bagno al fiume. Vede il canestro, lo fa prendere, lo apre. Il piccolo piange. È tutto rosso. Ha fame. La principessa si commuove. “Deve essere un piccolo ebreo” pensa, “quanto è bello... Bisogna dargli da mangiare...”

Appare la sorellina: “Volete che vada a chiamare una balia?”

“Sì, va’...”

Miriam corre: “Mamma, mamma, sbrigati! Devi venire a dare il latte al piccolo. La principessa l’ha trovato!”

Jokebed corre, il petto le fa male da tanto è gonfio di latte. Arriva dalla principessa che ha fra le braccia il piccolo che urla dalla fame.

“Prendi questo bambino, allattalo. Ti pagherò”. Jokebed se lo attacca al petto. Poi lo porta a casa, lo cresce, gli insegna a camminare. E lo istruisce. Gli canta i canti degli Ebrei che parlano di Dio per addormentarlo, gli racconta le storie di Noè, di Abramo, di Giacobbe e di Giuseppe. Gli spiega che è figlio di Ebrei, del popolo scelto dall’Iddio creatore del cielo e della terra. Di un Dio che non si vede con gli occhi, ma che agisce e salva. Un Dio tutto diverso da quei brutti dei degli Egiziani che non vedono, non parlano e non sentono.

Il bambino ascolta, assorbe l’insegnamento dei suoi genitori, forse per tre o quattro anni (allora i bambini prendevano il latte per più tempo di adesso!). Poi Jokebed lo riporta alla reggia, alla figlia del faraone, che lo adotta e gli dà il nome Mosè, che significa “tirato fuori dall’acqua”. Essa lo fa istruire come un principe in tutta la sapienza degli Egiziani e gli mette a disposizione onori e ricchezze. Più o meno, fino all’età di 40 anni.

A quel momento, una svolta. La Parola di Dio racconta: “Per fede (la fede che aveva imparata da piccolissimo dai genitori) Mosè, fattosi grande, rifiutò di essere chiamato figlio della figlia del faraone, preferendo essere maltrattato col popolo di Dio, che godere per breve tempo i piaceri del peccato; stimando gli oltraggi di Cristo ricchezza maggiore dei tesori d’Egitto, perché aveva lo sguardo rivolto alla ricompensa” (Ebrei 11:24,25). Il buon seme gettato quando era piccolo, aveva attecchito.

Il resto della storia di Mosè è nel Libro dell’Esodo ed è magnifica.

La storia dei suoi genitori è un esempio di coraggio e di fedeltà, che dovrebbe spingerci a istruire i nostri figli nelle vie di Dio, nei primissimi anni della loro vita, quando le loro menti sono ancora libere e pronte a assorbire le verità della Parola di Dio e prima che psicologi e maestri non gliele riempiano di ogni sorta di bugie e nozioni false. Non aspettiamo che “capiscano” e decidano per conto loro, ascoltando più i compagni di scuola che i genitori.

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