IL CORAGGIO DELL’UBBIDIENZA

La situazione in famiglia era abbastanza strana. Un marito e due mogli, come si usava a quel tempo; parecchi figli da una e nessuno dall’altra.

Una moglie che, ogni mese, vedendo che non era incinta, scoppiava in lacrime, mentre l’altra si pavoneggiava, mostrando il suo bel pancione ogni volta che aspettava un figlio e che non risparmiava commenti acidi sulla sterilità dell’altra.

La prima moglie si chiamava Anna e la seconda Peninna. Il marito, Elkana, si barcamenava fra le due. Voleva molto bene a Anna e cercava goffamente di mostrarle il suo affetto. Le dava una doppia dose di cibo e le diceva che il suo amore avrebbe dovuto farla contenta più dei figli che, evidentemente, non venivano.

Ma Anna non voleva cibo: voleva un bambino!

Abitavano a Rama e, ogni anno, Elkana saliva a Silo per adorare il Signore e portava con se le sue due mogli e i figli. I pianti di una moglie e le frecciate dell’altra erano costanti. Facevano parte del ménage.

Il sacerdote che custodiva il tempio si chiamava Eli e faceva il suo mestiere di religioso senza molto impegno. I suoi due figli erano dei perfetti delinquenti. Approfittavano dei fedeli che venivano a offrire sacrifici, si facevano dare le parti migliori delle vittime, anziché offrirle al Signore, e minacciavano chi si opponeva loro. Il padre diceva loro che facevano male, ma non faceva nulla per impedire la loro condotta. Come troppi genitori di oggi, non vi pare?

Durante una di quelle visite annuali, Anna non riusciva a guardare Peninna con tutti quei suoi bei figli, mentre mangiavano contenti, e scoppiò a piangere. Si rifugiò nel tempio e pianse, pianse e pianse ancora.

Poi fece una preghiera molto impegnativa: “Signore, se mi dai un bambino maschio, sarà tuo. Lo consacrerò a te finché vivrà”.

Eli le si avvicinò e le parlò col tatto di un elefante: “Hai bevuto troppo, vai fuori a smaltire la tua sbornia!”

Anna gli rispose con grande gentilezza: “Non sono ubriaca. Sono tanto triste e stavo pregando, spandevo la mia anima davanti a Lui”.

“Va in pace, e il Signore ti esaudisca!” le rispose Eli.

Dopo quella preghiera, qualcosa successe nel cuore di Anna: aveva messo il problema nelle mani del Signore, gli aveva fatto una promessa e ora il problema non era più suo. Era del Signore. Tornò da Elkana, chiese da mangiare (possiamo immaginare il viso meravigliato di quel marito?). Il suo viso era disteso e sereno.

Dopo un anno stringeva fra le braccia un piccolino, a cui mise nome Samuele. Lo allattò, lo curò con grande tenerezza, lo vide crescere. Quando fu divezzato, risalì al tempio e mantenne la sua promessa: lasciò a Eli il suo bambino, il suo tesoro tanto desiderato, perché imparasse a servire il Signore.

Ogni anno lo andava a trovare e gli portava una tunica nuova (intanto la sua vita era cambiata di molto, perché, dopo Samuele, ebbe ben tre figli e due figlie!). Come ci sarà rimasta Peninna che la prendeva tanto in giro?

Samuele, dal canto suo, cresceva e era gradito a Dio e agli uomini e il Signore era con lui. Il ragazzo non trascurava nessuna delle parole che Dio gli diceva e, a un certo punto, Dio gli rivolse una chiamata precisa a seguirlo (questa storia, con molti altri particolari si trova nella Bibbia nel primo Libro di Samuele capp. 1-3).

In seguito, Samuele divenne un giudice fedele che il Signore usò per guidare il suo popolo.

Ma torniamo a Anna. Come ogni donna, desiderava un figlio e, prima di concepirlo e di metterlo al mondo, in preghiera aveva promesso al Signore di consacrarlo a Lui, perché lo servisse. Aveva promesso che non lo avrebbe tenuto per sé.

Non era stata una promessa da niente, dato che lo portò al tempio quando era ancora molto piccolo e lo mise sotto la custodia di Eli, che come educatore valeva piuttosto poco. In più, sapeva che sarebbe cresciuto con davanti agli occhi l’esempio dei due figli di Eli, che la Bibbia chiama scellerati. Un bel coraggio. Ma una promessa è una promessa e si deve mantenere. Anna è stata ricompensata.

Ogni donna credente, quando si accorge di essere incinta, certamente chiede molte cose al Signore: che il piccino sia sano, che non abbia difetti, che sia buono, che cresca bene, che sia intelligente. Credo che ognuna, con suo marito, preghi anche che diventi un credente e serva il Signore.

Ma quante di noi fanno come Anna, che ha allevato Samuele per il Signore e poi lo ha avviato, costi quello che costi, nelle sue vie con consapevolezza, perseveranza e coerenza? È un lavoro impegnativo e, a volte, pesante. Ma ne vale la pena.

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