“QUELLO CHE LA TUA MANO ...

trova da fare, fallo con tutte le tue forze”. Questo incitamento, per non dire quest’ordine, si trova nella Bibbia e precisamente nel Libro dell’Ecclesiaste, cap. 9 e vers. 10, un libro, a prima vista, un po’ cupo e pessimista, ma bellissimo, scritto dal re Salomone quando era vecchio.

È un po’ uno dei motti della mia vita e fra i giovani della nostra chiesa evangelica è chiamato “versetto mariateresiano”. In fatti, lo cito spesso, soprattutto per incoraggiare me stessa.

È un versetto meraviglioso, perché non ti lascia dubbi teologici, non si presta a interpretazioni simboliche o cevellotiche e il suo contesto è inequivocabile. Ascoltatelo: “Godi la vita con la moglie (io mi permetto di aggiungere il marito) che ami, durante tutti i giorni della tua vanità (vita che sfugge come un vapore), che Dio ti ha data sotto il sole; poiché questa è la tua parte nella vita, in mezzo a tutta la fatica che duri sotto il sole. Tutto quello che la tua mano trova da fare, fallo con tutte le tue forze; perché nel soggiorno dei morti dove vai, non v’è più né lavoro, né pensiero, né scienza, né sapienza”.

In altre parole, vivi la vita pienamente, usa ogni minuto con tutta l‘energia e l’entusiasmo possibili, approfitta di ogni occasione per essere utile, perché la vita non dura sempre e da morto non avrai modo di fare molto. Salomone non aveva idee chiarissime sull’aldilà, come la maggior parte degli Ebrei, ma i credenti in Cristo, che si appoggiano sulla Bibbia, sanno che li aspetta un meraviglioso avvenire di gioia nella presenza del Signore. E, chissà, di pieno servizio per l’eternità.

Detto questo, mentre siamo vivi, non dobbiamo perdere le occasioni per essere utili.

A me è successa una bella esperienza, un paio di settimane fa. Ero andata a Roma, all’ufficio dell’Associazione Verità Evangelica, con l’intenzione di scrivere qualcosa di utile sul mio computer.

Ma, prima di mettermici, ho chiesto: “Posso essere utile in qualcosa?”. Lo chiedo sempre, ma, in genere, mi dicono che tutto procede felicemente senza di me. Invece, mi hanno detto: “Ci sarebbero da attaccare le etichette sulle buste per la spedizione della VOCE.”

I lavori ripetitivi non sono la mia passione, ma, ricordando il versetto che ho citato più sopra (e sentendomi ultra nobile e virtuosa), ho detto: “Va bene, datemi il materiale”.

Le buste non erano poche e neppure le etichette. La VOCE va dalla Valle d’Aosta alla Sicilia e, grazie a Dio, i nostri amici son tanti.

Ho cominciato dalla Lombardia e ho finito a Bari. È un lavoro che non richiede una particolare intelligenza, basta solo fare attenzione a non scombinare i codici postali e prendere il ritmo. Umanamente, una vera pizza, ma non sapete quanto me la sono goduta.

Ho ritrovato nomi di amici vecchi dimenticati e di giovani, conosciuti di recente, e ho trovato un buon motivo per pregare per tanti, a cui di solito, non penso.

Mi dicevo: “Questo deve essere ben vecchio, chissà come gli va la salute: Signore, aiutalo a non sentirsi troppo solo... Credevo che questo fosse già morto... Questo mi ha fatta disperare durante i campi per ragazzi, ma grazie, Signore, che è rimasto fedele!... Questa ha fatto la scuola di vita cristana a Isola: Signore, aiutala a servire con gioia la sua famiglia... Ma guarda dove è finito questo! Da giovane stava nel foggiano...”.

E così via e così avanti per il pomeriggio e una parte della serata, finché mio marito non ha finito i suoi colloqui e siamo andati a casa.

Secondo Ecclesiaste 9:10, la mia mano ha trovato da fare un doppio lavoro: aiutare in ufficio e parlare col Signore di un pacco di gente. Un pomeriggio da ripetere.

Ma non finisce qui. Ne riparliamo la prossima volta.
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