Quando i nostri bambini erano piccoli, non potevano sfuggire alla “parola magica”, quando chiedevano un dolcetto e lo ricevevano, oppure quando qualcuno faceva loro un regalo.
La parola magica era “grazie”. Senza quella, niente dolcetto e niente regalo. Naturalmente loro, che non erano stupidi, ne avevano capito l’importanza e si affrettavano a pronunciarla.
Mio padre mi raccontava che quando suo padre gli applicava la disciplina sulla sede naturale dell’apprendimento, cioè sul sederino, doveva poi dirgli: “Grazie, papà” e baciargli la mano. Altri tempi!
Noi, coi nostri figli, non siamo arrivati a un punto simile. Dopo la disciplina, avevamo l’abitudine di rassicurarli del nostro amore, ma al rispetto e alle buone maniere ci abbiamo sempre tenuto. E non abbiamo tollerato arroganza o scortesia da parte loro.
La riconoscenza è una pratica che si impara. Mio marito mi ringrazia per un buon pasto o per una camicia ben stirata e io lo ringrazio se mi porta il sacco della spesa o mi tiene aperto lo sportello della macchina. Lo troviamo normale e abbiamo cercato di inculcarlo ai figli. Se tante coppie si trattassero con cortesia e si rivolgessero la parola in modo civile, eviterebbero molti problemi.
Però c’è un ringraziamento di stagione, che porterebbe la pace in tante famiglie e l’armonia in tante persone. Mi spiego. Sta per arrivare il Natale e le nostre strade si adornano di stelle comete luminose, di festoni scintillanti, le vetrine dei negozi luccicano d’oro e la gente comincia a fare la lista delle persone a cui fare regali. Tutti NON diventano più buoni, ma cominciano a darsi un gran da fare e diventano un po’ più nervosi. Pochissimi pensano al perché di tanto trambusto, ma seguono la corrente e la tradizione. Vi si adeguano sospirando e pregustano il cenone e il panettone. Ma a Gesù chi ci pensa?
Anche se nessuno sa in che giorno Gesù sia nato (probabilmente è nato in primavera, ma la cosa non ci interessa) è sicuro che in un momento preciso della storia umana è nato, a Betlemme, in Giudea, concepito miracolosamente da Maria vergine, per opera dello Spirito Santo. Ed è importante che sia nato. Era necessario che Il Figlio di Dio, la seconda persona della Trinità, si incarnasse e venisse per morire per i nostri peccati, per riscattare l’umanità e darci la possibilità di essere riconciliati con Dio.
E questo dovrebbe essere un gran motivo di ringraziamento, in questa stagione e sempre.
L’Apostolo Paolo ha esclamato: “Sia ringraziato Dio per il suo dono ineffabile!”.
Gesù è il dono dell’amore di Dio Padre per il mondo perduto e separato da Dio. È l’unico mezzo di salvezza, è l’unica via che ci porta a Dio.
Quando gli angeli hanno dato ai pastori l’annuncio della nascita di Gesù, hanno detto: “Non temete, perché ecco vi reco una buona notizia di una grande allegrezza che tutto il popolo avrà: Oggi, nella città di Davide, vi è nato un Salvatore, che è Cristo, il Signore”. La buona notizia è l’evangelo.
Quando Gesù ha cominciato a predicare, ha detto: “Ravvedetevi, e credete all’Evangelo!”. Il nostro ringraziamento deve cominciare dal riconoscerci peccatori perduti e senza speranza, ma invitati a ricevere il dono inspiegabile e indescrivibile della salvezza per grazia.
Hai capito di essere un peccatore senza speranza? Hai accettato questo dono? Hai ringraziato Dio per avercelo dato? Dirgli “grazie” con tutto il cuore, ti aprirebbe la via del cielo.
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RINGRAZIARE, PERCHÉ?
In America, alla fine di novembre, si celebra “il giorno del ringraziamento”, che ricorda un momento importante della storia americana.
Un anno dopo che erano arrivati in America, i primi pellegrini emigrati dall’Olanda e dall’Inghilterra, istituirono una festa, per celebrare e ringraziare Dio per la loro salvezza e la possibilità di vivere liberi nel continente in cui si erano rifugiati. Erano credenti evangelici, che avevano cercato scampo dalla persecuzione della Chiesa di Roma, che avevano sfidato la morte e le tempeste dell’Oceano, pur di avere la possibilità di praticare liberamente la loro fede.
La festa ha un bel significato e dovrebbe essere usata come motivo per ringraziare Dio per la sua provvidenza, la sua protezione e la possiblità di adorare, senza essere perseguitati. Purtroppo, in molti casi in America, oggi (come succede per il Natale da noi) la festa del ringraziamento è diventata più un’occasione per stare insieme in famiglia, mangiare il tacchino arrosto, granturco, patate dolci e torta di zucca, che per pensare a Dio.
Ma i motivi per ringraziare (con o senza tacchino) sarebbero molti. E non solo in America.
La libertà religiosa, per esempio. In molti paesi, oggi, i cristiani, anche quelli solo di nome, rischiano forte. Quelli veri, che cercano di testimoniare della loro fede, spesso sono uccisi.
Tu, hai ringraziato Dio, perché oggi in Italia, le leggi ti permettono di praticare liberamente la tua fede e nessuno ti mette in prigione se dici che Cristo è il Salvatore? (È abbastanza spaventoso quello che sta succedendo riguardo ai crocifissi nelle scuole. Non per i crocifissi stessi, che sono solo un pezzo di legno con su un’immagine, ma perché un ente centrale europeo ti possa ordinare quello che puoi o non puoi fare, credere o non credere). Ti rendi conto della benedizione di poter possedere o affittare delle sale di culto in cui riunirti con chi crede come te? Di comprare una Bibbia, senza nessun pericolo?
Poi, c’è da ringraziare che viviamo in un paese che non è in guerra. Non rischiamo ancora di essere fatti a pezzi perché qualcuno si fa saltare in aria, nel nome del suo dio.
Hai ringraziato per le autorità politiche e civili che ti garantiscono una certa misura di pace, invece di dirne male a ogni occasone?
Inoltre, puoi educare i tuoi figli secondo i principi in cui credi. In molti paesi te li tolgono, se non fai come dice il governo. Perciò, approfitti con gratitudine di poter insegnare loro la Parola di Dio?
Ti rendi conto e ringrazi Dio che puoi stampare letteratura che spiega la tua fede e nessuno te lo può impedire? E che la puoi anche distribuire?
La lista potrebbe continuare. Il Salmista Davide esclamava: “Anima mia, benedici il Signore e non dimenticare nessuno dei suoi benefici!”. Anche di quelli civili e politici che Dio ti concede per mezzo del governo che ha stabilito nel tuo paese.
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Un anno dopo che erano arrivati in America, i primi pellegrini emigrati dall’Olanda e dall’Inghilterra, istituirono una festa, per celebrare e ringraziare Dio per la loro salvezza e la possibilità di vivere liberi nel continente in cui si erano rifugiati. Erano credenti evangelici, che avevano cercato scampo dalla persecuzione della Chiesa di Roma, che avevano sfidato la morte e le tempeste dell’Oceano, pur di avere la possibilità di praticare liberamente la loro fede.
La festa ha un bel significato e dovrebbe essere usata come motivo per ringraziare Dio per la sua provvidenza, la sua protezione e la possiblità di adorare, senza essere perseguitati. Purtroppo, in molti casi in America, oggi (come succede per il Natale da noi) la festa del ringraziamento è diventata più un’occasione per stare insieme in famiglia, mangiare il tacchino arrosto, granturco, patate dolci e torta di zucca, che per pensare a Dio.
Ma i motivi per ringraziare (con o senza tacchino) sarebbero molti. E non solo in America.
La libertà religiosa, per esempio. In molti paesi, oggi, i cristiani, anche quelli solo di nome, rischiano forte. Quelli veri, che cercano di testimoniare della loro fede, spesso sono uccisi.
Tu, hai ringraziato Dio, perché oggi in Italia, le leggi ti permettono di praticare liberamente la tua fede e nessuno ti mette in prigione se dici che Cristo è il Salvatore? (È abbastanza spaventoso quello che sta succedendo riguardo ai crocifissi nelle scuole. Non per i crocifissi stessi, che sono solo un pezzo di legno con su un’immagine, ma perché un ente centrale europeo ti possa ordinare quello che puoi o non puoi fare, credere o non credere). Ti rendi conto della benedizione di poter possedere o affittare delle sale di culto in cui riunirti con chi crede come te? Di comprare una Bibbia, senza nessun pericolo?
Poi, c’è da ringraziare che viviamo in un paese che non è in guerra. Non rischiamo ancora di essere fatti a pezzi perché qualcuno si fa saltare in aria, nel nome del suo dio.
Hai ringraziato per le autorità politiche e civili che ti garantiscono una certa misura di pace, invece di dirne male a ogni occasone?
Inoltre, puoi educare i tuoi figli secondo i principi in cui credi. In molti paesi te li tolgono, se non fai come dice il governo. Perciò, approfitti con gratitudine di poter insegnare loro la Parola di Dio?
Ti rendi conto e ringrazi Dio che puoi stampare letteratura che spiega la tua fede e nessuno te lo può impedire? E che la puoi anche distribuire?
La lista potrebbe continuare. Il Salmista Davide esclamava: “Anima mia, benedici il Signore e non dimenticare nessuno dei suoi benefici!”. Anche di quelli civili e politici che Dio ti concede per mezzo del governo che ha stabilito nel tuo paese.
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SIATE RICONOSCENTI!
“Maestro, abbi pietà di noi!”
Gesù si fermò, mentre camminava verso Gerusalemme e, coi suoi discepoli, si trovava presso i confini che separavano la Giudea dalla Samaria. Chi gridava erano dieci lebbrosi. Si tenevano a distanza, sapevano di non potersi avvicinare a chi era sano, erano consapevoli si essere malati, ma supplicavano che Gesù avesse pietà di loro e li guarisse.
Gesù diede loro un ordine preciso: “Andate a mostrarvi ai sacerdoti!”.
Non era un ordine da niente, perché i lebbrosi potevano andare dal sacerdote solo perché verificasse se erano guariti. Ma loro erano malati. Malati incurabili e intoccabili.
Gesù chiedeva loro un grosso atto di fede.
Li possiamo immaginare, mentre si dicevano: “Che facciamo? Andiamo? Se non guariamo, saremo puniti? Mah... proviamo...”. Mentre camminano, qualcosa succede. Le loro mani rattrappite si stendono, i piedi, resi insensibili dalla lebbra, sentono le asperità delle pietre su cui camminano. Si osservano.
Poi uno grida: “Siamo guariti!”. La loro gioia è incontenibile e si mettono a correre verso casa per mostrarsi ai loro cari. Non siamo più intoccabili! Siamo di nuovo gente normale!
Uno però, un Samaritano disprezzato dagli Ebrei, si ferma e fa dietro front. Anche la sua gioia è incontenibile, ma è anche incontenibile la sua riconoscenza.
Grida: “Gloria a Dio! Gloria a Dio! Sono guarito!”. E probabilmente pensa: “Ho di nuovo dieci dita nelle mani e dieci nei piedi che funzionano, posso correre e saltare, la gente non scapperà più lontana da me e i bambini non si metteranno a piangere dalla paura e dallo schifo per la mia faccia sfigurata! Gloria a Dio! Il Maestro ha fatto il miracolo!”.
Torna sui suoi passi, ritrova il Signore, gli si butta ai piedi: “Grazie, grazie, grazie!” e lo adora.
Gesù si guarda attorno. Erano in dieci, possibile che uno solo sia tornato a dire grazie, uno che per di più è uno straniero?
Poi rialza il lebbroso e lo rassicura: “Alzati e vattene: la tua fede ti ha salvato!”. Non solo il suo corpo era guarito, ma anche la sua anima, dal valore eterno, era purificata.
Dio non ha pazienza con chi non è riconoscente e le esortazioni alla gratitudine nella Parola di Dio sono numerosissime.
Nella Bibbia è scritto che Dio si adira contro chi soffoca la verità con l’ingiustizia. Contro chi vede le meraviglie della creazione e non ringrazia Dio. Contro chi, anziché lodare e rngraziare il Creatore si dà all’idolatria. E afferma che, per questa ingratitudine, Dio abbandona le sue creature e di conseguenza, esse si buttano nell’immoralità, nell’impurità, si danno a pratiche contro natura, che le portano al giudizio. E arriva a dire che l’ira di Dio si riversa non solo su chi commette tali peccati, ma anche su chi li approva (puoi verificare tutto questo, leggendo la seconda parte del primo capitolo della lettera ai Romani, versetti da 18 a 32).
A questo punto sono d’obbligo alcune domande.
Hai l’abitudine di ringraziare Dio per il fatto che oggi sei vivo? Che hai una casa? Che hai mangiato? Che ci vedi e ci senti? Che ragioni e hai la possibilità di lavorare? Che la natura che ti circonda è bella e produce buona parte del cibo che mangi?
Se puoi rispondere “sì” a queste domande è bene. Ma ce ne sono altre, ancora più importanti.
Ne parleremo la prossima volta. Intanto leggi per intero la storia dei dieci lebbrosi, nel Vangelo di Luca capitolo 17:11-19.
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Gesù si fermò, mentre camminava verso Gerusalemme e, coi suoi discepoli, si trovava presso i confini che separavano la Giudea dalla Samaria. Chi gridava erano dieci lebbrosi. Si tenevano a distanza, sapevano di non potersi avvicinare a chi era sano, erano consapevoli si essere malati, ma supplicavano che Gesù avesse pietà di loro e li guarisse.
Gesù diede loro un ordine preciso: “Andate a mostrarvi ai sacerdoti!”.
Non era un ordine da niente, perché i lebbrosi potevano andare dal sacerdote solo perché verificasse se erano guariti. Ma loro erano malati. Malati incurabili e intoccabili.
Gesù chiedeva loro un grosso atto di fede.
Li possiamo immaginare, mentre si dicevano: “Che facciamo? Andiamo? Se non guariamo, saremo puniti? Mah... proviamo...”. Mentre camminano, qualcosa succede. Le loro mani rattrappite si stendono, i piedi, resi insensibili dalla lebbra, sentono le asperità delle pietre su cui camminano. Si osservano.
Poi uno grida: “Siamo guariti!”. La loro gioia è incontenibile e si mettono a correre verso casa per mostrarsi ai loro cari. Non siamo più intoccabili! Siamo di nuovo gente normale!
Uno però, un Samaritano disprezzato dagli Ebrei, si ferma e fa dietro front. Anche la sua gioia è incontenibile, ma è anche incontenibile la sua riconoscenza.
Grida: “Gloria a Dio! Gloria a Dio! Sono guarito!”. E probabilmente pensa: “Ho di nuovo dieci dita nelle mani e dieci nei piedi che funzionano, posso correre e saltare, la gente non scapperà più lontana da me e i bambini non si metteranno a piangere dalla paura e dallo schifo per la mia faccia sfigurata! Gloria a Dio! Il Maestro ha fatto il miracolo!”.
Torna sui suoi passi, ritrova il Signore, gli si butta ai piedi: “Grazie, grazie, grazie!” e lo adora.
Gesù si guarda attorno. Erano in dieci, possibile che uno solo sia tornato a dire grazie, uno che per di più è uno straniero?
Poi rialza il lebbroso e lo rassicura: “Alzati e vattene: la tua fede ti ha salvato!”. Non solo il suo corpo era guarito, ma anche la sua anima, dal valore eterno, era purificata.
Dio non ha pazienza con chi non è riconoscente e le esortazioni alla gratitudine nella Parola di Dio sono numerosissime.
Nella Bibbia è scritto che Dio si adira contro chi soffoca la verità con l’ingiustizia. Contro chi vede le meraviglie della creazione e non ringrazia Dio. Contro chi, anziché lodare e rngraziare il Creatore si dà all’idolatria. E afferma che, per questa ingratitudine, Dio abbandona le sue creature e di conseguenza, esse si buttano nell’immoralità, nell’impurità, si danno a pratiche contro natura, che le portano al giudizio. E arriva a dire che l’ira di Dio si riversa non solo su chi commette tali peccati, ma anche su chi li approva (puoi verificare tutto questo, leggendo la seconda parte del primo capitolo della lettera ai Romani, versetti da 18 a 32).
A questo punto sono d’obbligo alcune domande.
Hai l’abitudine di ringraziare Dio per il fatto che oggi sei vivo? Che hai una casa? Che hai mangiato? Che ci vedi e ci senti? Che ragioni e hai la possibilità di lavorare? Che la natura che ti circonda è bella e produce buona parte del cibo che mangi?
Se puoi rispondere “sì” a queste domande è bene. Ma ce ne sono altre, ancora più importanti.
Ne parleremo la prossima volta. Intanto leggi per intero la storia dei dieci lebbrosi, nel Vangelo di Luca capitolo 17:11-19.
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ANCORA SUI DONI...
Oggi dobbiamo concludere il nostro discorso cominciato la volta scorsa sui doni spirituali che la Bibbia elenca e che, se siamo veri credenti in Cristo, dobbiamo mettere a disposizione degli altri.
Scusate se faccio la maestra, ma ricapitoliamo il discorso dell’altra volta (anche i Romani dicevano “repetita iuvant”, cioè le cose ripetute aiutano).
Allora, ecco il riassunto:
La prima lettera di Giovanni ha molto da dire sul soggetto dell’amore che deve regnare fra i fratelli in fede. Ascoltiamolo.
Ogni commento sarebbe superfluo!
Oltre ad amare, si deve ricordare che esercitare un dono potrà costare. Dobbiamo farlo rinunciando ai nostri diritti, vivendo nella pace e considerando gli altri più importanti di noi (Romani 12:18; Filippesi 2:3). Il che non è sempre facile. A tutti piace, ogni tanto, essere serviti, riposare senza avere seccatori in giro, senza dover rispondere a responsabilità pressanti.
Ai discepoli e al Signore è successo. Se ne andavano lontani dalla gente per riposare e si sono trovati davanti 5000 uomini, più donne e bambini. I discepoli li avrebbero licenziati tutti molto volontieri, ma il Signore “ne ebbe compassione”, si mise a insegnare loro e poi diede loro da mangiare, moltiplivcando pane e pesci e usando i discepoli per la distribuzione. Come vacanza, non c’era male!
Poi un dono si esercita facendo agli altri quello che vorremmo fosse fatto a noi (Vangelo di Matteo 7:12). Di solito sentiamo dire: “Non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te” il che interpretato vuole dire “Vivi e lascia vivere”. Il Vangelo, invece, dice che il vero cristiano deve attivamente cercare di fare del bene al prossimo, prendendo l’iniziativa.
In più, un dono spiriuale deve essere accompagnato costantemente dal perdono (Matteo 6:14,15). Bisogna perdonare le critiche ingiuste (e fare tesoro di quelle giuste). Bisogna perdonare i giudizi negativi e passare sopra alle incomprensioni e chiarire i malintesi. Non è un programma da niente!
Infine, un dono spirituale deve essere usato con perseveranza e senza scoraggiarsi. Pensiamo a Noè, che, prima che venisse il diluvio, ha predicato per 120 anni, avvisando del giudizio imminente, e nessuno se l‘è filato!
Concludo ricordando le parole di Giacomo. “Non vi ingannate; non ci si può beffare di Dio: perché quello che l’uomo avrà seminato, quello pure mieterà. Perché chi semina per la sua carne (cioè con orgoglio, arroganza, insensibilità) mieterà corruzione dalla carne; ma chi semina per lo Spirito mieterà dallo Spirito vita eterna. Non ci scoraggiamo nel fare il bene; perché se non ci stanchiamo, mieteremo a suo tempo. Così, dunque, finché ne abbiamo l‘opportunità, facciamo del bene a tutti...” (Lettera ai Galati 6:7-10).
Abbiamo pazienza: il frutto verrà. Se non lo vedremo noi, lo vedranno quelli che verranno dopo di noi. Concludo come ho cominciato: quello che la nostra mano trova da fare, facciamolo con tutta la nostra forza!
Scusate se faccio la maestra, ma ricapitoliamo il discorso dell’altra volta (anche i Romani dicevano “repetita iuvant”, cioè le cose ripetute aiutano).
Allora, ecco il riassunto:
- ogni credente ha almeno un dono dato dallo Spirito Santo, da usare per il bene della chiesa e per essere un membro sano e utile nel corpo di Cristo.
- Il nostro dono non lo scegliamo e non lo meritiamo. Usandolo non facciamo un piacere al Signore, ma siamo oggetti della sua grazia.
- Dobbiamo esercitare il dono secondo quello che dice la Parola di Dio. Infine,
- deve essere accompagnato e dimostrato da una condotta coerente.
La prima lettera di Giovanni ha molto da dire sul soggetto dell’amore che deve regnare fra i fratelli in fede. Ascoltiamolo.
“Carissimi, amiamoci gli uni gli altri, perché l’amore è da Dio e chiunque ama è nato da Dio. In questo è l’amore : non che noi abbiamo amato Dio, ma che Egli ha amato noi e ha mandato suo Figlio per essere il sacrificio propriziatorio per i nostri peccati. Carissimi, se Dio ci ha tanto amati, anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri. Se uno dice: ‘Io amo Dio’ e odia suo fratello, è bugiardo perché chi non ama suo fratello che ha visto, non può amare Dio che non ha visto. Questo è il comandamento che abiamo ricevuto da Lui: che chi ama Dio, ami anche suo fratello”. “Da questo abbiamo conosciuto l’amore: egli ha dato la sua vita per noi; anche noi dobbiamo dare la nostra vita per i fratelli” (4:7,10,11,20,21; 3:16).
Ogni commento sarebbe superfluo!
Oltre ad amare, si deve ricordare che esercitare un dono potrà costare. Dobbiamo farlo rinunciando ai nostri diritti, vivendo nella pace e considerando gli altri più importanti di noi (Romani 12:18; Filippesi 2:3). Il che non è sempre facile. A tutti piace, ogni tanto, essere serviti, riposare senza avere seccatori in giro, senza dover rispondere a responsabilità pressanti.
Ai discepoli e al Signore è successo. Se ne andavano lontani dalla gente per riposare e si sono trovati davanti 5000 uomini, più donne e bambini. I discepoli li avrebbero licenziati tutti molto volontieri, ma il Signore “ne ebbe compassione”, si mise a insegnare loro e poi diede loro da mangiare, moltiplivcando pane e pesci e usando i discepoli per la distribuzione. Come vacanza, non c’era male!
Poi un dono si esercita facendo agli altri quello che vorremmo fosse fatto a noi (Vangelo di Matteo 7:12). Di solito sentiamo dire: “Non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te” il che interpretato vuole dire “Vivi e lascia vivere”. Il Vangelo, invece, dice che il vero cristiano deve attivamente cercare di fare del bene al prossimo, prendendo l’iniziativa.
In più, un dono spiriuale deve essere accompagnato costantemente dal perdono (Matteo 6:14,15). Bisogna perdonare le critiche ingiuste (e fare tesoro di quelle giuste). Bisogna perdonare i giudizi negativi e passare sopra alle incomprensioni e chiarire i malintesi. Non è un programma da niente!
Infine, un dono spirituale deve essere usato con perseveranza e senza scoraggiarsi. Pensiamo a Noè, che, prima che venisse il diluvio, ha predicato per 120 anni, avvisando del giudizio imminente, e nessuno se l‘è filato!
Concludo ricordando le parole di Giacomo. “Non vi ingannate; non ci si può beffare di Dio: perché quello che l’uomo avrà seminato, quello pure mieterà. Perché chi semina per la sua carne (cioè con orgoglio, arroganza, insensibilità) mieterà corruzione dalla carne; ma chi semina per lo Spirito mieterà dallo Spirito vita eterna. Non ci scoraggiamo nel fare il bene; perché se non ci stanchiamo, mieteremo a suo tempo. Così, dunque, finché ne abbiamo l‘opportunità, facciamo del bene a tutti...” (Lettera ai Galati 6:7-10).
Abbiamo pazienza: il frutto verrà. Se non lo vedremo noi, lo vedranno quelli che verranno dopo di noi. Concludo come ho cominciato: quello che la nostra mano trova da fare, facciamolo con tutta la nostra forza!
IL NOSTRO DONO SPIRITUALE: ISTRUZIONI PER L’USO
Allora, abbiamo scoperto il dono spirituale che Dio ci ha dato da usare per il bene della chiesa?
Sì? Evviva! Però, la cosa non finisce quì. Bisogna usarlo bene e secondo il piano di Dio.
Nella mia gioventù, io ho sbagliato molte volte: ho pensato di capire tutto e l’ho detto, quando avrei fatto bene a stare zitta. Mi sono buttata a fare cose che avrei potuto delegare. Ho fatto commenti fuori posto. Mi sono fatta più nemici che amici fra i non credenti che frequentavo. Purtroppo, ho dovuto imparare molte lezioni anche pesanti col passare degli anni. Oggi devo ancora migliorare.
I doni spirituali non si scelgono. Questa è la prima cosa da capire.
“Lo Spirito distribuisce i suoi doni a ciascuno in particolare come Egli vuole” (1 Corinzi 12:11). Ognuno di noi ha almeno un dono e lo Spirito lo dà ai credenti secondo le loro capacità e il compito che dovranno svolgere. È strano che alcuni non si diano pace se non hanno un certo dono un po’ ... spettacolare. Chissà, forse il versetto che ho appena citato, nella loro Bibbia non esiste...
È inutile e assolutamente sbagliato intestarsi a voler avere un dono che non si ha. Per esempio, voler predicare, se lo Spirito ci ha piuttosto dato il dono di evangelizzare a tu per tu. È sciocco pensare che ci siano doni più importanti e più benedetti di altri. Tutti sono utili e tutti devono essere usati con sapienza e con umiltà.
Questo porta al secondo punto: i doni non sono meritati. Non abbiamo nulla, in noi stessi, che non ci sia stato dato da Dio; perciò dobbiamo usare i nostri doni, sapendo che sono una grazia di Dio, che Lui ce li ha largiti e ci permette di usarli. Nella lettera ai Romani (12:1,2) siamo esortati a presentare a Dio il nostro corpo, come peccatori salvati per grazia, per essere usati come il Signore vuole, senza accampare diritti o pretese.
Terza cosa imporantissima: i doni devono essere usati nella verità, cioè basandoci sempre su ciò che Dio dice e riconoscendo che la nostra unica guida è la Bibbia. Essa è la nostra lampada (Salmo 119:105) e noi dobbiamo rimanere fermi su quello che dice. Nella terza lettera di Giovanni v. 9, è detto: “Chi passa oltre e non rimane nella dottrina di Cristo, non ha Iddio. Chi rimane nella dottrina ha il Padre e il Figlio”. Più di così...
Chi esercita un dono deve vivere una vita pulita e santa moralmente e spiritualmente (e questo è il quarto punto). Non vale la pena servire Dio, se la nostra vita fa acqua da qualche parte, ma “se cammniamo nella luce, come Egli è nella luce, abbiamo comunione l’uno con l’altro e il sangue di Gesù suo Figlio ci purifica da ogni peccato” (1 Giovanni 1:7). Perciò dobbiamo individuare i nostri peccati, confessarli al Signore e abbandonarli.
È detto che gli anziani, cioè le guide delle chiese, devono essere irreprensibili. Ma non solo loro: devono esserlo tutti i credenti, perché la loro testimonianza sia efficace. Nessuno dovrebbe poter puntare il dito contro di noi per accusarci di una vita incoerente.
Siete stanchi? Sì? Allora, finiamo a prossima volta! Ciao!
Sì? Evviva! Però, la cosa non finisce quì. Bisogna usarlo bene e secondo il piano di Dio.
Nella mia gioventù, io ho sbagliato molte volte: ho pensato di capire tutto e l’ho detto, quando avrei fatto bene a stare zitta. Mi sono buttata a fare cose che avrei potuto delegare. Ho fatto commenti fuori posto. Mi sono fatta più nemici che amici fra i non credenti che frequentavo. Purtroppo, ho dovuto imparare molte lezioni anche pesanti col passare degli anni. Oggi devo ancora migliorare.
I doni spirituali non si scelgono. Questa è la prima cosa da capire.
“Lo Spirito distribuisce i suoi doni a ciascuno in particolare come Egli vuole” (1 Corinzi 12:11). Ognuno di noi ha almeno un dono e lo Spirito lo dà ai credenti secondo le loro capacità e il compito che dovranno svolgere. È strano che alcuni non si diano pace se non hanno un certo dono un po’ ... spettacolare. Chissà, forse il versetto che ho appena citato, nella loro Bibbia non esiste...
È inutile e assolutamente sbagliato intestarsi a voler avere un dono che non si ha. Per esempio, voler predicare, se lo Spirito ci ha piuttosto dato il dono di evangelizzare a tu per tu. È sciocco pensare che ci siano doni più importanti e più benedetti di altri. Tutti sono utili e tutti devono essere usati con sapienza e con umiltà.
Questo porta al secondo punto: i doni non sono meritati. Non abbiamo nulla, in noi stessi, che non ci sia stato dato da Dio; perciò dobbiamo usare i nostri doni, sapendo che sono una grazia di Dio, che Lui ce li ha largiti e ci permette di usarli. Nella lettera ai Romani (12:1,2) siamo esortati a presentare a Dio il nostro corpo, come peccatori salvati per grazia, per essere usati come il Signore vuole, senza accampare diritti o pretese.
Terza cosa imporantissima: i doni devono essere usati nella verità, cioè basandoci sempre su ciò che Dio dice e riconoscendo che la nostra unica guida è la Bibbia. Essa è la nostra lampada (Salmo 119:105) e noi dobbiamo rimanere fermi su quello che dice. Nella terza lettera di Giovanni v. 9, è detto: “Chi passa oltre e non rimane nella dottrina di Cristo, non ha Iddio. Chi rimane nella dottrina ha il Padre e il Figlio”. Più di così...
Chi esercita un dono deve vivere una vita pulita e santa moralmente e spiritualmente (e questo è il quarto punto). Non vale la pena servire Dio, se la nostra vita fa acqua da qualche parte, ma “se cammniamo nella luce, come Egli è nella luce, abbiamo comunione l’uno con l’altro e il sangue di Gesù suo Figlio ci purifica da ogni peccato” (1 Giovanni 1:7). Perciò dobbiamo individuare i nostri peccati, confessarli al Signore e abbandonarli.
È detto che gli anziani, cioè le guide delle chiese, devono essere irreprensibili. Ma non solo loro: devono esserlo tutti i credenti, perché la loro testimonianza sia efficace. Nessuno dovrebbe poter puntare il dito contro di noi per accusarci di una vita incoerente.
Siete stanchi? Sì? Allora, finiamo a prossima volta! Ciao!
“QUELLO CHE LA TUA MANO ...
trova da fare, fallo con tutte le tue forze”. Questo incitamento, per non dire quest’ordine, si trova nella Bibbia e precisamente nel Libro dell’Ecclesiaste, cap. 9 e vers. 10, un libro, a prima vista, un po’ cupo e pessimista, ma bellissimo, scritto dal re Salomone quando era vecchio.
È un po’ uno dei motti della mia vita e fra i giovani della nostra chiesa evangelica è chiamato “versetto mariateresiano”. In fatti, lo cito spesso, soprattutto per incoraggiare me stessa.
È un versetto meraviglioso, perché non ti lascia dubbi teologici, non si presta a interpretazioni simboliche o cevellotiche e il suo contesto è inequivocabile. Ascoltatelo: “Godi la vita con la moglie (io mi permetto di aggiungere il marito) che ami, durante tutti i giorni della tua vanità (vita che sfugge come un vapore), che Dio ti ha data sotto il sole; poiché questa è la tua parte nella vita, in mezzo a tutta la fatica che duri sotto il sole. Tutto quello che la tua mano trova da fare, fallo con tutte le tue forze; perché nel soggiorno dei morti dove vai, non v’è più né lavoro, né pensiero, né scienza, né sapienza”.
In altre parole, vivi la vita pienamente, usa ogni minuto con tutta l‘energia e l’entusiasmo possibili, approfitta di ogni occasione per essere utile, perché la vita non dura sempre e da morto non avrai modo di fare molto. Salomone non aveva idee chiarissime sull’aldilà, come la maggior parte degli Ebrei, ma i credenti in Cristo, che si appoggiano sulla Bibbia, sanno che li aspetta un meraviglioso avvenire di gioia nella presenza del Signore. E, chissà, di pieno servizio per l’eternità.
Detto questo, mentre siamo vivi, non dobbiamo perdere le occasioni per essere utili.
A me è successa una bella esperienza, un paio di settimane fa. Ero andata a Roma, all’ufficio dell’Associazione Verità Evangelica, con l’intenzione di scrivere qualcosa di utile sul mio computer.
Ma, prima di mettermici, ho chiesto: “Posso essere utile in qualcosa?”. Lo chiedo sempre, ma, in genere, mi dicono che tutto procede felicemente senza di me. Invece, mi hanno detto: “Ci sarebbero da attaccare le etichette sulle buste per la spedizione della VOCE.”
I lavori ripetitivi non sono la mia passione, ma, ricordando il versetto che ho citato più sopra (e sentendomi ultra nobile e virtuosa), ho detto: “Va bene, datemi il materiale”.
Le buste non erano poche e neppure le etichette. La VOCE va dalla Valle d’Aosta alla Sicilia e, grazie a Dio, i nostri amici son tanti.
Ho cominciato dalla Lombardia e ho finito a Bari. È un lavoro che non richiede una particolare intelligenza, basta solo fare attenzione a non scombinare i codici postali e prendere il ritmo. Umanamente, una vera pizza, ma non sapete quanto me la sono goduta.
Ho ritrovato nomi di amici vecchi dimenticati e di giovani, conosciuti di recente, e ho trovato un buon motivo per pregare per tanti, a cui di solito, non penso.
Mi dicevo: “Questo deve essere ben vecchio, chissà come gli va la salute: Signore, aiutalo a non sentirsi troppo solo... Credevo che questo fosse già morto... Questo mi ha fatta disperare durante i campi per ragazzi, ma grazie, Signore, che è rimasto fedele!... Questa ha fatto la scuola di vita cristana a Isola: Signore, aiutala a servire con gioia la sua famiglia... Ma guarda dove è finito questo! Da giovane stava nel foggiano...”.
E così via e così avanti per il pomeriggio e una parte della serata, finché mio marito non ha finito i suoi colloqui e siamo andati a casa.
Secondo Ecclesiaste 9:10, la mia mano ha trovato da fare un doppio lavoro: aiutare in ufficio e parlare col Signore di un pacco di gente. Un pomeriggio da ripetere.
Ma non finisce qui. Ne riparliamo la prossima volta.
.
È un po’ uno dei motti della mia vita e fra i giovani della nostra chiesa evangelica è chiamato “versetto mariateresiano”. In fatti, lo cito spesso, soprattutto per incoraggiare me stessa.
È un versetto meraviglioso, perché non ti lascia dubbi teologici, non si presta a interpretazioni simboliche o cevellotiche e il suo contesto è inequivocabile. Ascoltatelo: “Godi la vita con la moglie (io mi permetto di aggiungere il marito) che ami, durante tutti i giorni della tua vanità (vita che sfugge come un vapore), che Dio ti ha data sotto il sole; poiché questa è la tua parte nella vita, in mezzo a tutta la fatica che duri sotto il sole. Tutto quello che la tua mano trova da fare, fallo con tutte le tue forze; perché nel soggiorno dei morti dove vai, non v’è più né lavoro, né pensiero, né scienza, né sapienza”.
In altre parole, vivi la vita pienamente, usa ogni minuto con tutta l‘energia e l’entusiasmo possibili, approfitta di ogni occasione per essere utile, perché la vita non dura sempre e da morto non avrai modo di fare molto. Salomone non aveva idee chiarissime sull’aldilà, come la maggior parte degli Ebrei, ma i credenti in Cristo, che si appoggiano sulla Bibbia, sanno che li aspetta un meraviglioso avvenire di gioia nella presenza del Signore. E, chissà, di pieno servizio per l’eternità.
Detto questo, mentre siamo vivi, non dobbiamo perdere le occasioni per essere utili.
A me è successa una bella esperienza, un paio di settimane fa. Ero andata a Roma, all’ufficio dell’Associazione Verità Evangelica, con l’intenzione di scrivere qualcosa di utile sul mio computer.
Ma, prima di mettermici, ho chiesto: “Posso essere utile in qualcosa?”. Lo chiedo sempre, ma, in genere, mi dicono che tutto procede felicemente senza di me. Invece, mi hanno detto: “Ci sarebbero da attaccare le etichette sulle buste per la spedizione della VOCE.”
I lavori ripetitivi non sono la mia passione, ma, ricordando il versetto che ho citato più sopra (e sentendomi ultra nobile e virtuosa), ho detto: “Va bene, datemi il materiale”.
Le buste non erano poche e neppure le etichette. La VOCE va dalla Valle d’Aosta alla Sicilia e, grazie a Dio, i nostri amici son tanti.
Ho cominciato dalla Lombardia e ho finito a Bari. È un lavoro che non richiede una particolare intelligenza, basta solo fare attenzione a non scombinare i codici postali e prendere il ritmo. Umanamente, una vera pizza, ma non sapete quanto me la sono goduta.
Ho ritrovato nomi di amici vecchi dimenticati e di giovani, conosciuti di recente, e ho trovato un buon motivo per pregare per tanti, a cui di solito, non penso.
Mi dicevo: “Questo deve essere ben vecchio, chissà come gli va la salute: Signore, aiutalo a non sentirsi troppo solo... Credevo che questo fosse già morto... Questo mi ha fatta disperare durante i campi per ragazzi, ma grazie, Signore, che è rimasto fedele!... Questa ha fatto la scuola di vita cristana a Isola: Signore, aiutala a servire con gioia la sua famiglia... Ma guarda dove è finito questo! Da giovane stava nel foggiano...”.
E così via e così avanti per il pomeriggio e una parte della serata, finché mio marito non ha finito i suoi colloqui e siamo andati a casa.
Secondo Ecclesiaste 9:10, la mia mano ha trovato da fare un doppio lavoro: aiutare in ufficio e parlare col Signore di un pacco di gente. Un pomeriggio da ripetere.
Ma non finisce qui. Ne riparliamo la prossima volta.
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Provate col cibo... e una cena a singhiozzo
“Dacci delle idee per attirare i nostri giovani!”
Me lo dicono molti, in cerca di modi per spingere i giovani della chiesa e i loro amici a frequentare delle riunioni adatte a loro. Spesso, i giovani sono svogliati e raggiungerli è un’impresa non facile.
A volte sembra, addirittura, che i “nostri” siano più pigri e svogliati dei loro amici non credenti.
Però, quando c’è di mezzo il cibo le cose diventano più facili. Perciò, perché non provate una
CENA... A SINGHIOZZO?
Adesso vi spiego di che cosa si tratta.
Bisogna coinvolgere almeno tre famiglie e quattro mamme volonterose, tre delle quali dovrebbero essere pronte a aprire la loro casa (cosa di solito molto facile), e ci vuole una certa organizzazione e coordinazione, per pianificare orari e cibi. Una persona incaricata di fare i piani e vedere che siano eseguiti è necessaria. Una certa puntualità è essenziale.
Poi si procede.
Per semplificare le cose, si comincia nel locale della chiesa. Però non la si usa per cantare, pregare e studiare la Bibbia, ma per prendere l’aperitivo. Preparato con gusto da una prima mamma volonterosa. Tipo? Tramezzini, patatine e pizzette. Non troppissima roba per non sciupare l’appetito dei giovani, cosa che, in ogni modo, succede di rado.
Dopo l’aperitivo, i ragazzi dovrebbero risolvere un piccolo indovinello biblico, preparato su foglietti di carta. Alla fine del blog troverete qualche idea in proposito.
Poi, ci si mette in macchina (o si va a piedi se il paese è piccolo o se le case coinvolte sono vicine) e si va nella seconda casa dove la seconda mamma volonterosa ha preparato il primo. Sono consigliabili lasagne o pasta al forno che non scuociono e sono pronte quando arriva l’orda affamata. Anche una bella pasta e fagioli può essere appropriata d’inverno. Oppure, fate voi!
Si usano piatti, bicchieri e posate di plastica e la tavola è preparata con qualche fiore e una bella tovaglia colorata (naturalmente di carta, per non doverla lavare). Se c’è posto, i ragazzi si siedono a tavola. Se sono troppi, possono mangiare tenendo il piatto sulle ginocchia (usare piatti resistenti, per evitare disastri e versamenti sul tappeto buono!).
Poi vanno dalla terza mamma volonterosa che ha preparato il secondo. MA....
Ma, prima di partire, devono aiutare a mettere i piatti sporchi in sacchi di plastica e buttarli nel primo cassonetto che trovano. (Naturalmente i sacchi di plastica dovranno essere disponibili e la mamma NON dovrà dire che ci pensa lei a buttarli. I ragazzi devono imparare a aiutare almeno un poco).
Nella terza casa si mangia il secondo, che deve essere semplice e già pronto. Di nuovo si ripete l’operazione spazzatura.
E poi si finisce nella quarta casa dove c’è il dolce preparato dalla quarta mamma volonterosa e dove ci sarà anche qualcuno che verificherà i foglietti con l’indovinello risolto nella prima tappa. Poi con l’aiuto di una chitarra si faranno dei canti e qualcuno darà un breve studio biblico per chiudere la serata. Si chiude con un tempo di preghiera e inviti alle prossime riunioni.
È possibile anche, se necessario, fare lo studio nella terza tappa. In modo che non diventi tardi e alcuni se ne vadano a casa. Il dolce nella quarta tappa dovrebbe trattenere tutti.
Ai tempi dei nostri figli e dei loro amici una serata così era un grande successo.
Provateci e fatemi sapere.
- - - - - - - - -
Ecco qualche idea per l’idovinello
Me lo dicono molti, in cerca di modi per spingere i giovani della chiesa e i loro amici a frequentare delle riunioni adatte a loro. Spesso, i giovani sono svogliati e raggiungerli è un’impresa non facile.
A volte sembra, addirittura, che i “nostri” siano più pigri e svogliati dei loro amici non credenti.
Però, quando c’è di mezzo il cibo le cose diventano più facili. Perciò, perché non provate una
CENA... A SINGHIOZZO?
Adesso vi spiego di che cosa si tratta.
Bisogna coinvolgere almeno tre famiglie e quattro mamme volonterose, tre delle quali dovrebbero essere pronte a aprire la loro casa (cosa di solito molto facile), e ci vuole una certa organizzazione e coordinazione, per pianificare orari e cibi. Una persona incaricata di fare i piani e vedere che siano eseguiti è necessaria. Una certa puntualità è essenziale.
Poi si procede.
Per semplificare le cose, si comincia nel locale della chiesa. Però non la si usa per cantare, pregare e studiare la Bibbia, ma per prendere l’aperitivo. Preparato con gusto da una prima mamma volonterosa. Tipo? Tramezzini, patatine e pizzette. Non troppissima roba per non sciupare l’appetito dei giovani, cosa che, in ogni modo, succede di rado.
Dopo l’aperitivo, i ragazzi dovrebbero risolvere un piccolo indovinello biblico, preparato su foglietti di carta. Alla fine del blog troverete qualche idea in proposito.
Poi, ci si mette in macchina (o si va a piedi se il paese è piccolo o se le case coinvolte sono vicine) e si va nella seconda casa dove la seconda mamma volonterosa ha preparato il primo. Sono consigliabili lasagne o pasta al forno che non scuociono e sono pronte quando arriva l’orda affamata. Anche una bella pasta e fagioli può essere appropriata d’inverno. Oppure, fate voi!
Si usano piatti, bicchieri e posate di plastica e la tavola è preparata con qualche fiore e una bella tovaglia colorata (naturalmente di carta, per non doverla lavare). Se c’è posto, i ragazzi si siedono a tavola. Se sono troppi, possono mangiare tenendo il piatto sulle ginocchia (usare piatti resistenti, per evitare disastri e versamenti sul tappeto buono!).
Poi vanno dalla terza mamma volonterosa che ha preparato il secondo. MA....
Ma, prima di partire, devono aiutare a mettere i piatti sporchi in sacchi di plastica e buttarli nel primo cassonetto che trovano. (Naturalmente i sacchi di plastica dovranno essere disponibili e la mamma NON dovrà dire che ci pensa lei a buttarli. I ragazzi devono imparare a aiutare almeno un poco).
Nella terza casa si mangia il secondo, che deve essere semplice e già pronto. Di nuovo si ripete l’operazione spazzatura.
E poi si finisce nella quarta casa dove c’è il dolce preparato dalla quarta mamma volonterosa e dove ci sarà anche qualcuno che verificherà i foglietti con l’indovinello risolto nella prima tappa. Poi con l’aiuto di una chitarra si faranno dei canti e qualcuno darà un breve studio biblico per chiudere la serata. Si chiude con un tempo di preghiera e inviti alle prossime riunioni.
È possibile anche, se necessario, fare lo studio nella terza tappa. In modo che non diventi tardi e alcuni se ne vadano a casa. Il dolce nella quarta tappa dovrebbe trattenere tutti.
Ai tempi dei nostri figli e dei loro amici una serata così era un grande successo.
Provateci e fatemi sapere.
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Ecco qualche idea per l’idovinello
- Parlò e il sole si fermò. _________
- Dio lo mandò e un ricino morì. _________
- Parlò e un profeta ammonì. _________
- Vide un lenzuolo con ogni sorta di animali. _________
- Appese una cordicella rossa alla finestra. _________
- Tornò con un ramoscello d’ulivo in bocca. _________
- Elencare 5 fiori o alberi nominati nella Bibbia
- Elencare 5 personaggi biblici col nome che comincia con A
Per il resto fate voi!
QUAL È IL MIO DONO?
Ve l’ho detto la volta scorsa. Uno dei miei versetti favoriti è: “Quello che la tua mano trova da fare fallo con tutta la tua forza” (Ecclesiaste 9:10), perché parla dell’importanza di usare bene la nostra vita finché ce l’abbiamo.
Io lo trovo utilissimo anche per scoprire quale sia il dono, o i doni spirituali, che Dio ci ha dato per essere utili al suo servizio, sia in famiglia sia in chiesa.
Molti dicono: “Sarei felice di servire il Signore se sapessi qual è il mio dono, ma non so cantare... sono timido... ho paura di pregare a alta voce... non voglio mettermi in mostra... coi bambini non ci so fare”. E aspettano. E, mentre aspettano, in chiesa non smuovono un dito neppure per sparecchiare la tavola, dopo un pasto consumato in comune, o per spazzare il pavimento dopo una riunione. O semplicemente per portare via il sacco della spazzatura. Forse li considerano lavori così umili da non poter essere considerati “doni”. Dopo tutto, la Bibbia non parla del “dono della spazzatura”!
In famiglia, poi, si fanno servire dalla mamma premurosa e non muovono neppure uno stuzzicadenti.
Ma se ne stanno lì tranquillli, aspettando che il Signore faccia apparire in cielo una scritta cubitale con la rivelazione di quello che devono fare e quale sia il loro “dono” specifico.
Se poi (spavento!) apparisse la scritta: IL DONO DI ANNA SAREBBE FARSI IL LETTO PRIMA DI ANDARE A SCUOLA, oppure IL DONO DI ALBERTO SAREBBE ACCOMPAGNARE LA NONNA QUANDO VA A RISCUOTERE LA PENSIONE, PER PROTEGGERLA DAGLI SCIPPI, non è detto che sarebbero contenti.
I doni, anche quelli spirituali elencati nella Bibbia da usare nella famiglia di Dio, sono vari e si scoprono lavorando e mettendosi a disposizione per aiutare. In genere li scoprono quelli che cominciano dalla gavetta, magari solo raccogliendo regolarmente gli innari o assicurandosi che ci sia la carta igienica nel bagno. Oppure prendendo note mentre l’anziano predica e ripassando a casa quello che hanno sentito. O facendo attenzione ai soggetti di preghiera menzionati alla riunione. O interessandosi delle persone presenti, salutando e accogliendo gli estranei che entrano nella sala di culto, magari solo per curiosare.
Troppo spesso si pensa che gli unici doni da desiderare siano quelli più vistosi, come predicare, insegnare e evangelizzare, mentre altri doni, di apparenza più modesta, come assistere chi ha dei bisogni materiali e spirituali, ospitare, donare generosamente per sostenere le missioni, sono essenziali quanto quelli di insegnamento.
L’Apostolo Paolo ha assomigliato la chiesa a un corpo, in cui tutte le membra sono utili e essenziali. La chiesa ha bisogno di mani, di piedi, di occhi e orecchie, di cuori e di muscoli. Se avesse solo una grande bocca e mani invisibili e gambette debolucce, sarebbe un vero mostro. E, a volte, certe chiese sono proprio così. Tutti a cantare e a testimoniare e pochi, pochissimi, a mettere la mano al portafogli, per pagare le bollette della luce della sala di culto.
Perciò, come riconoscere il tuo dono? Comincia a fare quello che vedi che c’è da fare. Tieni gli occhi aperti e chiedi a Dio di farti stare all’erta. E non avere paura di rimboccarti le maniche.
E, cari studenti, che avete il privilegio di conoscere la Parola di Dio, studiate bene e fate tesoro di quello che imparate. Se vi piace la matematica, forse da grandi sarete tesorieri e amministratori nella vostra chiesa. Se vi piace scrivere, imparate a esprimervi bene e a usare la grammatica giusta. Forse, un giorno scriverete dei libri utili o dei foglietti di evangelizzazione adatti alla situazione e agli avvenimenti del vostro tempo, che chissà come sarà.
Se vi piacciono i lavori pratici, diventate dei buoni elettricisti o idraulici o meccanici. Certamente in chiesa vi apprezzeranno. E quando andrete a riparare dei danni nelle case, potrete distribuire i libretti che parlano di Gesù (scritti dai vostri amici della chiesa!) e sarete dei missionari a tutti gli effetti. Se poi diventerete medici o infermieri, come sarebbe l’idea di un soggiorno fra la gente che muore di fame, non solo fisica, ma anche spirituale, in Africa?
Di come usare il vostro dono parleremo la prossima volta.
Io lo trovo utilissimo anche per scoprire quale sia il dono, o i doni spirituali, che Dio ci ha dato per essere utili al suo servizio, sia in famiglia sia in chiesa.
Molti dicono: “Sarei felice di servire il Signore se sapessi qual è il mio dono, ma non so cantare... sono timido... ho paura di pregare a alta voce... non voglio mettermi in mostra... coi bambini non ci so fare”. E aspettano. E, mentre aspettano, in chiesa non smuovono un dito neppure per sparecchiare la tavola, dopo un pasto consumato in comune, o per spazzare il pavimento dopo una riunione. O semplicemente per portare via il sacco della spazzatura. Forse li considerano lavori così umili da non poter essere considerati “doni”. Dopo tutto, la Bibbia non parla del “dono della spazzatura”!
In famiglia, poi, si fanno servire dalla mamma premurosa e non muovono neppure uno stuzzicadenti.
Ma se ne stanno lì tranquillli, aspettando che il Signore faccia apparire in cielo una scritta cubitale con la rivelazione di quello che devono fare e quale sia il loro “dono” specifico.
Se poi (spavento!) apparisse la scritta: IL DONO DI ANNA SAREBBE FARSI IL LETTO PRIMA DI ANDARE A SCUOLA, oppure IL DONO DI ALBERTO SAREBBE ACCOMPAGNARE LA NONNA QUANDO VA A RISCUOTERE LA PENSIONE, PER PROTEGGERLA DAGLI SCIPPI, non è detto che sarebbero contenti.
I doni, anche quelli spirituali elencati nella Bibbia da usare nella famiglia di Dio, sono vari e si scoprono lavorando e mettendosi a disposizione per aiutare. In genere li scoprono quelli che cominciano dalla gavetta, magari solo raccogliendo regolarmente gli innari o assicurandosi che ci sia la carta igienica nel bagno. Oppure prendendo note mentre l’anziano predica e ripassando a casa quello che hanno sentito. O facendo attenzione ai soggetti di preghiera menzionati alla riunione. O interessandosi delle persone presenti, salutando e accogliendo gli estranei che entrano nella sala di culto, magari solo per curiosare.
Troppo spesso si pensa che gli unici doni da desiderare siano quelli più vistosi, come predicare, insegnare e evangelizzare, mentre altri doni, di apparenza più modesta, come assistere chi ha dei bisogni materiali e spirituali, ospitare, donare generosamente per sostenere le missioni, sono essenziali quanto quelli di insegnamento.
L’Apostolo Paolo ha assomigliato la chiesa a un corpo, in cui tutte le membra sono utili e essenziali. La chiesa ha bisogno di mani, di piedi, di occhi e orecchie, di cuori e di muscoli. Se avesse solo una grande bocca e mani invisibili e gambette debolucce, sarebbe un vero mostro. E, a volte, certe chiese sono proprio così. Tutti a cantare e a testimoniare e pochi, pochissimi, a mettere la mano al portafogli, per pagare le bollette della luce della sala di culto.
Perciò, come riconoscere il tuo dono? Comincia a fare quello che vedi che c’è da fare. Tieni gli occhi aperti e chiedi a Dio di farti stare all’erta. E non avere paura di rimboccarti le maniche.
E, cari studenti, che avete il privilegio di conoscere la Parola di Dio, studiate bene e fate tesoro di quello che imparate. Se vi piace la matematica, forse da grandi sarete tesorieri e amministratori nella vostra chiesa. Se vi piace scrivere, imparate a esprimervi bene e a usare la grammatica giusta. Forse, un giorno scriverete dei libri utili o dei foglietti di evangelizzazione adatti alla situazione e agli avvenimenti del vostro tempo, che chissà come sarà.
Se vi piacciono i lavori pratici, diventate dei buoni elettricisti o idraulici o meccanici. Certamente in chiesa vi apprezzeranno. E quando andrete a riparare dei danni nelle case, potrete distribuire i libretti che parlano di Gesù (scritti dai vostri amici della chiesa!) e sarete dei missionari a tutti gli effetti. Se poi diventerete medici o infermieri, come sarebbe l’idea di un soggiorno fra la gente che muore di fame, non solo fisica, ma anche spirituale, in Africa?
Di come usare il vostro dono parleremo la prossima volta.
Dove vanno i soldi dell’8 per mille!
Quando, da giovane, abitavo a Firenze, per ripararmi dal caldo soffocante dell’estate, avevo preso l’abitudine di entrare nel Duomo dalla porta centrale e uscire quasi dal retro, godendomi il fresco all’interno di quella splendida cattedrale. La mia impressione è che nelle chiese faccia sempre fresco.
Evidentemente, a Genova, non bastava più il fresco naturale garantito dagli spessi muri di pietra. Ora, nella Chiesa del Gesù, sono arrivati dei confessionali high-tech, muniti di aria condizionata e isolati acusticamente, per provvedere una maggiore privacy, (“Chissà se almeno Dio sentirà le confessioni?” ha detto un giovane un po’ scanzonato).
Il giornale, che riportava la notizia, non diceva se ci siano anche inginocchiatoi imbottiti e servizio di frigo-bar per la comodità dei penitenti, ma diceva che due confessionali erano costati complessivamente 24.000 euro, in parte raccolti con offerte e certamente sovvenzionati anche da molti 8 per 1000 corroborati anche dagli spot strappalacrime della TV.
Insomma, sono finiti i tempi in cui per confessarsi i fedeli dovevano patire il freddo e la scomodità degli inginocchiatoi di pietra. Dopo tutto ci si deve adeguare ai tempi. Le penitenze però, sempre secondo il giornale, saranno “comminate alla vecchia maniera”. L’onore è salvo!
Ognuno fa quello che gli pare, ma quei 24.000 euro mi fanno arrabbiare, soprattutto perché potrebbero essere stati usati meglio e perché sono soldi sprecati, dato che l’unica vera confessione di cui parla la Bibbia è totalmente gratuita e può essere fatta in qualsiasi momento e in qualsiasi luogo, senza bisogno di preti e confessionali. Parlando direttamente a Dio e all’unico suo mediatore, il Signore Gesù Cristo.
L’Apostolo Giovanni ha scritto che “se confessiamo in nostri peccati, Egli (Dio) è fedele e giusto da perdonarci i peccati e purificarci da ogni iniquità” (1 Giovanni 1:9). Il Signore Gesù ha pagato sulla croce per i peccati di tutto il mondo e ha dato la sua vita al posto di tutti i peccatori. La salvezza da Lui acquistata è totalmente gratuita e donata a chi si rende conto di meritare solo l’inferno, si ravvede veramente di cuore, si arrende a Cristo e decide di vivere per Lui.
Lo hai fatto?
.
Evidentemente, a Genova, non bastava più il fresco naturale garantito dagli spessi muri di pietra. Ora, nella Chiesa del Gesù, sono arrivati dei confessionali high-tech, muniti di aria condizionata e isolati acusticamente, per provvedere una maggiore privacy, (“Chissà se almeno Dio sentirà le confessioni?” ha detto un giovane un po’ scanzonato).
Il giornale, che riportava la notizia, non diceva se ci siano anche inginocchiatoi imbottiti e servizio di frigo-bar per la comodità dei penitenti, ma diceva che due confessionali erano costati complessivamente 24.000 euro, in parte raccolti con offerte e certamente sovvenzionati anche da molti 8 per 1000 corroborati anche dagli spot strappalacrime della TV.
Insomma, sono finiti i tempi in cui per confessarsi i fedeli dovevano patire il freddo e la scomodità degli inginocchiatoi di pietra. Dopo tutto ci si deve adeguare ai tempi. Le penitenze però, sempre secondo il giornale, saranno “comminate alla vecchia maniera”. L’onore è salvo!
Ognuno fa quello che gli pare, ma quei 24.000 euro mi fanno arrabbiare, soprattutto perché potrebbero essere stati usati meglio e perché sono soldi sprecati, dato che l’unica vera confessione di cui parla la Bibbia è totalmente gratuita e può essere fatta in qualsiasi momento e in qualsiasi luogo, senza bisogno di preti e confessionali. Parlando direttamente a Dio e all’unico suo mediatore, il Signore Gesù Cristo.
L’Apostolo Giovanni ha scritto che “se confessiamo in nostri peccati, Egli (Dio) è fedele e giusto da perdonarci i peccati e purificarci da ogni iniquità” (1 Giovanni 1:9). Il Signore Gesù ha pagato sulla croce per i peccati di tutto il mondo e ha dato la sua vita al posto di tutti i peccatori. La salvezza da Lui acquistata è totalmente gratuita e donata a chi si rende conto di meritare solo l’inferno, si ravvede veramente di cuore, si arrende a Cristo e decide di vivere per Lui.
Lo hai fatto?
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