Chi di noi non ha mai detto: “Non ce la faccio più”?
Io l’ho detto una volta, quando i bambini erano piccoli e ero stanca da morire. Avrei voluto crollare a letto, ma c’erano ancora pannolini da lavare e ruttini da indurre e bave da asciugare. Che pizza!
Mio marito, certamente non per darmi il colpo finale, ma per incoraggiarmi, ha osservato: “Mia mamma non avrebbe mai detto una cosa simile”. E aveva ragione, sua mamma era una donna eccezionalmente paziente, che non perdeva la testa neppure quando doveva fare da mangiare, settimana dopo settimana, per cinquantine di ragazzi che partecipavano ai campi estivi che lei e suo marito dirigevano. Era molto forte “dentro”.
A volte, la voglia di tirare i remi in barca ti viene. La vita cristiana sembra troppo faticosa. La gente non ti ascolta. Promette e non mantiene. Dice e non fa. Mancano i soldi. La burocrazia non ti dà i permessi e le autorizzazioni di cui hai bisogno. Sembra che nessuno abbia voglia di alzare un dito per aiutarti. Preghi, e non succede molto.
Il versetto che ho citato la volta scorsa nel mio ultimo blog, è molto utile, quando ti viene addosso lo scoraggiamento. Eccolo. “La grazia salvifica (o che salva) per tutti gli uomini, si è manifestata e ci insegna a rinuunziare all’empietà e alle passioni mondane, per vivere in questo mondo moderatamente, giustamente e in modo santo, aspettando la beata speranza e l’apparizione della gloria del nostro grande Dio e Salvatore Cristo Gesù”.
Per proseguire verso una meta e perseverare ci vuole un punto di riferimento, che ti spinge a continuare. Ho imparato questa verità, quando ero ragazza e infuriava la seconda guerra mondiale. Frequentavo l’Università e vivevo a Genova coi miei genitori. Fra un bombardamento e l’altro, si tirava avanti. A un certo punto, hanno requisito il nostro appartamento e abbiamo dovuto sfollare in campagna, all’interno della Liguria, in una vallata parallela alla costa.
Per sbarcare il lunario, avevo messo su una scuoletta per i figli degli sfollati, in modo che non perdessero l’anno e continuavo anche a studiare per i miei esami. Non volevo andare fuori corso!
Quando veniva il momento di dare gli esami, andavo a Genova. Non c’erano mezzi di trasporto, perciò ci andavo a piedi. Prima salivo su un monte (si chiamava Montallegro e allegro non era, perché ogni tanto c’erano scaramucce fra tedeschi e partigiani) e poi scendevo a Rapallo. Dopo di che, insieme a altri viandanti, camminavamo sui binari della ferrovia e passin passino ce la facevamo fino a Genova, o meglio a Nervi, dove potevamo prendere un tram. Alla fine, che mal di piedi!
Chi ha viaggiato in treno da Genova sulla riviera di levante, sa che i tunnel si sprecano. Erano bui e era facile perdere la tramontana. Di torce elettriche non si parlava e perciò prendevamo un bastoncino e lo strusciavamo sul muro della galleria e camminavamo. Così mantenevamo la direzione. La galleria sotto il promontorio di Portofino era particolarmente lunga. Per fortuna era diritta e sin dall’inizio si vedeva il cerchietto di luce che indicava l’uscita. Quel puntino lumonoso dava un gran coraggio. Indicava la meta a cui arrivare. Era il nostro punto di riferimento.
Nella vita cristiana abbiamo un punto di riferimento e una meta molto migliore del cerchietto di luce alla fine del tunnel sotto il promontorio di Portofino. È la meravigliosa speranza del ritorno del Signore Gesù che verrà a prendere i credenti per portarli in cielo e della certezza della vita futura che aspetta chi ha creduto. È una speranza che non ti permette di dire: “Non ce la faccio più!”.
Viviamo in un un mondo brutto, immorale, violento e sporco. Cerchiamo di vivere per la gloria di Dio e di essere testimoni della sua grazia che salva, ma, a volte, la strada è pesante. Ma sappiamo di valere e sapiamo dove andiamo. Siamo stati riscattati da Cristo e apparteniamo a Lui. Perciò ce la facciamo.
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Bello, grazie.
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