Tempo fa, ho visto in TV i preparativi per una certa colazione importante che la Regina d’Inghilterra avrebbe offerto a degli ospiti speciali. La tavola era di proporzioni gigantesche, piatti e posate, tazze disposti in maniera assolutamente simmetrica e misurati al centimetro (se non al millimetro). Fiori perfetti, tovaglia e tovaglioli senza l’ombra di una grinza. Il maggiordomo ne spiegava i dettagli al cronista e, alla conclusione, ha osservato: “Quando tutto è pronto, la Regina viene e osserva se tutto è in ordine fino ai minimi particolari”.
“È molto esigente?”
Dato che non si deve dire niente di denigratotio della Regina, il maggiordono ha concluso: “È molto attenta e non le sfugge nulla”.
Con la mia mente semplice, tutta la faccenda mi è sembata una grossa esagerazone. Preparare una tavola con squadra e compasso: che idea! Ci vuole solo la venerazione inglese per la casa reale per arrivare a tanto. D’altra parte...
D’altra parte, c’era anche qualcosa da imparare. Un salmo che si trova nella Bibbia, il Salmo 45, comincia così: “Mi ferve (mi brucia) in cuore una parla soave; io dico: «L’opera mia è per il re. La mia lingua sarà come la penna di un veloce scrittore...»”
Il salmista era pieno di entusiasmo, non poteva stare zitto e scoppiava di gioia al pensiero di poter servire il suo Signore che considerava “bello, più bello di tutti i figli degli uomini”. Voleva proclamarlo, dirlo a tutti. Non riusciva a contenere quello che sentiva in cuore. Voleva scrivere il suo salmo nel modo migliore!
Come credenti, siamo fieri e onorati di servire Dio, il Re dei re, ma quando veniamo al dunque ci accontentiamo spesso di fare per Lui un lavoro così così, pensando che Dio guarda al cuore e alla nostra buona volontà. Dopo tutto, la salvezza è per grazia e non per opere... E a forza di versetti male applicati, si scusa la nostra mediocrità.
Ma non ho l’impressione che Dio la veda esattamente così: quando si è trattato di costruire il tabernacolo, cioè la tenda in cui Lui avrebbe abitato per accompagnare il suo popolo nel deserto e in cammino verso la Terra Promessa, ne ha dettato tutti i minimi dettagli, le misure e ha specificato i materiali che si dovevano usare con una minuzia incredibile. Ha deciso Lui i colori dei tessuti delle tende e la disposizione dei vari oggetti. E ha riempito di Spirito Santo chi doveva fare i lavori manuali. Infatti, Lui non ci chiede di fare l’impossibile, ma promette di produrre in noi il “volere e l’agire”, cioè il desiderio e le capacità di compiere quello che Lui vuole.
Ma, per tornare alle istruzioni riguardo a come voleva essere adorato, Dio ha dato ordini precisi su come si dovevano fare i sacrifici e ha stabilito anche gli aromi da usare per comporre i profumi da bruciare nelle varie offerte. Chi trasgrediva, pagava caro, come accadde a due figli di Aronne che composero un profumo di loro invenzione e lo bruciarono. Avranno pensato: “Ma che differenza fa? Un profumo vale l’altro!”, ma furono puniti con la morte.
Le cose che facciamo per il Signore devono essere fatte al meglio e come vuole Lui.
Un salmista invitava: “Celebrate l’Eterno con la cetra, salmeggiate a Lui col salterio a dieci corde. Cantategli un cantico nuovo, sonate BENE (un’altra traduzione dice “maestrevolmente”, che è ancora più forte) e con gioia”. Il Signore vuole che lavoriamo bene. Che lo serviamo bene. A scuola gli studenti devono comportarsi bene e studiare bene, per onorare Dio e essere un buon esempio. A casa la mamma deve lavorare, stirare, cucinare bene per i suoi cari e per piacere al Signore. Al lavoro, in ufficio o nei campi dobbiamo lavorare bene, perché un lavoro fatto bene onora il Signore.
Nell’apparecchiare la tavola per gli ospiti della Regina d’Inghilterra, i suoi servi ce la mettono tutta, perché tutto sia perfetto e la Regina sia contenta. Noi dovremmo fare di meno, noi che serviamo il Re dei re?
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Io valgo... E aspetto!
Chi di noi non ha mai detto: “Non ce la faccio più”?
Io l’ho detto una volta, quando i bambini erano piccoli e ero stanca da morire. Avrei voluto crollare a letto, ma c’erano ancora pannolini da lavare e ruttini da indurre e bave da asciugare. Che pizza!
Mio marito, certamente non per darmi il colpo finale, ma per incoraggiarmi, ha osservato: “Mia mamma non avrebbe mai detto una cosa simile”. E aveva ragione, sua mamma era una donna eccezionalmente paziente, che non perdeva la testa neppure quando doveva fare da mangiare, settimana dopo settimana, per cinquantine di ragazzi che partecipavano ai campi estivi che lei e suo marito dirigevano. Era molto forte “dentro”.
A volte, la voglia di tirare i remi in barca ti viene. La vita cristiana sembra troppo faticosa. La gente non ti ascolta. Promette e non mantiene. Dice e non fa. Mancano i soldi. La burocrazia non ti dà i permessi e le autorizzazioni di cui hai bisogno. Sembra che nessuno abbia voglia di alzare un dito per aiutarti. Preghi, e non succede molto.
Il versetto che ho citato la volta scorsa nel mio ultimo blog, è molto utile, quando ti viene addosso lo scoraggiamento. Eccolo. “La grazia salvifica (o che salva) per tutti gli uomini, si è manifestata e ci insegna a rinuunziare all’empietà e alle passioni mondane, per vivere in questo mondo moderatamente, giustamente e in modo santo, aspettando la beata speranza e l’apparizione della gloria del nostro grande Dio e Salvatore Cristo Gesù”.
Per proseguire verso una meta e perseverare ci vuole un punto di riferimento, che ti spinge a continuare. Ho imparato questa verità, quando ero ragazza e infuriava la seconda guerra mondiale. Frequentavo l’Università e vivevo a Genova coi miei genitori. Fra un bombardamento e l’altro, si tirava avanti. A un certo punto, hanno requisito il nostro appartamento e abbiamo dovuto sfollare in campagna, all’interno della Liguria, in una vallata parallela alla costa.
Per sbarcare il lunario, avevo messo su una scuoletta per i figli degli sfollati, in modo che non perdessero l’anno e continuavo anche a studiare per i miei esami. Non volevo andare fuori corso!
Quando veniva il momento di dare gli esami, andavo a Genova. Non c’erano mezzi di trasporto, perciò ci andavo a piedi. Prima salivo su un monte (si chiamava Montallegro e allegro non era, perché ogni tanto c’erano scaramucce fra tedeschi e partigiani) e poi scendevo a Rapallo. Dopo di che, insieme a altri viandanti, camminavamo sui binari della ferrovia e passin passino ce la facevamo fino a Genova, o meglio a Nervi, dove potevamo prendere un tram. Alla fine, che mal di piedi!
Chi ha viaggiato in treno da Genova sulla riviera di levante, sa che i tunnel si sprecano. Erano bui e era facile perdere la tramontana. Di torce elettriche non si parlava e perciò prendevamo un bastoncino e lo strusciavamo sul muro della galleria e camminavamo. Così mantenevamo la direzione. La galleria sotto il promontorio di Portofino era particolarmente lunga. Per fortuna era diritta e sin dall’inizio si vedeva il cerchietto di luce che indicava l’uscita. Quel puntino lumonoso dava un gran coraggio. Indicava la meta a cui arrivare. Era il nostro punto di riferimento.
Nella vita cristiana abbiamo un punto di riferimento e una meta molto migliore del cerchietto di luce alla fine del tunnel sotto il promontorio di Portofino. È la meravigliosa speranza del ritorno del Signore Gesù che verrà a prendere i credenti per portarli in cielo e della certezza della vita futura che aspetta chi ha creduto. È una speranza che non ti permette di dire: “Non ce la faccio più!”.
Viviamo in un un mondo brutto, immorale, violento e sporco. Cerchiamo di vivere per la gloria di Dio e di essere testimoni della sua grazia che salva, ma, a volte, la strada è pesante. Ma sappiamo di valere e sapiamo dove andiamo. Siamo stati riscattati da Cristo e apparteniamo a Lui. Perciò ce la facciamo.
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Io l’ho detto una volta, quando i bambini erano piccoli e ero stanca da morire. Avrei voluto crollare a letto, ma c’erano ancora pannolini da lavare e ruttini da indurre e bave da asciugare. Che pizza!
Mio marito, certamente non per darmi il colpo finale, ma per incoraggiarmi, ha osservato: “Mia mamma non avrebbe mai detto una cosa simile”. E aveva ragione, sua mamma era una donna eccezionalmente paziente, che non perdeva la testa neppure quando doveva fare da mangiare, settimana dopo settimana, per cinquantine di ragazzi che partecipavano ai campi estivi che lei e suo marito dirigevano. Era molto forte “dentro”.
A volte, la voglia di tirare i remi in barca ti viene. La vita cristiana sembra troppo faticosa. La gente non ti ascolta. Promette e non mantiene. Dice e non fa. Mancano i soldi. La burocrazia non ti dà i permessi e le autorizzazioni di cui hai bisogno. Sembra che nessuno abbia voglia di alzare un dito per aiutarti. Preghi, e non succede molto.
Il versetto che ho citato la volta scorsa nel mio ultimo blog, è molto utile, quando ti viene addosso lo scoraggiamento. Eccolo. “La grazia salvifica (o che salva) per tutti gli uomini, si è manifestata e ci insegna a rinuunziare all’empietà e alle passioni mondane, per vivere in questo mondo moderatamente, giustamente e in modo santo, aspettando la beata speranza e l’apparizione della gloria del nostro grande Dio e Salvatore Cristo Gesù”.
Per proseguire verso una meta e perseverare ci vuole un punto di riferimento, che ti spinge a continuare. Ho imparato questa verità, quando ero ragazza e infuriava la seconda guerra mondiale. Frequentavo l’Università e vivevo a Genova coi miei genitori. Fra un bombardamento e l’altro, si tirava avanti. A un certo punto, hanno requisito il nostro appartamento e abbiamo dovuto sfollare in campagna, all’interno della Liguria, in una vallata parallela alla costa.
Per sbarcare il lunario, avevo messo su una scuoletta per i figli degli sfollati, in modo che non perdessero l’anno e continuavo anche a studiare per i miei esami. Non volevo andare fuori corso!
Quando veniva il momento di dare gli esami, andavo a Genova. Non c’erano mezzi di trasporto, perciò ci andavo a piedi. Prima salivo su un monte (si chiamava Montallegro e allegro non era, perché ogni tanto c’erano scaramucce fra tedeschi e partigiani) e poi scendevo a Rapallo. Dopo di che, insieme a altri viandanti, camminavamo sui binari della ferrovia e passin passino ce la facevamo fino a Genova, o meglio a Nervi, dove potevamo prendere un tram. Alla fine, che mal di piedi!
Chi ha viaggiato in treno da Genova sulla riviera di levante, sa che i tunnel si sprecano. Erano bui e era facile perdere la tramontana. Di torce elettriche non si parlava e perciò prendevamo un bastoncino e lo strusciavamo sul muro della galleria e camminavamo. Così mantenevamo la direzione. La galleria sotto il promontorio di Portofino era particolarmente lunga. Per fortuna era diritta e sin dall’inizio si vedeva il cerchietto di luce che indicava l’uscita. Quel puntino lumonoso dava un gran coraggio. Indicava la meta a cui arrivare. Era il nostro punto di riferimento.
Nella vita cristiana abbiamo un punto di riferimento e una meta molto migliore del cerchietto di luce alla fine del tunnel sotto il promontorio di Portofino. È la meravigliosa speranza del ritorno del Signore Gesù che verrà a prendere i credenti per portarli in cielo e della certezza della vita futura che aspetta chi ha creduto. È una speranza che non ti permette di dire: “Non ce la faccio più!”.
Viviamo in un un mondo brutto, immorale, violento e sporco. Cerchiamo di vivere per la gloria di Dio e di essere testimoni della sua grazia che salva, ma, a volte, la strada è pesante. Ma sappiamo di valere e sapiamo dove andiamo. Siamo stati riscattati da Cristo e apparteniamo a Lui. Perciò ce la facciamo.
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Io valgo... e lo dimostro!
“La vostra religione è troppo facile e troppo comoda” mi ha detto un’amica. “La salvezza ce l’avete in regalo. Così dite che credete e poi fate quello che vi pare. Troppo comodo, dopo tutto la Bibbia dice aiutati che Dio ti aiuta!”
A parte il fatto che nella Bibbia non c’è mai scritto “aiutati che Dio ti aiuta”, la fede biblica, se da una parte afferma che siamo salvati e mantenuti salvati unicamente per la grazia di Dio, parla molto della condotta che un credente deve avere. La buona condotta non aggiunge nulla alla sua salvezza, ma dimostra che è una persona vuole fare sul serio.
Gesù ha detto chiaramente che i veri credenti si riconosceranno dai loro frutti e Giacomo ha scritto che la fede senza le opere è morta. La mia condotta parla più di qualsiasi discorso.
Questo si collega perfettamente col discorso sul mio valore e quello di ogni persona che crede in Cristo. Io valgo perché Gesù è morto al mio posto per salvarmi dalla perdizione eterna, valgo il prezzo della vita del Figlio stesso di Dio. Io valgo perché sono stata riscattata col sangue di Gesù e sono diventata proprietà di Dio, sua figlia adottiva. Sono una figlia del Re dei re. Valgo perché qui sulla terra io sono testimone della grazia di Dio e ho il compito di vivere per glorificare mio Padre.
L’Apostolo Paolo ha scritto a un suo collaboratore: “La grazia di Dio salvifica per tutti gli uomini, si è manifestata, e ci insegna a rinunziare all’empietà e alle passioni mondane, per vivere in questo mondo moderatamente, giustamente e in modo santo, aspettando ... l’apparizione della gloria del nostro grande Iddio e Salvatore, Cristo Gesù”. Da nessuna parte è scritto che la vita cristiana sia una passeggiata tranquilla o addirittura una crociera su una bella nave di lusso. È una vita operante per mezzo dell’amore di Dio.
Nelle parole dell’Apostolo c’è la descrizione del mio compito: riguarda tutto quello che mi compone come persona: il corpo, l’anima e lo spirito.
Il mio corpo deve essere un esempio di moderazione. Nel mangiare, nel bere, nelle ore di sonno e nel modo in cui mi diverto. Devo essere equilibrata nel modo in cui mi vesto, mi pettino e mi trucco. In cui faccio sport e lavoro.
Devo vivere giustamente, con onestà, trasparenza, fedeltà e equilibrio. La mia personalità non dovrà essere soffocata, ma neppure imporsi prepotentemente. Sarà espressa con misura nel modo in cui parlo, rido, scherzo, esprimo le mie opinioni e intreragisco con la gente. Nel mio modo di fare dovrò produrre rispetto.
Infine devo vivere in modo santo. Non andrò in giro con il collo torto e gli occhi in cui si vede solo il bianco per troppa santità. E non mi comporterò da beghina malinconica. Ma la mia relazione col Signore si esprimerà con un atteggiamento di gioia profonda, buon umore, calma, ottimismo, fiducia e pazienza. Vivrò confessando i peccati di cui mi rendo conto e perdonando ogni volta che sarà necessario.
Non metterò in mostra la mia conoscenza biblica e cercherò di non fare la lezione a tutti. Ogni giorno, in preghiera, riceverò ordini e guida dalla Parola di Dio.
Decisamente, non sarà una vita vissuta alla trallallera. Spesso sarà piena di difficoltà. Sarà anche una vita impossibile da vivere con le mie forze.
Sempre l’Apostolo Paolo, proprio parlando del nostro compito di testimoni rappresentanti il carattere di Dio, ha esclamato: “E chi è sufficiente a queste cose?”. La risposta nostra spontanea è: nessuno. La sua, ispirata da Dio, invece, è: la nostra capacità viene da Dio. E lì sta il nostro valore: non contare mai sulle nostre forze, che sono imperfette, ma sulle sue, che sono inesauribili.
Con un altro particolare, di cui parlerò la prossima volta. Ci sentiamo!
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A parte il fatto che nella Bibbia non c’è mai scritto “aiutati che Dio ti aiuta”, la fede biblica, se da una parte afferma che siamo salvati e mantenuti salvati unicamente per la grazia di Dio, parla molto della condotta che un credente deve avere. La buona condotta non aggiunge nulla alla sua salvezza, ma dimostra che è una persona vuole fare sul serio.
Gesù ha detto chiaramente che i veri credenti si riconosceranno dai loro frutti e Giacomo ha scritto che la fede senza le opere è morta. La mia condotta parla più di qualsiasi discorso.
Questo si collega perfettamente col discorso sul mio valore e quello di ogni persona che crede in Cristo. Io valgo perché Gesù è morto al mio posto per salvarmi dalla perdizione eterna, valgo il prezzo della vita del Figlio stesso di Dio. Io valgo perché sono stata riscattata col sangue di Gesù e sono diventata proprietà di Dio, sua figlia adottiva. Sono una figlia del Re dei re. Valgo perché qui sulla terra io sono testimone della grazia di Dio e ho il compito di vivere per glorificare mio Padre.
L’Apostolo Paolo ha scritto a un suo collaboratore: “La grazia di Dio salvifica per tutti gli uomini, si è manifestata, e ci insegna a rinunziare all’empietà e alle passioni mondane, per vivere in questo mondo moderatamente, giustamente e in modo santo, aspettando ... l’apparizione della gloria del nostro grande Iddio e Salvatore, Cristo Gesù”. Da nessuna parte è scritto che la vita cristiana sia una passeggiata tranquilla o addirittura una crociera su una bella nave di lusso. È una vita operante per mezzo dell’amore di Dio.
Nelle parole dell’Apostolo c’è la descrizione del mio compito: riguarda tutto quello che mi compone come persona: il corpo, l’anima e lo spirito.
Il mio corpo deve essere un esempio di moderazione. Nel mangiare, nel bere, nelle ore di sonno e nel modo in cui mi diverto. Devo essere equilibrata nel modo in cui mi vesto, mi pettino e mi trucco. In cui faccio sport e lavoro.
Devo vivere giustamente, con onestà, trasparenza, fedeltà e equilibrio. La mia personalità non dovrà essere soffocata, ma neppure imporsi prepotentemente. Sarà espressa con misura nel modo in cui parlo, rido, scherzo, esprimo le mie opinioni e intreragisco con la gente. Nel mio modo di fare dovrò produrre rispetto.
Infine devo vivere in modo santo. Non andrò in giro con il collo torto e gli occhi in cui si vede solo il bianco per troppa santità. E non mi comporterò da beghina malinconica. Ma la mia relazione col Signore si esprimerà con un atteggiamento di gioia profonda, buon umore, calma, ottimismo, fiducia e pazienza. Vivrò confessando i peccati di cui mi rendo conto e perdonando ogni volta che sarà necessario.
Non metterò in mostra la mia conoscenza biblica e cercherò di non fare la lezione a tutti. Ogni giorno, in preghiera, riceverò ordini e guida dalla Parola di Dio.
Decisamente, non sarà una vita vissuta alla trallallera. Spesso sarà piena di difficoltà. Sarà anche una vita impossibile da vivere con le mie forze.
Sempre l’Apostolo Paolo, proprio parlando del nostro compito di testimoni rappresentanti il carattere di Dio, ha esclamato: “E chi è sufficiente a queste cose?”. La risposta nostra spontanea è: nessuno. La sua, ispirata da Dio, invece, è: la nostra capacità viene da Dio. E lì sta il nostro valore: non contare mai sulle nostre forze, che sono imperfette, ma sulle sue, che sono inesauribili.
Con un altro particolare, di cui parlerò la prossima volta. Ci sentiamo!
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Io valgo ... Per uno scopo
Immaginiamo un’intervista per strada.
Fermo i passanti e chiedo: “Qual è lo scopo della sua vita?”
La casalinga: “Arrivare alla fine del mese senza fare debiti”.
L’impiegato: “Aspettare il primo giorno di festa”.
Lo studente: “Diventare un calciatore”.
La ragazza: “Diventare una velina e avere un sacco di soldi”.
Il padre di famiglia: “Dare ai miei figli un avvenire migliore del mio”.
Una persona anziana: “Avere un po’ di pace”.
E tu? Che scopo hai nella vita?
Se sei credente, se sai di valere perché Gesù ha pagato con la sua vita il prezzo per fare di te un figlio o una figlia di Dio, come abbiamo discusso nei due blog precedenti, il tuo scopo è straordinariamente alto. Lo dice il profeta Isaia, sempre nel capitolo 43, che abbiamo cominciato a leggere insieme. Nel versetto 7, riporta le parole di Dio: “I miei figli ... e le mie figlie... tutti quelli che portano il mio nome, che io ho creati per la mia gloria, che ho formati, che ho fatti”.
È molto chiaro: lo scopo per cui siamo al mondo non è tanto farsi una posizione, avere una casa di proprietà, vivere una vita tranquilla, assicurarsi un buon futuro su questa terra, ma è vivere per la gloria di Dio. Se Dio ci lascia su questo pianeta è perché vuole che siamo i suoi rappresentanti e dimostriamo con la nostra vita che gli apparteniamo e invogliamo altri a andare da Lui, per avere la nostra stessa gioia e dignità. Nel versetto 10, dello stesso capitolo di Isaia, Dio dice ancora: “I miei testimoni siete voi... Io sono il Signore e fuori di me non c’è salvatore”.
Perciò, se hai una famiglia, devi curarla per la gloria di Dio ubbidendo a ciò che Dio dice.
Hai una professione? Esercitala alla gloria di Dio.
Sei un contadino? Lavora la terra per la gloria di Dio.
Sei un insegnante? Sii il migliore maestro, il più diligente e il più informato. Non per avere necssariamente una promozione, ma perché sei un rappresentante di Dio e vivi per fargli piacere.
Sei un impiegato? Sii il più puntuale, rispettoso e laborioso del tuo ufficio.
Sei un dottore? Cura i tuoi malati, non come se fossero numeri, ma esseri umani bisognosi di conoscere Dio.
Sei uno studente? Impara, studia, comportati rispettosamente. I tuoi compagni hanno bisogno di conoscere Dio per mezzo di te.
Sei giovane, adulto, vecchio? Vivi per la gloria di Dio.
Sei un operatore ecologico? Le strade che ti sono affidate devono essere le più pulite del quartiere. Pulite per la gloria di Dio.
Ma c’è dell’altro. Ne parliamo la prossima volta.
Intanto passiamoci la mano sulla coscienza e chiediamoci: sto vivendo per la gloria di Dio? Se sì, come? Se no, perché?
Fermo i passanti e chiedo: “Qual è lo scopo della sua vita?”
La casalinga: “Arrivare alla fine del mese senza fare debiti”.
L’impiegato: “Aspettare il primo giorno di festa”.
Lo studente: “Diventare un calciatore”.
La ragazza: “Diventare una velina e avere un sacco di soldi”.
Il padre di famiglia: “Dare ai miei figli un avvenire migliore del mio”.
Una persona anziana: “Avere un po’ di pace”.
E tu? Che scopo hai nella vita?
Se sei credente, se sai di valere perché Gesù ha pagato con la sua vita il prezzo per fare di te un figlio o una figlia di Dio, come abbiamo discusso nei due blog precedenti, il tuo scopo è straordinariamente alto. Lo dice il profeta Isaia, sempre nel capitolo 43, che abbiamo cominciato a leggere insieme. Nel versetto 7, riporta le parole di Dio: “I miei figli ... e le mie figlie... tutti quelli che portano il mio nome, che io ho creati per la mia gloria, che ho formati, che ho fatti”.
È molto chiaro: lo scopo per cui siamo al mondo non è tanto farsi una posizione, avere una casa di proprietà, vivere una vita tranquilla, assicurarsi un buon futuro su questa terra, ma è vivere per la gloria di Dio. Se Dio ci lascia su questo pianeta è perché vuole che siamo i suoi rappresentanti e dimostriamo con la nostra vita che gli apparteniamo e invogliamo altri a andare da Lui, per avere la nostra stessa gioia e dignità. Nel versetto 10, dello stesso capitolo di Isaia, Dio dice ancora: “I miei testimoni siete voi... Io sono il Signore e fuori di me non c’è salvatore”.
Perciò, se hai una famiglia, devi curarla per la gloria di Dio ubbidendo a ciò che Dio dice.
Hai una professione? Esercitala alla gloria di Dio.
Sei un contadino? Lavora la terra per la gloria di Dio.
Sei un insegnante? Sii il migliore maestro, il più diligente e il più informato. Non per avere necssariamente una promozione, ma perché sei un rappresentante di Dio e vivi per fargli piacere.
Sei un impiegato? Sii il più puntuale, rispettoso e laborioso del tuo ufficio.
Sei un dottore? Cura i tuoi malati, non come se fossero numeri, ma esseri umani bisognosi di conoscere Dio.
Sei uno studente? Impara, studia, comportati rispettosamente. I tuoi compagni hanno bisogno di conoscere Dio per mezzo di te.
Sei giovane, adulto, vecchio? Vivi per la gloria di Dio.
Sei un operatore ecologico? Le strade che ti sono affidate devono essere le più pulite del quartiere. Pulite per la gloria di Dio.
Ma c’è dell’altro. Ne parliamo la prossima volta.
Intanto passiamoci la mano sulla coscienza e chiediamoci: sto vivendo per la gloria di Dio? Se sì, come? Se no, perché?
Io valgo la vita del Figlio di Dio!
Mi fa esplodere il cervello solo a pensarci: Dio mi considera una persona eccezionale, nonostante tutti i miei difetti, le mie mancanze e la mia terribile umanità. E, come me, considera eccezionale e preziosissima anche ogni altra persona che ha accolto nella sua vita il Signore Gesù, lo riconosce come suo Salvatore e ha accettato il dono della sua grazia. Che meraviglia!
Non ti sembra possibile? Allora ascolta quello che dice Dio stesso. Puoi leggere le sue parole nel libro del profeta Isaia (cap. 43). Ascoltale, le riporto qui. La Bibbia è la parola di Dio.
“Così parla l’Eterno il tuo Creatore... Colui che ti ha formato...”
Dio è sempre esistito, vive in un eterno presente e da Lui dipendono tutte le cose. È infinito, perfetto, può tutto, è dappertutto, e sa tutto. Un Dio così ha creato me e te e tutto ciò che esiste. Non ha fatto un fiore uguale all’altro, ogni fiocco di neve lo fa diverso, ogni animale è unico (lo sai che perfino non c’è una zebra con le striscie esattamente uguali a quelle di un’altra?) e ogni essere umano è unico. Anche i gemelli più identici hanno delle diversità!
Dio ha sorvegliato la mia formazione dal momento in cui sono stata concepita. È un Dio personale. Mi ha fatta esattamente come voleva che fossi. Alta, bassa, coi capelli del colore che voleva Lui...
Non è solo un Dio straordinariamente potente. È anche un Dio tenero. Isaia continua riportando le sue parole: “Non temere (nel mondo in cui viviamo, ci sarebbe da avere paura, ma Lui mi protegge!) perché io ti ho riscattato (ho pagato il prezzo per liberarti e il prezzo è stato la vita di mio Figlio), ti ho chiamato per nome. Tu sei mio”. Dio non vede l’umanità come un formicaio impersonale ma vede degli individui. E come individui ci chiama a seguirlo uno alla volta, personalmente.
Adesso mi interrompi e mi dici: “Ma come è che mi chiama? Io non lo sento!” Io so come ha chiamato me. Ma non potrebbe essere che ti stia chiamando proprio con questo blog su cui sei capitato per caso? Pensaci.
Ma c’è di più. Isaia continua: “Tu sei prezioso ai miei occhi, sei stimato e io ti amo”. Sono importante, sono diventata la sua proprietà e sono l’oggetto del suo amore. Un amore che non mi lascerà più andare. Un amore eterno, perché Lui è eterno, fedele e pieno di compassione. Un amore che corregge, protegge e accompagna. Non ti piacerebbe essere amato così?
Ma Il capitolo di Isaia dice dell’altro. Ne parliamo la prossima volta.
A proposito: non hai una Bibbia? Ne vorresti possedere una? Se me la chiedi, te la manderò.
Non ti sembra possibile? Allora ascolta quello che dice Dio stesso. Puoi leggere le sue parole nel libro del profeta Isaia (cap. 43). Ascoltale, le riporto qui. La Bibbia è la parola di Dio.
“Così parla l’Eterno il tuo Creatore... Colui che ti ha formato...”
Dio è sempre esistito, vive in un eterno presente e da Lui dipendono tutte le cose. È infinito, perfetto, può tutto, è dappertutto, e sa tutto. Un Dio così ha creato me e te e tutto ciò che esiste. Non ha fatto un fiore uguale all’altro, ogni fiocco di neve lo fa diverso, ogni animale è unico (lo sai che perfino non c’è una zebra con le striscie esattamente uguali a quelle di un’altra?) e ogni essere umano è unico. Anche i gemelli più identici hanno delle diversità!
Dio ha sorvegliato la mia formazione dal momento in cui sono stata concepita. È un Dio personale. Mi ha fatta esattamente come voleva che fossi. Alta, bassa, coi capelli del colore che voleva Lui...
Non è solo un Dio straordinariamente potente. È anche un Dio tenero. Isaia continua riportando le sue parole: “Non temere (nel mondo in cui viviamo, ci sarebbe da avere paura, ma Lui mi protegge!) perché io ti ho riscattato (ho pagato il prezzo per liberarti e il prezzo è stato la vita di mio Figlio), ti ho chiamato per nome. Tu sei mio”. Dio non vede l’umanità come un formicaio impersonale ma vede degli individui. E come individui ci chiama a seguirlo uno alla volta, personalmente.
Adesso mi interrompi e mi dici: “Ma come è che mi chiama? Io non lo sento!” Io so come ha chiamato me. Ma non potrebbe essere che ti stia chiamando proprio con questo blog su cui sei capitato per caso? Pensaci.
Ma c’è di più. Isaia continua: “Tu sei prezioso ai miei occhi, sei stimato e io ti amo”. Sono importante, sono diventata la sua proprietà e sono l’oggetto del suo amore. Un amore che non mi lascerà più andare. Un amore eterno, perché Lui è eterno, fedele e pieno di compassione. Un amore che corregge, protegge e accompagna. Non ti piacerebbe essere amato così?
Ma Il capitolo di Isaia dice dell’altro. Ne parliamo la prossima volta.
A proposito: non hai una Bibbia? Ne vorresti possedere una? Se me la chiedi, te la manderò.
Io valgo... Perché?
In TV, una donna di una certa età ti dice: “L’età non conta. Io valgo!” Oppure l’attrice famosa ti consiglia di usare una certa crema perché “tu vali”, mentre un altro afferma che ti serve una certa poltrona perché vali e lo psicologo conferma che devi convincerti del tuo valore per vivere meglio.
A forza di dirtelo ti fanno sentire come un verme, dato che la crema non ti manda via le rughe, la poltrona non ce l’hai e, soprattutto quando devi fare molte scale, ti rendi conto che l’età conta. Eccome!
Allora, valgo o non valgo?
La bella notizia è che Dio dice che valgo... anche se non valgo niente. Possibile?
Mi spiego e ti dico cosa ho imparato, insieme a circa 200 donne di tutte le età, durante un convegno proprio sul tema “IO VALGO!”. Insieme abbiamo scavato nella Bibbia e abbiamo scoperto che cosa Dio pensa su questo soggetto.
Cominciamo, tanto per ridimensionare la pubblicità della TV, dal fatto che, in noi stesse, non valiamo niente. Abbiamo, è vero, una mente che pensa e può ideare cose straordinarie. Abbiamo ognuna una personalità diversa capace di esprimersi in mille modi. Abbiamo un corpo meravigliosamente complesso e funzionante. Però siamo bacate. C’è nel DNA di tutte noi (come in quello di tutti gli esseri umani) la tara del peccato. Per cui tutto quello che facciamo, diciamo e siamo non può soddisfare Dio e i suoi standard. Essendo perfetto, Egli vuole che anche noi siamo perfetti (lo trovi scritto nel Vangelo di Matteo 5:48).
A questo punto, Dante direbbe, come ha già scritto: “Lasciate ogni speranza...”
Ma la speranza c’è. Dato che siamo le sue creature, Dio ci ama di un amore infinito, totale e incondizionato e ha fatto quello che noi non avremmo mai potuto fare.
Per non doverci condannare, per darci un valore stabilito da Lui, per salvarci e permetterci di passare con Lui tutta l’eternità, è arrivato a provvedere il mezzo per cui ognuno (ora non parlo più solo a noi donne!) possa avere la possibilità di essere accettato da Lui. Dato che noi non avremmo mai potuto essere perfetti, essendo umani e peccatori, ha pagato Lui stesso il nostro riscatto, un riscatto di valore infinito, per mezzo del suo Figlio Gesù Cristo.
Gesù è venuto sulla terra, è vissuto come un uomo qualsiasi, pur rimanendo Dio, e morendo al nostro posto sulla croce, ha pagato la pena del nostro peccato. Prima di spirare, ha esclamato: “Tutto è compiuto!”. La sua resurrezione ha dimostrato il suo trionfo sulla morte e ha reso possibile la nostra salvezza. Ecco perché valiamo ai suoi occhi: valiamo la vita di suo Figlio!
Ora Lui ci offre in dono quello che non abbiamo meritato e che Lui ha comprato dando la sua vita. Basta stendere la mano, capire che non meriteremmo altro che la separazione da Dio, e accettare il suo dono inestimabile.
Dopo di che, Dio ci assicura dicendo delle cose meravigliose... Te le dico nel prossimo blog. Intanto pensa se hai accettato o no il dono della salvezza. Se non ne sei sicuro, fammelo sapere.
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A forza di dirtelo ti fanno sentire come un verme, dato che la crema non ti manda via le rughe, la poltrona non ce l’hai e, soprattutto quando devi fare molte scale, ti rendi conto che l’età conta. Eccome!
Allora, valgo o non valgo?
La bella notizia è che Dio dice che valgo... anche se non valgo niente. Possibile?
Mi spiego e ti dico cosa ho imparato, insieme a circa 200 donne di tutte le età, durante un convegno proprio sul tema “IO VALGO!”. Insieme abbiamo scavato nella Bibbia e abbiamo scoperto che cosa Dio pensa su questo soggetto.
Cominciamo, tanto per ridimensionare la pubblicità della TV, dal fatto che, in noi stesse, non valiamo niente. Abbiamo, è vero, una mente che pensa e può ideare cose straordinarie. Abbiamo ognuna una personalità diversa capace di esprimersi in mille modi. Abbiamo un corpo meravigliosamente complesso e funzionante. Però siamo bacate. C’è nel DNA di tutte noi (come in quello di tutti gli esseri umani) la tara del peccato. Per cui tutto quello che facciamo, diciamo e siamo non può soddisfare Dio e i suoi standard. Essendo perfetto, Egli vuole che anche noi siamo perfetti (lo trovi scritto nel Vangelo di Matteo 5:48).
A questo punto, Dante direbbe, come ha già scritto: “Lasciate ogni speranza...”
Ma la speranza c’è. Dato che siamo le sue creature, Dio ci ama di un amore infinito, totale e incondizionato e ha fatto quello che noi non avremmo mai potuto fare.
Per non doverci condannare, per darci un valore stabilito da Lui, per salvarci e permetterci di passare con Lui tutta l’eternità, è arrivato a provvedere il mezzo per cui ognuno (ora non parlo più solo a noi donne!) possa avere la possibilità di essere accettato da Lui. Dato che noi non avremmo mai potuto essere perfetti, essendo umani e peccatori, ha pagato Lui stesso il nostro riscatto, un riscatto di valore infinito, per mezzo del suo Figlio Gesù Cristo.
Gesù è venuto sulla terra, è vissuto come un uomo qualsiasi, pur rimanendo Dio, e morendo al nostro posto sulla croce, ha pagato la pena del nostro peccato. Prima di spirare, ha esclamato: “Tutto è compiuto!”. La sua resurrezione ha dimostrato il suo trionfo sulla morte e ha reso possibile la nostra salvezza. Ecco perché valiamo ai suoi occhi: valiamo la vita di suo Figlio!
Ora Lui ci offre in dono quello che non abbiamo meritato e che Lui ha comprato dando la sua vita. Basta stendere la mano, capire che non meriteremmo altro che la separazione da Dio, e accettare il suo dono inestimabile.
Dopo di che, Dio ci assicura dicendo delle cose meravigliose... Te le dico nel prossimo blog. Intanto pensa se hai accettato o no il dono della salvezza. Se non ne sei sicuro, fammelo sapere.
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Guai a chi li tocca!
Ho guardato in TV Obama che deponeva rose gialle nel campo di sterminio di Buchenwald, in Germania, in omaggio ai 56.000 Ebrei che vi erano stati sterminati durante il regime di Hitler.
Il giorno prima aveva fatto un discorso (mio marito, mentre lo ascoltava, ha notato che esibiva una mascella pericolosamente mussoliniana...) in cui tendeva la mano a chi vorrebbe che Israele sparisse dalla faccia della terra. Solo i politici possono fare acrobazie simili e mi sembra incredibile che, quando si alzano la mattina e si guardano allo specchio, possano avere rispetto di chi vedono riflesso. Sia come sia, la Bibbia dice che Dio innalza e abbassa i re e i capi di governo, per cui a me non resta molto da obbiettare.
Però mi piace andarmi a rileggere il Salmo 2. Lo trovo consolante. Comincia così: “Perché questo tumulto fra le nazioni e perché meditano i popoli cose vane? I re della terra si danno convegno e i principi congiurano insieme... Colui che siede nei celi ne riderà; il Signore si fa beffe di loro. Egli parlerà loro nella sua ira e nel suo furore li renderà smarriti...”. Tanto orgoglio oggi e tanta vergogna domani.
Vedendo Obama e il campo di concentramento ho ripensato a una conversazione che non dimenticherò fino a che vivo. Ero giovane e parlavo con un vecchio credente, che conosceva bene la Bibbia e la spiegava con amore e rispetto. Non era un teologo e aveva fatto sì e no le elementari, ma aveva quello che molti non hanno: fede nella Parola di Dio.
In quei giorni c’era la guerra e Hitler dilagava in Europa con le sue truppe e i carri armati. Vinceva tutto e tutti e niente sembrava fermarlo. Il vecchio credente scuoteva la testa ogni volta che accendeva la radio e sentiva le notizie.
“Teresa Maria (lui mi chiamava così), ascoltami bene: Hitler perderà la guerra e finirà male” mi ha detto.
“E come fa a dirlo? È sicuro?” ho detto incredula. Onestamente, mi sembrava che delirasse.
“Ne sono sicuro”.
“E perché?”
“Ha osato toccare il popolo di Dio. Gli Ebrei sono la pupilla del suo occhio! Chi li tocca, sarà punito”.
La storia gli ha dato ragione. Sarebbe una bella cosa se lo potesse dire anche a Obama e a molti altri potenti.
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Il giorno prima aveva fatto un discorso (mio marito, mentre lo ascoltava, ha notato che esibiva una mascella pericolosamente mussoliniana...) in cui tendeva la mano a chi vorrebbe che Israele sparisse dalla faccia della terra. Solo i politici possono fare acrobazie simili e mi sembra incredibile che, quando si alzano la mattina e si guardano allo specchio, possano avere rispetto di chi vedono riflesso. Sia come sia, la Bibbia dice che Dio innalza e abbassa i re e i capi di governo, per cui a me non resta molto da obbiettare.
Però mi piace andarmi a rileggere il Salmo 2. Lo trovo consolante. Comincia così: “Perché questo tumulto fra le nazioni e perché meditano i popoli cose vane? I re della terra si danno convegno e i principi congiurano insieme... Colui che siede nei celi ne riderà; il Signore si fa beffe di loro. Egli parlerà loro nella sua ira e nel suo furore li renderà smarriti...”. Tanto orgoglio oggi e tanta vergogna domani.
Vedendo Obama e il campo di concentramento ho ripensato a una conversazione che non dimenticherò fino a che vivo. Ero giovane e parlavo con un vecchio credente, che conosceva bene la Bibbia e la spiegava con amore e rispetto. Non era un teologo e aveva fatto sì e no le elementari, ma aveva quello che molti non hanno: fede nella Parola di Dio.
In quei giorni c’era la guerra e Hitler dilagava in Europa con le sue truppe e i carri armati. Vinceva tutto e tutti e niente sembrava fermarlo. Il vecchio credente scuoteva la testa ogni volta che accendeva la radio e sentiva le notizie.
“Teresa Maria (lui mi chiamava così), ascoltami bene: Hitler perderà la guerra e finirà male” mi ha detto.
“E come fa a dirlo? È sicuro?” ho detto incredula. Onestamente, mi sembrava che delirasse.
“Ne sono sicuro”.
“E perché?”
“Ha osato toccare il popolo di Dio. Gli Ebrei sono la pupilla del suo occhio! Chi li tocca, sarà punito”.
La storia gli ha dato ragione. Sarebbe una bella cosa se lo potesse dire anche a Obama e a molti altri potenti.
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GRATTA ... E PERDI
Vicino al nostro ufficio di Roma ci sono due bar. Uno produce il migliore cappuccino e i cornetti più gustosi di Roma, l’altro fa un caffè perfetto. Nel primo, il calendario “Una parola per oggi” è appeso, in bella mostra, dietro al banco, mentre la cassa è guardata a vista dalle immagini della Madonna e di Padre Pio.
Nel secondo, niente religione. Ma i festoni con biglietti di lotterie di ogni tipo, quasi non si contano. Lì, decine di persone si dedicano ogni giorno allo sport del “gratta e vinci”. Da quello che sembra, grattano alla grande e perdono i loro pochi soldi, mentre il governo guadagna alle loro spalle.
Le statistiche affermano che sono soprattutto i poveretti (quelli che, nelle dichiarazioni dei politici, non arrivano alla fine del mese) i giocatori più assidui. Sperano nella fortuna, sognano di poter cambiare vita con una bella vincita, si illudono di poter andare chissà dove o di sistemare i figli, e, alla fine del mese, rimangono più poveri di prima.
È stato sempre così. Quando ero ragazza c’erano la lotteria di Tripoli e poi quella di Merano, oggi la scelta non ha fine.
Non c’è dubbio che una bella vincita farebbe piacere a tutti, ma quello che mi colpisce è l’avidità di chi gioca. In una trasmissione TV, offrono a qualcuno 40.000 euro (che non ha mai visti neppure alla lontana) e le rifiuta, perché spera di vincerne 500.000. Poi, finisce piangendo, perché, magari, rimane con niente.
Io non ho mai giocato alla lotteria, perché sono convinta che non sarebbe giusto arricchirsi con quello che altri perdono, e anche perché mi pare che nel gioco c’è una terribile tentazione a diventare amanti del denaro e del facile guadagno. Infatti, molti che cominciano a giocare, non riescono più a smettere.
L’apostolo Paolo, che deve essere cresciuto in una famiglia benestante che lo poteva far studiare in una delle migliori università, ha detto delle cose molto savie sul denaro. Ascoltiamolo, mentre parla a un suo collaboratore, Timoteo.
“Non abbiamo potato nulla nel mondo, e neppure possiamo portarne via nulla; ma avendo di che nutrirci e coprirci saremo di questo contenti.
“Invece quelli che vogliono arricchire cadono vittime di tentazioni, di inganni e di molti desideri insensati e funesti, che affondano gli uomini nella rovina e nella perdizione. L’amore del denaro è radice di ogni specie di mali, e alcuni che vi si sono dati si sono sviati dalla fede e si sono procurati molti dolori”.
Oggi si parla tanto di crisi, ma io vedo i ristoranti pieni, e le strade zeppe di macchine e di moto. Come mai?
Vedo gli impiegati che fanno il tempo pieno che non si mangiano più un panino come qualche anno fa, ma vanno a comprare il cibo già preparato, che gronda di grasso e fa loro male al fegato. Ma un panino con la mortadella non sarebbe altrettanto buono?
Vedo i bambini che vanno a scola con le merendine confezionate, mentre poco tempo fa bastava un piccolo pezzo di pizza bianca (quanto era buona la focaccia genovese che mi portavo a scuola!) anche senza prosciutto o nutella.
Non sarà che ci siamo abituati proprio male e che siamo lavati totalmente di cervello da quello che vediamo in TV? Mi piacerebbe sentire il vostro parere. E poi un’altra domanda un po’ più personale: non sarà che le nostre priorità sono totalmente deformate e che non crediamo più alle parole dette da San Paolo, citate prima di quelle che ho riportate poco sopra: “La pietà (ovvero il timore di Dio) con animo contento del proprio stato è un gran guadagno”? Fatemi sapere.
Nel secondo, niente religione. Ma i festoni con biglietti di lotterie di ogni tipo, quasi non si contano. Lì, decine di persone si dedicano ogni giorno allo sport del “gratta e vinci”. Da quello che sembra, grattano alla grande e perdono i loro pochi soldi, mentre il governo guadagna alle loro spalle.
Le statistiche affermano che sono soprattutto i poveretti (quelli che, nelle dichiarazioni dei politici, non arrivano alla fine del mese) i giocatori più assidui. Sperano nella fortuna, sognano di poter cambiare vita con una bella vincita, si illudono di poter andare chissà dove o di sistemare i figli, e, alla fine del mese, rimangono più poveri di prima.
È stato sempre così. Quando ero ragazza c’erano la lotteria di Tripoli e poi quella di Merano, oggi la scelta non ha fine.
Non c’è dubbio che una bella vincita farebbe piacere a tutti, ma quello che mi colpisce è l’avidità di chi gioca. In una trasmissione TV, offrono a qualcuno 40.000 euro (che non ha mai visti neppure alla lontana) e le rifiuta, perché spera di vincerne 500.000. Poi, finisce piangendo, perché, magari, rimane con niente.
Io non ho mai giocato alla lotteria, perché sono convinta che non sarebbe giusto arricchirsi con quello che altri perdono, e anche perché mi pare che nel gioco c’è una terribile tentazione a diventare amanti del denaro e del facile guadagno. Infatti, molti che cominciano a giocare, non riescono più a smettere.
L’apostolo Paolo, che deve essere cresciuto in una famiglia benestante che lo poteva far studiare in una delle migliori università, ha detto delle cose molto savie sul denaro. Ascoltiamolo, mentre parla a un suo collaboratore, Timoteo.
“Non abbiamo potato nulla nel mondo, e neppure possiamo portarne via nulla; ma avendo di che nutrirci e coprirci saremo di questo contenti.
“Invece quelli che vogliono arricchire cadono vittime di tentazioni, di inganni e di molti desideri insensati e funesti, che affondano gli uomini nella rovina e nella perdizione. L’amore del denaro è radice di ogni specie di mali, e alcuni che vi si sono dati si sono sviati dalla fede e si sono procurati molti dolori”.
Oggi si parla tanto di crisi, ma io vedo i ristoranti pieni, e le strade zeppe di macchine e di moto. Come mai?
Vedo gli impiegati che fanno il tempo pieno che non si mangiano più un panino come qualche anno fa, ma vanno a comprare il cibo già preparato, che gronda di grasso e fa loro male al fegato. Ma un panino con la mortadella non sarebbe altrettanto buono?
Vedo i bambini che vanno a scola con le merendine confezionate, mentre poco tempo fa bastava un piccolo pezzo di pizza bianca (quanto era buona la focaccia genovese che mi portavo a scuola!) anche senza prosciutto o nutella.
Non sarà che ci siamo abituati proprio male e che siamo lavati totalmente di cervello da quello che vediamo in TV? Mi piacerebbe sentire il vostro parere. E poi un’altra domanda un po’ più personale: non sarà che le nostre priorità sono totalmente deformate e che non crediamo più alle parole dette da San Paolo, citate prima di quelle che ho riportate poco sopra: “La pietà (ovvero il timore di Dio) con animo contento del proprio stato è un gran guadagno”? Fatemi sapere.
Dio guardava da un’altra parte?
“Ho perso il mio amico migliore in un incidente. È stato in coma per un mese e ho pregato notte e giorno perché guarisse. Invece eccomi qui di ritorno dal suo funerale. Spiegami tu perché ci sono tanti delinquenti che se la cavano e lui, che era un pezzo d’oro, non c’è più. Per me, Dio guardava da un’altra parte...”
Chi mi parlava era Sandro, un giovane con gli occhi pieni di pianto. E di rabbia.
Avrei potuto fargli un bel discorso sulla sovranità di Dio e citargli dei versetti della Bibbia, dirgli che il suo amico avrebbe potuto restare su una sedia a rotelle per la vita, o addirittura essere leso in maniera irreversibile, e che perciò era meglio che Dio se lo fosse preso con sé. Oppure che, dato che amava Dio e aveva creduto in Gesù come Salvatore, era in cielo in perfetta salute. Ma sono rimasta zitta e l’ho solo abbracciato. In certi momenti, è meglio lasciare che passi la tempesta causata dal dolore e dalla delusione. Dopo tutto, anche alcuni profeti hanno chiesto molti “Perché?” al Signore e il Signore non li ha né sgridati né respinti.
Certe perdite sono terribili e lasciano un gran vuoto. Quasi un buco incolmabile. La morte di una persona a cui vogliamo bene è sempre un pezzo della tua vita che non c’è più.
E nessuno di noi può sapere con certezza perché certe cose avvengano, soprattutto quando chi muore è giovane, promettente, sano e pronto a servire Dio e il prossimo.
Ma Dio sa quello che fa e un passo nella Bibbia mi ha aiutata spesso davanti alla tomba di molte persone care. Eccolo, è nel capitolo 57 del libro di Isaia: “Il giusto muore e nessuno vi bada; gli uomini buoni sono tolti di mezzo e nessuno considera che il giusto è tolto di mezzo per sottrarlo ai mali che sopraggiungono. Egli entra nella pace; quelli che hanno camminato per la retta via riposano sui loro letti”.
I “giusti” nell’Antico Testamento, erano le persone che amavano e temevano Dio. Non solo chi faceva del bene e viveva una vita morale. Oggi, noi li chiameremmo “credenti nati di nuovo”.
Per quello che mi riguarda, non cerco di capire né i “perché” né i “come” di Dio. Ho capito che Dio non ci spiega tutto; anzi, che spesso non ci spiega proprio niente. Ma credo che Lui non guardi mai da un’altra parte, come invece diceva Sandro. Guarda sempre dalla nostra parte e guarda con amore. E nel suo amore savio, completo, misericordioso e eterno io devo affondare le mie radici e cercare di aiutare altri a fare altrettanto.
Ho letto quel passo anche a Sandro, quando mi è sembrato il momento giusto. Spero che lo abbia aiutato e gli abbia fatto del bene.
Chi mi parlava era Sandro, un giovane con gli occhi pieni di pianto. E di rabbia.
Avrei potuto fargli un bel discorso sulla sovranità di Dio e citargli dei versetti della Bibbia, dirgli che il suo amico avrebbe potuto restare su una sedia a rotelle per la vita, o addirittura essere leso in maniera irreversibile, e che perciò era meglio che Dio se lo fosse preso con sé. Oppure che, dato che amava Dio e aveva creduto in Gesù come Salvatore, era in cielo in perfetta salute. Ma sono rimasta zitta e l’ho solo abbracciato. In certi momenti, è meglio lasciare che passi la tempesta causata dal dolore e dalla delusione. Dopo tutto, anche alcuni profeti hanno chiesto molti “Perché?” al Signore e il Signore non li ha né sgridati né respinti.
Certe perdite sono terribili e lasciano un gran vuoto. Quasi un buco incolmabile. La morte di una persona a cui vogliamo bene è sempre un pezzo della tua vita che non c’è più.
E nessuno di noi può sapere con certezza perché certe cose avvengano, soprattutto quando chi muore è giovane, promettente, sano e pronto a servire Dio e il prossimo.
Ma Dio sa quello che fa e un passo nella Bibbia mi ha aiutata spesso davanti alla tomba di molte persone care. Eccolo, è nel capitolo 57 del libro di Isaia: “Il giusto muore e nessuno vi bada; gli uomini buoni sono tolti di mezzo e nessuno considera che il giusto è tolto di mezzo per sottrarlo ai mali che sopraggiungono. Egli entra nella pace; quelli che hanno camminato per la retta via riposano sui loro letti”.
I “giusti” nell’Antico Testamento, erano le persone che amavano e temevano Dio. Non solo chi faceva del bene e viveva una vita morale. Oggi, noi li chiameremmo “credenti nati di nuovo”.
Per quello che mi riguarda, non cerco di capire né i “perché” né i “come” di Dio. Ho capito che Dio non ci spiega tutto; anzi, che spesso non ci spiega proprio niente. Ma credo che Lui non guardi mai da un’altra parte, come invece diceva Sandro. Guarda sempre dalla nostra parte e guarda con amore. E nel suo amore savio, completo, misericordioso e eterno io devo affondare le mie radici e cercare di aiutare altri a fare altrettanto.
Ho letto quel passo anche a Sandro, quando mi è sembrato il momento giusto. Spero che lo abbia aiutato e gli abbia fatto del bene.
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