Era un tale buon affare...

Mi piace fare acquisti nei negozi di roba usata. Hanno una certa aria di nobiltà decaduta e non sono frequentati da persone esigenti (quella con la puzza al naso, per capirci). Sarà perché ci trovo roba più adatta a donne della mia età, sarà perché puoi scegliere in santa pace e non devi provarti un vestito sotto gli occhi di una commessa volonterosa che ti dice che la giacca più eccentrica ti sta perfetta, anche se ti pende da tutte le parti come una tenda o è penosamente attillata.

E non mi piace, come mi è successo, dire la mia taglia e vedermi portare un indumento di taglia più grande e sentire il commento: “Ma lei è una falsa grassa!” Ma come si permettono?

La roba usata mi piace anche perché costa meno di quella nuova e il mio sangue genovese gode nel trovare roba buona a poco prezzo. Soprattutto in questi tempi di crisi in cui tutti dicono di dover risparmiare e di non riuscire a arrivare alla fine del mese.

Ma è proprio di questo che voglio parlare. Dicono che non ce la fanno e poi hanno sempre roba nuova addosso. “Era un buon affare... L’ho comprato dai cinesi, solo pochi euro... Non potevo dire di no, mi piaceva troppo... Mica puoi andare vestita con dei colori che non vanno di moda... Sai, se non hai gli stivali non sei nessuno... Farò risparmi il mese prossimo...” Così, cinque euro qui, dodici lì, e quindici da un’altra parte, un po’ dai cinesi e un altro po’ dai saldi, si rimane all’asciutto.

Come rimediare?

A me pare che dobbiamo dare un’onesta guardata al nostro armadio e ai nostri cassetti e chiederci: di quanti maglioni ho bisogno, di quante magliette, camicie, paia di scarpe, pantaloni, giacche? Questo pull non lo indosso da più di un anno, perciò è chiaro che non ne avevo bisogno: devo fare più attenzione. A chi lo potrei regalare?

Una mia conoscente è sempre molto elegante, ma veste di solito sul verde, marrone, beige. Come mai? Non le piacciono gli altri colori? No, lo fa allo scopo di non essere costretta a acquistare altri accessori di cui non ha realmente bisogno.

“Sei saggia” le ho detto.

“Lo faccio perché così posso adottare più di un bambino a distanza” mi ha detto. E brava lei!

E questo si collega a un altro discorso sulle nostre priorità.

Se faccio a meno di una maglietta nuova, posso dare di più alla chiesa e alle missioni.

Se invece di comprare un cibo costoso, perché fuori stagione, compro quello che si produce al momento, posso contribuire a qualche progetto utile.

Se prendo l’abitudine di spegnere la luce quando esco da una stanza, se faccio il pieno nella lavatrice, anziché caricarla solo a metà, se non spreco l’acqua, alla lunga, contribuirò al bilancio famigliare e rimarrà qualche soldo per realizzare qualcosa che mi sta a cuore.

Se vado a piedi a fare la spesa e non prendo la macchina anche per andare a comprare il latte all’angolo della strada, risparmio sulla benzina. Se... se... se... I “se” non servono a nulla se si pensano solamente. Ma servono se diventano azioni.

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