Partenze

Dalla Calabria alla Lombardia, per poi scendere in Puglia, ritornare a Roma e partire per l’America. Veramente, mio marito ed io, nel mese di marzo, non ci siamo fermati. E per due vecchi come noi, non è sempre facile, anche se siamo ultrariconoscenti al Signore di avere la salute sufficiente per farlo.

A me piace tanto viaggiare (ho sempre pensato di avere del sangue zingaro nelle vene, perché quando torno da un viaggio, penso che sarebbe bello ripartire). Quello che mi spaventa sempre un po’ è l’idea di fare le valigie e di non dimenticare nulla. Vado avanti a forza di liste e di appunti, ma non sempre mi bastano. Non vi confido le cose che ho dimenticate a volte (tipo i pantaloni di mio marito, mentre ho ricordato la giacca...) e che erano piuttosto imbarazzanti. Fino ad ora non ho mai dimenticato la Bibbia e gli appunti degli studi biblici per i convegni. Meno male!

Mentre scrivo questo blog, sto per partire per due settimane in America, e mi pare di non aver dimenticato niente, ma chissà... Il mese di aprile non si presenta meno movimentato.

Ogni volta che parto, ripenso a quando ero bambina e mio papà mi faceva viaggiare virtualmente sul divano di casa nostra. Un po’ per farmi divertire e un po’ per insegnarmi la geografia dell’Italia.

Partivamo da Gorizia, dove abitavamo, e mettevamo la mia valigetta di velluto rosso sulla spalliera del divano del salotto che diventava lo scompartimento del treno. Prima classe, naturalmente!

Poi papà diventava capostazione, capotreno e macchinista, diceva: “Signori in carrozza!”, e dava il via col fischietto. Tu-tuum, tu-tuum, tu-tuum e tu-tumm (le ruote dei treni allora facevano un rumore così) arrivavamo a Verona, poi a Bologna e a Firenze. Se necessario, in una serata arrivavamo anche a Palermo per mangiare la cassata (virtuale, naturalmente).

Ma a Verona papà mi faceva guardare fuori dal finestrino per vedere l’Adige e a Bologna vedevo le torri degli Asinelli e mi raccontava che lì, in quella città, suo padre faceva il professore e si era convertito al Vangelo. E poi mi raccontava dove lui aveva fatto l’Accademia militare, dove il Re aveva la sua tenuta estiva e dove, in un albergo, il letto era così pieno di cimici che le doveva raccogliere con una cartolina. Io ridevo, sgranavo gli occhi e mi stupivo. Poi dicevo agli amichetti: “Il mio papà mi porta con sé in viaggio ogni sera e mi spiega TUTTO”.

Il mio papà era il mio eroe. Era un uomo molto occupato, ma la sera trovava il tempo per stare anche con me. Quello che mi diceva era oro colato e io ero convinta che non potesse sbagliare.

Quando si hanno i figli piccoli, si pensa poco a quanto sia importante giocare e parlare con loro, e raccontare e spiegare le cose piccole e grandi della vita via via che crescono.

I nostri figli, con la crudele sincerità dell’infanzia, mi chiedevano di raccontare come erano “i tempi antichi, quando eri bambina”. Recentemente un mio nipotino si è convinto di avere avuto a che fare con un autentico dinosauro, quando gli ho raccontato come erano i telefoni quando ero piccola come lui. Se n’è andato scuotendo la testa e dicendo: “Però…. Però...”. (Forse voleva dire: “Però è ancora viva!”)

Oggi fra videogiochi, TV, telefonini, mi pare che ognuno viva per conto suo, mentre le famiglie si sfaldano senza che i membri se ne rendano conto. Sarebbe importante, almeno una volta in settimana, che le famiglie spegnessero la TV e facessero qualcosa insieme.

Tipo? Che ne so… Tipo giocare a domino o costruire, a puntate, l’albero genealogico della famiglia raccontando qualcosa dei parenti (così si potrebbero utilizzare anche quelle vecche foto ingiallite che stanno in quella vecchia scatola da scarpe e che nessuno ha il coraggio di buttare).

Oppure, fare dei biscotti tutti insieme.

Oppure, idea!, pulire tutti insieme il garage, in vista di una visita dal gelataio a fine lavoro.

Oppure, andare a fare una visita (breve, per amore dei figli!) a una persona sola che avrebbe piacere di essere ricordata.

Insomma, pensateci e inventate!

Quello che si fa in famiglia da piccoli si ricorda tutta la vita. Come quei miei viaggi sul divano con mio papà che, senza che me ne accorgessi, mi insegnava quieto quieto anche la geografia.

Ma c’è di più. Ne parliamo alla prossima.

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