La salvezza non è neppure…



Siamo arrivati alla seconda tornata di ciò che la salvezza NON è e da che cosa NON dipende. Ci siamo lasciati, la volta scorsa, che dovevamo parlare di come Dio si comporta coi cattivi, dal momento che non può prendere con sé i “buoni”, perché contaminati dal peccato. Che ne fa di loro?
  •  La salvezza NON dipende dall’aver vissuto una vita buona, onesta e morale.
Quando era sulla croce, Gesù soffriva pene fisiche terribili e il peso di ogni peccato mai commesso sulla terra era su di Lui, innocente e perfetto Figlio di Dio. Come ha detto l’Apostolo Paolo “è stato fatto peccato” per noi.

Altri due delinquenti erano crocifissi ai suoi lati e lo prendevano in giro. Se era davvero quello che diceva di essere perché non scendeva dalla croce e non liberava anche loro due?

Poco tempo dopo, però, uno dei due delinquenti, mosso da timore di Dio, ha cominciato a ragionare diversamente. Si stava rendendo conto che quell’uomo che stava morendo con loro non aveva fatto niente di male e che era veramente innocente, mentre loro erano colpevoli e degni di condanna. Perciò si rivose verso Gesù e gli disse: “Ricordati di me, quando sarai venuto nel tuo regno”.

E Gesù pronunciò la parola più chiara possibile: “Io ti dico che oggi tu sarai con me in Paradiso” (Luca 23:40-43.

Era stato un delinquente, ma moriva salvato. Quanta vita morale aveva vissuta? Poca o niente.
  • La salvezza NON dipende neppure dalla buona volontà e dai nostri sforzi.
Allora, si deduce, che anche chi sale la Scala Santa a Roma, chi si flagella fino a sanguinare come fanno molti all’avvicinarsi della Pasqua nelle Filippine, chi è pronto a qualsiasi sacrificio e sofferenza pur di guadagnarsi un posto in cielo, si sforza inutilmente? Sì. Infatti, come potrebbe mai sapere se si è sacrificato abbastanza?

Nella Lettera scritta ai Romani che soffrivano la persecuzione a causa della loro fede, Paolo ha detto che la salvezza: “Non dipende né da chi corre né da chi vuole, ma…”.

“Da che cosa, allora?”                                                               

“…da Dio che fa misericordia!” (Romani 9:16).
  • Per finire, la salvezza NON dipendende neppure dall’aver seguito la religione giusta.
Nel suo sermone sul monte il Signore Gesù pronunciò delle parole terribili: “Non chiunque mi dice: Signore, Signore! Entrerà nel regno dei cieli. Molti mi diranno in quel giorno: «Signore, Signore, non abbiamo noi profetizzato in nome tuo e in nome tuo cacciato demoni e fatto in nome tuo molte opere potenti?». Allora, dichiarerò loro: «Io non vi ho mai conosciuti; allontanatevi da me, malfattori!»” (Matteo 7:21-23).

Ma, allora, se non dipende dalle mie buone opere, dalla mia religiosità, dalla buona volontà che ci metto, da cosa dipende la salvezza?
  •  La salvezza dipende UNICAMENTE dalla grazia di Dio, cioè dal favore immeritato che Dio mi offre per i meriti di Cristo.  
Ne parliamo la prossima volta. Anzi ve ne parlerà direttamente S. Paolo.
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La salvezza non è…



Oggi si dice che in ogni religione c’è del buono, perciò scegli quella che ti piace di più. Vivi e lascia vivere. Non vale la pena parlarne.

Invece, vale la pena parlarne, perché non è possibile che tutte le religioni siano giuste dato che si contraddicono fra loro, e tutte, d’altra parte, affermano di voler aiutare gli uomini a arrivare a conoscere Dio.

Naturalmente ognuno è libero di fare le sue scelte e le sue ricerche, ma per amore di chiarezza e per sgombrare la strada da equivoci, ecco cosa dice la Bibbia su che cosa NON procura la salvezza. 
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  •  La salvezza NON dipende da un miglioramento morale o dalla conoscenza della verità.
Un uomo molto religioso e integro (lo ha dimostrato in varie occasioni, prima di prendere una posizione per Cristo), Nicodemo, andò da Gesù di notte. Era un membro della setta dei farisei, che osservava puntigliosamente tutti i dettagli della Legge di Mosè.

Iniziò un bel discorsetto rivolgendosi a Gesù, chiamandolo profeta venuto da Dio e riconoscendo la grandezza dei suoi miracoli. Ma Gesù tagliò corto dicendogli con franchezza: “Ti dico che se uno non è nato di nuovo, non può vedere il regno di Dio… Quello che è nato dalla carne è carne; e quello che è nato dallo Spirito è spirito. Non ti meravigliare se ti ho detto che bisogna nascere di nuovo” (Giovanni 3:3,6).

In breve, Gesù gli voleva dire che un miglioramento della sua condotta e una maggiore conoscenza della persona di Gesù non gli avrebbero giovato. La natura carnale, con la quale era nato, sarebbe rimasta sempre la stessa e non avrebbe potuto essere migliorata. A meno che non fosse trasformata con un miracolo: una rigenerazione, una nuova natura.

La natura umana, peccatrice e fallibile, non può stare davanti a Dio.
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  •  La salvezza NON è un processo graduale, un “cammino” come alcuni insegnano.
È un momento preciso. Nessuno passa la vita “nascendo” o nasce per gradi. A un certo momento preciso, un bambino viene al mondo e entra a fare parte di una famiglia. Comincia a respirare e a vivere.

Chi ha sperimentato solo la nascita naturale è vivo fisicamente, ma è morto spiritualmente e tale rimane. Ha in sé il seme del peccato. E nessun battesimo, praticato da un sacerdote cattolico o da un pastore protestante, glielo può togliere. Deve nascere spiritualmente. Deve nascere di nuovo.

Se non è “nato di nuovo”, non può fare parte della famiglia di Dio.
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  •  La salvezza NON dipende dalla mia condotta e dalle mie opere buone.
Tutto quello che potrei fare di buono per meritare la salvezza non sarebbe sufficiente, perché Dio esige la perfezione. Gesù ha detto: “Siate perfetti, come è perfetto il Padre vostro che è nei cieli” (Matteo 5:48).       

“Ma è impossibile!” ha obiettato una persona a cui l’ho detto. Giusto! Ma anche logico. Quale chirurgo permetterebbe a un assistente con le scarpe sporche di entrare nella sua sala operatoria, mentre sta operando?

Dio è perfetto e puro, perciò vuole con sé gente perfetta e pura. 

  • La salvezza NON dipende dalla nostra religiosità.
A Roma abbiamo la Scala Santa e la gente la sale in ginocchio per diminuire le sue pene in purgatorio (del quale la Bibbia non dice parola) e quelle dei suoi cari già morti. È una vera tortura a cui i fedeli si sottopongono e che, purtroppo, non serve loro a nulla. Le pratiche religiose non hanno mai salvato nessuno.

Il libro degli Atti degli Apostoli racconta, per esempio, che l’Apostolo Pietro fu mandato da Dio da un certo Cornelio, un Centurione romano, che era religioso e buono. Era uno che pregava, faceva elemosine e di cui tutti dicevano un mondo di bene. Dio gli aveva addirittura parlato, dicendogli: “Manda a chiamare Pietro perché ti parlerà di cose per le quali sarai salvato tu e la casa tua” (Atti 11:14).

E così fu: Pietro andò da lui e gli parlò di Cristo e della sua opera. Cornelio e la sua famiglia, ascoltarono e credettero a ciò che Pietro diceva. Dopo di che, furono salvati! La loro devozione non era stata sufficiente per salvarli.     

“Ma Cornelio era buono e Dio lo ha ricompensato, per i suoi meriti!” mi dite.

Beh, allora la volta prossima parleremo di un cattivo!

Ci sentiamo!
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NON LO FARE!



“È tanto bravo e serio: si direbbe che sia un credente e mi ascolta quando gli parlo del Signore!”

Me lo diceva una ragazza non molto tempo fa, parlandomi della sua simpatia per un compagno di liceo.

“A parte il fatto che uno che ti volesse conquistare ti starebbe a ascoltare, o farebbe finta di essere interessato, anche se gli parlassi dell’influenza della poesia di Ariosto sul gioco del tennis, cioè su qualcosa di anche assolutamente cretino e inesistente” le ho risposto, “fai attenzione. Ancora meglio: scordatelo!”.

“Ma è interessato davvero…”

“Allora proponigli di parlare della fede con qualcun altro, come tuo padre, o il pastore della tua chiesa, o un fratello in fede affidabile.”

“Ma perché sei così dura?” mi ha chiesto la ragazza con gli occhi lucidi.

“Perché ho visto troppi disastri cominciare proprio così e perché se nella Bibbia c’è un comando chiaro rivolto ai credenti, è proprio quello di non sposare una persona che non è nata di nuovo.”

Spero che mi dia retta.

La Bibbia dice categoricamente: “Non vi mettete con gli infedeli sotto un giogo che non è per voi; infatti che rapporto c’è fra la giustizia e l’iniquità? O quale comunione fra la luce e le tenebre? E quale rapporto fra Cristo e Belial? Quale relazione fra il fedele e l’infedele?” (2 Corinzi 6:14,15).

La differenza fra un credente e un non credente è troppo grande. Un credente in Cristo appartiene alla famiglia di Dio e lo Spirito Santo abita in lui, ha la mente di Cristo, cioè pensa secondo quello che dice la Parola di Dio, è nato di nuovo e possiede la natura divina (sembra incredibile, comunque non vuol dire che è divenuto quasi un dio). Un non credente è tutto il contrario. Non ha lo Spirito Santo, perciò pensa in maniera carnale, non comprende le cose di Dio e, Gesù ha detto, addirittura pari pari, che non è un figlio di Dio, ma è figlio del diavolo. 

Dalla mia esperienza ho visto che in un matrimonio cosiddetto “misto” tutte le relazioni, molto presto, diventano traballanti e sono a rischio.

La relazione verticale con Dio è a rischio, perché fra i coniugi non c’è una vera unione. Non possono pregare insieme, andare in chiesa insieme, leggere la Bibbia insieme. E chi ne soffre? Non il partner non credente!

Chi ne soffre è il credente che, per cominciare, prova rimorso di aver disubbidito a Dio e sa di essersi rovinato con le proprie mani. Quando prega, non è sicuro che Dio lo ascolti. In realtà, Dio lo ascolta, ma lui, o lei, ha paura di non essere ascoltato. Poi, non sa come educare i figli e spesso si trova in contrasto con le idee del coniuge (anche se da fidanzati la promessa era stata che il credente sarebbe stato assolutamente libero di professare la sua fede e di educare i figli secondo la sua coscienza). In più, di solito, nella mischia famigliare si intromettono anche i parenti del non credente che vorrebbero questo e quello. A cominciare da battesimi e prime comunioni.

Così la fede del credente è ferita, comincia a vacillare e si intiepidisce. Se non si spegne del tutto.

La relazione orizzontale col coniuge si incrina. Certo, si possono ancora fare molte cose insieme e goderle: praticare uno sport, vedere un film, andare a un concerto, fare all’amore. Ma c’è sempre quel certo importantissimo elemento che manca: l’unità della fede.

Così sorgono tensioni di vario tipo, come per esempio l’uso dei soldi. Uno vorrebbe sostenere le spese della chiesa, o donare all’opera missionaria e l’altro pensa che si deve comprare qualcosa che l’altro considera uno spreco.

Poi, si discute e si litiga su cosa permettere ai figli. Ecco, allora, un’altra relazione orizzontale che rischia di rovinarsi. I figli, con molta probabilità, tenderanno a seguire il non credente. Perché permetterà di più, perché sarà più indulgente, perché farà meno storie e non vieterà ogni tanto una serata in discoteca o una notte fuori casa da amici. Già i figli sbuffano davanti ai paletti messi dai genitori credenti che fanno fronte unico! Figuriamoci se vedranno delle incrinature! E chi vìncerà?

Dio l’aveva già detto a Mosè nell’Antico Testamento. Perciò Mosè aveva ordinato agli Ebrei di non sposare donne pagane perché “distoglierebbero da me i tuoi figli che servirebbero dèi stranieri e l’ira del Signore si accenderebbe contro di voi. Egli ben presto vi distruggerebbe” (Deuteronomio 7:4).

Perciò diamo retta a Colui che ne sa molto più di noi. Il matrimonio è una cosa troppo seria per prenderlo alla leggera e cominciarlo con una disubbidienza. “Meglio andare sul sicuro” dice un proverbio americano, “che doversi pentire di ciò che si è scelto”.

Ecco perché ho detto a quella ragazza sull’orlo di mettersi su un sentiero pericoloso: “Non lo fare!”. Lo ripeto: spero che mi dia retta.
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Insieme a tavola



Quando i figli erano ancora a casa abbiamo cercato di mangiare insieme almeno un pasto al giorno. Mio marito e io eravamo convinti che fosse importante non perdere questa buona abitudine.

Non è stato sempre facile, ma abbiamo deciso che il pasto di mezzogiorno (o dell’una o delle due!) ci avrebbe trovati riuniti. Perciò abbiamo detto ai figli di non prendere impegni per quell’ora e anche noi genitori abbiamo fatto lo stesso.

Così abbiamo aspettato che tutti i figli fossero presenti per metterci a tavola. Chi arrivava prima si metteva a fare i compiti, mentre mia figlia mi aiutava in cucina (spesso era una vera mano santa!), dato che anch’io avevo impegni all’ufficio della VOCE del VANGELO e arrivavo a casa col fiatone.

Durante il pasto la TV restava spenta (posso ricordare solo qualche strappo in occasioni ultraspeciali, come le Olimpiadi o alcune catastrofi mondiali).

Cercavamo di non usare il tempo del pasto per fare sgridate o commenti su letti che avrebbero potuto essere fatti meglio o roba lasciata troppo in giro e di non parlare di prof e di voti. Certi tasti è meglio toccarli in altri momenti. Incoraggiavamo piuttosto i figli a raccontare quello che avevano fatto visto e sentito a scuola e cercavamo di ridere delle battute dell’ineffabile “Pierino” che allora andava alla grande. A volte si parlava pure di politica o di cose studiate di recente e, dato che erano gli anni ’60-70, c’era un bel po’ da commentare (con quello che succede oggi e si vede in TV, i commenti sarebbero gli stessi!).   

Alla fine del pasto, leggevamo la Bibbia  e pregavamo insieme. Allora si parlava al Signore anche dei compagni un po’ bulletti e della prof troppo esigente. Erano momenti importanti.

Siamo sempre riusciti nel nostro intento di mangiare insieme? In generale, direi di sì.

I figli a volte sbuffavano un poco, perché pensavano ai compiti da fare o alla partita di pallacanestro. Ma oggi ricordano quei momenti insieme con piacere.

Mi rendo conto che per riuscire nel nostro intento di stare insieme almeno per un pasto al giorno ci sono voluti deteminazione, pianificazione e disciplina. Ma ne è valsa la pena.

Mi rendo conto anche che la vita oggi è molto cambiata e anche gli orari. Papà e mamma spesso lavorano tutti e due, gli uffici hanno turni diversi, le attività extra-scolastiche e perfino quelle della chiesa tendono a separare le famiglie. Si vive un po’ a scappa e fuggi.

Però un piccolo sforzo, almeno tre o quattro volte alla settimana si potrebbe fare.

Altrimenti si rischia che la casa non sia più una “casa”, e diventi una specie di recapito in cui si va a dormire o in cui il postino mette la posta. 
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Diamoci un taglio!



Abbiamo parlato la volta scorsa di trucchi per perdere le cattive abitudini. Eccone alcuni altri.

Cominciamo da quello più importante e utile, che non è affatto un trucco: prega con tutta onestà che il Signore ti aiuti a cambiare.

Ho parlato di onestà, perché io stessa ho fatto, e ho sentito fare, preghiere disoneste. Per esempio, quelle che cominciano con “se è la tua volontà”, “sarebbe meglio che”, “vorrei tanto che, ma tu sai che la carne è debole”. In altre parole, non cercare scuse. Se abbiamo capito che una cosa è sbagliata, diamoci un taglio! Chiediamo al Signore l’aiuto per fare quello che è giusto.

Prega e rileggi spesso i passi che ti hanno convinto della necessità di un cambiamento. E ringrazia il Signore per anche il minimo miglioramento, Dà a Lui la gloria dei tuoi successi.

Ma torniamo al pratico. Per esempio, alla convinzione della necessità di alzarsi a un’ora ragionevole per non cominciare la giornata come una gallina impazzita.

Una mia amica che si è fatta una lista delle ragioni per cui un cambiamento in questo senso le avrebbe portato dei vantaggi. Li ha messi nero su bianco e la cosa l’ha aiutata.

Alcuni suoi motivi erano: darò un buon esempio ai miei figli. Avrò più tempo per leggere la Bibbia. La mia vita sarà più regolata. Avrò un atteggiamento più calmo. Arriverò in orario al lavoro e agli appuntamenti e non mi verranno le fresche se ci saranno degli ingorghi e dei rallentamenti nel traffico.

Se fai fatica a alzarti la mattina e a mettere i piedi fuori da sotto le coperte (ora che comincia a fare fresco la cosa è normale!) i tre seguenti passi, molto pratici, sono stati efficaci per me.

Uno, non regolare la sveglia in modo che suoni 15 minuti prima del momento in cui dovresti alzarti. Mettila all’ora giusta. Quei 15 minuti di grazia sono molto pericolosi, perché rischi di riaddormentarti. Regola la sveglia sull’ora in cui devi assolutamente alzarti.

Due, colloca quella famigerata sveglia lontano dal comodino in modo che dovrai per forza alzarti per farla smettere. Se hai una di quelle sveglie dal suono che diventa via via sempre più cattivo e insopportabile, tanto meglio. Ti alzerai più celermente

Tre, vai subito a lavarti la faccia, o corri in cucina a farti il caffè. Se dormi in un letto a una piazza, rifallo al più presto. La tentazione sarà vinta e il tuo corpo piano piano si abituerà a un altro ritmo.

È anche utile chiedere a qualcuno di controllarti, con gentilezza, ma anche con molta fermezza. Non sceglierti come referente un tipo troppo comprensivo e pronto a “capirti”. Sapere che devi ammettere i tuoi fallimenti potrà essere molto efficace.

Altra cosa importante: datti qualche piccola ricompensa. Che ne so, una serata di evasione con tuo marito o un amica/o che non vedi da molto tempo, la lettura di un libro che non riesci mai a inziare. Se sei a dieta NON ti ricompensare con un gelato, e se vuoi toglierti il vizio del fumo, NON dare neppure una tirata alla sigaretta di un collega. Certe ricompense sono estremamente pericolose!

Non ti scoraggiare e persevera. Le vittorie si vincono con la pazienza e la determinazione. Ripetiti il versetto: “Io posso ogni cosa in Cristo che mi fortifica” e dà a Lui la gloria di ogni tuo miglioramento. 
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Cambiare si può



Con questo slogan, Obama ha vinto il suo mandato, anche se in meglio ha cambiato ben poco. Ma non parliamo di Obama: parliamo di noi.

Siamo tutti creature abitudinarie. Abbiamo delle buone abitudini: ci spazzoliamo i denti prima di andare a letto e quando ci alziamo la mattina, ci laviamo le mani prima di mangiare. Lo abbiamo fatto fin da quando eravamo bambini. Se non lo facciamo, non ci sentiamo a posto.

Abbiamo anche delle brutte abitudini che non riusciamo a toglierci, come agitare senza soluzione di continuità una gamba quando siamo seduti, quasi avessimo il ballo di S.Vito, oppure mangiare troppo, non alzarci quando suona la sveglia o arrabbiarci mentre guidiamo.

Tutti sappiamo quali sono le nostre cattive abitudini e sappiamo che dovremmo cambiarle. E qui casca l’asino, perché troviamo delle scuse. A volte ci diciamo che siamo fatti così, altre volte ci convinciamo che non sono problemi gravi e non ci pensiamo più. Altre volte decidiamo di cambiare e ci sforziamo a cambiare per un po’ di tempo. Poi… patapumfete lo rifacciamo!

Come dico e dirò fino alla morte, i buoni proponimenti veri, quelli che si riescono a mandare a effetto, partono da una convinzione e da una decisione della mente. Perché lo voglio fare? Lo faccio per questo e questo e questo. Senza convinzioni non si va da nessuna parte.

Una delle convinzioni più forti viene dalla Parola di Dio, potenziata dallo Spirito Santo, quando ci mostra la necessità di cambiare qualcosa.

Per esempio, troviamo quel passo nella seconda lettera di Pietro che ordina di aggiungere alla nostra pietà… “la pazienza”. Quella parola “pazienza” si ingrandisce e diventa a caratteri cubitali. È chiaro: Dio mi dice che devo cambiare e mi ordina di essere più paziente.

Oppure leggiamo: “Non sapete voi che il vostro corpo è il tempio dello Spirito Santo che è in voi?” e quelle parole acquistano un nuovo significato. Immediatamente pensiamo al nostro vizio di fumare, di mangiare troppa cioccolata o di bere troppo caffè. Lo stesso può succedere, quando leggiamo un versetto che ti ordina di non criticare o di non immischiarti nei fatti degli altri.

Quando capisci che la tua abitudine non onora Dio, hai già un buon incentivo. Perciò decidi di non mangiare troppo (naturalmente da lunedì prossimo!), non per essere più carina, ma per onorare, per ubbidire a Dio e vuoi fargli piacere.

Ma come fai? Impara a sostituire. Ecco come: hai l’abitudine di sgranocchiare noccioline o popcorn o patatine, mentre guardi la TV? Per cominciare non ne comprare più (neppure se sulla busta c’è scritto che non contengono grassi!) e poi, quando ti metti sul divano a goderti la serata preparati un piattino con un po’ di carote, sedano e finocchio a fettine e sgranocchia. Le prime volte ti sentirai come un martire del primo secolo, ma poi ci prenderai gusto. E la tua spalla ti farà male dalle pacche di autocompiacimento che ti darai!

E se hai l’abitudine di criticare, sostituiscila con l’impegno di dire una cosa positiva e gentile. Dato che stai facendo una cosa che Dio approva, Lui ti darà la forza di farlo.

Ne parliamo ancora la prossima volta. Ci sono altri aiuti e trucchi per migliorare. Però cominciamo con quello che abbiamo detto oggi! 
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Uno sguardo indietro



Io mi godo la vecchiaia per varie ragioni. Ho potuto delegare alcune responsabilità, quando salgo nella Metro alcuni si alzano e mi cedono il posto e i miei capelli bianchi, pettinati all’antica, fanno una certa tenerezza.

“Mi fai ricordare mia nonna” mi dicono alcuni. Altri dicono che gli ricordo la mamma. Nessuno mi ha detto ancora che gli ricordo la bisnonna, ma verrà presto anche quel momento.

Ma a me la vecchiaia piace perché posso guardarmi indietro e “vedere” quanto Dio ha lavorato anche in un paese duro e insensibile al Vangelo come la nostra Italia, in cui la chiesa ufficiale è riuscita a vaccinare la gente contro la verità pura e semplice del Vangelo, offrendogliene solo un pizzico, mischiato a quintali di superstizione.

Quando ho cominciato a servire il Signore “a pieno tempo” (come si usa dire, poco biblicamente perché “a pieno tempo” dovremmo esserlo tutti), i credenti fedeli alla Parola di Dio erano veramente pochi. Se in una chiesa c’erano venti o trenta membri era già bello. I campi biblici non esistevano e neppure le scuole bibliche. I corsi biblici per corrispondenza erano sconosciuti e le librerie evangeliche si potevano contare sulle dita di una mano. Di stazioni radio o TV evangeliche non se ne parlava neppure.

Oggi tutte queste cose esitono e sono apprezzate da alcuni.

Era un tempo in cui c’era tutto, o quasi tutto, da iniziare. Ed era entusiasmante viverlo.

Era un tempo perfetto? Una specie di “Paese di Bengodi” in cui tutti si convertivano? No. Lavorare per incoraggiare la gente a leggere la Bibbia, a credere nella verità era spesso scoraggiante, esattamente come lo è oggi.

Distribuivi cento o mille inviti per una riunione speciale e quasi nessuno si presentava. Offrivi libri a prezzi irrisorii e pochissimi compravano. Organizzavi un convegno e molte sedie rimanevano vuote. 

“Allora, cosa godi nel guardare indietro?” chiedete.

Godo perché vedo che Dio, dopo tutto, ha operato, benedicendo il lavoro e la fatica dei suoi credenti fedeli. I campi per giovani e ragazzi portano frutto di conversioni e consacrazioni, i convegni sono ben frequentati, nuove sale di culto si aprono e nuovi libri di studio della Bibbia si pubblicano. Le decine di credenti di una volta sono diventate centinaia e, forse, anche migliaia.

Vado nelle chiese e molti mi dicono che si sono convertiti in campi per ragazzi, che sono stati aiutati da questo o quel libro. Altri hanno trovato la fede per mezzo dei contatti su Internet. E, ogni volta, il mio cuore si riempie di gratitudine e di lode a Dio.
 
Non per questo mi siedo solo a guardare e a rallegrarmi. Il mondo peggiora di giorno in giorno e c’è ancora tanto da fare. Le moltitudini sono ancora composte da persone simili a pecore sbandate e senza pastore, ma so che anche se di giorno in giorno sembra che non succeda nulla di incoraggiante o di eclatante, il Signore è al lavoro.
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Esprimere l’amore



Io sono cresciuta in una famiglia piuttosto austera in cui, anche se ci volevamo bene, le effusioni non erano comuni. Le manifestazioni di mio padre consistevano solo nel chiamarmi qualche volta “cicetta”, accarezzandomi i capelli. Il che mi mandava al settimo cielo dalla gioia. Quanto a mia mamma… lasciamo perdere. 

È importante e noi cerchiamo di farlo in famiglia. Lo facevamo coi figli quando erano a casa e non abbiamo timore di continuare ora che siamo vecchi e tutti i figli sono lontani.

Ma quella di lodare, incoraggiare, e apprezzare è una pratica da usare in ogni famiglia.

A tutti noi piace essere lodati se abbiamo fatto qualcosa bene e apprezzati se abbiamo fatto qualcosa di buono. Le lodi spronano a fare meglio.

Gesù, che era il Figlio di Dio, perfetto e infallibile, usava lodare (“Non ho mai visto tanta fede in Israele”, “Va bene, buono e fedele servitore”, “Ha fatto quello che poteva”, “Ha scelto la buona parte”) e non c’è una lettera dell’apostolo Paolo in cui non ci sia una qualche lode. Perfino riusciva a lodare i credenti di Corinto! L’apostolo ricordava il bene che gli era stato fatto e non mancava di ringraziare.

Lodare non è facile, perché è sempre più facile vedere i difetti e notare le pecche delle persone. La critica e la maldicenza salgono (e purtroppo escono dalla bocca) più facilmente delle parole di incoraggiamento e d’affetto. A parte il fatto che quando dimentichiamo di lodare ci diamo la zappa sui piedi. È risaputo che i dipendenti rendono di più se lodati e i parenti ti vogliono più bene se sei gentile.

Come si esprime a voce l’amore?

Beh, l’ho detto. Ringraziando per qualcosa di gentile fatta di recente (possibilmente durante la giornata appena trascorsa). Oppure con una parola di apprezzamento veritiero sul fisico o sul carattere (anche gli uomini non ne rimangono insensibili).

Ora una mia amica dice: “Ma mio marito ha la pancia!”. Allora lodalo per la sua voce, il modo in cui si cura, la sua capacità di valutare le situazioni, il suo buon senso. Qualcosa di buono devi pur trovarlo! Mica hai sposato un incrocio fra Dracula e una scimmia, spero!

Digli: “Tu sei l’unico della mia vita”. Gli farai piacere.

A tuo figlio di’ che è bello averlo per figlio, che sei fiera di come si comporta a scuola, che apprezzi che non è un perditempo. Alla figlia puoi dire che ti piace vederla nuotare in piscina e trovare per lei un complimento speciale.

Vi sembra artificiale? Non lo è. È solo un modo di essere cortesi. Ultimamente sono stata con una donna che non faceva altro che lamentarsi. Sono riuscita a dirle che mi pareva che si lamentasse un po’ meno del solito. Evidentemente le cose andavano meglio. Ci credete? Mi ha detto che sì, un po’ meglio andavano!

Dopo tutto le parole buone e gentili sono ordinate da Dio. “Nessuna parola cattiva (il testo originale dice “puzzolente”) esca dalla vostra bocca;ma se ne avete qualcuna buona, che edifichi secondo il bisogno, ditela, affinché conferisca grazia a chi l’ascolta” (Efesini 4:29).

Un buon avvertimento, non vi pare?
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