“Per ora faccio un
master... è fantastico... pensa che perfino mi retribuiscono... se tutto va
bene, poi penserò al dottorato.” Me lo diceva una ragazza con gli occhi che le brillavano
dall’entusiasmo.
“E poi, che pensi di fare?” ho chiesto. “Insegnerai?”
“Vedremo: non ci sono limiti alla carriera che uno può fare!”
Non ci sono limiti. Molti, come lei, lo pensano e si buttano
a capofitto nello studio, nella ricerca, nell’attivismo politico, nel
commercio, nello sport. Pensano solo a quello. Vivono solo per quello, senza pensare
a altro e senza farsi una scala di valori e di priorità. Senza fermarsi a
pensare se tanto impegno valga la pena oppure se, forse, non sarebbe meglio concentrarsi
anche su altro.
Conosco chi per anni si è buttato a fare soldi in banca,
investendo, calcolando e valutando, e oggi è a spasso. Ho visto chi per raggiungere il successo nel
lavoro e nella professione, ha trascurato moglie e figli e oggi si ritrova da
solo e – diciamolo – sconfitto. Ho visto
mamme chi sono vissute solo per i figli e hanno messo in secondo piano tutto il
resto e che, nella vecchiaia sono rimaste sole e depresse; perfino il marito
sembrava un peso. Ho visto figli che hanno trascurato i valori dei loro genitori
per inseguire i loro sogni e che vivono oggi delusi e inutili.
La carriera può essere un laccio e un trabocchetto. Può
distrarci e allontanarci da Dio e dai suoi scopi eterni, ma può anche essere un
meraviglioso strumento nelle mani del Signore.
Quello che sappiamo fare può essere moltiplicato e utilizzato da Lui e
addirittura trasformato in uno strumento per il bene di tanti.
Quando il Signore Gesù vide Pietro e Andrea che gettavano le
reti in mare per pescare, disse loro: “Seguitemi
e io farò di voi dei pescatori di uomini”. Trasformò il loro mestiere di
pescatori di pesci in un servizio utilissimo per il bene di tanti. E che retate
di anime fecero!
Dio chiamò (con le cattive!) Paolo, che era un esperto nella
legge ebraica, e ne fece un apostolo e un insegnante della buona notizia del
Vangelo. Nell’Antico Testamento, Dio chiamò Mosè, mentre era pastore di greggi,
e ne fece la guida del suo popolo.
Agli inizi della chiesa, usò Tabita, che sapeva cucire,
perché vestisse i poveri. E usò Priscilla, che fabbricava tende durante la
settimana, per ospitare, con suo marito, la chiesa nella sua casa. Usate la
vostra conoscenza della Bibbia per ricordare altri esempi simili. Ce ne sono!
Ora dite: “Secondo te, dovremmo mollare quello che facciamo
e per cui abbiamo studiato, per diventare tutti servi di Dio a pieno tempo?”
No. Non necessariamente.
Un buon medico credente cercherà di curare al meglio i
corpi, ma userà anche la sua professione per il bene spirituale dei suoi
pazienti. Se, poi, Dio lo manderà anche a curare i lebbrosi in India, tanto
meglio. Ma, probabilmente non lo manderà da nessuna parte, se non ha dimostrato
di essere un credente impegnato in patria.
Lo stesso si può dire di un insegnante, che avrà il coraggio
di parlare non solo di evoluzione, ma anche di creazionismo, o di un falegname
o un muratore, che sarà pronto a rinunciare alle ferie per collaborare alla
costruzione di un centro per ragazzi dipendenti dalla droga. Lo si può dire di un contabile, di un
commerciante, o di una segretaria e di un impiegato statale, che metteranno al
servizio di Dio ciò che sanno fare. Quello che siamo nella vita secolare può, e
deve, essere uno strumento di testimonianza. Richiederà abnegazione e, spesso,
sacrificio, ma ne varrà la pena.
Insomma, deve morire la nostra voglia di fama, di successo,
di affermazione e di gratificazione del nostro io, per fare posto a un
desiderio profondo e equilibrato di servire. Così la gloria, anziché venire a
noi, andrà a chi la merita davvero: il Signore.
.
Nessun commento:
Posta un commento