Torniamo a parlare di Caleb e delle sue reazioni davanti a
difficoltà... gigantesche.
Erano partiti in dodici, capi delle dodici tribù d’Israele,
per andare a esplorare la Terra, che Dio aveva promessa al suo popolo. L’esplorazione era
durata 40 giorni e tutti quei dodici uomini avevano visto le stesse cose: un
bellissimo paese, fertile e produttivo, abitato da persone di statura alta , molto
troppo alta (per dieci di loro) e con città ben fortificate. Per Caleb e Giosuè
il paese era stato bellissimo e la gente e le città fortificate, poca cosa
davanti alla potenza di Dio.
È chiaro: dieci esploratori avevano confrontato se stessi
coi giganti, mentre Caleb aveva messo a confronto i giganti con Dio.
Era tutta una questione di fede e di timore di Dio: Caleb
temeva Dio più dei giganti e si fidava
di Dio. Quando fece la sua relazione
riguardo al paese che aveva visto, la fece con “sincerità di cuore”, come la definì Giosuè (14:7) e scelse di
credere a Dio e alle sue promesse, seguendolo pienamente (Giosuè 14:8),
piuttosto che badare alle sue impressioni e ai suoi sentimenti.
E per i futuri 40 anni, continuò fedelmente sulla stessa
linea. Io, per questo, lo ammiro sconfinatamente. Infatti il popolo fu condannato
da Dio a vagare nel deserto per 40 anni. A causa della sua ribellione, mentre
avrebbe potuto coprire la distanza che lo separava dalla Terra promessa in soli
40 giorni, quanti ne avevano impiegato gli esploratori.
Quaranta anni sono tanti, se sono fatti di spostamenti,
(smonta le tende e alza le tende), caldo, terreno arido, lamentele della gente,
disubbidienze, contrasti. Non è registrata nessuna lamentela di Caleb, nessun
“ve lo avevo detto!”, nessuna recriminazione. Solo fedeltà, tenacia e timore di
Dio.
La gente ribelle moriva nel deserto e lui perseverava nella
fiducia nelle promesse di Dio e non mollava. Finalmente alla bella età di 80
anni compiuti arriva con Giosuè, che era succeduto a Mosè nella guida del
popolo, e partecipa alla conquista del paese.
E all’età di 85 anni, si mette proprio a combattere contro i
giganti, che avevano fatto tanta paura agli altri esploratori. Ascoltatelo: “Ora ecco il Signore mi ha conservato in
vita, come aveva detto, durante i quarantacinque anni ormai trascorsi da quando
il Signore disse quella parola a Mosè, mentre Israele camminava nel deserto; e
ora ecco che ho ottantacinque anni; oggi sono ancora robusto com’ero il giorno
in cui Mosè mi mandò; le mie forze sono le stesse di allora, tanto per
combattere che per andare e venire. Dammi dunque questo monte, del quale il
Signore parlò quel giorno, perché tu udisti che vi stanno degli Anachiti
(giganti) e che ci sono delle città
grandi e fortificate. Forse, se il Signore sarà con me, io li scaccerò come
disse il Signore” (Giosuè 14:10-12).
Un gran bell’esempio che Dio ha onorato e che dovrebbe
ispirare anche noi a non confrontare mai le nostre difficoltà con la nostra
forza, ma a confidare nella forza e nelle promesse di Dio.
A riconoscere sempre che in noi stessi, di forza non ce n’è,
ma che la forza ci viene solo da Dio.
E anche che siamo sempre un esempio da seguire o da scartare,
finché saremo in vita (e che è meglio essere un buon esempio di fede che un
cattivo esempio di ribellione).
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