Nell’innario della Chiesa dei fratelli c’è un canto che, più di 50 anni fa, cantavamo a squarciagola ai primi campi giovanili di Poggio Ubertini, vicino a Firenze. Esso inizia con delle parole che oggi ci fanno un po’ ridere.
Eccole: “Cinti i lombi della mente,
Con novello e santo zel,
Siam venuti, o Dio possente,
In quest’oasi di ciel”… e così avanti, sullo stesso stile.
Devo confessare che non tutti capivamo il significato di quello che cantavamo, ma la poesia è poesia e non si discute. Perciò si cantava felicemente, soprattutto perché alcune parole erano bibliche e scritte dall’Apostolo Pietro stesso (fra l’altro, diceva che Paolo scriveva cose difficili da capire, ma anche lui non scherzava!).
Infatti, la frase “cinti i fianchi (pardon: lombi) della vostra mente” si trova proprio tale e quale nella sua prima lettera (1:13). Oggi, nella Nuova Riveduta l’hanno resa, per maggiore chiarezza, con “dopo aver predisposto la vostra mente all’azione”.
Ma cosa significava davvero nell’originale? Gli antichi quando dovevano camminare a lungo, per non essere impacciati dalla tunica, se la tiravano sui fianchi, se la legavano con una cintura, e così si muovevano più facilmente e liberamente. Era la cosa normale che, per esempio, tutti i pellegrini facevano.
Ma i fianchi sono fianchi! La mente, dove la mettiamo?
A me sembra che Pietro volesse dire, in modo figurato, che, come credenti, dovremmo avere la mentalità di un pellegrino e pensare come lui. Cioè come uno che cammina verso una mèta ancora da raggiungere. Capendo, insomma, che non saremo qui sulla terra per sempre e che non ci dobbiamo mettere radici. Siamo di passaggio e dobbiamo comportarci di conseguenza.
È un atteggiamento che non ci viene naturalmente. Noi viviamo qui sulla terra e la stabilità ci piace. Vogliamo una casa nostra. Vogliamo migliorare la nostra condizione. Cambiare in meglio. Assicurare una certa sicurezza ai nostri figli. Comprarci dei mobili più comodi. Avere un conto in banca, anche se la situazione globale non promette niente di buono.
Pietro diceva, invece, che come credenti, dobbiamo cambiare mentalità e prospettive. Scrivendo ai credenti di Filippi, anche Paolo esprimeva più o meno lo stesso concetto dicendo: “La nostra cittadinanza è nei cieli, da dove anche aspettiamo il Salvatore Gesù Cristo, il Signore, che trasformerà il corpo della nostra umiliazione, rendendolo conforme al corpo della sua gloria, mediante il potere che egli ha di sottomettere a sé ogni cosa” (3:20,21).
Ma in che senso dobbiamo cambiare mentalità? Dobbiamo diventare eremiti, asceti, anacoreti? Non esattamente.
Ne parleremo ancora. Intanto, facciamoci un po’ di esame di coscienza e domandiamoci: su che cosa metto veramente il mio cuore? A cosa tengo soprattutto? Per che cosa vivo? A cosa penso di solito?
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