“Ciao, Signore. Come stai?”

“Ciao, come stai?” diciamo a un collega quando entriamo in ufficio, levandoci la giacca. Poi ci mettiamo a fare i fatti nostri, senza quasi aspettare una risposta.

Ho paura che, a volte, facciamo esattamente lo stesso col Signore. Ci mettiamo a pregare, ma pensiamo ad altro. Siamo affrettati e soprappensiero. Gli diciamo “ciao, come stai” e ci limitiamo a mandargli poi delle specie di telegrammi, o SMS, per chiedere aiuto o conforto. E pensiamo di avere pregato e fatto il nostro dovere .   

Invece, faremmo bene a tenere conto di ciò che dice l’Ecclesiaste: “Bada ai tuoi passi quando vai alla casa di Dio (per noi quando ti metti a pregare) e avvicinati per ascoltare, anziché per offrire il sacrificio degli stolti, i quali non sanno neppure che fanno male.

“Non essere precipitoso nel parlare e il tuo cuore non si affretti a proferir parola davanti a Dio; poiché Dio è nel cielo e tu sulla terra; le tue parole siano dunque poche, poiché con le molte occupazioni vengono i sogni e con le molte parole vengono i ragionamenti insensati” (5:1-3).

Dobbiamo imparare a stare più zitti davanti a Lui, soprattutto quando cominciamo a pregare, e mettere a tacere le mille cose che ci passano per la testa e la lista di ciò che dobbiamo fare e che interferiscono nella nostra comunione con Lui.

Il Signore Gesù ha insegnato ai suoi discepoli che, quando volevano pregare, dovevano entrare nella loro cameretta, chiudere la porta, lasciare fuori i richiami del mondo, per cercare la presenza di Dio, del Signore dell’universo. Egli è Dio, è l’Onnipotente, l’Altissimo, Il Signore della gloria. Dobbiamo entrare alla sua presenza  “in punta di piedi” e con grande rispetto.

Per cominciare, il nostro primo desiderio deve essere quello di portargli la gloria che gli spetta.

Gesù lo ha fatto, Lui che era Dio, rivolgendosi al Padre con grande rispetto nella sua meravigliosa preghiera riportata nel Vangelo di Giovanni, cap. 17 (magari imparassimo a pregare come pregava Lui!). Lo ha anche insegnanto ai discepoli nella “preghiera modello”, il Padre nostro.

Ripassiamola.
 
“Padre nostro, che sei nei cieli sia santificato il tuo nome”
Dio è l’unico Signore, il solo che deve essere adorato e il suo nome deve occupare un posto speciale (deve essere santificato e messo a parte) nel mio cuore. Deve essere al di sopra di qualsiasi altra cosa, affetto e progetto.

“Venga il tuo regno”
Egli è il Signore e il re, oltre che il Padre. Devo permettergli di regnare nel mio cuore, nei miei pensieri e nelle mie azioni. Il suo onore deve essere il mio unico scopo. Devo ubbidire a tutto ciò che dice.

“La tua volontà sia fatta”
In ogni momento della mia giornata, devo volere realizzare la sua volontà nella mia vita, facendo quello che la sua Parola dice, senza  lamentarmi o impuntarmi. Devo fare agli altri quello che vorrei che facessero a me. Sottomissione totale, dunque, che mi piaccia o no.

Dopo di che, potrò presentargli la mia lista di richieste, sempre seguendo l’ordine del “Padre nostro”, chiedendo il pane quotidiano, il perdono dei peccati, la liberazione dalle tentazioni. Insomma, la forza per vivere giustamente e per funzionare come un vero figlio di Dio.

E che il Signore ci aiuti a farlo con la potenza del suo Spirito e la forza della sua grazia!
.

Arrivati? Non ancora.

“Ti senti arrivata nella tua vita spirituale?” mi ha chiesto una giovane donna poco tempo fa.

“Misericordia, no!” ho risposto. “Anzi, più invecchio e più mi sento conscia della mia peccaminosità. Il versetto che più mi incoraggia è quello che dice che “in me, cioè nella mia carne (in me stessa) non c’è alcun bene”. Perciò ogni giorno chiedo al Signore di aiutarmi a stare vicina a Lui, per peccare il meno possibile.

Perfino Spurgeon chiedeva in preghiera al Signore di aiutarlo a essere santo, quanto un povero peccatore, salvato per grazia, può esserlo”. Figuriamoci!

Il peggiore rischio per un credente è sentirsi e pensare di essere arrivato, di sapere tutto e di avere la risposta giusta per ogni problema. Anzi di saperne, qualche volta, una più del Signore.

Non ci credete? Allora, mettendovi una mano sulla coscienza, ditemi se non vi è mai capitato di dire: “La Bibbia lo dice, ma io penso che...”?

Il migliore antidoto per l’orgoglio spirituale è invece specchiarsi nella Parola di Dio e misurarsi con gli standard di Dio. Tipo “siate santi perché io sono santo” o “siate perfetti come è perfetto il vostro Padre celeste”. O ancora fare propria l’esortazione di Paolo a essere imitatori di Cristo e di Dio (1 Corinzi 4:16 e Efesini 5:1).

A pensarci, c’è da prendere una pala, fare un buco in terra per nasconderci. Grazie a Dio, che siamo salvati per grazia!

Il salmista pregava: “Apri i miei occhi e contemplerò le meraviglie della tua legge” (Salmo 119:18) e Salomone racconta che, quando era ancora un bambino tenero, suo padre gli diceva: “Il tuo cuore conservi le mie parole; osserva i miei comandamenti e vivrai; acquista saggezza, acquista intelligenza (capacità di comprendere)... il principio della saggezza è: acquista la saggezza. Sì, a costo di quanto possiedi, acquista l’intelligenza” (Proverbi 4:3-5,7). In un altro passo, afferma che la saggezza si deve scavare come un tesoro, come l’argento e l’oro, per imparare il timore dell’Eterno (Proverbi 2:4,5).

Dunque, arrivati, qui sulla terra, mai. Ma a scuola, sempre.
Personalmente penso che per tutta l’eternità continueremo a imparare e a scoprire le meraviglie di Dio. Oggi, è vero, abbiamo “la mente di Cristo” (1 Corinzi 2:16), cioè lo Spirito ci aiuta a pensare secondo i pensieri di Cristo, ed è già una cosa meravigliosa. Ma quando saremo col Signore, conosceremo pienamente.

Abbiamo ancora tanto da approfondire, ma facciamo nostre le parole dell’Apostolo Paolo che di preghiera s’intendeva molto: “Io piego le ginocchia davati al Padre del nostro Signore Gesù Cristo, dal quale ogni famiglia nei cieli e sulla terra prende nome, affinché Egli vi dia, secondo le ricchezze della sua gloria, di essere potentemente fortificati, mediante lo Spirito suo, nell’uomo interiore e faccia sì che Cristo abiti per mezzo della fede nei vostri cuori, perché radicati e fondati nell’amore, siate resi capaci di abbracciare con tutti i santi (i credenti nati di nuovo), quale sia la larghezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità dell’amore di Cristo e di conoscere questo amore che sorpassa ogni conoscenza, affinché siate ricolmi di tutta la pienezza di Dio” (Efesini 3:14-19).

Di cosa parleremo la prossima volta? Ancora della preghiera. Poi volteremo pagina, come dicono al telegiornale.
.

Per non dimenticare

“Prega per me che domani ho un esame”, mi dice uno studente. 
“OK.”
“Non te ne scordare.”
“Tranquillo.”

Viene il famoso domani, il ragazzo fa l’esame e prende un buon voto.

“Si vede che hai pregato” mi dice la prossima volta che mi incontra. Io sorrido e mi congratulo, ma, purtroppo, avevo dimenticato di pregare.

È facile essere trascurati, disordinati e poco precisi nel nostro pregare e soprattutto dimentichevoli. Mio marito, quando gli danno un soggetto di preghiera, prega subito. Altri hanno una memoria di ferro e ricordano meglio di me.

Io cerco di ovviare con delle liste, segnando nomi e soggetti precisi. Un gruppo di soggetti per ogni giorno della settimana. Soprattutto trovo importante annotarsi chi conosciamo poco e vediamo di rado o mai, perché è facile dimenticarli. Chissà cosa ci rivelerà il cielo, quando ci andremo?

Per esempio, io sto pregando una volta in settimana per un certo Mamalù.  L’ho incontrato in treno parecchi anni fa. Era un ragazzo di colore, che andava a Napoli e tutto il suo bagaglio era un sacchetto di plastica molto leggero.

Gli ho fatto un corso rapido sui pericoli della camorra, gli ho parlato del Signore Gesù e gli ho regalato un Vangelo di Giovanni. Naturalmente non l’ho più visto. Dove sarà ora?

Prego anche per una ragazza di Vercelli che ho incontrata nel Tempio dei Mormoni a Salt Lake City, nello stato di Utah, negli Stati Uniti. Le ho potuto dire solo con grande fermezza di non fidarsi mai e poi mai di chi aggiunge libri a cui si dà lo stesso (o maggiore) valore della Bibbia. Che ne avrà fatto del mio avvertimento?

La mia lista contiene anche molti nomi di gente incontrata in treno o in villeggiatura. Dio sa dove sono e cosa hanno fatto degli stampati che ho regalati.

Il Signore passava notti intere in preghiera e Paolo aveva nella sua mente liste molto lunghe di credenti di cui parlava al Signore. In una lettera, nomina un credente, Epafra, dicendo che lottava in preghiera per i suoi fratelli in fede. Bello, no?

Giacomo, nella sua lettera, dice che la preghiera del credente, fatta con efficacia, vale molto (5:16). Usiamola!

Nel prossimo post  finiremo queste chiacchierate sulla preghiera. Spero che abbiamo tutti imparato qualcosa.
.

“Pregate per me”

Questa frase, scritta da un uomo di Dio forte e deciso come era l’Apostolo Paolo, mi commuove. Un tipo come lui, a cui Dio rivelava misteri e ispirava lettere di contenuto denso di significato eterno, si pensa che non avrebbe avuto bisogno delle preghiere di persone semplici e bisognose di crescere spiritualmente, come erano i cristiani della chiesa primitiva. Eppure...

Eppure l’ha pronunciata, aggiungendo anche dei soggetti specifici come “una grande franchezza” nel proclamare il Vangelo (Efesini 6:19), sostegno mentre era in prigione (Colossesi 4;18), conforto morale (1 Tessalonicesi 5:25), liberazione (Filemone 21). 

La preghiera è un qualcosa di misterioso, che non riusciamo a capire fino in fondo. Io prego, mentre sono a Roma, e Dio agisce nella vita di qualcuno a Palermo o in Perù. Chiedo una cosa che mi sembra quasi impossibile e, nel momento in cui ne ho bisogno, la ricevo. È ome se una rete invisibile legasse me a centinaia di altre persone credenti e ci unisse fino al cielo, dove abita Dio.

D’altra parte, dato che Dio è anche ovunque, è anche una conversazione con una persona amorevole che sta al mio fianco e a cui posso dire tutto e chiedere tutto; una persona saggia e onnipotente che mi può dare tutto, ma che mi dà solo quello che è per il mio bene. Che meraviglia!

Pregare gli uni per gli altri è un ordine divino.

Ricordo che, anni fa in America, in una chiesa sperduta fra le colline della Pennsylvania, due donne anziane hanno detto a me e a mio marito: “Da quando siete stati qui, anni fa, mia sorella e io abbiamo pregato ogni giorno per voi”. Chi lo avrebbe immaginato? Quali e quante benedizioni hanno contribuito a riversare su noi quelle due vecchiette? Non lo possiamo sapere.

Paolo ha ordinato: “Pregate in ogni tempo , per mezzo dello Spirito, con ogni preghiera e supplica; vegliate a questo scopo con ogni perseveranza. Pregate per tutti i santi (i credenti) e per me...” (Efesini 6:18,19).

E ha dato anche dei soggetti specifici: “Esorto, prima di ogni altra cosa, che si facciano suppliche, preghiere, intercessioni, ringraziamenti per tutti gli uomini, per i re (quello al suo tempo era, niente po’ po’ di meno, che Nerone!), e per tutti quelli che sono costituiti in autorità, affinché possiamo condurre una vita tranquilla e quieta in tutta pietà e dignità” (1 Timoteo 2:1,2). Quanto preghiamo noi per i nostri governanti? Certo meno di quanto li critichiamo.

Le nostre preghiere devono essere precise, non tanto perché Dio abbia bisogno di spiegazioni come uno scolaretto, ma perché a noi farà del bene constatare che ci ha risposto riguardo a ciò che gli avevamo chiesto. Anche se ci risponde con un “no”.

Il Signore Gesù, poi ci ha ordinato, addirittura, di pregare un preghiera molto difficile: “Pregate per quelli che vi maltrattano e vi perseguitano”.  Essere perseguitati e trattati male è difficile da sopportare. Quando succede, la preghiera più spontanea è quella per essere liberati. Invece Gesù ha detto di pregare per, cioè per il bene di chi ci fa del male. È esattamente quello che ha fatto Lui, mentre moriva sulla croce.

Questa è una lezione importante da imparare. Stai pregando per il tuo datore di lavoro? O per quella certa sorella in fede che non ti saluta mai con gentilezza? O per un certo parente che, se può, dice male di te? Pensaci.

Ma c’è dell’altro. Ne parlamo la prossima volta.
.

La carne è debole

“Lo spirito è pronto, ma la carne è debole” è un versetto molto usato per giustificare  le proprie mancanze e anche i propri peccati.

Ma non è giusto. Non si deve mai estrapolare (parlo fino anch’io qualche volta!) un versetto dal suo contesto per non correre il rischio di citarlo male. Il Signore ha detto quelle parole ai discepoli, i quali non erano stati capaci di rimanere svegli mentre Lui pregava nel gardino del Getsemani, prima del suo arresto e il suo martirio. Avrebbe voluto il conforto dei suoi in quell’ora di terribile angoscia, ma essi erano stanchi e spaventati. L’evangelista Luca, da bravo medico, dice che si erano “addormentati per la tristezza”.

Il Signore li ha ripresi amorevolmente, capendo il loro stato d’animo. Ma non ha mai giustificato il peccato di nessuno.

Quando preghiamo, facciamo bene ad ammettere la nostra fragilità e confessarla al Signore. Non per scusarci, ma per chiedergli di aiutarci a vincerla o, meglio ancora, perché Lui ci riempia della sua forza per vincerla.

C’è una lezione importante da imparare quando preghiamo: dobbiamo riconoscere, ammettere e confessare la nostra totale incapacità di vincere il peccato e capire che “in noi, nella nostra carne, non c’è alcun bene” come diceva l’Apostolo Paolo. 

Ho sentito certe preghiere che ti fanno venire il latte alle ginocchia: “Signore, SE durante la settimana abbiamo peccato, perdonaci”, “Signore, abbiamo peccato, MA tu sai che non possiamo farne a meno”. Una poi le ha superate tutte: “Signore, abbiamo peccato, ma tu sai che anche il diavolo deve avere la sua parte”!

Dio ci conosce fino in fondo, non possiamo nascondergli niente. E non si spaventa di come siamo. “Come un padre è pietoso verso il suoi figli, così è pietoso il Signore verso quelli che lo temono. Poiché egli conosce la nostra natura; egli si ricorda che siamo polvere” (Salmo 103:13,14).

Quello che Egli vuole sono solo delle preghiere oneste. Pensiamo alla parabola del Fariseo e dell’esattore delle tasse. Il primo si vantava della sua bontà, l’altro confessava il suo peccato. Sappiamo bene chi è stato perdonato.

Se siamo stanchi e frustrati, diciamoglielo.

Se ci siamo irritati (per non dire arrabbiati come un cane) col nostro datore di lavoro che ci ha trattati male, confessiamo la nostra collera, che è un peccato, e perdoniamo di cuore colui che ci ha offeso.

Se non abbiamo voglia di andare in chiesa, confessiamolo, chiediamo perdono e prepariamoci a uscire per arrivare in tempo e con gli spiriti migliori.

Se ce l’abbiamo con un parente, promettiamo al Signore di cercare di fare pace.

Se dei pensieri sporchi o meschini ci tormentano, parliamone al Signore. Ci libererà. E se tornano, ci libererà di nuovo. L’importante è essere trasparenti e non far finta di essere più santi del Signore.

Ecco, per finire, un bel versetto di Paolo: “Or l’Iddio della pace vi santifichi Egli stesso completamente; e l’intero essre vostro lo spirito, l’anima e il corpo, sia conservato irreprensibile per la venuta del Signore nostro Gesù Cristo. Fedele è Colui che vi chiama e farà anche questo” (1 Tessalonicesi 5:23,24). Crediamoci, quando ci avviciniamo a Lui.

Alla prossima!
.

Non solo fede

Come promesso, oggi parliamo di fiducia.

La fiducia è diversa dalla fede. È un sentimento che spinge ad abbandonarsi a qualcuno o qualcosa. Ho fiducia in un dottore e perciò mi faccio curare da lui piuttosto che da un altro. Ho fiducia in un prodotto e perciò lo uso. Ho fiducia in una persona e perciò sono pronta a darle degli incarichi delicati o a confidarle dei segreti.

La fiducia in Dio è avere fede in quello che Egli è, che ha promesso e ha detto e agire di conseguenza ubbidendogli, senza dubitare che siamo nelle migliori mani possibili.

Questo ha molto a che fare con la nostra vita pratica e col nostro atteggiamento davanti a quello che succede. Se abbiamo fiducia nella bontà, nella sapienza e nella benignità di Dio, mentre preghiamo non dubiteremo che riceveremo esattamente quello che sarà per il nostro vero bene, anche se, forse,  dovremo aspettare la risposta o ricevere qualcosa che non è esattamente  quello che avevamo chiesto.

Dio sa meglio di noi ciò che il nostro bene e, a questo punto, deve subentrare in noi la fiducia. Dio  può tutto e non c’è niente di difficile per Lui. Può guarire, abbattere ostacoli, piegare la volontà dei nostri avversari, darci i soldi necessari per qualche progetto, cambiare una tempesta in un cielo sereno.

Tutto, insomma. Però, proprio nella sua preghiera modello, il cosiddetto “Padre nostro”, ci ha insegnato a dire: “La tua volontà sia fatta”. E noi dobbiamo rivolgerci a Lui con un atteggiamento di totale fiducia nella sua volontà.

L’Apostolo Giovanni ha scritto proprio questo pensiero nella sua prima lettera. Ascoltiamolo: “Questa è la fiducia che abbiamo in Lui: che se chiediamo qualche cosa secondo la sua volontà, egli ci esaudisce. Se sappiamo che Egli ci esaudisce in quello che gli chiediamo, noi sappiamo di avere le cose che gli abbiamo chieste” (5:14,15). 

La fiducia (che non è fatalismo, ma è sottomissione ragionata) ci aiuterà a ricordare il carattere e la perfezione di Dio e non ci permetterà di pensare che Lui non ci abbia ascoltati o abbandonati o che non ci voglia bene. Egli ci ama sempre e vuole sempre il nostro bene, perciò “accostiamoci con piena fiducia al trono della grazia, per ottenere misericordia ed essere soccorsi al momento opportuno” (Ebrei 4:15).

Col passare del tempo, ci renderemo sempre più conto che, dopo tutto, aveva ragione e ci ha dato ciò che era il meglio per noi.
.

“NON FACCIO PER VANTARMI, ma oggi è una bellissima giornata!”.


Lo diceva un Cavaliere medioevale (nessun riferimento a Cavalieri attuali) vanaglorioso, sicuro di sé e protagonista di una poesia che ho imparata a memoria da ragazzina.

Noi umani siamo un po’ tutti come quel cavaliere. Abbiamo la tendenza a vantarci di tutto. Del cibo che sappiamo cucinare, del lavoro che abbiamo compiuto, delle conquiste dei nostri figli e nipoti, del bene che sappiamo fare anche a chi ci tratta male, della nostra umiltà e delle nostre ripicche. Ci vantiamo perfino delle nostre malattie, che sono sempre più dolorose di quelle altrui.

“Cosa c’entra tutto questo con le tue conversazioni sulla preghiera?” chiedete.

C’entra, eccome! C’entra perché siamo un po’ come quel cavaliere medioevale e così sicuri di essere imortanti e di meritarci ogni tipo di benedizione. Vorremmo anche un trattamento speciale da parte di Dio, dato che siamo salvati per grazia e facciamo parte della sua famiglia. Perciò consideriamo i problemi della nostra vita come immeritati e ci meravigliamo e lamentiamo che Dio li permetta (se non facciamo addirittura gli offesi con Lui e decidiamo che non vale la pena pregarlo).

Di conseguenza, spesso dimentichiamo di ringraziarlo per i beni spirituali e materiali che riceviamo da Lui e gli facciamo solo una lista delle nostre disgrazie, che vorremmo ci togliesse al più presto, e di quello che avrebbe dovuto impedire che ci succedesse.

Oppure gli elenchiamo quello che vorremmo, come stessimo telefonando a un fornitore qualsiasi: “Signore, fammi star bene, dammi questo e dammi quest’altro”.

Dico bene o sono io la sola che, a volte, si rende conto di essere come un verme egoista che si rivolge all’Onnipotente pieno di pretese?

Sia come sia, alcuni versetti dovrebbero darci una bella dritta riguardo all’arroganza con cui preghiamo. Uno, per esempio, si trova nella lettera di Giacomo: “Non v’ingannate, fratelli miei carissimi: ogni cosa buona e ogni dono perfetto vengono  dall’alto e dal Padre degli astri luminosi presso il quale non c’è variazione né alcuna ombra di mutamento... perciò, deposta ogni impurità e residuo di malizia, ricevete con mansuetudine la parola che è stata piantata in voi e che può salvare le anime vostre” (1:16,17,21).

Dio ha promesso ai suoi figli, nella sua Parola, protezione, misericordia, aiuto e anche correzione, per aiutarci a progredire nella nostra conoscenza  di Lui e migliorare nella nostra condotta. Non ha mai promesso di darci una vita sempre facile, ma ha promesso di aiutarci sempre nelle nostre difficoltà. La sua cura, tenera e ferma allo stesso tempo, è un dono del Padre celeste.

Dunque, in quello che ci succede, sia piacevole o spiacevole, dobbiamo abituarci a vedere la mano di Dio che ci sostiene, che, a volte, ci coccola e che spesso ci corregge, ma che ci ama sempre e “senza  variazioni”. Ciò che Lui permette nella nostra vita è sempre utile per il nostro bene eterno. Perciò, come ha scritto l’autore della lettera agli Ebrei, “per mezzo di Cristo offriamo continuamente un sacrificio di lode a Dio, cioè il frutto di labbra che confessano il suo nome...” (13:15).

Lodiamo e ringraziamo Dio per ciò che ci piace e ci fa piacere e anche per quello che ci fa soffrire, perché “il Signore corregge quelli che Egli ama e punisce tutti quelli che Egli riconosce come figli... E vero che qualunque correzione, sul momento, non sembra recare gioia, ma tristezza; in seguito tuttavia produce un frutto di pace e di giustizia in tutti coloro che sono stati addestrati per mezzo di essa” (Ebrei 12:6,11).

Allora, ogni volta che ci viene il mugugno, impegniamoci a trasformarlo in un ringraziamento fiducioso, anche se, a volte, sarà un po’ difficile.

Ma di fiducia parleremo la prossima volta. 
.

È una grazia che siamo salvati per grazia!


Il concetto che più difficilmente la gente afferra, specialmente quando si parla di cose spirituali, è quello della grazia. La settimana scorsa, nel mio post, ho detto che in Italia si va avanti con le raccomandazioni. Oggi ripeto che da noi si ha l’abitudine di pagare per tutto.

Se ti fanno un regalo contraccambi, se offri di pagare un caffè a un estraneo, quello rifiuta perché “non vuole essere obbligato” come dicono a Napoli. Oppure la sua risposta è immancabilmente “a buon rendere!” (anche se, alla fine, non rende).

Quando si parla alle persone della salvezza della loro anima, queste pensano subito alla necessità di meritarla. E cominciano a dirti quanto bene hanno fatto.

È chiaro che pensano alla bilancia di Dio, quella con due piatti. Un piatto per le opere buone e l’altro per le mancanze e le debolezze (è raro che le chiamino peccati). In generale, il piatto della loro bilancia, quello del bene, è sempre più pesante di quello del male.   

Se si dice loro che Dio non la pensa così e che anche un solo peccato ci impedirebbe di stare alla sua presenza, ma che ha già pagato Lui stesso per ogni peccato, nella persona di suo Figlio, morto sulla croce, invariabilmente esclamano: “Ma non è giusto! Anch’io devo fare la mia parte!”.

Umanamente, è vero. Non è giusto che Uno che non ha fatto mai del male muoia per chi lo ha fatto. È giusto, piuttosto, che chi ha peccato paghi.

Però, dato che Dio è amore totale e che noi non avremmo mai potuto soddisfare la sua giustizia perfetta, Egli ha caricato su suo Figlio Gesù ogni colpa mai commessa, da Adamo in poi. Gesù, che non ha mai peccato, ha subìto la condanna meritata da  tutti i peccatori. Per questo ora può offrirci la sua salvezza gratuitamente e per pura grazia. Pretendere di contribuire a meritarla è, a pensarci bene, una terribile offesa a Dio. È come se fossimo degli imbianchini che pretendessero di migliorare una pittura di Michelangelo! 

Perciò, quando preghiamo, il nostro primo motivo di ringraziamento dovrebbe essere sempre la salvezza per grazia, il favore immeritato che Dio ci largisce, il suo dono incomprensibile e ineffabile. L’unico che può garantirci la salvezza.

Te ne sei reso conto? Lo hai capito? Hai ringraziato Dio? Lo fai ogni giorno?

L’Apostolo Paolo si è espresso così: “Benedetto sia il Dio e Padre del nostro Signore Gesù Cristo, che ci ha benedetti di ogni benedizione spirituale nei luoghi celesti in Cristo. In Lui ci ha eletti prima della fondazione del mondo, perché fossimo santi e irreprensibili dinanzi a Lui, avendoci predestinati nel suo amore a essere adottati per mezzo di Gesù Cristo, come suoi figli, secondo il disegno benevolo della sua volontà, a lode della gloria della sua GRAZIA, che ci ha concessa nel suo amato Figlio. In Lui abbiamo la redenzione, mediante il suo sangue, il perdono dei nostri peccati, secondo le ricchezze della sua GRAZIA, che Egli ha riversata abbondantemente su noi...” (Efesini 1:3-8).

“È per GRAZIA che siete stati salvati, mediante la fede; e ciò non viene da voi: è il dono di Dio. Non è in virtù di opere, affinché nessuno se ne vanti...” (Efesini 2:8,9).

Prendere o lasciare. In cielo ci si va solo per grazia, credendo in ciò che Gesù è che ha fatto.

Se preferisci l’inferno, fai da te. 
.