La chiesa di Corinto, ai tempi apostolici, era impossibile. C’erano divisioni e preferenze personali. Un gruppo diceva che si considerava seguace di Apollo, un oratore efficace; un altro gruppo voleva seguire Paolo, il fondatore; un terzo si appellava a Pietro, uno dei dodici apostoli. Poi c’erano gli ultraspirituali che dicevano di essere di Cristo, ma litigavano ugualmente nel suo nome.
Come se non bastasse, l’immoralità era tollerata fra i credenti e condonata, alcuni credenti si ubriacavano durante i pasti in comune della comunità, altri portavano le loro liti in tribunale. Poi c’erano problemi riguardo al matrimonio e alla conduzione pratica dei culti e incertezze riguardo ai doni spirituali e al matrimonio. Insomma: una bella confusione.
A questi credenti, Paolo ha scritto due lettere con infinita pazienza, due lettere ferme e amorevoli allo stesso tempo, ricche di dottrine e di brani meravigliosamente profondi. Uno dei suoi auguri finali, è: “Abbiate un medesimo sentimento”, cioè andate d’accordo nel vostro modo di pensare.
Nel mondo, oggi, tutti cantano la loro canzone e pensano che sia l’unica giusta. Il governo fa una legge e viene contestata. Viene approvato un progetto per un qualche lavoro e succede il finimondo. Si propone una riforma e immediatamente si contesta in partenza.
Nelle famiglie ci sono discordie profonde, i divorzi aumentano, i figli contestano i genitori, perfino i bambini della scuola materna disubbidiscono agli insegnanti. Figuriamoci quelli delle medie e delle superiori.
Nelle chiese le cose non vanno meglio. Ero su un autobus e almeno dieci mamme ne dicevano di cotte e di crude sul parroco, perché, poveraccio, aveva esortato a moderare il lusso dei vestiti della prima comunione. Come si permette!? Alla mia offerta di una copia del Vangelo, quelle donne hanno ... religiosamente rifiutato.
Anche nelle chiese evangeliche i mugugni non mancano.
In un gruppo di persone di provenienze diverse per nazionalità, razza, cultura e abitudini, per forza ci sono delle differenze d’opinione. Come si superano, per evitare frizioni, malcontenti e dispiaceri. Bisogna decidere che si andrà d’accordo, tenendo presenti le parole del re Salomone: “Iniziare una lite è come dare stura all’acqua”. Penso che sia utile che ognuno si chieda: Sto pensando (o dicendo) qualcosa che servirà a promuovere l’accordo o a inziare un disaccordo? Vale la pena impuntarmi?
Sto per dire male di qualcuno? Sono arrogante o amorevole? Sto per fare o dire una cosa che contribuirà al bene di tutti?
Sto per pronunciare un mio giudizio personale, che influenzerà qualcuno negativamente? Su cosa mi baso?
Sto dicendo qualcosa che è vera, ma che è inutile sottolineare?
Ho pesato le conseguenze che potrà avere quel che dico? Sto cercando la gloria di Dio o la mia? Sto per pettegolare: fra un mese o un anno, me ne pentirò?
Quello che dico edificherà la mia comunità o produrrà delle incrinature e insinuerà dei pregiudizi su qualcuno o qualcosa?
Sto seminando amore e tolleranza o dubbi e diffidenze?
Ho capito davvero quello che l’altro pensa? Vale la pena discuterne? Se sì, come?
La mia voce sarà quella di un altro gallo che vuol farsi sentire a tutti i costi o sarà una voce di pace?
In un’altra lettera, Paolo ha esortato: “Se avete una buona parola, che edifichi, ditela”. È un buon consiglio su cui non c’è bisogno di farsi delle domande e che ha a che fare con quello che diremo la prossima volta.
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