Sposati è bello!


Col suo terzo “MA IO VI DICO”, Gesù va sullo specifico e tocca un tasto molto delicato.

“Fu detto: Chiunque ripudia sua moglie le dia l’atto di ripudio”, MA IO VI DICO: chiunque manda via sua moglie, salvo che per motivo di fornicazione, la fa diventare adultera e chiunque sposa colei che è mandata via commette aduterio” (Matteo 5:31,32).  

Non intendo addentrarmi nei meandri della dottrina e dei punti di vista sul ripudio e il divorzio. Mio marito ci ha scritto già su un libro molto esauriente dal titolo: PENSI AL DIVORZIO? che voi potete procurarvi ordinandolo sul nostro sito (il libro è in ristampa e uscirà nel mese di settembre 2011).  

Voglio solo sottolineare che Gesù considerava il matrimonio una cosa molto seria e sacra, in una società che lo prendeva piuttosto alla leggera. Nel Vangelo di Marco (10:4-9), sullo stesso soggetto, ha detto che Mosè aveva permesso di scrivere un atto di divorzio e mandare via la moglie a causa della durezza del cuore della gente, ma ha aggiunto: “Ma al principio della creazione Dio li fece maschio e femmina. Perciò l’uomo lascerà suo padre e sua madre e i due saranno una sola carne. Talché non sono più due, ma una stessa carne. Quello dunque che Dio ha congiunto, l’uomo non lo separi”.  

Il piano di Dio è meraviglioso: Egli ha concepito che due persone diverse per sesso e provenienza possano unirsi e diventare una cosa sola: anima, corpo e spirito. Esse fondono le loro personalità, loro gusti, amalgamano i loro caratteri armonicamente, in modo da completarsi e funzionare di comune accordo. Non solo: uniscono gioiosamente i loro corpi sessualmente per godere di un’unità fisica, che eventualmente porterà anche alla procreazione di figli. E in più, si uniscono spiritualmente e adorano lo stesso Dio e vivono per fargli piacere. Non si può immaginare niente di più straordinariamente completo.

Ma perché tante coppie si separano e il numero dei divorzi cresce in maniera esponenziale? L’ingresso del peccato, commesso dalla prima coppia, ha influenzato ogni essere umano ed è stato un vero cataclisma cosmico. Egoismo, insoddisfazione, maschilismo, femminismo hanno sciupato l’amore, la gioia e l’altruismo che Dio aveva pianificati. L’unità nella coppia, di conseguenza, è diventata difficile. A volte impossibile.

Però, fra credenti, la cosa dovrebbe (e può) essere diversa. Chiaro: un vero credente dovrebbe sposare una vera credente, come Dio ha ordinato categoricamente (2 Corinzi 6:14,15). Altrimenti si parte col piede sbagliato.

È semplice capirne il perché. Chi è “nato di nuovo” ha delle potenzialità che possono rendere bello il suo matrimonio. Ha “la natura divina” (2 Pietro 1:4), “ha la mente di Cristo” (1 Corinzi 2:16), è “una nuova creatura” (2 Corinzi 5:17), il suo corpo è “il tempio dello Spirito Santo” (1 Corinzi 6:19), per mezzo di Cristo ha la forza di vincere il peccato (Filippesi 4:13) e ha uno scopo molto preciso: piacere a Dio e fare piacere al proprio coniuge.

Con queste premesse, il matrimonio può diventare, oltre a uno stato piacevolissimo, anche una scuola di altruismo, di donazione di sé, di rinuncia ai propri diritti, di gioia nel compiacere l’altro e di profonda soddisfazione nel mandare a effetto il piano immaginato da Dio al principio.

Una volta Pietro, pensando al matrimonio (lui che era già sposato) ha esclamato al Signore che era meglio non sposarsi. Era una delle sue esternazioni buttate lì senza pensare.
 
No. Sposarsi è bello e rimanere sposati è ancora più bello (io e Bill andiamo verso i 55 anni di matrimonio!). Ma perché una cosa riesca bene, bisogna prima ubbidire a Dio e poi lavorarci. Ogni giorno.
.

Una setta di guerci e di monchi?


Il secondo “MA IO VI DICO” di Gesù tocca un tasto decisamente delicato: “Voi avete udito che fu detto: ‘Non commettere adulterio’. Ma io vi dico che chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore” (Matteo 5:27,28).

Ti viene spontaneo esclamare, usando le parole di Gesù pronunciate in un’altra occasione: “Chi è senza peccato scagli per primo la pietra”?  Su questo punto nessuno si salva, se è un essere normale, dotato di ormoni e di impulsi biologici naturali.

Non tradire la moglie o il marito, commettendo adulterio, è un comando che si capisce (oggi forse si capisce un po’ meno!), ma solo uno sguardo o un pensiero di sfuggita, a chi non è venuto?  

“Adesso il Maestro sta esagerando” avranno pensato i discepoli che lo ascoltavano.

Ma non esagerava: continuava il suo ragionamento. Certo: un pensiero peccaminoso non ha le conseguenze gravi di un atto realmente commesso e solo i peccati commessi possono essere condannati dalla legge umana. Ma la legge divina va più in profondità e legge nei  pensieri, che  rivelano la peccaminosità reale delle persone. Gesù voleva di nuovo portare i discepoli a capire che l’uomo è per natura tarato, che i suoi pensieri e desideri peccaminosi rivelano ciò che veramente è e lo rendono indegno di stare alla presenza di un Dio santo e puro. Quindi, chi vuole essere in armonia con Dio ha bisogno non solo di fare le cose giuste, ma anche di essere purificato fino in fondo. Di diventare una nuova natura, subire una rigenerazione, sperimentare una nuova nascita.

Gesù è stato chiaro: “Se il tuo occhio destro ti fa cadere in peccato, cavalo e gettalo via da te... e se la tua mano destra ti fa cadere in peccato, tagliala e gettala via da te...” . Con queste parole non intendeva fondare una setta fatta di guerci e di monchi, e neppure suggeriva la necessità di flagellazioni e penitenze come alcuni hanno pensato. La sua affermazione drastica aveva lo scopo di mettere in luce le esigenze di Dio e la realtà del peccato. Chi lo vuol vincere con i suoi sforzi fallisce. Ci vuole di più.

Qualsiasi religione basata su opere buone da compiere per meritare la grazia di Dio è falsa.  Gesù lo ha detto tondo tondo a Nicodemo, che era  un religioso integro e sincero: “Devi nascere di nuovo” e gli ha indicato l’unica via per conoscere Dio: “Iddio ha tanto amato il mondo che ha dato il suo unigenito Figlio, affinché chiunque crede in Lui, non perisca, ma abbia vita eterna”. O capisci di essere fondamentalmente e irrimediabilmente perduto e stendi la mano per ricevere il perdono dei tuoi peccati o ti fai solo delle illusioni.

Ma come si deve capire allora l’ordine di mozzarsi la mano o cavarsi un occhio? Cosa intendeva Gesù? Voleva far capire che le tentazioni sono sempre presenti e anche chi crede (dopo tutto, parlava a dei discepoli) ne incontrerà. Nella preghiera del “Padre nostro” che si  trova un po’ più avanti in questo stesso discorso, Gesù ha insegnato a chiedere di non essere esposti a tentazioni e di essere liberati dal male.

Gesù sapeva benissimo che le tentazioni sarebbero sempre state presenti anche nella vita del migliore credente, ma ha indicato che la preghiera è un aiuto immenso per vincerle, oltre alla determinazione personale a non assecondarle, guardando e toccando ciò che non si deve né guardare né toccare. Perciò ha detto figurativamente “taglia” e “cava”,

La nuova nascita e la presenza dello Spirito Santo danno al credente una forza nuova. “Con la tentazione, Dio vi darà anche la forza di uscirne” è la promessa biblica.

L’apostolo Paolo, che conosceva profondamente la natura umana, ha anche indicato a un suo collaboratore un altro mezzo infallibile per vincerle: “Fuggi... schiva!”

In parole povere, se una collega, una vicina, l’amica di tua moglie, ti piace un po’ troppo e ti suscita certi sentimenti, schivala, scappa e corri da tua moglie! Portale un mazzo di fiori e fatti la barba!
 
E tu, moglie, smettila di invidiare il marito della tua amica, perché ti sembra più gentile e premuroso del tuo. Cura piuttosto l’uomo che hai sposato e goditelo.
-

Hai mai detto “scemo” a qualcuno?


Se vivesse oggi in Italia, dato che la pena di morte è stata abolita, invece di metterlo in croce, lo metterebbero a vita in un manicomio come elemento pericoloso per la società. Troppo radicale, esagerato, esigente, intollerante, dannoso per il bene generale. Sto parlando di Gesù, che, all’inizio del suo ministero sulla terra ha fatto il discorso più incredibilmente intollerante e radicale che sia mai stato pronunciato.

In una cultura molto religiosa ha avuto il coraggio di dire alla gente, che i religiosi ebrei tenevano legata con regole e precetti: “Loro vi hanno insegnato e detto che... ma io vi dico”. E dire che anche Lui era ebreo, della stirpe di Davide!

Per alcune settimane, parleremo insieme dei “ma io vi dico” di Gesù. E ci sarà da meditare.

Intanto, immaginiamo lo scenario della situazione: Gesù sale il pendio di una collina, da cui si può osservare in lontananza il Mare di Galilea. Alberi alti, querce e platani punteggiano i bordi della stradina sassosa e polverosa, che si snoda fra spazi di verde, mentre gli uccelli cantano felicemente. Ci sono, sul pendio, dei bei prati in cui ci si può sedere per ascoltare e conversare senza essere disturbati.  Coi suoi discepoli, il Signore aveva lasciato una gran  folla che era venuta, proprio sulle rive del lago, per ascoltarlo e vedergli fare dei miracoli straordinari. Aveva guarito malati di tutti i tipi.

Ora, però, voleva stare tranquillo con i suoi e istruirli in maniera particolare. Non sempre capivano ciò che diceva e Lui, dato che aveva dei piani molto speciali per loro, voleva ragionare con calma. Gli si sedettero attorno, come avrebbero fatto con qualsiasi rabbino, e Gesù cominciò a stupirli dicendo loro che la vera felicità stava nel capire di essere dei poveri, in senso spirituale, bisognosi di forza e aiuto. Che c’era beatitudine nel soffrire, nel non ribellarsi, nel desiderare sopratutto le ricchezze spirituali, nell’essere misericordiosi, puri di cuore, pacifici e, perfino, perseguitati, come erano stati perseguitati gli antichi profeti d’Israele. Ogni punto che toccava, lo faceva precedere dalla parola “beati”. C’era da stupirsi. Era un linguaggio diverso anche da quello di Giovanni Battista di cui erano stati discepoli.

Poi Gesù parlò loro del fatto che avrebbero dovuto vivere ciò che predicavano e essere dei buoni esempi. Soggiunse che non era venuto per abolire le leggi che Dio aveva date a Mosè, ma per adempierle perfettamente. E cominciò a spiegare che cosa significassero proprio quei comandamenti e come si dovessero interpretare. E così iniziò, davanti ai discepoli che sgranavano gli occhi e aprivano la bocca meravigliati, la serie dei suoi “MA IO VI DICO”.

E c’era di che, per sgranare gli occhi!

“Voi avete udito che fu detto agli antichi: ‘Non uccidere: chiunque avrà ucciso sarà sottoposto al tribunale”. Fino a quel momento, niente di nuovo. Poi la bomba: “MA IO vi dico: chiunque si adira contro suo fratello, sarà sottoposto al tribunale... (e proprio lì, ai suoi piedi, c’erano dei fratelli carnali, Giacomo e Giovanni, i “figli del tuono”, piuttosto focosi di personalità, che certo, qualche volta, avevano avuto da dire fra loro, e Pietro e Andrea, altri due fratelli...) e chi avrà detto a suo fratello ‘raca’ (testa vuota) sarà sottoposto al sinedrio e chi gli avrà detto ‘pazzo’ sarà condannato alla geenna del fuoco (l’inferno).

“Per carità, chi non lo ha fatto, almeno una volta?!” avranno pensato quelli che lo ascoltavano.

Gesù cominciava a scavare e a fare capire ai suoi discepoli che non è solo quello che facciamo, ma anche quello che pensiamo e i sentimenti che proviamo, quelli che  dimostrano esattamente come siamo per natura: bacati e incapaci di fare il bene. “Totalmente depravati” direbbero i teologi, che parlano fino.

“MA io, che sono Dio venuto in carne” sembra dire Gesù a quei discepoli, che avevano creduto in Lui come Messia e Agnello di Dio, e avevano deciso di seguirlo,“vi voglio far capire esattamente come siete e perché io sono venuto proprio per salvare i peccatori. Per cercare e salvare chi è perduto. Anche voi siete che mi seguite, non solo siete bisognosi di salvezza, ma dovete dimostrare con le azioni che fate sul serio con me. Perciò: “Se ti ricordi che tuo fratello ha qualcosa contro di te, va’ a riconciliarti con tuo fratello...”.  In altre parole, se qualcuno ce l’ha con voi, andate subito a far pace e, se necessario, chiedete perdono”.

Un insegnamento nuovo, importante, radicale, che Gesù ripeterà molte volte durante la sua vita terrena.

Oggi parlare di peccato, significa offendere. Bisogna piuttosto dire alle persone: “Dio ha un piano meraviglioso e ti ama incondizionatamente...”. Tutto vero. Ma è un piano che comincia col nostro ravvedimento, di cui si parla troppo poco. Invece, Dio vede nel profondo del nostro cuore e vuole lavarlo e farne una bella dimora. Lo hai invitato a entrare?

E dopo averlo invitato, stai tenendo pulito il tuo cuore confessandogli giorno per giorno i tuoi peccati e i tuoi falli, affinché il sangue di Cristo ti purifichi? Se lo hai dimenticato, rileggi il primo capitolo della prima lettera di Giovanni e agisci di conseguenza. Niente fa del bene spiritualmente quanto il chiedere perdono e essere perdonati.

Ci sentiamo la settimana prossima!

.

Vivete in pace


Ho detto che la chiesa di Corinto, nel I secolo d.C., sembrava un pollaio pieno di galli che si beccavano, cantavano e litigavano fra loro.

Proprio a quella chiesa, l’apostolo Paolo rivolge il suo ultimo augurio, o esortazione: “Vivete in pace”. Cosa intendeva? A volte è importante pensare a cosa NON intendeva.

Non voleva dire “vivi e lascia vivere”, ovvero “fatti i fatti tuoi e non t’impicciare”. Questo è il trionfo dell’egoismo. La chiesa del Signore è paragonata a un corpo composto da tante membra e le membra sono fatte di cellule. In un corpo umano, quando una cellula o due si mettono a “farsi i fatti loro” e a non vivere in armonia col resto delle cellule diventano cancerose e portano la morte. Chi è indifferente e egoista, in una chiesa, finisce per produrre danni a volte irreparabili.

Non voleva dire “siate tolleranti, dato che ognuno ha la sua verità”. Dire una cosa simile, come va di moda oggi, è perfettamente cretino: se una cosa è vera, chi dice il contrario dice il falso. In una chiesa, la dottrina e la condotta sono importanti e gli anziani sono chiamati a vegliare e sorvegliare le pecore che Dio ha affidato loro.

Non voleva dire “non importa quello che uno crede; basta che si comporti bene”. La condotta dipende dalle convinzioni che uno ha. Un individuo è esattamente il frutto di ciò che pensa.

Vivere in pace vuol dire interessarsi del bene degli altri, pregare gli uni per gli altri, curarsi a vicenda e trovare modi pratici per dimostrare l’amore.

Quando i nostri figli erano piccoli, sono stata a letto per un mese col male di schiena. Una sorella è venuta regolarmente a stirarmi il bucato. Era il suo modo di dimostrarmi il suo amore pratico. E quanto l’ho apprezzato!

Quando mio padre era all’ospedale, incapace di inghiottire cibo solido, le donne della chiesa a Firenze hanno fatto “la catena del brodo” e a turno portavano del comsommé a mio papà e lo hanno praticamente tenuto in vita per alcuni mesi.

Vivere in pace vuol dire non offendersi se uno non ti saluta, ma andarlo a salutare per primi.

Vuol dire non tenere la contabilità di quante telefonate ti fanno o di quanti messaggini ti mandano o di quanto spesso ti invitano a pranzo e fare i confronti con chi è più curato.

Vuol dire, in parole povere, considerare gli altri più importanti di noi.

Il risultato che proviene dal mettere in pratica tutte le esortazioni di Paolo ai Corinzi (rallegratevi, ricercate la perfezione, siate consolati, abbiate un medesmo sentimento e vivete in pace) è: “L’Iddio d’amore e di pace sarà con voi”. Vale la pena impegnarcisi, non vi pare?
.

Troppi galli a cantare...


La chiesa di Corinto, ai tempi apostolici, era impossibile. C’erano divisioni e preferenze personali. Un gruppo diceva che si considerava seguace di Apollo, un oratore efficace; un altro gruppo voleva seguire Paolo, il fondatore; un terzo si appellava a Pietro, uno dei dodici apostoli. Poi c’erano gli ultraspirituali che dicevano di essere di Cristo, ma litigavano ugualmente nel suo nome.

Come se non bastasse, l’immoralità era tollerata fra i credenti e condonata, alcuni credenti si ubriacavano durante i pasti in comune della comunità, altri portavano le loro liti in tribunale. Poi c’erano problemi riguardo al matrimonio e alla conduzione pratica dei culti e incertezze riguardo ai doni spirituali e al matrimonio. Insomma: una bella confusione.

A questi credenti, Paolo ha scritto due lettere con infinita pazienza, due lettere ferme e amorevoli allo stesso tempo, ricche di dottrine e di brani meravigliosamente profondi. Uno dei suoi auguri finali, è: “Abbiate un medesimo sentimento”, cioè andate d’accordo nel vostro modo di pensare.

Nel mondo, oggi, tutti cantano la loro canzone e pensano che sia l’unica giusta. Il governo fa una  legge e viene contestata. Viene approvato un progetto per un qualche lavoro e succede il finimondo. Si propone una riforma e immediatamente si contesta in partenza.

Nelle famiglie ci sono discordie profonde, i divorzi aumentano, i figli contestano i genitori, perfino i bambini della scuola materna disubbidiscono agli insegnanti. Figuriamoci quelli delle medie e delle superiori.

Nelle chiese le cose non vanno meglio. Ero su un autobus e almeno dieci mamme ne dicevano di cotte e di crude sul parroco, perché, poveraccio, aveva esortato a moderare il lusso dei vestiti della prima comunione. Come si permette!? Alla mia offerta di una copia del Vangelo, quelle donne hanno ... religiosamente rifiutato.

Anche nelle chiese evangeliche i mugugni non mancano.

In un gruppo di persone di provenienze diverse per nazionalità, razza, cultura e abitudini, per forza ci sono delle differenze d’opinione. Come si superano, per evitare frizioni, malcontenti e dispiaceri. Bisogna decidere che si andrà d’accordo, tenendo presenti le parole del re Salomone: “Iniziare una lite è come dare stura all’acqua”. Penso che sia utile che ognuno si chieda: Sto pensando (o dicendo) qualcosa che servirà a promuovere l’accordo o a inziare un disaccordo? Vale la pena impuntarmi?

Sto per dire male di qualcuno? Sono arrogante o amorevole? Sto per fare o dire una cosa che contribuirà al bene di tutti?

Sto per pronunciare un mio giudizio personale, che influenzerà qualcuno negativamente? Su cosa mi baso?

Sto dicendo qualcosa che è vera, ma che è inutile sottolineare?

Ho pesato le conseguenze che potrà avere quel che dico? Sto cercando la gloria di Dio o la mia? Sto per pettegolare: fra un mese o un anno, me ne pentirò?

Quello che dico edificherà la mia comunità o produrrà delle incrinature e insinuerà dei pregiudizi su qualcuno o qualcosa?

Sto seminando amore e tolleranza o dubbi e diffidenze?

Ho capito davvero quello che l’altro pensa? Vale la pena discuterne? Se sì, come?

La mia voce sarà quella di un altro gallo che vuol farsi sentire a tutti i costi o sarà una voce di pace?

In un’altra lettera, Paolo ha esortato: “Se avete una buona parola, che edifichi, ditela”. È un buon consiglio su cui non c’è bisogno di farsi delle domande e che ha a che fare con quello che diremo la prossima volta.
.


Siate consolati


Pochi giorni fa, ho conosciuto una giovane donna sudamericana, bella e simpatica. Mi ha raccontato la sua storia. E’ venuta a lavorare in Italia da sola. Si è sposata con un italiano. Ora è separata da un anno.

“Non mi voleva più, lo amo ancora” mi ha detto con gli occhi che le si riempivano di lacrime. 

Il mondo è pieno di tristezze, di storie che sembrano – e sono – ingiuste e crudeli, di cuori rotti e di speranze demolite.

Però, la parte bella della storia della donna sudamericana è che mi ha confidato: “Sto cominciando a conoscere davvero Gesù e nel mio cuore c’è una gioia nuova, un nuovo tipo di consolazione che non so spiegare bene.”

Da un po’ più di una settimana, su questo post, stiamo considerando gli “auguri” che l’apostolo Paolo ha fatto ai credenti della chiesa di Corinto, chiudendo la sua seconda lettera. I primi due “auguri” o esortazioni, erano: “rallegratevi” e “cercate la perfezione”. Il terzo è (guarda un po’ come casca a cece!), “siate consolati”.   
E’ interessante che Paolo non ha detto “consolatevi”, ma “siate consolati”.

Se avesse detto “consolatevi” avrebbe messo la responsabilità sulle persone. Un po’ come dire: “Tiratevi su... datevi pace... fatevi coraggio... parlatene con un amico... domani è un altro giorno...”. Sarebe stato un qualcosa che dipendeva dalla loro iniziativa. Io avrei potuto dire qualcosa di simile alla giovane sudamericana, ma avrei lasciato il tempo che avevo trovato. Una persona triste e ferita, non trova facilmente consolazione con parole di questo tipo.

Invece, dicendo “siate consolati”, l’apostolo ha messo l’accento non sulla persona triste che doveva fare qualcosa per tirarsi su, ma su qualcosa o Qualcuno che avrebbe portato consolazione. Una grossa differenza, non vi pare?

Il Signore Gesù, alla vigilia del suo sacrificio sulla croce, ha detto ai suoi discepoli, tristi confusi e spaventati: “Io pregherò il Padre, ed Egli vi darà un altro Consolatore, perché stia per sempre con voi, lo Spirito della verità ...Manderò a voi il Consolatore... lo Spirito della verità vi guiderà in tutta la verità, perché non parlerà di suo... Egli mi glorificherà perché prenderà del mio e ve lo annuncerà”. Una promessa incredibile!

Nella persona che si affida a Cristo, che lo accoglie nella sua vita e crede in Lui come unico Salvatore e Signore, lo Spirito Santo stabilisce la sua dimora permanente (“stia sempre con voi”) e comincia un’opera meravigliosa di guida, di conforto e di consolazione.

Lo Spirito è il vero e unico Vicario di Cristo, non inventa niente di suo, ci parla di Cristo, ci aiuta a capire la Parola di Dio, a pregare e, addirittura, quando non sappiamo come pregare, prega con noi e per noi .

Questi pensieri devono spingere a due cose molto importanti: la prima a aprire il nostro cuore e tutto il nostro essere a Cristo, perché Lui compia la sua opera di salvezza in noi, e poi permettere allo Spirito di consolarci, autandoci a credere alle promesse e alle verità della Parola di Dio. Sarà un’esperienza giornaliera e meravigliosa che ci darà una serenità crescente, come sta facendo nella giovane sudamericana, nonostante le difficoltà della sua situazione umana.  
.

MI SONO PROPRIO STUFATA

Sono stufa, irritata, disgustata.  Ora vi dico perché.

Quando parlano sui giornali di quel criminale e crudele e deprecabile delinquente che ha fatto poco tempo fa la strage di gente innocente in Norvegia, i cronisti, naturalmente ben informati, aggiungono che si trattava di un evangelico fondamentalista che ce l‘aveva a morte coi musulmani.

Nessun evangelico fondamentalista approverebbe la religione islamica, ma nessuno si metterebbe a fare stragi di decine di persone in nome della sua fede. Ci mancherebbe.

Evidentemente quei ben informati non sanno neppure chi siano i fondamentalisti evangelici. Tanto per chiarire le loro idee ecco chi sono. Appartengono a una linea di fede che crede profondamente all’ispirazione e all’infallibilità della Bibbia, alla deità di Gesù Cristo, alla sua nascita miracolosa da Maria vergine, alla sua morte espiatoria sulla croce per i peccatori, alla sua resurrezione e al suo ritorno sulla terra per stabilire il suo regno. Inoltre credono, perché la Bibbia l’afferma, alla peccaminosità dell’uomo  e al suo bisogno di salvezza dalla perdizione etena. Hanno avuto inizio (come movimento) quale reazione al liberalismo nascente del secolo XIX. Tutto lì.  

Che fanno di male? Diffondono la Bibbia, proclamano la loro fede e cercano di fare del bene. 

Migliaia di missionari evangelici fondamentalisti  hanno predicato e predicano oggi il Vangelo nel mondo e continuano a farlo. Hanno fondato chiese evangeliche, diffuso Bibbie e libri di studio biblico, scuole, ospedali e lebbrosari in paesi che ne erano privi.  Molti hanno pagato, anche ultimamente, con la vita il loro impegno spirituale.

Assomigliarli ai criminali è cattivo e ingiusto. Non sono né infallibili né perfetti, ma criminali e pericolosi per il bene della società neppure.

Ecco perché sono indignata. 
.

Rallegratevi


“Meno male che non era forcelluto!” diceva un tale che aveva un occhio solo. Aveva perduto l’altro occhio cadendo da un albero. Era precipitato a testa giù e un rametto per terra gli si era conficcato in un occhio, danneggiandolo irreparabilmente. Lui era rimasto cieco da un occhio, ma andava in giro dicendo che era una gran fortuna che il rametto non fosse “forcelluto”.              

Non so se questa storia, che stava nella mia antologia delle medie ed era nella sezione dei  raccontini morali, parli in un fatto vero. Penso che fosse un pio insegnamento medioevale, dato che oggi nessuno userebbe mai la parola “forcelluto”. Ma il succo della storia è buono. Bisogna cercare di vedere sempre qualcosa di positivo in quello che ci succede. Purtroppo  pochi lo fanno.

Parlando con le persone è molto più facile sentire lamenti, brontolii e critiche. E, di solito, i lamenti riguardano cose che non si possono granché cambiare.

Anche i credenti, quanto a lamenti, non sono da meno. E fanno male.

Prima di tutto, fanno male a se stessi, perché soffermarsi a pensare alle cose che vanno storte non le rende dritte. Peggio ancora, sotto sotto, dimostra una certa ribellione verso il Signore che le ha permesse. Se esprimessero a alta voce i loro pensieri direbbero: “Questa il Signore non me la doveva fare! Non me la meritavo!”

In secondo luogo, rendono triste (o annoiato) chi sta loro vicino. Il che non è mai una buona idea se si vogliono avere degli amici.

E terzo, danno una cattiva testimonianza. Chi avrebbe voglia di conoscere un Dio che ha figli tristi, malinconici, depressi e lamentosi?

L’apostolo Paolo nella sua seconda lettera ai credenti della chiesa di Corinto, li saluta dicendo: “Rallegratevi”. Rallegratevi in che cosa e per che cosa? Vediamo.

Prima di tutto per la loro salvezza. Gesù ci offre in dono la vita eterna, cioè la possibilità di conoscere Dio e Lui stesso, ora e nell’eternità. E non è poco! L’eternità non sarà sufficiente per godere la presenza del Padre che ci ha amati tanto da sacrificare suo Figlio per pagare il nostro debito di peccatori. Non basterà l’eternità per ringraziarlo, lodarlo e adorarlo.

Ma c’è di più: nel nostro cuore oggi vive lo Spirito Santo, il Consolatore, la terza Persona della Trinità, Dio stesso. Egli ci guida, ci insegna, ci aiuta a pregare, ci rende forti e aumenta la nostra fede.

E poi, abbiamo la Parola di Dio, la Bibbia, che possiamo consultare, leggere e meditare ogni giorno e ogni momento. E viviamo in un paese in cui non è vietato leggerla.

Le cose scritte rimangono, dicevano i Romani. Le promesse di Dio sono lì, scritte e immutabili. Ci rivelano Dio, ci fanno capire perché il mondo va male, perché abbiamodei problemi, ma ci dicono anche che Cristo tornerà e che con Lui godremo la gioia del cielo, nella perfezione.

E poi, andate avanti voi a trovare cose per cui rallegrarvi. Se ne troverete dieci, ne avrete trovate poche!

Mi guardate con gli occhi da pesce bollito? Non sapete per cosa rallegrarvi? Allora, vi faccio un esempio: alzate gli occhi e guardate le nuvole nel cielo. Sono o non sono belle? Rallegratevi!

Sentite un uccellino che canta? Rallegratevi!

Vi fa male una spalla? Rallegratevi che l’altra sta bene.

Non ci vedete da un occhio? Rallegratevi che che avete un altro.... e che il rametto non era “forcelluto”.

L’apostolo Paolo non si è fermato al “rallegratevi” il suo augurio era più vasto. Ne parleremo.
.