Chi ha tempo non aspetti tempo! E nel caso, di cui sto per parlare, c’è da approfittare delle occasioni e non c’è tempo da buttare. Invece, troppi genitori perdono del tempo preziosissimo pensando che il loro bambino sia troppo piccolo e non possa capire molte cose. Il bambino non deve essere sottovalutato. Capisce benissimo e quando lo riportiamo a casa dopo due o tre giorni dal parto, bisogna già che impari un fatto semplicissimo: chi comanda in casa non è lui, ma sono i suoi genitori. E neppure i nonni!
Deve imparare che non sarà preso in braccio e coccolato ogni volta che piange, che deve imparare i suoi ritmi fra mangiare e dormire e che deve stare traquillo nella sua culla, e non essere “spupazzato” tutto il tempo, perché la mamma deve occuparsi anche di altre cose oltre che di lui.
Su questo argomento ho scritto due capitoli nel mio libro FIGLI PICCOLI, GIOIE GRANDI, che si può ordinare sul nostro sito (www.istitutobiblicobereano.org). Molti genitori li hanno considerati molto utili. Perciò non ci ritorno su.
Il tempo da non perdere è quello che si dedica alla sua istruzione morale e spirituale. Io ho imparato una lezione importante da una signora che mi ha fatto visita. Era una brava credente, mi pare australiana, e io ero diventata mamma di due gemelli da poco tempo.
Dovevo dare la bottiglietta a tutti e due e, ridendo, le ho detto: “Ne vuole uno lei?”.
“Con grande piacere!”
Ho preparato i due biberon, le ho messo in braccio uno dei gemelli e lei ha messo la mano sugli occhi del piccolo e ha detto: “Thank you, Jesus. Amen”. Lui ha spalancato la bocca e ha cominciato a succhiare felice.
“Ma non è troppo piccolo per capire?” ho chiesto meravigliata.
“Sì è troppo piccolo per capire, adesso, ma io ho fatto così coi miei figli. Non volevo che pregare prima di mangiare fosse una sorpresa, quando avrebbero capito”.
Mi è sembrata una buona e saggia idea e ho preso anche l’abitudine di cantare “Gesù m’ama, questo so” e “Son bambino son piccino”, mentre mangiavano, di pregare quando li mettevo nella culla e dire loro un versetto come “Il Signore è il mio pastore” mentre si addormentavano.
Poi, via via che crescevano, oltre a raccontargli le storie della Bibbia, ho imparato a “chiacchierare la Bibbia” con loro, mostrando la bellezza di un fiore e dicendo che Dio lo aveva inventato, facendo loro osservare i colori della frutta, degli insetti, degli animali e delle nuvole, inculcando sempre in loro l’idea che Dio è il creatore di tutte le cose. Prima si comincia e meglio è. Soprattutto dato che, fin dall’asilo, gli avrebbero inculcato che l’uomo discende dalla scimmia.
I primi anni dei bambini sono cruciali per vari motivi: hanno ancora l’idea che mamma e papà sanno tutto, perciò quello che diciamo lo prendono come oro colato. In più, la loro piccola mente assorbe cose che non dimenticheranno mai, e cominceranno ad avere un’idea giusta di Dio, del mondo, della famiglia e della vita civile.
Mosè, il grande condottiero del popolo d’Israele, è nato in Egitto, mentre i genitori erano schiavi, ed è stato con la sua famiglia per pochissmi anni (forse quattro o cinque), ma sapeva di essere ebreo, sapeva di avere un Dio diverso dagli idoli egiziani e, da grande, ha scelto di far parte del popolo di Dio.
Da chi lo avrà imparato? Dai genitori. Quando? Da piccolissimo.
Lo stesso è successo per Samuele, l’ultimo giudice d’Israele, prima dell’inizo della monarchia. Anche lui ha passato pochissimi anni coi genitori e poi è cresciuto in un ambiente cattivo, circondato da cattivi esempi. Ma è rimasto fedele a Dio e ha servito il Signore fin da piccolo.
Chi glielo ha insegnato? Certamente i genitori e soprattutto la mamma. Quando? Da piccolo.
La Bibbia dice: “Insegna (a me piace di più la traduzione che dice “inculca”, cioè “imprimi”) al fanciullo la via che deve tenere; anche quando sarà vecchio non se ne allontanerà” (Proverbi 22:6).
“Ma non li hai lavati di cervello?” chiedete. Io ho “inculcato” e mio marito ha ribadito. Lavati di cervello o no, oggi tutti e quattro sono credenti e servono il Signore. A me, va bene così.
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