E adesso, che facciamo?


A un certo momento, i genitori si trovano davanti un problema: portano a casa, dall’ospedale dove è nato, un fagottino in cui c’è un figlio da crescere.  

Sono credenti e hanno affrontato, dopo sposati, il problema della sottomissione (lui a Cristo e lei al marito) e pensano di avere raggiunto un’armonia soddisfacente. Ora hanno un bambino. Fino a che punto la pratica della sottomissione si dovrà applicare anche a lui? E quando dovrà cominciare? Cosa fare perché la sottomissione diventi uno stile di vita anche per lui?

Per prima cosa, dovranno fare fronte unico e non sarà sempre facile. Si portano dietro il bagaglio della loro famiglia e dell’educazione che hanno ricevuta. Lui ha avuto un’educazione severa? Lei viene da una familgia piuttosto permissiva e rilassata? O viceversa? Come trovare un accordo?

È bene pensarci prima che quel fagottino calduccio e meravglioso arrivi a casa e sia deposto nel suo lettino fra i commenti estasiati di nonni e parenti riuniti. Se non trovano un accordo, il bambino verrà su viziato, insicuro e scontento. E loro troveranno il loro compito molto difficile. E frustrante.

Ma ammettiamo che problemi di base non ce ne siano, quando si comincia a insegnare al piccino la sottomssione? Subito. Al più presto, dovrà trovare i suoi ritmi, fra sonno e veglia, ingranarsi nella vita e capire che il mondo non gira attorno a lui.

Via via che cresce, i genitori dovranno ricordare sempre che il piccolino si farà un’idea di Dio dal loro comportamento. I bambini non pensano in maniera astratta. La prima volta che sentiranno dire che Dio è un padre, lo accosteranno immediatamente al loro papà. E da come è il loro papà terreno si faranno un concetto di Dio. Se il papà dice “no” e poi lascia correre, penseranno che Dio non fa sul serio quando dà degli ordini, che promette e non mantiene e se dice che punisce e non lo fa, vuol dire che non è pericoloso disubbidire.

Se la mamma dice (e io l’ho sentito!): “Se sei cattivo non ti voglio più bene”, penserà che l’amore di Dio non sia costante e dipenda da lui guadagnarselo.  

Allora ecco tre fondamenti su cui bisognerà costruire la sottomissione (chiamiamola pure “ubbidienza”) del bambino con costanza e perseveranza: amore, ordine e coerenza.

L’amore è essenziale. È più importante del cibo giusto, del lettino pulito e dei pannolini di ultima invenzione. Nel libro dei Proverbi sta scritto che è meglio avere un piatto di cicoria con l’amore che un bue ingrassato dove c’è l’odio. Quanto è vero!

L’amore per i nostri figli deve essere incondizionato come l’amore di Dio. Non dipende da quanto loro sono buoni e bravi. Non cambia secondo le circostanze. È costante.

L‘amore apprezza, loda. Un bambino lodato quando fa bene, cresce fiducioso. Dio ha detto ai suoi servitori fedeli: “Ben fatto, buono e fedele servitore...”. Perché dovremmo noi fare da meno?

L’amore è realistico. Non pretende l’impossibile. Anche Dio si ricorda che siamo polvere e sa che non facciamo niente di perfetto (Salmo 103:13). Ricordiamolo coi nostri piccoli.

L’amore perdona. Dio ci perdona. Se un figlio ci chiede perdono, non mettiamolo in quarantena e sotto osservazione. Certi genitori lo fanno, dicendo: “Vedremo!” e uccidono il morale di loro figlio.

L’amore insegna e inculca la Parola di Dio. Con piccoli canti, al principio, e con affermazioni come: “Gesù ti vuole tanto bene”, “Dio sta sempre con te” e brevi preghiere. Un po’ più avanti, quando comincia a capire, con storie della Bibbia raccontate prima che vada a letto. 

Ma l’amore non basta. Bisognerà mettergli dei paletti, stabilire delle regole e dei limiti precisi da rispettare (tipo, a che ora si va a letto, quando si fanno i compiti, quando si deve aiutare e quando si può giocare). Il tuo bambino, come ogni bambino, nasce con una natura ribelle ed è normale che i paletti non gli piacciano. Ma deve imparare a rispettarli. Dal primo giorno, si ribellerà col pianto e forse coi capricci. Se glielo permettiamo, mentre è molto piccolo e tenero, più avanti metterà su musi e le contestazioni. E noi avremo perso la battaglia.

È importante che, fin da piccolissimo, impari che Dio gli ha dato dei genitori per educarlo e gli ha dato un comando molto preciso, che è “onora tuo padre e tua madre”. Perciò: niente bizze, pestare di piedi, gesti di ribellione e scortesie. Dio non è contento se ci ribelliamo!

E se non ubbidisce? In quel caso, la Bibbia parla di correzione e ogni genitore dovrà stabilire come applicarla. Non vale la pena cercare di ragionare coi bambini: non ti prendono sul serio e dimenticano quello che hai detto. Ci si ragiona quando sono grandi. 

Da piccoli, si impone la condotta da tenere.

I bambini sono tutti diversi. Ad alcuni (pochi!)  basta un’occhiataccia, per altri ci vuole il pumpum sul sederino (mi raccomando, SOLO sul sederino) senza grida o collera e dopo averli avvertiti che chi non ubbidice deve essere punito. Dopo il pumpum, il colpevole è perdonato, rassicurato del nostro amore. Se si procede così da piccoli, le cose andranno meglio da grandi.

Infine: coerenza. Le promesse vanno mantenute, le minacce mandate ad effetto. Non si dicono bugie, si dà un buon esempio, e si fa in modo da non deluderli, Non si nega mai loro amore, tenerezza, perdono, giustizia e grazia. Esattamente come Dio fa con noi.
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