Pensando al matrimonio: Le realtà

Massimo e Alessia, fanno vita a due. Hanno il loro appartamentino, lavorano tutti e due e stanno bene. Lei si meraviglia ancora un po’ quando qualcuno la chiama “signora” e lui si sorprende quando gli chiedono: “Come va tua moglie?”.

Eh sì, sono marito e moglie a tutti gli effetti. Il giorno del matrimonio è stato fantastico, con tutti i parenti e gli amici che ti auguravano ogni bene. Il viaggio di nozze pure (anche se la prima notte è stata un po’ deludente). Ma nell’insieme è stato bello. Lei ha fatto un po’ di storie per il cibo greco che non le piaceva e lui preferiva stare al bordo della piscina, mentre lei avrebbe avuto piacere di andare in giro a vedere il paesaggio e arrampicarsi sulle colline per vedere tutto quello che era possibile vedere. Piccolezze.

Ora hanno incominciato la vita normale. Lui lavora in banca e lei insegna alle elementari.
La sera si ritrovano ed è un grande piacere. Cucinano insieme e mangiano insieme ridendo dei loro esperimenti culinari. Ogni tanto, proprio ogni tanto, si trovano a non essere d’accordo. Lei pensa che lui potrebbe aiutarla anche a sistemare la cucina, invece che sprofondarsi sul divano a guardare la TV e lui si rende conto che Alessia, per certi vesi è molto pignola, per altri non è così ordinata come sembrava.

“Mia mamma passava lo straccio in cucina ogni sera!” dice.

“Non è necessario, se non è sporco!” risponde lei (e pensa che, se proprio lo vuole pulito e splendente, come quello di mamma sua, perché il pavimento non lo lava lui?).

Piano piano, ognuno si rende conto che l’altro non è perfetto e che lei ha sposato un peccatore e lui una peccatrice.

Lei ha l’impressione che Massimo sia piuttosto insensibile. “Se avesse a che fare ogni mattina con 23 ragazzini, capirebbe che sono stanca e si darebbe una mossa a aiutarmi!” pensa. E lui, volere o no, la confronta con sua madre e, perfino, con sua sorella, con cui si beccava tutto il tempo. Gli sembra che Alessia abbia ancora molto da imparare. E poi gli fa un po’ troppe prediche. Non intendeva sposare una maestra personale. Lui ha bisogno di una persona comprensiva (come sua mamma!).

Quanto a curare la vita spirituale di coppia, lo trovano un po’ difficile. Leggono insieme la Bibbia, è vero, ma affrettatamente e anche le preghiere sembrano sempre un po’ le stesse. Sembra sempre che Massimo non pensi ad altro che a andare a letto (con Alessia, naturalmente!).

Poi, cosa ancora più grave, sembra anche che la vita spirituale personale non vada a gonfie vele. C’è molto meno tempo di prima, dovendo pensare alla spesa, alla casa, agli impegni con parenti e amici. Non è facile leggere la Bibbia regolarmente (prima di sposarsi Alessia si era proposta di leggere la Bibbia in un anno!) e il suo quaderno di preghiera spesso rimane chiuso.

Dove sono andati a finire i ben proponimenti prematrimoniali? Passerà, pensano. Ma non passa.

Alla prossima!
.

Pensando al matrimonio: Le illusioni del “prima”

Prima di sposarsi, di illusioni non c’è donna (e suppongo neanche uomo) che non ne abbia avute. Soprattutto da fidanzati.

Il fidanzamento è un periodo di solito molto bello, ma piuttosto strambo. Abbiamo incontrato l’uomo che ci piace e che fa per noi. Fisicamente non è un incrocio fra Leonardo di Caprio e Kakà, ma ha quel certo modo di fare che ci piace. Ha uno sguardo diretto e onesto. Quando parla, lo ascoltiamo con piacere e troviamo che ragiona bene. Spiritualmente non fa una piega. Sarà meraviglioso vivere con lui, pensiamo.

Ho detto che il periodo del fidanzamente è un po’ strambo. Lo chiamerei anche balordo, perché è irreale. Lui mostra il suo lato mgliore, perché mi vuole conquistare e io faccio vedere i miei lati positivi, perché, per nessuna ragione, vorrei perderlo.

Lui è galante, mi fa dei complimenti, dei regali, mi invita in un ristorantino speciale. Io mi curo bene, mi vesto in modo da piacergli e lui nota che i miei occhi hanno uno splendore fuori del comune. Per qualche strano motivo, io gli dò sempre ragione.

Non si tratta di ipocrisia e di finzione: è la natura che ci ha fatti così e il corteggiamento di lui e il seguente innamoramento di lei sono una parte integrante che precede la promessa reciproca di passare la vita uniti.

Il male è che si pensa che il matrimonio sarà come un fidanzamento che durerà tutta la vita, si immaginano la casa che io curerò, i pranzetti che preparerò, le serate passate a guardare insieme un film, i tempi di conversazione profonda, le letture della Bibbia e i tempi di preghiera e di crescita spirituale. Lui immagina una moglie pronta a fargli piacere in ogni cosa, di giorno e di notte.

Ma non si vedono alcuni difetti uno dell’altro? Dopo tutto nessuna donna è la donna bionica, e nessun uomo è superman. Sì, qualche difetto si intravvede, ma non ci si fa terribilmente caso.
Lui pensa: “Se mi vuol bene, farà quello che voglio io. E che mi vuol bene, si vede!”.

Lei è sicura: “Una volta sposati, lui cambierà. E se non cambia da solo, ci penserò io. Io ci so fare”.

Santa innocenza! Da sposati, verranno fuori con chiarezza i difetti che si intravvedevano e ne verranno fuori altri, che pur non essendo difetti veri e propri, sono semplicemente lati di una personalità che non si conosceva. E si dovranno affrontare.

Ma non basta: lei è sicura che lui, una volta diventato suo marito, l’aiuterà a crescere spiritualmente. Che, leggendo insieme la Bibbia, molti problemi e molte sue insicurezze si risolveranno facilmente. Quello che non aveva mai detto ai suoi genitori, dei suoi dubbi, addirittura delle sue angosce, li avrebbe raccontati al suo “lui” e lui l’avrebbe ascoltata e indicato una soluzione. Sarebbe stato come suo padre, che sembrava sempre avere la parola giusta nel trattare le persone.

“Parleremo di tutto, vero?” gli aveva chiesto una sera mentre camminavano nel viale che portava verso casa, mentre il sole tramontava dietro le colline e la luce dorata accarezzava ogni cosa.

“E come no!” aveva risposto lui.

“Sai, ho bisogno di qualcuno che mi capisca... i miei genitori hanno sempre la risposta pronta, ma non sono capaci di ascoltare...”

Lui le aveva messo il braccio sulle spalle e la sua stretta le aveva dato un po’ un fremito, come una leggerissima scossa elettrica. “Sì, lui è l’uomo giusto. È quello che fa per me!” pensa. “Non vedo l’ora che ci sposiamo! Mancano solo tre mesi.”

Ci sentiamo fra qualche giorno, ma faremo finta che i due siano ormai sposati e siano passati alcuni mesi di matrimonio. Li chiameremo Massimo e Alessia, tanto per capirci. Se no, penserete che sto parlando di esperienze tutte personali. Anche se quello che scriverò, non è autobiogafico, c’è un po’ di vissuto.

Ci risentiamo!
.

Troppo disponibili... O troppo poco?

“Apprezzo mio marito perché è sempre disponibile per gli altri... più che per noi” mi ha detto una moglie di recente, con un’ombra di tristezza nel suo sorriso.

“Mia mamma era instancabile: visitava i malati, faceva torte per i bambini della scuola domenicale, offriva di fare la notte ai malati in ospedali, se non avevano parenti. Era dappertutto, fuorché a casa per noi figli” è stato il commento di un’altra amica.

Il mondo che ci circonda è pieno di persone che hanno bisogno di aiuto e sarebbe bello poterle soddisfare tutte. Io, per una, sono un tipo che, di solito non sa dire di no e che vorrebbe essere sempre in azione. Per fortuna, alla mia età, il mio corpo non riesce a stare dietro a tutti i miei desideri e ho dovuto imparare a limitarmi. A volte, non mi piace. Ma non posso sopperire a tutti i bisogni della chiesa universale, né a quelli del nostro pianeta.

Questo è però un bene, perché dà ad altri la possibilità di riempire i miei “buchi” o quelli di altri, che, come me, avrebbero piacere di arrivare dappertutto.

Cercare di fare tutto può essere un forte sintomo di orgogliosa buona volontà. E anche una fuga: o ai doveri di famiglia con la scusa del servizio per il Signore, o dal servizio nella chiesa con la scusa degli impegni di famiglia o di lavoro.

Perciò è essenziale esaminare bene le nostre priorità. Io ho cercato di metterle in ordine.

Ecco come. Prima di tutto (naturalmente dopo il Signore!) c’è mio marito, poi la famiglia (ora quasi tutta solo a tiro di telefono), poi la cura delle donne della chiesa, il lavoro di scrittura e traduzione e, infine, la casa. Se riesco a badare a tutto, senza andare ai matti, vado bene.

Nel limitarsi, c’è un altro grosso vantaggio: permettiamo a altri i credenti di usare il dono che Dio ha dato loro. Ognuno ne ha ricevuto almeno uno e ha il dovere di usarlo. Dato che fra i doni dello Spirito Santo non è menzionato il dono della pigrizia, è bene che tutti i membri della chiesa locale si diano una mossa e scoprano come rendersi utili.

Ma come discernere il proprio dono? Secondo me è semplice. Basta rinunciare al proprio egoismo e ai propri comodi e offrirsi al Signore con sincerità e umiltà. QUALUNQUE cosa Lui ci chieda.

Poi, accettare di fare quello che ci viene chiesto dai responsabili della chiesa. Provando varie attività, si vede quella che ci riesce meglio e ci dà maggiore soddisfazione. Dopo tutto, Dio non è un padrone esigente che ci mette a fare solo cose che ci vanno contropelo. Di solito, ci chiede di fare cose in cui troviamo piacere. Servire è bello e gioioso!

Nella nostra chiesa, una donna ha cominciato pulendo bene ogni domenica il bagno e rendendosi utile dove era necessario. Oggi è una diaconessa riconosciuta e rispettata. Ha una bella famiglia che cura con attenzione, ma sa anche insegnare ai bambini della scuola domenicale, o di un campeggio, sa organizzare una cena, cucinare e fare visite. E qualsiasi cosa, la fa con un sorriso.

Terzo, imparare a delegare alcuni lavori e aiutare chi è più giovane a capire la bellezza di servire.

In ultimo, ringraziare il Signore per il privilegio e la grazia di poter essere utili in quasiasi capacità. Il mondo è pieno di gente che ha bisogno di qualcuno che si ferma a chiacchierare, a ascoltare, a confortare. Ma non riusciamo a farlo se la nostra tabella di marcia è troppo piena.

Non sono mai stato così bene!

Siamo arrivati alla fine della storia di Levi. Sembra la storia del figlio prodigo che torna a casa dopo averne fatte di tutti i colori. Spero che aiuterà qualcuno.

Volevo dire a tutti la mia grande scoperta, il miracolo che Dio aveva fatto dentro di me. Ma erano le 3 di notte e la maggior parte dei miei amici stava dormendo.

Volevo chiamare mio padre, ma anche lui dormiva e la mattina avrebbe dovuto andare a fare scuola. Ho chiamato mia mamma, pensando di lasciarle un messaggio. Invece, mi ha risposto.
“Mamma, mi dispiace che ti chiamo a quest’ora , ma è successa una cosa e volevo dirtela...” ho detto.

La mia voce era tremante e lei mi ha chiesto: “C’è qualcosa di brutto, Levi?”

“Niente di brutto, mamma. Infatti non sono mai stato così bene nella mia vita. Gesù mi ha salvato!”

Lei mi ha risposto: “Levi, non mi hai svegliata. Ero alzata da un’ora. Stavo pregando per te e aspettavo che tu mi chiamassi...”

Quando ho sentito questo, non ci potevo credere. Era sveglia, pregava per me e aspettava che la chiamassi. Era troppo. Mi sono messo a piangere come non avevo pianto mai. Le ho detto che le volevo tanto bene, che le avevo rubato i soldi dalla borsa, che glieli avrei restituiti e che volevo mettere a posto la mia vita. Mentre le parlavo mi sembrava che della corrente elettrica passasse nelle mie braccia. Ho chiesto a mia mamma se era una sensazione normale.

Lei mi ha detto che ognuno, quando accoglie Gesù nella sua vita, prova una sensazione diversa. Per qualcuno è tranquilla, per altri drammatica. Poi ha aggiunto: “Levi, ascoltami bene: Satana farà di tutto per portarti di nuovo lontano da Dio e farti peccare e cadere. Verrà come un lupo vestito da pecora. Ma tu prega e fai attenzione”. Quelle parole mi sono rimaste impresse e le sento ancora.

Le settimane che seguirono, sono state fantastiche. Ho cominciato a ascoltare della buona musica e a leggere la Bibbia. Finalmente la capivo! Ho cercato di raccontare quello che mi era successo ai miei amici e a parlare loro di Gesù. Ho cercato di spiegare che ero sicuro di essere stato salvato. Sapevo che avrei perso degli amici, ma era meglio perdere degli amici, e avere trovato il vero Amico, Gesù.

Ho capito che era sbagliato dire parolacce e bestemmiare. Davvero, voglio fare bene e aiutare molti a conoscere Gesù. Un versetto della Bibbia mi piace tanto, perché descrive quello che mi è successo: “Se uno è in Cristo è una nuova creatura, le cose vecchie sono passate: Ecco sono tutte diventate nuove”. E io prego che quello che è successo a me, succeda anche a voi.
__________________________

Levi oggi vive con sua mamma e suo fratello Jesse nello Stato di Michigan. Continua a lavorare al supermercato e cerca di essere un buon esempio fra i suoi amici. Ogni volta che gli è possibile, parla di Gesù e di come ha cambiato la sua vita.

Sarebbe molto contento di sapere se la sua esperienza ha aiutato qualcuno. Fatemi sapere! Vi voglio bene. Maria Teresa.

Ci vuole un miracolo, adesso!

Mi fermerà solo una pallottola o la prigione, aveva detto Levi uscendo da casa del suo migliore amico... Ascoltate cosa lo ha fermato (i corsivi sono miei, lo avete capito, ormai?)

Sono andato via dalla casa del mio amico e quando sono arrivato nella mia stanza, per qualche ragione, ho cominciato a pensare a mio fratello Jesse, che ha un tumore al cervello (ora sotto controllo, ma sempre latente) e a quanto ero stato cattivo con lui durante gli anni in cui siamo vissuti sotto lo stesso tetto. Ho pensato a tutte le operazioni che ha subito e a tutto il dolore che ha sentito in quella povera testa, e mi sono messo a piangere perché non gli avevo parlato per mesi e mesi. Ho pensato a mia mamma che non lo aveva lasciato un momento nell’ospedale, e gli era stato vicino in quei periodi così brutti all’ospedale.

Ho cominciato a pensare che avevo trattato tutta la mia famiglia come se fosse stata di cacca, a come non avevo mai telefonato per dire “ciao”, senza mai occuparmi di come stavano. Ho pensato alla mia vita e a quello che stavo facendo e a cosa mi poteva succedere. E a quanto ero egoista e che vita da cane stavo facendo.

Sono andato in camera e ho preso in mano la Bibbia, che mio padre mi aveva comprata molti anni prima e ho detto: “Dio, ci vuole un miracolo adesso. Non so cosa devo fare!”.

Con gli occhi chiusi, ho aperto la Bbbia a caso e ho puntato il dito sulla pagina e ho letto in inglese (per una volta ha funzionato!) nel Vangelo di Giovanni 11:4: “Gesù udito ciò, disse: «Questa malattia non è a morte, ma è per la gloria di Dio, affinché per mezzo di essa il Figliolo di Dio sia glorificato»”.

Quando ho letto quelle parole ho cominciato a piangere a dirotto. Non mi potevo controllare. Era il miracolo che avevo chiesto. Io ero malato, non avevo la tosse o l’influenza, ma ero malato nel mio stile di vita. Leggendo che era “per la gloria di Dio, affinché per mezzo di essa il Figlio di Dio fosse glorificato”, ho pensato che forse tutte le cose che avevo vissuto e i peccati che avevo fatto, potevano essere usati come testimonianza agli altri, compresi gli “amici” che avevo. Quel versetto della Bibbia mi diceva una cosa chiara che io capivo che si applicava direttamente a me. Ho accolto Gesù nella mia vita e mi sono arreso a Lui. Era il 20 maggio 2008, alle 3 di notte.

Piangevo di gioia e vi assicuro che ho consumato una scatola di fazzoletti di carta. Garantito.

Quando, a 5 anni, ho pregato Gesù dicendo che non volevo andare all’inferno non avevo idea dell’eternità. Ora capivo che per me ci sarebbe stata l’eternità all’inferno, ma che ero diventato davvero un credente.

Lo dovevo dire a tutti. Lo dico adesso a voi, ma la storia non finisce qui. Finirà alla prossima puntata!

Mi fermerà solo una pallottola o la prigione!

Ecco il seguito della storia di Levi, un mio pronipote americano, il bravo bambino che non voleva andare all’inferno. Dopo la separazione dei genitori, ha cominciato a scantinare... Ma lascio la parola a lui (di nuovo i corsivi sono miei).


Vi ho detto che tutto quello che mi importava era lo sballo. Vivevo per farmi. Mi piaceva anche la musica e ha cominciato a piacermi il rap e l’heavy metal. Mi piaceva perché mi stordiva e eccitava. Dopo un po’ di tempo, mi sono convinto che a nessuno importava di me e di quello che facevo, perciò mi sono buttato nella droga sempre di più. I miei veri amici mi sembrava che fossero la musica e la droga. Dopo tutto, sugli amici non ci puoi sempre contare e i miei due amici erano quelli: musica e droga. Mi tenevano per mano. Ogni tanto cercavo di fermarmi e di non farmi più, ma non ci riuscivo. E, in ogni modo non mi pareva di fare niente di male.

Di rado, ma molto di rado, andavo in chiesa con mio padre. Quando ci andavo, mi ricordo che, in macchina, potevo appena aprire gli occhi, tanto il sole mi dava fastidio. Così li chiudevo e mi venivano in mente le parole (di Gesù) che mia nonna mi aveva detto una volta: “Le tenebre odiano la luce”. Ma non me ne importava. Andavo in chiesa solo per far piacere a mio padre, e non vedevo l’ora che la riunione finisse, non ascoltavo quello che predicavano e con la gente, che cercava di parlarmi, facevo finta che tutto andasse bene. Mi stavo distruggendo da solo, ma l’heavy metal si accordava perfettamente con la mia vita. È incredibile l’effetto che quella musica ti può fare.

Nell’aprile 2008, sono andato con mio padre a visitare degli amici in Pennsylvania. Avevo deciso di non portarmi della roba di nascosto, sebbene avrei potuto farlo. Ho pensato che l’aria fresca delle montagne mi avrebbe fatto bene e stare via dalla droga mi avrebbe schiarito un po’ la mente. (Onestamente, volevo solo abbassare un po’ la mia tolleranza e prendere droga alla grande una volta tornato a casa nello stato di New York).

Mentre ero in Pennsylvania ho conosciuto un tipo che si chiamava A.J. Era un credente in Cristo, “nato di nuovo”, e quanto era eccitato quando raccontava la sua storia a mio papà e a me. (“Nato di nuovo” significa che aveva avuto un’esperienza di fede personale in Cristo e aveva capito di essere un peccatore bisognoso della grazia di Dio e della salvezza.)

A.J. era stato dentro e fuori dalla prigione, aveva preso molta droga, ma diceva che era cambiato totalmente grazie a Gesù. Mentre lo ascoltavo, pensavo che mai sarei arrivato al punto a cui era arrivato lui, ma sotto sotto ho visto un quadro di come sarei potuto diventare. Però non bastava a farmi cambiare idea. Non vedevo l’ora di tornare dai miei amici a New York.

Quando sono tornato a casa, mi sentivo un po’ diverso e ho chiesto a un amico: “Mi trovi diverso dopo che sono tornato?” “Un po’” mi ha risposto. Forse Dio stava lavorando in me, ma non lo sapevo.

Una sera sono andato dal mio migliore amico e sono rimasto un po’ con lui. Mi ha parlato di un ragazzo che lo aveva derubato e ha detto che gliela voleva far pagare cara. Io gli ho detto che anch’io volevo fare sul serio e drogarmi sempre di più. Ho detto all’amico che se aveva bisogno di menare o rubare poteva contare su me. Le cose stavano diventando serie. Ma avevo deciso di fare soldi a tutti i costi e non mi importava di niente.

La sola cosa che mi avrebbe fermato era un pallottola in testa o la prigione.

Ma mi aspettava una bella sorpresa. Ve la racconto la prossima volta. Ciao.

Papà, non voglio andare all’inferno!

Levi è un mio pronipote, figlio di una nipote di mio marito. È un bel ragazzo alto e biondo, tipico americano. In questo momento, dato che ha solo completato il liceo, e neppure con grandi voti, lavora in un supermercato.
Penso che la sua storia potrebbe interessare molti “bravi” figli di credenti (ne conosco uno di 15 anni, che ha detto a suo padre che vuole provare tutto, droga, sesso e alcol, e se ne prende lui tutte le responsablià. Vuole toccare il fondo), e forse dare una dritta a qualcuno.
Allora, ecco la parola a Levi. I corsivi sono commenti miei.
Papà, non voglio andare all’inferno!

Sono nato a Syracuse, nello Stato di New York, e sono cresciuto in una chiesa battista molto stretta e conservatrice. Si leggeva ancora la Bibbia, con la traduzione King James, (che corrisponde alla vecchia Diodati italiana). Mio padre era molto coinvolto nella scuola domenicale e aveva scritto molte canzoncine basate su versetti della Bibbia. Era anche attivo nelle “settimane felici” estive per ragazzi. Crescere in una famiglia che frequenta la chiesa regolarmente fa diventare le riunioni un’abitudine. Ti svegli la domenica mattina e sai che andrai in chiesa, almeno due volte, se non tre.

Un giorno, quando avevo cinque anni, me ne stavo davanti alla nostra casa e giocavo col mio camioncino e mio papà mi ha chiesto se volevo andare con lui a fare qualche commissione. Ci sono andato volontieri e, viaggiando, cantavamo le canzoncine composte da mio padre. Tutto d’un botto, gli ho detto: “Papà non voglio andare all’inferno!”.

Appena possibile lui ha accostato la macchina e l’ha parcheggiata. Mi ha spiegato il piano della salvezza (sono un peccatore, Gesù è morto per i miei peccati e può lavare il mio cuore, se credo in Lui), e io ho pregato e chiesto a Gesù di lavami. Mio papà era molto contento e io ero contento di non andare all’inferno.

Quando avevo 8 anni, i miei genitori si sono separati e io sono andato a vivere con mia mamma e i miei due fratelli più grandi in Michigan. Abitavamo con i miei nonni. Il divorzio dei miei genitori è stato duro per me, perché mio papà e io eravamo molto legati.

Mia mamma mi ha fatto scuola a casa, fino alla quarta elementare e poi sono andato alla scuola pubblica.

A scuola non ho dato altro che problemi, e sono stato sospeso molte volte. Ero il tipo di ragazzino che voleva fare il buffone e, di solito, l’insegnante era il mio bersaglio. Sono stato mandato dal preside nella scuola media molte volte e ho fatto una profonda conoscenza con le segretarie. Sapevo esattamente quanti figli e animali domestici avevano e se erano single o sposate.

Quando ero in terza media, mia mamma comprò casa per conto suo e io ne fui molto contento perché potevo avere più libertà, ho avuto la mia camera e non eravamo più tutti uno sopra l’altro in casa dei nonni. Alle superiori ho fatto conoscenza con un sacco di altre cose. Ho cominciato a fumare erba (solo poco!) e a ascoltare molta musica rock.

Mia mamma mi ha buttato fuori di casa , perché ha trovato che mi facevo delle canne in camera con un amico e mi ha rimandato da mio padre nello Stato di New York. Pensava che mio papà sarebbe riuscito a farmi rigare dritto. Mi piaceva stare lì e per un anno ho giocato a football americano e tutto è andato bene.

Poi ho incontrato a scuola dei ragazzi che fumavano erba e piano piano sono diventato uno “stoner”. In America chiamano così quelli che fumano erba molto. Ma proprio molto.

Finito il liceo, mi sono comprato la macchina, non sono andato più in chiesa e ho cominciato a stare fuori la notte, coi miei amici. Mi sono dato sempre più alla droga che, fondamentalmente, governava la mia vita. Tutto quello che mi importava era lo sballo... Eppure ero cresciuto in una chiesa evangelica molto all’antica e i miei genitori erano stati piuttosto severi...

Continua alla prossima...

Dio ha davvero creato le zanzare?

Questa era la domanda teologica di uno dei nostri gemelli quando erano piccoli. Doveva essere un bambino molto dolce, perché era sempre pieno di punture e le zanzare gli erano particolarmente affezionate.

La mia risposta è stata: “Non lo so, ma, in ogni modo, al principio probabilmente non erano cattive”.

Mentre vi scrivo ho una gamba gonfia proprio per una puntura di qualche animaletto volante, capace di torturare chi gli viene a tiro.

Ero andata nel nostro giardino, per cogliere dei fichi e ho sentito una fitta, come di un ago. C’era un puntino rosso. Niente di grave, mi sono detta, e ho continuato a cogliere fichi. Quanto sono dolci a questa stagione!

Tornata a casa, ho visto che il “puntino” si era allargato, era diventato duro e gonfio e bruciava come il fuoco. Non era una vespa che me lo aveva provocato, neppure un’ape e neppure un tafano, come ha diagnosticato una mia vicina.

Fatto sta che la notte scorsa non mi ha fatta dormire e oggi, ogni tanto, mi dà delle fitte che mi fanno saltare e impazzire. Tranquilli: non sto in punto di morte, non mi gratto e ci metto su ogni sorta di rimedi. L’alcool sembra farmi del bene. Piano piano, ci sono dei miglioramenti.

Adesso, da brava sorella esperta in studi biblici e applicazioni spirituali, passo alla predica.

Quel “puntino” diabolico, prodotto da una creatura malvagia, può assomigliare a una parola cattiva che dico e esce dal mio cuore malvagio. Le frecciatine, le parole acide le diciamo in famiglia, o le rivolgiamo a una persona che ci sta antipatica, o ci scappano o, addirittura, solo le pensiamo.

Al momento non sembra una cosa grave, ma poi il veleno comincia a fare il suo lavoro.

Fa del male a me e alle persone a cui l’abbiamo detta e non resta “puntino”. Si allarga, brucia e rode. Diventa l’oggetto della nostra attenzione. La curiamo coi rimedi soliti e diciamo: “Mi è scappata”, “non volevo fare del male, ma...”, “me l’hanno tirata fuori dalla bocca”, “non era poi così grave”, “non avevo intenzione di ferire..”.

Ma, tant’è, continua a bruciare e a fare male. Finché... non applichiamo l’unico rimedio: il perdono da chiedere o da dare. Il sollievo sarà immediato.

Nessuna zanzara, o vespa o animale diabolico volante verrà mai a chiedermi perdono. Perciò dovrò aspettare pazientemente che il loro veleno finisca di fare il suo lavoro nella mia gamba.
Ma se la puntura è una parola cattiva o un pensiero cattivo o uno sgarbo mio, il rimedio è subito da applicare. Basta ammettere lo sbaglio e dire: “Mi dispiace, ho sbagliato. Perdonami.” Oppure: “Ti perdono”.

Dimenticavo: lo schema del possibile studio biblico è il seguente:
  1. Prevenire la cattiveria pregando (per le zanzare vere consiglio di tenere a portata di mano l’AUTAN!),
  2. Proteggersi, usando la guardia che Dio è pronto a mettere davanti alla nostra bocca,
  3. Perdonare e chiedere perdono, se abbiamo sbagliato!
Non sono affatto amica delle allitterazioni (anche se il bellissimo Salmo 119 lo è), che mi sembrano artificiali e bellurie letterarie (come le chiamava il mio vecchio professore d’italiano), ma questa volta mi è venuta. Perdonatemi (e dagliela con le P!). Alla P-rossima!