Mi hai messa in crisi!

Sono di nuovo Alessia. Non ti ho ancora chiesto il libretto di tuo marito, ma te lo chiedo ora. Lo leggerò con attenzione.

Però quello che mi ha fatta restare di sasso e pure arrabbiare è che hai detto che per andare all’inferno basta rimanere come si è quando si nasce. Ma, allora, fare una vita decente, non ammazzare, non rubare, non ingannare non serve a niente?

A me hanno insegnato al catechismo, quando ero bambina, che chi si comporta bene va in Paradiso. Io ci credo poco, come hai capito, ma quello che hai detto mi sembra vergognosamente ingiusto.
Cara Alessia, sono contenta che tu mi abbia scritto di nuovo. Vedo che sei una donna schietta.

Cominciamo da quello che ti hanno insegnato da bambina e che la maggior parte della gente crede. E cioè: se mi comporto bene Dio mi dovrà premiare e se mi comporto male mi punirà. Se faccio peccati grossi la punizione sarà più grande, se faccio peccati piccoli Dio chiuderà un occhio.

Questo insegnano tutte le religioni, dicendo qualcosa come “aiutati che Dio ti aiuta”.

Ma non è così: la Bibbia descrive un Dio perfettamente puro e santo, che non tollera il minimo peccato. Esattamente come un chirurgo che non può permettere che un suo assistente in sala operatoria abbia le scarpe infangate o le mani senza guanti sterili.

Nella presenza di un Dio purissimo e perfetto, non ci possono essere imperfezioni, piccole o grandi che siano. Gesù, il Figlio di Dio, che è venuto sulla terra per mostrarci con la sua condotta come è suo Padre, non ha mai detto una parola sbagliata o ha fatto niente di cattivo. Era la perfezone incarnata. Nel suo famoso sermone sul monte ha dichiarato: “Siate perfetti come è perfetto il vostro Padre celeste”. Davanti a un ordine così, siamo tutti colpevoli.

Ma proprio perché siamo tutti colpevoli e senza possibilità di raggiungere il livello richiesto da Dio, Dio ha fatto una cosa inimmaginabile umanamente. È morto Lui al nostro posto nella persona di suo Figlio. Gesù stesso lo ha detto: “Dio ha tanto amato il mondo che ha dato il suo unigenito (che significa unico nella sua essenza) Figlio, affinché chiunque crede in Lui non perisca, ma abbia vita eterna” (Vangelo di Giovanni 3:16).

Perciò, Dio non è stato e non è affatto ingiusto. È stato infinitamente e incredibilmente buono. Si è caricato Lui delle nostre ingiustizie e le ha espiate. Dio è morto per te!

“E come fai a sapere che era veramente Dio?” chiedi. La prova sta nel fatto che è risuscitato. Solo Dio poteva uscire glorioso da una tomba. Lui è vita e non poteva altro che esplodere nella vita, vincitore sulla morte.

Adesso Dio ti dice: “Ho fatto tutto il necessario per salvarti. Il tuo debito è pagato. Stendi la mano, credi alla mia Parola. Renditi conto che non potrai mai meritare il cielo, perché, anche se sei una brava persona, sei una peccatrice senza speranza. Io ti regalo la salvezza”.

Tutto qui, Alessia. Adesso la palla è nel tuo campo. Buona lettura del libretto! Ti aiuterà a capire ancora meglio l’amore infinito di Dio. E quando avrai letto il libretto, se me lo chiedi, ti manderò anche una copia del Vangelo. Farai delle scoperte meravigliose.

La morte nel biscotto della fortuna!

Maria Teresa, sono una donna moderna, di tendenza laica, senza grilli per la testa. Non sono superstiziosa, ma mi è successa una cosa strana: al ristorante cinese, alla fine del pasto, mi hanno dato uno di quei biscotti che sembrano un po’ di cartone e, sul biglietto che c’era dentro, era scritto, con un velato accenno alla morte, di fare attenzione a chi mi voleva fare del male. Che ne dici? Ho fatto anche un sogno piuttosto da incubo in cui mi pareva di non riuscire a respirare. —Alessia

Premetto che, se avevi mangiato una di quelle minestre piccanti, in cui si specializzano certi ristoranti cinesi, forse l’incubo e la possibilità di restarci secca te li sei andati a cercare.

Se fossi in te,andrei nella più vicina pasticceria, comprerei dei baci Perugina e probabilmente nel primo a cui toglierei la stagnola, troverei un biglietto che ti profetizza 99 anni di vita felice con l’amato che sta dietro l’angolo. Se così non fosse, ne aprirei un altro e un altro ancora fino a trovare il messaggio che mi piace: alla faccia degli incubi.

Scherzi a parte, mi dici che non sei superstiziosa e che sei laica e moderna. Ti voglio credere, ma sotto sotto, mi pare che un po’ superstiziosa lo sei e che l’idea della morte non ti piace.

È normale. A nessuno piace la prospettiva della morte anche se questo evento è sicuro per ognuno di noi. Più sicuro delle tasse da pagare. La Bibbia chiama la morte il “re degli spaventi” e dice che molte persone, per la paura della morte, vivono in una specie di schiavitù. Non dico che tu sia “schiava” di questa paura, ma ti dico anche che mi fa piacere che un po’ di paura tu ce l’abbia. La paura è utile e ci può mettere in guardia da molti pericoli.

Mi dici che sei “laica”, perciò immagino che tu non sia molto religiosa e che non ti sei mai preoccupata di sapere qualcosa sull’aldilà. Sbaglio? E qui ti dico che non hai fatto bene.

Tanto per farti un corso rapido sull’aldilà, ti posso dire che Gesù ha parlato solo di due luoghi in cui le persone che muoiono vanno a passare l’eternità: il cielo alla presenza di Dio o l’inferno con Satana. Il primo è un luogo di grande gioia e perfezione, il secondo è un luogo di tormento infinito.

Per andare nel primo e per evitare il secondo, c’è un modo sicuro e la Bibbia lo spiega molto bene.

Gesù dice: “Chi ascolta la mia Parola (il messaggio del Vangelo) e crede a Colui che mi ha mandato (Dio Padre) ha vita eterna (la possibilità di conoscere Dio e vivere in cielo dopo la morte) e non viene in giudizio, ma è passato dalla morte alla vita” (Evangelo di Giovanni 5:24).

In altre parole, bisogna capire di essere un peccatore senza speranza, credere a quello che Gesù ha detto e fatto, confessargli la nostra incapacità di essere abbastanza buoni per meritare di andare in cielo, e accettare la sua salvezza in dono, promettendogli di fare sul serio con Lui.

San Paolo ha scritto: “La paga del peccato è la morte, ma il dono di Dio è la vita eterna in Cristo Gesù, nostro Signore”.

Chi ha inventato i Cattolici?

Silvano mi ha scritto: “Mi ha interessato la domanda del bambino nominato in un tuo blog: Chi ha inventato i Cattolici? Come hai risposto?”

I bambini ci sorprendono sempre. Il bambino che me l’ha fatta era in realtà una bambina di sette anni. Chiaramente non potevo cominciare a farle la storia del Cristianesimo (cosa che si potrebbe fare per sommi capi a chi sta per frequentare le Medie o le frequenta già), ma mi sono spiegata così.

Dopo che Gesù è risuscitato e è tornato in cielo, i cristiani hanno continuato a predicare gli insegnamenti di Gesù. Lo hanno fatto molto fedelmente, ma piano piano fra i credenti veri sono entrate delle persone che hanno cominciato a dire: “Non basta credere in Gesù! È troppo semplice! Bisogna anche fare qualcosa per guadagnarsi il paradiso" (un po’ come quando si va in treno e bisogna pagare il biglietto e farlo timbrare dal controllore). Dicevano: “Gesù ha fatto tanto, ma anche noi dobbiamo fare la nostra parte per avere la salvezza”.

Così oltre a credere in Gesù, hanno insegnato che bisogna fare delle opere buone per meritarsi il paradiso. E delle persone hanno cominciato credere così.

Gesù aveva detto invece: “Chi crede in me ha vita eterna” e aveva spiegato che chi crede in Lui riceve la salvezza in regalo e che poi Lui ci aiuta a comportarci bene, per dimostrare che vogliamo fargli piacere.

Chi ha creduto che la salvezza si può meritare ha cominciato a credere diversamente da quello che ha insegnato Gesù. I Cattolici anche oggi insegnano che bisogna comportarsi bene per meritare di andare in cielo. Se no, Dio ti manda in punizione in un posto strano che chiamano Purgatorio. Ma Gesù non ne ha mai parlato e loro insegnano delle cose che Gesù non ha detto.

Poi altri religiosi hanno cominciato a insegnare che era giusto credere in Gesù, ma che bisogna fare anche delle cerimonie per far piacere a Dio. “Se faremo certe cerimonie, saremo più benedetti e saremo dei cristiani migliori!” dicevano. Così hanno cominciato a battezzare i bambini piccoli, pensando che mettendogli l’acqua benedetta sulla testa gli avrebbero tolto il peccato. Hanno detto che dentro al pane della comunione c’era proprio Gesù e che il pane si trasformava davvero nel corpo di Gesù. Ma Gesù non ha mai ordinato di battezzare i bambini piccoli e ha spiegato che il pane della comunione rappresenta il suo corpo, ma non ha detto che è proprio il suo corpo.

Anche questi insegnanti sbagliati sono stati ascoltati da molti, che li hanno seguiti.

Infine, altri hanno cominciato a dire: “Ci sono tante belle leggende, tanti racconti di miracoli. Sono belli come i racconti dei vangeli e parlano di Gesù e della sua Mamma e di altri cristiani... Dobbiamo considerarli importanti come la Bibbia!” E hanno deciso che si dovevano insegnare e fare conoscere come cose vere. L’hanno chiamata “tradizione”, cioè racconti tramandati a voce e raccontati da una persona all’altra.

I Cattolici anche oggi credono a questi racconti come se fossero veri e li considerano spesso più importanti di quello che hanno scritto i discepoli di Gesù che avevano visto con esattezza quello che Gesù ha fatto. (Come vedi, Silvano, un po’ di storia ecclesiastica l’ho fatta, dato che mi sono basata sui tre punti su cui si fonda la fede biblica: sola scrittura, sola fede e sola grazia).

Conclusione: Nessuno ha inventato i Cattolici, ma degli uomini piano piano hanno insegnato cose diverse da quello che dice la Bibbia e molti ci hanno creduto. Così, piano piano, si è formato un grande gruppo di persone, che dicono di rispettare la Bibbia, ma credono anche a cose che Gesù non ha mai detto.

Troppo complicato per una bambina di sette anni? Non credo, perché l’ho “interrogata” il giorno dopo e ha dimostrato di avere capito. La sua conclusione è stata: “Allora, i Cattolici si sono inventati da soli!”. A sette anni, i problemi si risolvono presto.

Non lo amo più... Datti una calmata 2

Oggi continuiamo a parlare di chi dice di suo marito: “Non lo amo più”oppure “non siamo fatti l’uno per l’altro”. Penso soprattutto a una giovane donna, che chiamo Mirella, che me lo ha detto poco tempo fa.

In inglese, questa affermazione si descriverebbe come “fall out of love” ovvero “cadere fuori dall’amore”. Il che non suona così catastrofico e definitivo come l’italiano “non lo amo più”. Infatti se si cade fuori da una cosa (a meno che non sia una finestra del quinto piano di un palazzo) si può sempre tornare dentro. Nel tuo caso, tornare a essere “in love”, innamorata è possibile e di questa possibilità voglio parlare. E, meglio ancora, voglio darti la formula infallibile per restare dentro nell’amore.

Dato che mi hai detto che sei credente, che hai accolto Gesù nella tua vita e che tuo marito ha fatto altrettanto, potete partire col piede giusto.

Permettimi una piccola, ma importante, digressione teologica. Niente paura: sarà breve.

La Bibbia insegna che siamo composti da tre elementi: anima, corpo e spirito.

Il corpo sappiamo cos’è e deve essere tenuto in grande rispetto e deve essere curato. Nel matrimonio è uno strumento particolarmente importante per dimostrare l’amore e per darsi fisicamente al proprio marito. Se vi siete sposati, suppongo che una certa attrazione fisica l’abbiate provata. Attenzione a che l’intimità sessuale non diventi un’arma di ricatto, di vendetta. Molte cattiverie matrimoniali avvengono proprio in camera da letto.

L’anima costituisce la nostra personalità, i sentimenti, il nostro carattere. Ognuno di noi ha la sua personalità, con pregi e difetti, ed è importante che la plasmiamo, con l’aiuto di Dio, in modo da mettere in risalto i suoi lati buoni e controllare quelli negativi. Un lavoro che praticamente dura tutta la vita e che è particolarmente importante quando si vive insieme e Dio vuole che diventiamo “una cosa sola”.

Poi c’è lo spirito. E questo è l’elemento più importante, perché è la parte di noi che può avere contatto con Dio e può aiutarci a risolvere anche i problemi umani più spinosi. Ma c’è un “ma”.

In ogni persona che nasce in questo mondo lo spirito è morto, immerso nella realtà di una natura che tende a peccare ed è separata da Dio. Non possiede nessuna scintilla divina, come direbbero alcuni filosofi. Nasciamo tutti separati da Dio e con una tendenza indomabile a peccare.

Lo spirito morto deve essere perciò vivificato, deve ricevere una nuova vita. Gesù l’ha spiegato chiaramente a un uomo religioso, Nicodemo, quando gli ha detto: “Tu devi nascere di nuovo”.

Quando uno si riconosce peccatore, perduto e senza speranza, e si affida a Gesù riconoscendolo come unico Signore e Salvatore, Dio compie in lui questo miracolo e innesta in lui una nuova vita, la vita eterna. Lo salva e fa di lui un suo figlio.

Due persone che hanno fatto questa esperienza (e tu, Mirella, e tuo marito dite di averla fatta) sono in relazione con Dio, possono parlare con Lui in preghiera come a un padre e possono ascoltare ciò che Lui ha detto nella sua Parola. In più, Dio promette loro il suo aiuto. Lui è il garante del vostro patto!

Adesso si tratta di lavorare su questa base. Volete provarci?

Per prima cosa, dovete averne voglia e mi auguro che l’abbiate. Se no, state molto male. E, per quello che riguarda la mia esperienza di consulenza casereccia, non avete molte speranze.

In secondo luogo, dovete essere disposti e determinati a prendere sul serio la Parola di Dio e decidere che la metterete in pratica. Magari con lagrime e fatica, ma che lo farete. È l’unica guida valida.

Terzo, dovete sgombrare il terreno da tutte le cattiverie che probabilmente vi siete fatti e detti (parole dure, insulti, indifferenza, atti dettati dall’egoismo, dispetti e ripicche) e perdonarvi reciprocamente. Senza un perdono onesto e sincero, non andrete da nessuna parte e ricomincerete a litigare.

Quarto, rileggete prima da soli e poi insieme, i capitoli 4 e 5 della lettera agli Efesini, cominciando dal v. 17 del capitolo 4 e finendo col v. 33 del capitolo 5.

Fatelo con sottomissione dato che è Dio stesso che vi parla. Siate severi solo con voi stessi. Non difendetevi, non scusatevi. Ripromettetevi di mettere in pratica quello che leggete.

Poi pregate confessando il vostro peccato di egoismo e la vostra disubbidienza ai comandi di Dio e chiedetegli l’aiuto per farlo. Fatelo separatamente e poi fatelo insieme.

Piangete, guardatevi negli occhi, promettete di aiutavi l’un l’altro.

Infine, non pensate che tutto diventerà perfetto da un giorno all’altro. La vita cristiana è fatta di tre passi avanti e due indietro. Ma andate avanti e rientrate nel vostro amore.

Dio lo vuole e perciò vi aiuterà.

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Non lo amo più... Datti una calmata - 1

“Non l’amo più”.
“Prendiamoci un tempo di riflessione”.
“Non siamo fatti l’uno per l’altra”.

Per rispondere alla prima frase, nel blog scorso, ho detto che l’amore vero non se ne va tutto d’un colpo. Se siamo delusi della nostra relazione, dobbiamo cercare il problema non tanto nei difetti e nelle mancanze dell’altro, quanto nel nostro egoismo. Se siamo onesti, scopriremo che l’amore vero e che dura non è solo un sentimento o un’emozione, ma anche una scelta, fatta di realismo e, a volte, anche di rinunce.

Proporre un tempo di separazione per riflettere, come si sente dire spesso, non serve. Fa solo aumentare la propria amarezza, l’insoddisfazione e il ricordo di ciò che ci ha ferito. E rischia di spingerci a cercare consolazione altrove.

Se il problema è che pensiamo di non essere fatti l’uno per l’altra, bisogna darsi una calmata e farsi alcune domande come: che cosa mi ha attratto in lui o in lei? La sua simpatia? La sua intelligenza? La bellezza? La sua spiritualità? Le cose buffe che diceva? La sua capacità di fare progetti? I piani che aveva per il futuro?
  • Quali buone qualità ho scoperto dopo aver pronunciato il “sì”?
  • Quali difetti ho individuato? Come mai non li avevo notati? Perché non me ne sono preoccupato? (Se avete pensato che sareste riusciti a cambiare il vostro coniuge dopo sposato, scordatevelo! Non lo cambierete!)
  • Quanto pesano nella mia insoddisfazione i commenti o le interferenze dei genitori di lui o di lei?

A questo punto, provate alcune cose.

Fate una lista di ciò che vi ha attratti nel vostro marito o nella moglie, concentrandovi sulle qualità positive.

Fermatevi a ringraziare Dio per ogni buona qualità che avete elencata.

Proseguite lodando verbalmente anche lui o lei per quelle cose specifiche. Sarà un aiuto per tutti e due.

Se notate che lui è diventato musone o che lei si dimostra acida, è importante chiedersi: non sarà mica colpa mia? Che cosa sto facendo che lo irrita o lo rende scorbutico? Sono gelosa? Parlo troppo? O troppo poco? Sono insensibile? Come dovrei cambiare? Come potrei farle (o fargli) piacere?

Per avere una risposta a queste o a mille altre domande non c’è che un mezzo: parlarne.

E parlarne in modo giusto. Con calma e cortesia, da persone civili. Senza accusare, non dicendo quelle parole vietate “sempre” e “mai”. (Esempi: Tu sei sempre distratto! Tu parli sempre con tua madre! Non mi aiuti mai! Non ti interessi mai del mio lavoro!)

Spiegarsi senza piangere o gridare. Senza recriminare. Senza tirare in ballo parenti e vecchi rancori.

Cercare di capire il punto di vista dell’altro e prendendo le sue “fisime” sul serio. A te sembrano fisime, ma per lui o lei sono cose importanti.

Mi spiego: se a lei dà noia che tu tenga uno stuzzicadenti in bocca, buttalo. Se a lui dispiace che tu voglia sistemare la cucina, quando è il momento di andare a letto e lui pensa a qualcos’altro, lascia i piatti nel lavandino. Ti aspetteranno tranquilli fino a domani.

Se a lei piace guardare un film lacrimogeno, non la prendere in giro.
Se lui vuole guardare la partita, tu non sbuffare.
Trovare un compromesso si deve. E si può.

Quando mio marito e io ci siamo sposati, una coppia di amici ci ha scritto: “Il matrimonio è un gioco di dare e prendere, per trovarsi sempre insieme a metà strada”. Parole sante.
Con impegno, buona volontà, buon senso, intelligenza e l’aiuto costante di Dio, ci si riesce.

Ma c’è di più. Ve lo dico la prossima volta.

Ma chi me lo ha fatto fare?

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Se una donna dice di non averlo mai detto, o almeno pensato, dopo avere pronunciato quel fatale “sì” davanti all’Ufficiale di Stato Civile, io vi dico o che ha perso la memoria o non vi dice la verità.

Io, per esempio, l’ho pensato quando non riuscivo più a dormire una nottata senza interruzioni dopo che erano nati i figli, non avevo più la possibilità di andare e venire come mi piaceva, come quando ero single o quando tutti e quattro i bambini hanno deciso di farsi venire la diarrea e ho dovuto lavare a mano – udite! – 96 pannolini.

Quando una sposina si rende conto che il marito non è premuroso come quando era fidanzato; che non si accorge che è stanca e si piazza davanti alla TV, mentre lei prepara la cena o lava i piatti del giorno prima, la delusione affiora. Allora lei comincia a rimpiangere il tempo in cui la loro relazione era fatta solo di coccole, passeggiate mano nella mano e cenette in pizzeria. Oppure il tempo in cui c’era la mamma che la serviva e non c’erano particolari responsabilità.

In quel momento, alcune dicono: “Non lo amo più” oppure “Prendiamoci un tempo di separazione e di riflessione” oppure “Non siamo fatti l’uno per l’altro”.

Se dicono: “Non lo amo più”, vuol dire che prima erano solo infatuate e il loro non era amore vero, pronto a sacrificarsi e a volere il bene dell’altro e non solo il proprio.

Se dicono: “Prendiamo un periodo di riflessione”, dicono la cosa più stupida possibile. I problemi non si risolvono stando lontani, ma parlandone seriamente a faccia a faccia.

Infine, se decidono: “Non siamo fatti l’uno per l’altro”, dovrebbero passarsi la mano sulla coscienza, vedere dove sta il vero problema e decidere che troveranno un accordo.

E soprattutto tenere presente che Dio ha inventato il matrimonio e che vuole aiutare chiunque a farlo riuscire.

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Lutero e... i pannolini

Quanto sono cambiati gli uomini italiani!

Cinquanta anni fa, non avreste visto un giovane padre spingere il passeggino o la carrozzina del suo bambino neppure a pagarlo a peso d’oro. Lo avrebbe considerato degradante e indegno del suo ruolo di capofamiglia.

Non lo avreste visto neppure imboccare il suo bambino e offrirgli la pappa a cucchiaini. Troppo da donna... Oggi i papà fanno questo e altro ed è un buon cambiamento. Se...

Ripeto: se, o a meno che, non sia indice di confusione di ruoli, di insofferenza e ribellione da parte delle mogli, del femminismo che rende gli uomini spesso insicuri. Conosco coppie in cui lei lavora e progredisce nella sua professione, mentre lui rimane a casa, fa le pulizie, prepara il pranzo e cura i bambini.

“Lei guadagna più di me perciò tanto vale che invertiamo le mansioni. A me non dispiace restare a casa. Meno rogne coi colleghi d’ufficio e meno responsabilità di decidere” ha detto un marito.

Era vero: sua moglie era una bomba di capacità, mentre lui era calmo e del tipo “vivi-e-lascia-vivere”. Ma la loro famiglia era sbilanciata e i figli crescevano con la figura una madre troppo Walkiria e di un padre troppo remissivo e rinunciatario.

D’altra parte conosco una signora che non ha mai portato al cassonetto la spazzatura di famiglia, perché diceva che non è un lavoro da donna.

Secondo me, non ci sono lavori da donna o da uomo. Si fa quello che deve essere fatto. Ma i ruoli devono essere rispettati come indica la Bibbia (il marito come guida della famiglia e la moglie come suo aiuto, complemento e collaboratice), anche se l’equilibrio non è sempre facile da raggiungersi, dato che a volte sia la moglie, sia il marito lavorano fuori casa.

Ma qualcuno sembra che ci sia riuscito bene: Lutero.

Ho letto una sua frase che mi ha fatto riflettere. Si sa che il grande riformatore tedesco era un tipo molto occupato. Traduceva la Bibbia in tedesco, componeva inni per rendere la dottrina accessibile e comprensibile alle persone che non possedevano una Bibbia o la leggevano a fatica, faceva le sue lotte religiose e politiche. Ma non perdeva un colpo riguardo alla pratica del culto di famiglia e poteva scrivere: “Confesso che non sono degno di cullare il mio piccolo o di lavare i suoi pannolini o di curare lui e sua madre... Ma lo faccio con grande piacere, e farò anche delle cose più insignificanti e disprezzate. Né ghiaccio né calore, né noia né fatica mi peseranno o mi dissuaderanno, perché sono convinto che così farò piacere al Signore”.

Un buon esempio, non vi pare?

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Genitori trasparenti

Ho trovato una bellissima affermazione, scritta da quattro donne americane, riguardo al ruolo dei genitori. Dato che, in questo periodo, stiamo parlando di figli e della loro educazione, ve la passo.

“I nostri bambini non hanno bisogno di genitori perfetti, ma di genitori onesti e che fanno del loro meglio. Per accompagnare i nostri figli nella loro formazione spirituale, dobbiamo camminare con loro, imparando e crescendo, pronti a dire “perdonami, ho sbagliato” e cercando con loro di crescere nella grazia di Dio che trasforma, nel suo amore e con la sua forza”.

Alcuni genitori non ammettono mai ai loro figli di avere sbagliato. “Non vogliamo perdere la faccia” dicono. “I figli ci devono rispettare così come siamo”.

Mio marito e io non abbiamo mai pensato in questo modo e siamo persuasi di aver fatto bene.
A distanza di tempo, ora non ricordo bene tutti i particolari, ma so che, un giorno, mio marito diede una potente lavata di testa a un paio dei figli, che devono aver avuto più o meno dieci anni, e li mise in punizione. Una punizione severa.

Io conoscevo i fatti e sapevo che i fulmini e le saette erano stati eccessivi, come pure la punizione. Naturalmente, non sono intervenuta al momento (i genitori è bene che facciano fronte unico nei momenti di crisi), ma ho chiesto a mio marito di venire in camera caritatis, cioè nella nostra camera da letto. Lì , a porte chiuse, gli ho detto come erano andate le cose e ho spiegato i fatti.
Mi ha ascoltata con serietà, come fa sempre con chi gli parla.

Poi, io sono andata in cucina a preparare la cena. Nella camera dei ragazzi c’era un silenzio insolito e piuttosto preoccupante. Cosa stava succedendo?

A un certo punto, “i due colpevoli” si sono precipitati in cucina con gli occhi luccicanti: “Ma lo sai, Mamma? Papà è venuto a chiederci perdono! E’ stato bravo!”

Papà aveva capito di essere stato ingiusto e aveva fatto l’unica cosa giusta da fare: lo aveva ammesso senza scusanti.

“E voi che cosa avete fatto?” ho chiesto.

“Gli abbiamo detto che lo perdonavamo, e ora siamo tutti contenti.”

L’armonia e il rispetto fra figli e genitori si costruisce con la trasparenza e l’onestà. I figli sanno benissimo che non siamo perfetti e che sbagliamo. Questo non li turba. Quello che li manda in bestia e che costruisce barriere terribili fra noi e loro sono le ingiustizie non ammesse e le incoerenze. E a queste dobbiamo fare attenzione.

E com’è andato il resto della serata? Mai cena è stata più allegra e rilassata. “Passata è la tempesta, odo augelli far festa..” come nella poesia del Leopardi.
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