Il mattino ha l’oro in bocca. Chi dorme non piglia pesci.
Molti proverbi popolari, più o meno esplicitamente, incitano all’operosità, a approfittare delle ore del mattino e a non essere pigri. E, sotto sotto, a dormire di meno.
Onestamente, se io non mi alzo presto la mattina, mi sento la coscienza piuttosto sporca. Mi pare di avere perso del tempo prezioso e di essere stata poco “donna di Proverbi 31”. Proverbi a parte, alzandosi presto, la giornata rende molto di più.
Sia come sia, ho letto delle cose interessanti, che forse incoraggeranno le dormiglione e rallenteranno le troppo attive. Eccole.
A quel che pare, cercare di dormire poco fa più male di quello che si pensa. Dormire almeno otto ore a notte sarebbe di grande aiuto. Qualcuno ne consiglia addiritura 10, ma deve essere uno che vive sulla luna o non è mai vissuto in una città come Roma o Milano, in cui si vive a scappa e fuggi.
Il sonno dovrebbe aiutare la memoria (questo mi ha toccato in modo particolare perché, personalmente a causa dell’età, dimentico molto. Mio marito afferma che i giovani dimenticano quanto i vecchi e che la sola differenza è che non se ne preoccupano! Sarà...).
Secondo uno studio dell’Università di Harvard, negli Stati Uniti, delle persone che sono state (poverette!) obbligate a non dormire per 35 ore di seguito, hanno reso molto meno di chi aveva dormito regolarmente (per capirlo, non ci vogliono i cervelli di Harvard. Se non si dorme si diventa come zombie!). In ogni modo, molti studiosi pensano che il cervello continui a immagazzinare informazioni anche mentre dorme. Non capisco come faccia, ma è incoraggiante.
Dormire farebbe anche bene alla linea. Sembra che il sonno influisca sugli ormoni che dicono al corpo quando deve cominciare a mangiare e quando fermarsi. Dormire poco aumenta il desiderio di mangiare e rallenta il metabolismo. Ergo, si mette su peso.
Altro beneficio del sonno: migliora la pelle (ascoltate, donne dalla pelle “matura”, come dice la crema che uso io!). La scarsità di sonno impedisce al nostro corpo di assorbire in quantità sufficiente i nutrimenti della pelle, col risultato che questa diventa meno elastica e più floscia. Il nostro corpo usa un terzo del tempo in cui dormiamo per riparare le nostre cellule.
Infine, secondo altri studiosi, dormire allungherebbe la vita. Pare che, soprattutto le donne che dormono meno di 7 ore su 24, abbiano un tasso di mortalità del 21% superiore a quello delle donne che dormono di più e sono più riposate. Mentre le ragioni non sono chiare, la mancanza di sonno è stata associata con la pressione alta, il diabete e la depressione.
A parte quello che dicono gli esperti, il riposo della notte e il sonno sono un vero miracolo: si va a letto stanche morte e la mattina ci si risveglia pronte a affrontare con entusiasmo una nuova giornata. Il Signore che ha dotato il nostro corpo di bisogno di riposo, ci ha proprio create in modo meraviglioso e stupendo, come diceva il Salmista Davide.
Dato che, quando si dorme poco, si diventa più irritabili, acide e scontente, se non insopportabili, dormiamoci su!
Buona notte e alla prossima. Grazie di tutti i vostri bei commenti.
HO UN BAMBINO DI 7 ANNI DEPRESSO... COME POSSO AIUTARLO?
Un anonimo (forse una mamma?) mi ha fatto questa domanda. È una domanda triste, pensando che si tratta di un bambino, che, alla sua età, dovrebbe essere felice e spensierato.
Data la sua giovane età, penso che sarà più facile aiutarlo. Quando sono giovanissimi sono più facilmente influenzabili verso una visione serena e felice della vita.
Dovrei farti alcune domande. Come è la vostra vita di famiglia? Non sta per caso vivendo una separazione dei genitori o un lutto? È un bambino sano, controllato di recente da un dottore? Ha degli interessi? Come passa il suo tempo? È contento a scuola? Impara facilmente? Come è il suo rapporto coi maestri? C’è forse un compagno che è poco gentile con lui?
Non sta per caso usando la “depressione” come un’arma per ottenere quello che vuole? Non voglio pensare male, ma, a volte i bambini sono capaci di tutto.
Caro anonimo, se risponderai a queste domande o mi darai qualche informazione di più, forse potrò darti qualche suggerimento più valido e specifico.
Data la sua giovane età, penso che sarà più facile aiutarlo. Quando sono giovanissimi sono più facilmente influenzabili verso una visione serena e felice della vita.
Dovrei farti alcune domande. Come è la vostra vita di famiglia? Non sta per caso vivendo una separazione dei genitori o un lutto? È un bambino sano, controllato di recente da un dottore? Ha degli interessi? Come passa il suo tempo? È contento a scuola? Impara facilmente? Come è il suo rapporto coi maestri? C’è forse un compagno che è poco gentile con lui?
Non sta per caso usando la “depressione” come un’arma per ottenere quello che vuole? Non voglio pensare male, ma, a volte i bambini sono capaci di tutto.
Caro anonimo, se risponderai a queste domande o mi darai qualche informazione di più, forse potrò darti qualche suggerimento più valido e specifico.
- In generale, direi che i bambini hanno tutti un grande bisogno di essere lodati per ogni cosa buona che fanno, premiati se si comportano bene e trattati sempre in maniera gentile, anche se devono essere ripresi, corretti e puniti.
- Devono essere sempre rassicurati del nostro amore e del nostro desiderio di fare loro del bene, anche se dobbiamo riprenderli. Non bisogna mai sgridarli in modo da togliergli la speranza e la fiducia nel nostro amore e soprattutto nell’amore di Dio. Faccio un esempio: mia mamma spesso mi sgridava (a ragione, perché ero una bambina... volitiva), ma quando le chiedevo perdono, non mi perdonava e mi rispondeva con un: ”Vedremo, come ti comporterai in seguito!”
Questo mi faceva sentire come una condannata senza appello. Se non potevo essere perdonata, cosa potevo fare per meritarmi il favore della mamma? Potevo essere solo scoraggiata. - Coi bambini bisogna mantenere le promesse che si fanno, sia che si tratti di ricompense sia di correzioni, e bisogna dire sempre loro la verità.
- Bisogna scoprire quello che li interessa e coltivare quell’interesse. Prendere del tempo per leggere con loro, giocare con loro, fare cose anche manuali che li interessano.
- Interessarli a qualche progetto. Costruire qualcosa, fare risparmi con loro per comprare qualcosa o regalare qualcosa a qualcuno. È utile pensare ad aiutare altri.
- Ogni giorno si deve trovare il tempo di leggere alcuni versetti della Bibbia e pregare con loro, in maniera specifica parlando a Dio dei maestri, dei compagni, dei parenti e rassicurandolo sempre che Dio gli vuole bene e che Gesù amava tanto i bambini.
- È anche importante parlare di Dio casualmente mentre tu fai i lavori di casa e lui ti sta vicino.
Insomma ho buttato giù delle idee e ho chiesto anche mi marito di consiglirmi. Ora aspetto un tuo riscontro!
Se non mangia... prova “il club del piatto pulito”!
Se non mangia... prova “il club del piatto pulito”!
Certe mamme, se i loro bambini non mangiano, pensano che il mondo stia cascando. Invece, ogni bambino è diverso e ha appetito diverso. Molti usano il cibo come arma sicura per fare i capricci del secolo e attirare l’attenzione. O si impuntano a non mangiare, o vogliono solo una certa cosa, o dicono che gli spinaci li fanno vomitare (e vomitano) o sembrano non saziarsi mai.
Sono stata ospite anni fa, in una famiglia di amici. Avevano una bambina di circa cinque anni che era una lagna ambulante. Niente le andava bene. Soprattutto quando si metteva a tavola.
Primo sbaglio della mamma: “Mia figlia non vuole mai mangiare!” diceva mentre le allacciava il bavaglino attorno al collo. E, naturalmente, la bambina cominciava a frignare: “Non ho fame!”. Doveva essere all’altezza della sua reputazione.... Perché non dire invece: “La mia bambina va matta per gli spaghetti!”?
Secondo sbaglio della mamma: le riempiva il piatto con una porzione che sarebbe stata sufficiente per un adolescente al ritorno dalla palestra.
“Ma perché le dai tanta roba?” ho chiesto.
“Se non faccio così non mi mangia...”
“Ma odierà il cibo fino alla fine dei suoi giorni” ho detto.
“Tu non puoi capire....”
Infatti non potevo capire. Perché doveva mettere all’ingrasso quella povera bambina, insistendo per ore che mangasse e obbligandola anche, a piatto vuotato, a bere sopra tutto un bicchierone di latte?
In altre famiglie ho visto raccontare storielle, imboccando un bambino. Tipo? “Questo è per lo zio Clemente, che ha la pancia taaaaaaaanto grande”, “e questo è per la nonna Cunegonda” e per tutti i parenti fino alla quarta generazione. Ho visto rincorrere, con un cucchiaio colmo di cibo, i bambini che scappavano da tavola. E promettere premi o botte se mangiavano o non mangiavano. Naturalmente senza mantenere incentivi e né minacce.
E ho visto mamme chiamare il dottore, perché “il mio bambino non mangia”. E, se il dottore rispondeva: “Signora non lo sforzi. Mangerà quando ha fame” agganciavano offese. Follie!
A casa nostra abbiamo sempre incoraggiato i nostri figli, quando erano piccoli, a finire quello che avevano nel piatto e avevamo istituito il “club del piatto pulito”. Il segreto per ottenere il successo era mettere poco cibo nel loro piatto (due forchettate di pasta, un pezzetto di carne, un cucchiaio di verdura) e permettere di ripetere fino a che erano sazi. Così non si sprecava cibo, i bambini si divertivano e tutti eravamo tranquilli. La sola cosa che potevano rifiutare era il dolce, se c’era. Se succedeva, era la volta che cominciavo a preoccuparmi io!
L’ho detto in principio: il cibo è un’arma che i bambini usano da maestri. Non glielo permettiamo, se non vogliamo avere in futuro degli anoressici o degli obesi o degli schifiltosi insopportabili.
Certe mamme, se i loro bambini non mangiano, pensano che il mondo stia cascando. Invece, ogni bambino è diverso e ha appetito diverso. Molti usano il cibo come arma sicura per fare i capricci del secolo e attirare l’attenzione. O si impuntano a non mangiare, o vogliono solo una certa cosa, o dicono che gli spinaci li fanno vomitare (e vomitano) o sembrano non saziarsi mai.
Sono stata ospite anni fa, in una famiglia di amici. Avevano una bambina di circa cinque anni che era una lagna ambulante. Niente le andava bene. Soprattutto quando si metteva a tavola.
Primo sbaglio della mamma: “Mia figlia non vuole mai mangiare!” diceva mentre le allacciava il bavaglino attorno al collo. E, naturalmente, la bambina cominciava a frignare: “Non ho fame!”. Doveva essere all’altezza della sua reputazione.... Perché non dire invece: “La mia bambina va matta per gli spaghetti!”?
Secondo sbaglio della mamma: le riempiva il piatto con una porzione che sarebbe stata sufficiente per un adolescente al ritorno dalla palestra.
“Ma perché le dai tanta roba?” ho chiesto.
“Se non faccio così non mi mangia...”
“Ma odierà il cibo fino alla fine dei suoi giorni” ho detto.
“Tu non puoi capire....”
Infatti non potevo capire. Perché doveva mettere all’ingrasso quella povera bambina, insistendo per ore che mangasse e obbligandola anche, a piatto vuotato, a bere sopra tutto un bicchierone di latte?
In altre famiglie ho visto raccontare storielle, imboccando un bambino. Tipo? “Questo è per lo zio Clemente, che ha la pancia taaaaaaaanto grande”, “e questo è per la nonna Cunegonda” e per tutti i parenti fino alla quarta generazione. Ho visto rincorrere, con un cucchiaio colmo di cibo, i bambini che scappavano da tavola. E promettere premi o botte se mangiavano o non mangiavano. Naturalmente senza mantenere incentivi e né minacce.
E ho visto mamme chiamare il dottore, perché “il mio bambino non mangia”. E, se il dottore rispondeva: “Signora non lo sforzi. Mangerà quando ha fame” agganciavano offese. Follie!
A casa nostra abbiamo sempre incoraggiato i nostri figli, quando erano piccoli, a finire quello che avevano nel piatto e avevamo istituito il “club del piatto pulito”. Il segreto per ottenere il successo era mettere poco cibo nel loro piatto (due forchettate di pasta, un pezzetto di carne, un cucchiaio di verdura) e permettere di ripetere fino a che erano sazi. Così non si sprecava cibo, i bambini si divertivano e tutti eravamo tranquilli. La sola cosa che potevano rifiutare era il dolce, se c’era. Se succedeva, era la volta che cominciavo a preoccuparmi io!
L’ho detto in principio: il cibo è un’arma che i bambini usano da maestri. Non glielo permettiamo, se non vogliamo avere in futuro degli anoressici o degli obesi o degli schifiltosi insopportabili.
BELLEZZA SICURA
A me fanno ridere le pubblicità in TV. La signora che sente male alle gengive perché la dentiera le balla. Mette un prodotto e – miracolo! – la dentiera è salda. Salvo a tornare tale e quale, quando la pubblicità è ripetuta la prossima volta. Se uno ci credesse, direbbe che il prodotto vale poco!
Oppure la signora gonfia, che si sgonfia miracolosamente se beve un certo preparato, e poi si rigonfia, per riprendere lo stesso prodotto miracoloso, al prossimo stacco pubblicitario.
Molti anni fa, quando i miei figli erano piccoli, sui giornali c’era, nella pubblicità, la faccia di un uomo triste e soffrerente. La scritta era: “Poverino, come soffre! Non usa il callifugo Ciccarelli!”. Così, quando un bambino piangeva per qualche motivo, i fratelli gli dicevano: “Poverino, come soffre! Non usa il callifugo Ciccarelli...”. E giù le risate. O i pianti dell’interessato.
Fatto sta che, se si bada alla pubblicità, non dovresti mai invecchiare, dovresti camminare sempre a passo scattante e non avere mai un capello fuori posto. A meno che tu non sia Brigitte Bardot, che si può permettere di sembrare una mezza catastrofe, non puoi avere una grinza.
Però nessuna pubblicità dice che dovremmo essere belle e giovani dentro. A questo tipo di bellezza, che non si compra in negozio, non si pensa. Ma non è da trascurare, perché è essenziale.
In un ritaglio di un giornale evangelico ho trovato questi consigli. Ve li passo, in caso vi possano servire. Vengono da un certo signor Sam Levinson, di cui personalmente non ho mai sentito parlare.
Ho conosciuto donne molto belle, ma che non sapevano di niente. Erano solo preoccupate di apparire nel loro fulgore e, dentro, erano delle perfette oche.
Ho conosciuto anche donne parecchio bruttarelle, che però avevano lo sguardo amorevole, erano pronte a sorridere e non avevano paura, magari, di mostrare un dente un po’ storto.
Ve lo assicuro: vincevano il premio.
Oppure la signora gonfia, che si sgonfia miracolosamente se beve un certo preparato, e poi si rigonfia, per riprendere lo stesso prodotto miracoloso, al prossimo stacco pubblicitario.
Molti anni fa, quando i miei figli erano piccoli, sui giornali c’era, nella pubblicità, la faccia di un uomo triste e soffrerente. La scritta era: “Poverino, come soffre! Non usa il callifugo Ciccarelli!”. Così, quando un bambino piangeva per qualche motivo, i fratelli gli dicevano: “Poverino, come soffre! Non usa il callifugo Ciccarelli...”. E giù le risate. O i pianti dell’interessato.
Fatto sta che, se si bada alla pubblicità, non dovresti mai invecchiare, dovresti camminare sempre a passo scattante e non avere mai un capello fuori posto. A meno che tu non sia Brigitte Bardot, che si può permettere di sembrare una mezza catastrofe, non puoi avere una grinza.
Però nessuna pubblicità dice che dovremmo essere belle e giovani dentro. A questo tipo di bellezza, che non si compra in negozio, non si pensa. Ma non è da trascurare, perché è essenziale.
In un ritaglio di un giornale evangelico ho trovato questi consigli. Ve li passo, in caso vi possano servire. Vengono da un certo signor Sam Levinson, di cui personalmente non ho mai sentito parlare.
- Per avere labbra attraenti, pronuncia parole gentili, che confortano e aiutano chi ti ascolta.
- Per avere degli occhi luminosi, sforzati di vedere che cosa c’è di buono negli altri.
- Per avere dei bei capelli, lascia che il tuo bambino (o il tuo nipotino!) te li accarezzi e si diverta a arruffarli un po’.
- Per avere una figura slanciata, condivdi il tuo cibo con chi ha fame (in altre parole, mangia meno).
- Per avere un’andatura elegante e sicura, cammina con la consapevolezza che Gesù ti accompagna ovunque vai e non sei mai abbandonata.
Ho conosciuto donne molto belle, ma che non sapevano di niente. Erano solo preoccupate di apparire nel loro fulgore e, dentro, erano delle perfette oche.
Ho conosciuto anche donne parecchio bruttarelle, che però avevano lo sguardo amorevole, erano pronte a sorridere e non avevano paura, magari, di mostrare un dente un po’ storto.
Ve lo assicuro: vincevano il premio.
BUROCRAZIA ECCLESIASTICA
Le religioni inventate dagli uomini sono veramente un disastro. Tutte, dall’islam al Cristanesimo ufficiale, dalle religioni orientali alle sette che pullulano ovunque, tutte, dico, hanno un denominatore comune: insegnano che l’uomo deve sforzarsi per arrivare in cielo per mezzo dei suoi buoni proponimenti, di buone opere e riti. Eventualmente, ci arriva anche con l’aiuto della grazia di Dio e di intermediari morti e santificati e quello delle preghiere di generosi parenti benevoli e ancora in vita. Il tutto secondo i canoni della casistica e della burocrazia ecclesiastica.
A Roma c’era una volta l’abitudine di mettere in mano ai morti e ai moribondi un obolo per pagarsi l’ingresso in Paradiso (onestamente non so se ora si faccia ancora e se i romani siano diventati più avari o increduli). Certamente si dicono ancora Messe per aiutare i defunti a uscire dal Purgatorio e, fra qualche giorno, i cimiteri si popoleranno di parenti che portano fiori e accendono ceri, per dare una spinta ai cari estinti.
Sempre a Roma, sulla Scala Santa, in giro a Pasqua, la gente sale dolorosamente 27 gradini in ginocchio, pregando, per togliersi sette anni di purgatorio a ogni scalino.
Sentite poi questa: durante i lavori di restauro a un’antica abbazia irlandese è stata trovata in una tomba un’antica pergamena, chiusa in una cassetta che era stata deposta accanto alla salma. Sul documento si legge:
Nel 1341, la dottrina del purgatorio, assolutamente assente nelle pagine della Bibbia, era già stata definita dalla Chiesa Romana, ma non era diventata ancora dogma. Evidentemente non era tenuta in molta considerazione dal Priore del convento di Lifford, il quale però credeva, erroneamente, che Pietro fosse davvero incaricato di ammettere i defunti in cielo o di respingerli.
Lo ripeto: le religioni umane sono un disastro, perché danno false speranze e nessuna certezza. E questo è crudele, perché, come ad esempio il Cattolicesimo Romano, spesso sono un impasto di verità, di leggende, di tradizioni e di credenze animiste, che illudono le persone, le portano in perdizione e non insegnano la verità.
La verità del Vangelo e degli Apostoli è molto semplice: Gesù Cristo è venuto nel mondo per salvare i peccatori, è morto al loro posto sulla croce, è risuscitato e ora offre gratuitamente il dono della salvezza a chi crede in Lui e lo accoglie come Salvatore e Signore della sua vita.
Quando ha cominciato la sua predicazione sulla terra, Gesù ha detto: “Ravvedetevi e credete all’Evangelo”. Ravvedersi significa capire e di essere un peccatore perduto e sulla strada dell’inferno, di non avere speranza se non nella grazia di Dio. Credere in chi è e cosa ha fatto Gesù, affidarsi a Lui come unico Salvatore e fare sul serio ubbidendo all’evangelo.
Troppo semplice per essere vero? Pare che per molti lo sia e preferiscano un “vangelo fai da te” oppure l’appoggio della burocrazia ecclesiastica. Ma avranno delle brutte sorprese.
A Roma c’era una volta l’abitudine di mettere in mano ai morti e ai moribondi un obolo per pagarsi l’ingresso in Paradiso (onestamente non so se ora si faccia ancora e se i romani siano diventati più avari o increduli). Certamente si dicono ancora Messe per aiutare i defunti a uscire dal Purgatorio e, fra qualche giorno, i cimiteri si popoleranno di parenti che portano fiori e accendono ceri, per dare una spinta ai cari estinti.
Sempre a Roma, sulla Scala Santa, in giro a Pasqua, la gente sale dolorosamente 27 gradini in ginocchio, pregando, per togliersi sette anni di purgatorio a ogni scalino.
Sentite poi questa: durante i lavori di restauro a un’antica abbazia irlandese è stata trovata in una tomba un’antica pergamena, chiusa in una cassetta che era stata deposta accanto alla salma. Sul documento si legge:
“Patrik, Priore del convento di Lifford, al nostro signore e amico San Pietro, portinaio di Dio onnipossente.
“Noi ti certifichiamo che è deceduto oggi stesso un certo servo di Dio, chiamato Daniel O’Rator, Conte di Croaghgorm. Ordiniamo di condurlo sensa indugi né ostacoli nel regno di Dio. Noi lo abbiamo assolto di tutti i suoi peccati e gli abbiamo concesso la nostra benedizione. Per conseguenza nulla osta a che sia lasciato passare. E affinché sia così gli abbiamo rilasciato la presente lettera di assoluzione, nel monastero di Lifford. Oggi, 30 luglio 1341”.
Nel 1341, la dottrina del purgatorio, assolutamente assente nelle pagine della Bibbia, era già stata definita dalla Chiesa Romana, ma non era diventata ancora dogma. Evidentemente non era tenuta in molta considerazione dal Priore del convento di Lifford, il quale però credeva, erroneamente, che Pietro fosse davvero incaricato di ammettere i defunti in cielo o di respingerli.
Lo ripeto: le religioni umane sono un disastro, perché danno false speranze e nessuna certezza. E questo è crudele, perché, come ad esempio il Cattolicesimo Romano, spesso sono un impasto di verità, di leggende, di tradizioni e di credenze animiste, che illudono le persone, le portano in perdizione e non insegnano la verità.
La verità del Vangelo e degli Apostoli è molto semplice: Gesù Cristo è venuto nel mondo per salvare i peccatori, è morto al loro posto sulla croce, è risuscitato e ora offre gratuitamente il dono della salvezza a chi crede in Lui e lo accoglie come Salvatore e Signore della sua vita.
Quando ha cominciato la sua predicazione sulla terra, Gesù ha detto: “Ravvedetevi e credete all’Evangelo”. Ravvedersi significa capire e di essere un peccatore perduto e sulla strada dell’inferno, di non avere speranza se non nella grazia di Dio. Credere in chi è e cosa ha fatto Gesù, affidarsi a Lui come unico Salvatore e fare sul serio ubbidendo all’evangelo.
Troppo semplice per essere vero? Pare che per molti lo sia e preferiscano un “vangelo fai da te” oppure l’appoggio della burocrazia ecclesiastica. Ma avranno delle brutte sorprese.
Un salmo al giorno... leva l’ansia di torno
In questo periodo sto rileggendo i Salmi. Alcuni sono tristi e mi mettono angoscia, perché chi li ha scritti aveva tante difficoltà (la parte bella è che aveva l’onestà di parlarne col Signore). Altri salmi sono così gioiosi che mi mettono la voglia di saltare e ballare dalla gratitudine. Tutti mi aiutano a conoscere meglio il carattere di Dio.
Oggi vi propongo di leggere il 33. Lo leggiamo insieme e, se vi sembra una buona idea, prendete qualche nota. Leggere un salmo (o una parte di un salmo) al giorno fa veramente del bene. Provateci.
Nei primi tre versetti, del Salmo 33, il salmista Davide invita a lodare e a cantare e, se sappiamo suonare uno strumento, a suonarlo bene! Poi comincia a elencare le qualità di Dio. Ascoltate!
v. 4 – Dio parla giustamente, opera con fedeltà.
v. 5 – Ama la giustizia e riempie la terra di benevolenza.
v. 6 – È il Creatore di ogni cosa.
vv. 7,8 – Governa i mari e regola l’universo. Tutti lo devono rispettare.
v. 9 – Ha creato ogni cosa dando degli ordini con la sua parola.
v. 10 – È Signore sulle nazioni e manda all’aria i progetti dei popoli.
v. 11 – Non cambia mai.
v. 12 – Chi lo teme è beato, e chi Lui sceglie gli appartiene.
v. 13 – Sa ogni cosa.
vv. 14,15 – Vede tutti gli abitanti della terra, li ha creati e osserva come si comportano.
vv. 18,19 – È buono con chi gli appartiene e lo libera. Lo protegge nell’avversità.
v. 20 – È il nostro scudo.
v. 21 – È santo, cioè il Lui non c’è niente di peccaminoso e cattivo.
v. 22 – Fa del bene a chi si affida e spera in Lui.
Adesso rileggiamo tutta la lista e rallegriamoci, perché Dio si è rivelato in modo così preciso, perché si è fatto conoscere, perché è un Dio personale. È anche un Dio che ci vede fino nel profondo e a cui non possiamo nascondere niente. È un Dio da prendere sul serio, perché non gli sfugge nulla.
È il tuo Dio? O hai un Dio “fai da te” che ti delude e ti lascia vuoto e scontento?
Oggi vi propongo di leggere il 33. Lo leggiamo insieme e, se vi sembra una buona idea, prendete qualche nota. Leggere un salmo (o una parte di un salmo) al giorno fa veramente del bene. Provateci.
Nei primi tre versetti, del Salmo 33, il salmista Davide invita a lodare e a cantare e, se sappiamo suonare uno strumento, a suonarlo bene! Poi comincia a elencare le qualità di Dio. Ascoltate!
v. 4 – Dio parla giustamente, opera con fedeltà.
v. 5 – Ama la giustizia e riempie la terra di benevolenza.
v. 6 – È il Creatore di ogni cosa.
vv. 7,8 – Governa i mari e regola l’universo. Tutti lo devono rispettare.
v. 9 – Ha creato ogni cosa dando degli ordini con la sua parola.
v. 10 – È Signore sulle nazioni e manda all’aria i progetti dei popoli.
v. 11 – Non cambia mai.
v. 12 – Chi lo teme è beato, e chi Lui sceglie gli appartiene.
v. 13 – Sa ogni cosa.
vv. 14,15 – Vede tutti gli abitanti della terra, li ha creati e osserva come si comportano.
vv. 18,19 – È buono con chi gli appartiene e lo libera. Lo protegge nell’avversità.
v. 20 – È il nostro scudo.
v. 21 – È santo, cioè il Lui non c’è niente di peccaminoso e cattivo.
v. 22 – Fa del bene a chi si affida e spera in Lui.
Adesso rileggiamo tutta la lista e rallegriamoci, perché Dio si è rivelato in modo così preciso, perché si è fatto conoscere, perché è un Dio personale. È anche un Dio che ci vede fino nel profondo e a cui non possiamo nascondere niente. È un Dio da prendere sul serio, perché non gli sfugge nulla.
È il tuo Dio? O hai un Dio “fai da te” che ti delude e ti lascia vuoto e scontento?
Tirando le somme...
Sul matrimonio si possono dire e scrivere tante cose, ma la base per riuscire è fatta solo e sempre di alcune convinzioni. E Masimo e Alessia cominciano a rendersene conto. Non sono spaventati, ma capiscono che ci devono lavorare.
La prima cosa di cui convincersi è che tutto parte da quello che c’è nella nostra mente. Ripeto: tutto, perfino la decisione di dimagrire. Non dipende dal guardarsi allo specchio e desiderare di togliere un po’ di ridondanze, o dal fatto che vogliamo rientrare nei vestiti che sono diventati troppo stretti o che le nostre amiche benevole ci hanno detto ironicamente: “Ti stai inquartando un po’, eh?”. Dipende dalla seria convinzioni che siamo troppo grasse.
Perfino l’attuazione della venuta di Cristo sulla terra per compiere l’opera di salvezza è dipesa dalla sua decisione e convinzione di ubbidire al piano del Padre Celeste e rinunciare, per un tempo, alla perfezione del cielo. “Egli, pur essendo in forma di Dio, non considerò l’essere uguale a Dio, qualcosa a cui aggrapparsi gelosamente, ma spogliò se stesso....”. “Considerare” è un esercizio della mente, che provoca delle convinzioni da cui deriva ogni altra decisione.
E quando si entra nel matrimonio, secondo me, di convinzioni ce ne vogliono almeno quattro.
La prima è che il matrimonio è per la vita. Il Signore Gesù lo ha detto chiaramente: “Dio li fece maschio e femmina. Perciò l’uomo lascerà suo padre e sua madre e i due saranno una sola carne. Così non sono più due, ma una sola carne. L’uomo dunque non separi quello che Dio ha unito” (Marco 10:6-9). Pensare che Dio ha inventato il matrimonio per la nostra gioia, dovrebbe spingere a due cose: fare molta attenzione a chi è la persona che si sposa e poi fare tutto il possibile per tenersela stretta, cercando di farle piacere, e mettendo ogni impegno per renderla contenta.
La seconda è capire il proprio ruolo. Se sono una donna, Dio mi ha fatta per essere l’aiuto adatto a mio marito nel bene e nel male, e in ogni fase della vita (Genesi 2:18; Efesini 5:22,32). Perciò mi impegnerò perché diventi un uomo secondo il piano di Dio e cercherò di non fare nulla per ostacolare questo piano.
Se fossi un uomo, mi pare che prenderei molto sul serio il mio ruolo di guida della famiglia e farei tutto il possibile per non rendere troppo pesante il ruolo di aiuto di mia moglie (1 Corinzi 11:3). La curerei teneramente, come ordina la Parola di Dio e cercherei di sopperire ai suoi bisogni morali, fisici e spirituali (Efesini 5:25).
Se nella coppia i ruoli non sono rispettati, non c’è da aspettarsi niente di buono.
La terza è decidere che si troverà un accordo. Se uno mi dice che nel suo matrimonio non ci sono stati problemi, o ha perso la memoria, o è scemo o è bugiardo.
I problemi ci sono e, prima o poi, saltano fuori. Ma l’apostolo Paolo dice ai credenti: “Se è possibile, per quanto dipende da voi, vivete in pace con tutti” (Romani 12:18). Perciò cercherò di non irritare mio marito, di capire che cosa gli fa piacere e cosa lo urta e prenderei sul serio i suoi desideri. Sarei la prima a chiedere perdono e a cercare la pace. E se fossi marito, penso che farei lo stesso. E, quando due cercano di farsi piacere, per forza, cadono uno nelle braccia dell’altro.
La quarta è non lasciare ammucchiare torti e offese. L’Apostolo Paolo dice di non lasciare tramontare il sole sui nostri dispiaceri, crucci e ferite (Efesini 4:27). E questo significa parlare, spiegarsi, capirsi, prendersi sul serio e chiedersi perdono, il più presto possibile. Non c’è altro modo.
La prima cosa di cui convincersi è che tutto parte da quello che c’è nella nostra mente. Ripeto: tutto, perfino la decisione di dimagrire. Non dipende dal guardarsi allo specchio e desiderare di togliere un po’ di ridondanze, o dal fatto che vogliamo rientrare nei vestiti che sono diventati troppo stretti o che le nostre amiche benevole ci hanno detto ironicamente: “Ti stai inquartando un po’, eh?”. Dipende dalla seria convinzioni che siamo troppo grasse.
Perfino l’attuazione della venuta di Cristo sulla terra per compiere l’opera di salvezza è dipesa dalla sua decisione e convinzione di ubbidire al piano del Padre Celeste e rinunciare, per un tempo, alla perfezione del cielo. “Egli, pur essendo in forma di Dio, non considerò l’essere uguale a Dio, qualcosa a cui aggrapparsi gelosamente, ma spogliò se stesso....”. “Considerare” è un esercizio della mente, che provoca delle convinzioni da cui deriva ogni altra decisione.
E quando si entra nel matrimonio, secondo me, di convinzioni ce ne vogliono almeno quattro.
La prima è che il matrimonio è per la vita. Il Signore Gesù lo ha detto chiaramente: “Dio li fece maschio e femmina. Perciò l’uomo lascerà suo padre e sua madre e i due saranno una sola carne. Così non sono più due, ma una sola carne. L’uomo dunque non separi quello che Dio ha unito” (Marco 10:6-9). Pensare che Dio ha inventato il matrimonio per la nostra gioia, dovrebbe spingere a due cose: fare molta attenzione a chi è la persona che si sposa e poi fare tutto il possibile per tenersela stretta, cercando di farle piacere, e mettendo ogni impegno per renderla contenta.
La seconda è capire il proprio ruolo. Se sono una donna, Dio mi ha fatta per essere l’aiuto adatto a mio marito nel bene e nel male, e in ogni fase della vita (Genesi 2:18; Efesini 5:22,32). Perciò mi impegnerò perché diventi un uomo secondo il piano di Dio e cercherò di non fare nulla per ostacolare questo piano.
Se fossi un uomo, mi pare che prenderei molto sul serio il mio ruolo di guida della famiglia e farei tutto il possibile per non rendere troppo pesante il ruolo di aiuto di mia moglie (1 Corinzi 11:3). La curerei teneramente, come ordina la Parola di Dio e cercherei di sopperire ai suoi bisogni morali, fisici e spirituali (Efesini 5:25).
Se nella coppia i ruoli non sono rispettati, non c’è da aspettarsi niente di buono.
La terza è decidere che si troverà un accordo. Se uno mi dice che nel suo matrimonio non ci sono stati problemi, o ha perso la memoria, o è scemo o è bugiardo.
I problemi ci sono e, prima o poi, saltano fuori. Ma l’apostolo Paolo dice ai credenti: “Se è possibile, per quanto dipende da voi, vivete in pace con tutti” (Romani 12:18). Perciò cercherò di non irritare mio marito, di capire che cosa gli fa piacere e cosa lo urta e prenderei sul serio i suoi desideri. Sarei la prima a chiedere perdono e a cercare la pace. E se fossi marito, penso che farei lo stesso. E, quando due cercano di farsi piacere, per forza, cadono uno nelle braccia dell’altro.
La quarta è non lasciare ammucchiare torti e offese. L’Apostolo Paolo dice di non lasciare tramontare il sole sui nostri dispiaceri, crucci e ferite (Efesini 4:27). E questo significa parlare, spiegarsi, capirsi, prendersi sul serio e chiedersi perdono, il più presto possibile. Non c’è altro modo.
Le preghiere serali: Una pizza mortale?
Massimo e Alessia trovavano fantastico il tempo in cui condividevano le loro impressioni e scoperte nella lettura biblica. Lei aveva cominciato a leggere da capo i salmi e Massimo stava percorrendo, capitolo dopo capitolo, il libro di Isaia.
“Senti questo che ha detto Davide! Faceva proprio per me, perché stamattina ero un po’ scoraggiata” diceva Alessia.
“Quando hai finito i salmi, leggiti Isaia. È incredibile quanto Vangelo c’è dentro!” commentava Massimo.
Però, quando era il momento di pregare, era un po’ come se un palloncino perdesse aria e si afflosciasse.
Di solito, cominciva Massimo, come capofamiglia, faceva al Signore la lista dei parenti, ringaziava per la buona giornata e chiedeva una buona notte; a volte nominava il lavoro o un malato della chiesa. Amen.
Quando veniva il turno di Alessia, bene o male, Massimo aveva detto tutto. Non era il caso di ripetere le richieste, perché il Signore le capiva alla prima. Perciò lei se la cavava con un paio di frasi, sempre le stesse e i due arrivavano all’amen finale. Possibile che fosse così noioso pregare col proprio marito?
Alessia aveva un’amica molto cara, sposata da alcuni anni. Un giorno, si fece coraggio, prese il telefonino e la chiamò: “Pronto, Sara?”.
“Ciao, Alessia, dimmi tutto.”
Alessia un po’ si vergognava, ma poi disse: “Tu e Franco pregate insieme, vero?”.
“Certo, ogni sera.”
“Ma lo trovate stimolante?... Sai, io e Massimo, sembra che diciamo sempre le stesse cose... come se dicessimo il rosario evangelico... Ci sembra che qualcosa che non funzioni.”
Sara capì al volo, perché anche a lei e suo marito era capitato di trovare dificile non cadere nella routine del “rosario evangelico” come lo aveva chiamato Alessia. Perciò disse subito: “Io e Franco preghiamo a conversazione e lo troviamo bello e utile”.
“Ma che vuol dire? Che pregate come si parla e non con preghiere complicate e con paroloni difficili?” chiese Alessia.
“No. Adesso ti spiego. Quando ci siamo sposati, con Franco avevamo deciso di pregare la sera. Abbiamo fatto l’errore di pregare a letto. A volte cominciavo io, ma dopo poco, dalla parte di Franco veniva un respiro troppo lungo e regolare. Si stava addormentando. E quando cominciava lui, idem con me”.
“È esattamente quello che succede a noi!”
“Proprio allora ci è venuto sottomano un giornale che spiegava la bellezza di pregare a conversazione. Si tratta solo di un modo molto semplice. Uno comincia a lodare il Signore e poi si ferma, così l’altro può continuare con altre lodi e ringaziamenti. Poi si ringrazia per la giornata, il lavoro in ufficio, il parcheggio trovato, una visita utile fatta a un amico. A ogni argomento, ci si ferma e si dà all’altro il modo di aggiungere qualcosa, se vuole. Se no, si passa a un altro soggetto. È molto bello quando si comincia a pregare per le persone, perché, allora, si aggiungono particolari, richieste e così via... Molto spesso preghiamo anche per i soggetti proposti in chiesa...”
“Ma non vi sentite un po’ strani?” interruppe Alessia.
“All’inizio, un po’ sì, perché è un modo di pregare a cui non si è abituati, ma poi ci si abitua e sembra la cosa più naturale, conversare con Dio che è lì con noi, come ha promesso; anzi, ora mi sembra strano sentire varie persone che pregano una dopo l’altra con delle preghiere “complete” che finiscono con l’amen. Ti assicro che la nostra preghiera in comune è cambiata dalla notte al giorno. Ci fa sentire davvero una sola cosa.”
“È un’idea; ne parlerò con Massimo” disse Alessia.
E la cosa ha funzionato. Niente più respiri lunghi e regolari da parte del partner e molta più vita e freschezza in tutto lo scambio di lodi e richieste al Signore. E anche una maggiore intesa e unità nella preghiera.
Se vi pare un’idea da provare, fate pure! Ne parleremo ancora, se necessario, ma la prossima volta torneremo sull’importanza di diventare “uno”.
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“Senti questo che ha detto Davide! Faceva proprio per me, perché stamattina ero un po’ scoraggiata” diceva Alessia.
“Quando hai finito i salmi, leggiti Isaia. È incredibile quanto Vangelo c’è dentro!” commentava Massimo.
Però, quando era il momento di pregare, era un po’ come se un palloncino perdesse aria e si afflosciasse.
Di solito, cominciva Massimo, come capofamiglia, faceva al Signore la lista dei parenti, ringaziava per la buona giornata e chiedeva una buona notte; a volte nominava il lavoro o un malato della chiesa. Amen.
Quando veniva il turno di Alessia, bene o male, Massimo aveva detto tutto. Non era il caso di ripetere le richieste, perché il Signore le capiva alla prima. Perciò lei se la cavava con un paio di frasi, sempre le stesse e i due arrivavano all’amen finale. Possibile che fosse così noioso pregare col proprio marito?
Alessia aveva un’amica molto cara, sposata da alcuni anni. Un giorno, si fece coraggio, prese il telefonino e la chiamò: “Pronto, Sara?”.
“Ciao, Alessia, dimmi tutto.”
Alessia un po’ si vergognava, ma poi disse: “Tu e Franco pregate insieme, vero?”.
“Certo, ogni sera.”
“Ma lo trovate stimolante?... Sai, io e Massimo, sembra che diciamo sempre le stesse cose... come se dicessimo il rosario evangelico... Ci sembra che qualcosa che non funzioni.”
Sara capì al volo, perché anche a lei e suo marito era capitato di trovare dificile non cadere nella routine del “rosario evangelico” come lo aveva chiamato Alessia. Perciò disse subito: “Io e Franco preghiamo a conversazione e lo troviamo bello e utile”.
“Ma che vuol dire? Che pregate come si parla e non con preghiere complicate e con paroloni difficili?” chiese Alessia.
“No. Adesso ti spiego. Quando ci siamo sposati, con Franco avevamo deciso di pregare la sera. Abbiamo fatto l’errore di pregare a letto. A volte cominciavo io, ma dopo poco, dalla parte di Franco veniva un respiro troppo lungo e regolare. Si stava addormentando. E quando cominciava lui, idem con me”.
“È esattamente quello che succede a noi!”
“Proprio allora ci è venuto sottomano un giornale che spiegava la bellezza di pregare a conversazione. Si tratta solo di un modo molto semplice. Uno comincia a lodare il Signore e poi si ferma, così l’altro può continuare con altre lodi e ringaziamenti. Poi si ringrazia per la giornata, il lavoro in ufficio, il parcheggio trovato, una visita utile fatta a un amico. A ogni argomento, ci si ferma e si dà all’altro il modo di aggiungere qualcosa, se vuole. Se no, si passa a un altro soggetto. È molto bello quando si comincia a pregare per le persone, perché, allora, si aggiungono particolari, richieste e così via... Molto spesso preghiamo anche per i soggetti proposti in chiesa...”
“Ma non vi sentite un po’ strani?” interruppe Alessia.
“All’inizio, un po’ sì, perché è un modo di pregare a cui non si è abituati, ma poi ci si abitua e sembra la cosa più naturale, conversare con Dio che è lì con noi, come ha promesso; anzi, ora mi sembra strano sentire varie persone che pregano una dopo l’altra con delle preghiere “complete” che finiscono con l’amen. Ti assicro che la nostra preghiera in comune è cambiata dalla notte al giorno. Ci fa sentire davvero una sola cosa.”
“È un’idea; ne parlerò con Massimo” disse Alessia.
E la cosa ha funzionato. Niente più respiri lunghi e regolari da parte del partner e molta più vita e freschezza in tutto lo scambio di lodi e richieste al Signore. E anche una maggiore intesa e unità nella preghiera.
Se vi pare un’idea da provare, fate pure! Ne parleremo ancora, se necessario, ma la prossima volta torneremo sull’importanza di diventare “uno”.
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Il matrimonio non è come pensavo: Che fare?
Volere o volare, dopo il fatale “sì”, la realtà ti viene addosso. Ed è venuta addosso a Massimo e Alessia. Stanno capendo che il matrimonio non è un fidanzamento. Non è una passeggiata tenendosi per mano. Non è un convegno evangelico in cui si canta e si prega e si fanno progetti e proponimenti. È una realtà che si deve vivere, una macchina che si deve far funzionare, una nuova situazione che si deve affrontare, ma non affondare.
La prima cosa, di cui per necessità e esperienza si sono capacitati, è che il matrimonio è composto da due peccatori. Nella lettera ai Romani sta scritto: “Tutti (dico: tutti) hanno peccato” e “in me cioè nella mia carne non abita alcun bene”. E Giacomo, nella sua epistola, afferma: “Tutti falliamo in molte cose”.
Massimo si rende conto che Alessia sbaglia e pecca, e Alessia vede che Massimo pecca, almeno sette volte al giorno come dice la Bibbia.
La matematica non è un’opinione . Un peccatore più una peccatrice fanno un grosso peccatore o due peccatori. E su questa realtà devono lavorare, dato che tutti e due sono egoisti e orgogliosi. Tutti e due pensano, pur essendo credenti, di essere nel giusto e che sia l’altro quello che deve cambiare.
Piano piano, si rendono conto che non vale la pena predicare all’altro. Perciò devono lavorare su se stessi. Non è una scoperta piacevole, ma se la vita cristiana deve essere un cammino lento e faticoso verso la perfezione e se il matrimonio è un impegno a considerare il coniuge più importante di noi stessi, c’è qualche provvedimento da prendere.
Piccole cose, ma Alessia comincia a passare lo straccio sul pavimento di cucina ogni sera e Massimo le svuota la lavastoviglie.
Poi, bisogna affrontare il fatto che ognuno è il prodotto della sua famiglia e il bagaglio che ognuno si porta appresso è più consistente di quello che si pensava. Massimo non assomiglia e non si comporta come il papà di Alessia e Alessia non fa il letto come la mamma di Massimo. Non hanno gli stessi gusti. Uno è sportivo e l’altro è no. A uno piace la vita metodica e l’altro prende le giornate alla “come viene viene”. A lui piace guardare “Quark” e le partite. Lei preferisce “Sereno variabile” Anche su quello, bisogna lavorare.
Fare ognuno come gli pare? Non funziona. I due trovano un compromesso. Due giorni in palestra per uno. E una passeggiata alla settimana per tutti e due. Sulla televisione cede una volta lei e una volta (o due?) lui.
A scriverlo, qusto processo, ci vogliono due frasi. A metterlo in pratica, ci vogliono molti mesi. Ma l’importante è riuscire.
Per la vita spirituale, hanno capito che non possono dipendere uno dall’altro. Devono imparare a funzionare indipendentemente, per certi versi e per altri no. Anche per questo c’è voluto un compromesso: faranno il loro raccoglimento separati e la sera si racconterano le loro scoperte e le loro riflessioni. Ci hanno preso un gusto matto. È uno dei momenti più belli della giornata.
Per la preghiera.... ve lo racconto la prossima volta.
La prima cosa, di cui per necessità e esperienza si sono capacitati, è che il matrimonio è composto da due peccatori. Nella lettera ai Romani sta scritto: “Tutti (dico: tutti) hanno peccato” e “in me cioè nella mia carne non abita alcun bene”. E Giacomo, nella sua epistola, afferma: “Tutti falliamo in molte cose”.
Massimo si rende conto che Alessia sbaglia e pecca, e Alessia vede che Massimo pecca, almeno sette volte al giorno come dice la Bibbia.
La matematica non è un’opinione . Un peccatore più una peccatrice fanno un grosso peccatore o due peccatori. E su questa realtà devono lavorare, dato che tutti e due sono egoisti e orgogliosi. Tutti e due pensano, pur essendo credenti, di essere nel giusto e che sia l’altro quello che deve cambiare.
Piano piano, si rendono conto che non vale la pena predicare all’altro. Perciò devono lavorare su se stessi. Non è una scoperta piacevole, ma se la vita cristiana deve essere un cammino lento e faticoso verso la perfezione e se il matrimonio è un impegno a considerare il coniuge più importante di noi stessi, c’è qualche provvedimento da prendere.
Piccole cose, ma Alessia comincia a passare lo straccio sul pavimento di cucina ogni sera e Massimo le svuota la lavastoviglie.
Poi, bisogna affrontare il fatto che ognuno è il prodotto della sua famiglia e il bagaglio che ognuno si porta appresso è più consistente di quello che si pensava. Massimo non assomiglia e non si comporta come il papà di Alessia e Alessia non fa il letto come la mamma di Massimo. Non hanno gli stessi gusti. Uno è sportivo e l’altro è no. A uno piace la vita metodica e l’altro prende le giornate alla “come viene viene”. A lui piace guardare “Quark” e le partite. Lei preferisce “Sereno variabile” Anche su quello, bisogna lavorare.
Fare ognuno come gli pare? Non funziona. I due trovano un compromesso. Due giorni in palestra per uno. E una passeggiata alla settimana per tutti e due. Sulla televisione cede una volta lei e una volta (o due?) lui.
A scriverlo, qusto processo, ci vogliono due frasi. A metterlo in pratica, ci vogliono molti mesi. Ma l’importante è riuscire.
Per la vita spirituale, hanno capito che non possono dipendere uno dall’altro. Devono imparare a funzionare indipendentemente, per certi versi e per altri no. Anche per questo c’è voluto un compromesso: faranno il loro raccoglimento separati e la sera si racconterano le loro scoperte e le loro riflessioni. Ci hanno preso un gusto matto. È uno dei momenti più belli della giornata.
Per la preghiera.... ve lo racconto la prossima volta.
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