“Tu non mi puoi obbligare a fare quello che vuoi. Voglio
toccare il fondo e fare a modo mio”. Così si è espresso il figlio di un nostro
amico. Era un ragazzo cresciuto in una chiesa evangelica. Spero che abbia messo
la testa a posto.
Mi auguro che nessuno di voi abbia un figlio ribelle. A mio
marito e a me non è successo niente di simile e ne siamo infinitamente
riconoscenti al Signore. Penso che io sarei andata ai matti dal dispiacere.
Su una vecchia VOCE del VANGELO, di 25 anni fa, ho trovato
questi consigli basati sulla parabola del figlio prodigo, con particolare
attenzione alla figura del padre, che simboleggia Dio. Spero che non vi debbano
mai servire, però…
Rileggete, tanto per cominciare, la parabola nel capitolo 15
del Vangelo di Luca.
- Il padre non ha diseredato il figlio ribelle che gli
chiedeva la sua parte di beni. Non lo ha minacciato. Non c’è segno di odio o di
desiderio di vendetta nel suo atteggiamento. Non ha trattenuto il figlio. Ha semplicemente
acconsentito alla sua richiesta e ha continuato a amarlo.
- Il padre non si è lasciato sopraffare dalla disperazione.
Alcuni genitori cadono a pezzi (come penso sarebbe successo a me) se un figlio
si ribella. Il padre della parabola non ha permesso che la condotta del figlio
lo annientasse. Ha continuato a vivere e a amare.
- Il padre non ha inseguito il figlio. Spesso l’insistenza nel
richiedere l’ubbidienza e le troppe esortazioni allontanano più che mai i figli
dalla famiglia. Il padre descritto da Gesù ha lasciato il figlio libero. Alcuni
rispettabilissimi servitori di Dio hanno fatto lo stesso con dei loro figli
ribelli. Ci vuole molto coraggio a farlo, ne sono sicura, e in alcuni casi ha
funzionato.
- Il padre non ha negato al figlio i suoi diritti, gli ha
dato la sua parte di eredità. Non lo ha trattenuto con un ricatto, nonostante
la mancanza di rispetto del figlio, che lo stava trattando come se fosse già
morto. Fece come gli era chiesto.
- Il padre non smise mai di sperare. Continuò a aspettare
il figlio ribelle, a tenere le braccia aperte, perdonandolo in cuor suo. Credeva,
evidentemente, nel suo ravvedimento.
- Il padre non rinfacciò al figlio il male che aveva fatto.
Il suo perdono fu incondizionato e totale. Il suo abbraccio pieno di amore, ha parlato
più di mille discorsi.
- Il padre fece una grande festa quando il figlio tornò pentito e desideroso del suo perdono. La festa fu grande e completa. Non ci furono rimproveri e quelle terribili frasi che cominciano con : “Te lo avevo detto!” oppure “Se mi avessi dato retta!”.
Il padre della parabola è un simbolo del Padre celeste e al
suo modo di trattare chi appartiene alla sua famiglia, ma non è ubbidiente e
sottomesso a Lui.
Quando il figlio si è ribellato non lo ha costretto
all’ubbidienza, ma ha permesso che facesse le sue esperienze negative,
dolorose, umilianti e comprendesse, per mezzo di esse, quanto stolta fosse la
sua condotta.
Siamo sempre responsabili delle nostre scelte. Il Padre
celeste continua a amarci, ma lascia che sperimentiamo i risultati delle nostre
scelte sbagliate. Continua a amare e, quando rientriamo in noi stessi, magari
pieni di piaghe e di lividi, e capiamo che abbiamo peccato e lo confessiamo,
chiedendo perdono, ci perdona. Allora le sue braccia, che erano sempre state
tese verso di noi, si aprono e ci stringono incondizionatamente. Bello, no?
(Leggi 1 Giovanni 1:8,9).
La gioia in cielo è grande quando un peccatore si ravvede,
ha detto Gesù.
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